Antonio Atza

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Scritto da Administrator | 08 Settembre 2011

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Antonio Atza

di Attilio Mastino (2002)

Antonio Atza è tornato a Bosa, ad un anno di distanza dalla pubblicazione del volume a lui dedicato da Giorgio Pellegrini e Simona Campus per le Edizioni Poliedro di Nuoro, un volume voluto dall'allora Assessore alla Cultura Vincenzo Mozzo; ed è tornato per donare al Comune ancora una decina di nuove splendide opere che ripercorrono una strada iniziata oltre quarant'anni fa con i celebri Blues: se ne avvantaggia la collezione ospitata ormai in modo permanente nelle settecentesche sale della antica Biblioteca Comunale, dove il nuovo Assessore comunale alla Cultura Anna Maria Piroddi ha voluto trasferire le opere, dirimpetto al Palazzo Deriu che ospita Melkiorre Melis ed ora anche Emilio Scherer, maestri amati ed ammirati da Atza.

Lascia senza fiato, su tutta una parete, la trilogia "Omaggio alla luna di maggio", con il promontorio del Monte Sa Sea e con le rocce dilavate di Sos Puppos, tra Cala 'e Moros e Cala Rapina, a Nord della foce del Temo, che diventano ormai un'isola di fiaba, con un mare d'incanto e i gabbiani che intrecciano con i loro voli quasi le linee di un ricamo, simile a quel filet che troviamo reale nel recente "Reliquiario di San Senzanome" donato proprio in questi giorni.

In realtà Atza riesce a far riemergere quella che considera la stagione più felice della sua vita, una fanciullezza lontana che lo riporta a Bosa, a questa città fluviale che gli è cara: viene da pensare all'immagine che di Bosa e del suo mare hanno dato altri pittori ed altri poeti, come di recente Orlando Biddau, il poeta di Modolo, che nella poesia Sas Covas immagina un sogno luminoso e terribile: «Nel porto dell'antica città un bianco veliero / ci attende. Salperemo assieme ai gabbiani ubriachi / d'azzurro incantato, alle ultime ore di sole… Siam respinti in esilio all'estremo / confine del mondo; più avanti c'è solo l'agguato, / la folle Musa impietrita in statua di sale / con voce suadente m'invita a discendere i gorghi / senza ritorni dei suoi tenebrosi tentacoli».

I tentacoli di Biddau richiamano gli inquietanti tentacoli, gli incubi, le creature mostruose che Atza raffigura nei suoi quadri, arrivando al profondo dell'anima, come nella "Luna Bosana"  ora donata al Comune di Bosa o nelle tante opere precedenti, in particolare quelle nelle quali i paesaggi reali si accompagnano all'astrattismo più spinto, frutto di  fantasie e di  esperimenti originali, che  segnano la sua produzione più nota: ma con una serenità e con un ottimismo che incanta.

C'è sempre una certa aria di famiglia con le sensazioni che Biddau è capace di descrivere, raccontando la città di Bosa, la vallata del fiume Temo, la foce, i luoghi meravigliosi amati fin dall'infanzia, che ritroviamo nelle opere di Atza, nei bozzetti, negli olii:  «Quando ancora alla corda senza scampo, / ancora a queste rive venivo, / come alla casa paterna che non sa / dove andare all'estuario del Temo / sconsolati gabbiani planavano lenti sul greto, / più in là, oltre il molo ed il colle di mirti / intatte spiagge e scogliere lunari, / in scenari a balzi di rocce / ove reciti  Amleto i suoi furori, / preludi al funebre canto» (L'ultimo rifugio ).

Sono soprattutto l'Isola Rossa, la foce del fiume, il mare che hanno un significato e che riescono a toccare le corde più profonde del cuore: «Respira il mare ed io son vivo, / le barche in secca a un porticciolo di sassi / come ramarri al sole. Venimmo / un mattino a quest'isola verde / per sciogliere il voto, ed il passo / e il respiro era incerto a violare /  le intatte scogliere ove cielo / e mare si fondevano. / Candide ali si aprivano / sulle braccia nude dei fanciulli, / colombacci marini; tra frusci / d'azzurro e spumeggi / si tuffavano in acqua, emergevano / con un riso acerbo, agguantando / esultanti un'orata! / Tenera come la gola della lucertola / la memoria della spina di ieri. / Dietro il faro e la torre / un pane frugale, e di ritorno / con un fiore di giunco. / Come lungo cammino della memoria,  / come arsura bramosa dell'oblio, / un fiore di giunco» (Per voto).

I gabbiani di Atza non sono sconsolati come quelli di Biddau: sono il simbolo di una vita che ricomincia, di un legame che non si è spezzato, di una voglia prorompente di un ritorno ai luoghi più cari dai quali non ci si vorrebbe più staccare.

C'è nell' opera di Atza (come in quella di Biddau) la spiegazione del suo ripiegarsi su se stesso, del suo ritorno alle radici ed all'infanzia, del suo chiudersi nel paesaggio amato della sua valle e della sua città, senza dimenticare gli altri luoghi della sua vita, da Bauladu a Cornus, da Sassari a Gavoi, ma anche in continente ed all’estero:  Atza nel suo lungo itinerario ha sempre cercato i paesaggi che gli ricordino la sua terra, la sua dimensione vera di vita, quasi come un bimbo che torna nel grembo materno, perché solo nel suo paese può «aspirare l'antico odore d'infanzia,  / può rinascere lieve l'illusione, / rinverdire la formula, l'idillio / che schiuda l'incantesimo».

Atza sa raccontare senza parole, sa descrivere l'incantesimo per immagini, sa trasmettere emozioni profonde: la bellissima mostra delle opere donate al Comune di Bosa documenta un percorso artistico che rivela le qualità tecniche e insieme i sentimenti, soprattutto il coraggio di mettersi in discussione, di  cercare strade nuove, di confrontarsi in uno scenario internazionale, senza chiudersi alle novità, ai nuovi linguaggi, alle nuove formule espressive.

Con quest’ultima produzione Antonio Atza si conferma grande artista, dalla sensibilità sempre acutissima, punto di riferimento essenziale per la cultura bosana, punto di approdo per una scuola di pittori e di artisti che inizia con Scherer, per arrivare ai Melis: dopo oltre 50 anni di attività, il Maestro ha conservata intatta la capacità di mettersi in discussione e di cimentarsi con il nuovo; anzi, proprio la sua lunga esperienza gli consente di muoversi con autoriotà, senza indulgere ai luoghi comuni ed alle cose scontate. Ritengo che sia un grande privilegio per tutti i Bosani, quello di aver acquisito al patrimonio comunale una collezione di straordinaria bellezza, accessibile in permanenza nei caratteristici locali del Corso Vittorio Emamuele.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 22 Maggio 2013 14:27

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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