Joseph Ratzinger Benedetto XVI: Gesù di Nazaret, dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione.

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Scritto da Administrator | 13 Dicembre 2011

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Joseph Ratzinger Benedetto XVI:
Gesù di Nazaret, dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione.

Saluto del Rettore Prof. Attilio Mastino

Sassari, 9 dicembre 2011

Ho il piacere di introdurre questo incontro intorno al volume di Joseph Ratzinger Benedetto XVI su Gesù di Nazaret, dedicato ai pochi giorni che vanno dall’ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione. Saluto cordialmente i due arcivescovi mons. Paolo Atzei e Ignazio Sanna, don Marco Angioni responsabile della Cappellania Universitaria e il dott. Giuseppe Scotti direttore della Libreria editrice vaticana, che ha pubblicato l’opera; infine il dott. Pierluca Azzaro curatore el volume.

Già nel I volume uscito nel 2007 per Rizzoli, dedicato ai lunghi anni che hanno preceduto l’arrivo di Gesù a Gerusalemme, ero stato sorpreso – come storico - per l’attenzione di un Papa verso le fonti che consentono di ricostruire la storicità della figura del Cristo, per questo radicamento della metastoria nella storia, per questo tentativo di Benedetto XVI di presentare il Gesù dei Vangeli come un personaggio della vita reale, come il "Gesù storico" in senso vero e proprio. Allora Benedetto XVI si era dichiarato <>.

E poi l’impatto sulla società dei suoi tempi, la precocità delle testimonianze, le reazioni commosse e sorprese dei contemporanei, se è vero che . Per Benedetto XVI  la figura di Gesù ha fatto saltare tutte le categorie disponibili e ha potuto così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio.

C’è anche in questo secondo volume una straordinaria attenzione per le opere teologiche, filosofiche, storiche più recenti, anche di matrice protestante, per lo sviluppo dell’esegesi patristica nei nostri giorni, per una cristologia rinnovata che non perda il suo radicamento storico, che sia sostenuta da una riflessione teologica fresca, da un’informazione completa sulla ricerca in corso anche di tipo archeologico, numismatico, epigrafico,  partendo dai vangeli. Benedetto XVI va molto al di là, con questa opera, rispetto ad una cristologia di maniera attenta esclusivamente all’ortodossia dottrinale.

Al centro di questo secondo volume sta veramente  il tempio di Gerusalemme, il luogo sacro invaso dai mercanti, che per Marco Gesù libera rovesciando i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe nel cortile dei gentili, perché secondo Isaia <>. Per Benedetto XVI la purificazione del tempio non fu un evento violento come quello desiderato dagli zeloti,  fu invece un messaggio esplicito verso una comune adorazione di Dio aperta ai gentili. E se ci sarà qualcuno che distruggerà questo tempio, per Giovanni in tre giorni Gesù lo farà risorgere, nel segno della croce e della risurrezione. E dopo la purificazione del tempio, ricorda Matteo, gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi ed egli li guarì, perché Gesù non fu un distruttore che impugna la spada del rivoluzionario, ma fonda il suo potere sull’amore per gli ultimi.

Il tema della fine del tempio è veramente al centro di queste pagine: per Epifanio Cristo aveva detto loro di abbandonare Gerusalemme e di trasferirsi altrove, perché la città sarebbe stata assediata e Marco aveva raccomandato di fronte all’abominio della devastazione a quelli che si trovavano in Giudea di fuggire sui monti.

Nel 40° anniversario dalla crocefissione di Gesù, ancora una volta per Pasqua, il tempio fu effettivamente distrutto dall’imperatore Tito, dopo la sospensione del sacrificio e l’arrivo di tanti fanatici.

Spero mi perdonerete se ricorderò brevemente di aver scritto in questi giorni un articolo  scientifico proprio su questo tema, un tema che trovo sintetizzato da Benedetto XVI con poche e significative parole, guardando ai tempi della diaspora: . Per la mentalità degli antichi, se il Signore aveva abbandonato la sua residenza nel tempio, dove si era trasferito ?

Dopo i contrasti tra Farisei, Sadducei, Esseni, la rivolta giudaica contro i Romani era stata alimentata dall’arrivo dei Sicari e soprattutto degli Zeloti a Gerusalemme, animata da quei ciarlatani, falsi profeti, individui falsi e bugiardi – scrive Giuseppe – che fingevano di essere ispirati da Dio, macchinavano disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo verso il fanatismo religioso e lo conducevano nel deserto.

Proprio il Dio dei Giudei per Giuseppe Flavio avrebbe deciso di abbandonare il suo popolo, disgustato per le tante empietà, distogliendo il suo sguardo dai luoghi santi a causa di quei malvagi, offeso per il fatto che il santuario era stato contaminato e  aveva necessità di un nuovo rito di purificazione dopo esser diventato la tomba dei cittadini massacrati.  Per Giuseppe Flavio fu il Dio a condannare alla distruzione la città contaminata ed a voler purificare col fuoco i luoghi santi, provocando un furore fratricida ed una lotta intestina.  Dopo le rapine e gli assassini, il Tempio era diventato il ricettacolo di tutti i delinquenti e il luogo santo era profanato da mani di connazionali, mentre anche i Romani fino ad allora lo avevano rispettato tenendosene lontani e trascurando molti dei loro usi in ossequio alla legge.  Dio aveva abbandonato i luoghi sacri ed era passato dalla parte dei Romani, quelli che ora i Giudei combattevano.

Del resto per Giuseppe Flavio esisteva un antico detto d’ispirazione divina secondo cui, quando la città fosse caduta in preda alla guerra civile e il tempio del dio profanato per colpa dei cittadini, allora essa sarebbe stata espugnata e il santuario distrutto col fuoco dai nemici; ed il Vangelo di Marco attribuisce a Cristo la predizione della distruzione del tempio (Gesù gli rispose: <>).   Per Flavio Giuseppe erano state disattese quelle prescrizioni rituali, consacrate anche su lapidi antiche con iscrizioni sulla porta del santuario, che imponevano ai visitatori, giudei e stranieri la legge della purificazione in lingua greca ed in latino.

Gerusalemme fu espugnata da Tito, che non avrebbe voluto la distruzione del tempio; il luogo, un altopiano con le pareti scoscese, era forte per natura e straordinariamente rafforzato dalla costruzione di opere difensive. Di fronte a coloro che sostenevano che la città dovesse subire i rigori delle leggi di guerra, poiché i giudei non avrebbero mai cessato di ribellarsi finché restava in piedi il tempio nel quale si radunavano da ogni parte, Tito diede disposizioni per salvare il tempio anche se era stato il dio stesso a condannarlo alle fiamme: contro il volere di Cesare il tempio fu distrutto dalle fiamme,  il 10 del mese di Loos, nell’anniversario dell’incendio del tempio per volontà del re dei Babilonesi Nabucodonosor.

Ho di recente ipotizzato che Tito, fornito degli auspicia imperiali, abbia di fatto celebrato un rito di vera e propria evocatio del Dio dei Giudei da Gerusalemme a Roma nel Templum Pacis, costruito da Vespasiano in quello stesso anno, sul modello della Giunone Regina di Veio nell’età di Camillo o della Tanit Caelestis di Cartagine per iniziativa di Scipione l’Emiliano: alcuni altri esempi di evocatio sono citati dalle fonti tra l’età repubblicana e il principato di Tiberio.  Si può forse ipotizzare che Tito abbia celebrato un rito religioso arcaico, nel tentativo di trasferire a Roma il culto del Signore degli Ebrei, con cerimonie di cui le fonti non ci hanno conservato notizia: egli avrebbe semplicemente certificato ciò che poi lo stesso Flavio Giuseppe avrebbe dichiarato, cioè che il Dio sdegnato aveva abbandonato per sempre il sacro tempio. Tacito del resto nel V libro delle Historiae ricorda i prodigi che avevano preceduto l’assedio, mentre gli Ebrei, schiavi della superstizione – sono parole i Giuseppe Flavio -  non erano riusciti a scongiurare la minaccia: si erano visti in cielo scontri di eserciti e sfolgorio di armi e, per improvviso ardere di nubi, illuminarsi il tempio. Si erano aperte di colpo le porte del santuario e fu udita una voce sovrumana annunciare: <>, audita maior humana vox <>.

Più tardi, dopo il sanguinoso episodio di Masada, dopo il trionfo di Vespasiano e Tito, la città di Gerusalemme sarebbe divenuta per Giuseppe Flavio ormai una landa desolata, con gli orti distrutti, gli alberi tutti tagliati alla radice, mentre le mura erano abbattute, la reggia e il Tempio devastati. Restavano a ricordare l’antico splendore le tre torri Fasael, Ippico e Mariamme lasciate sopravvivere da Tito per testimoniare ai posteri l’importanza originaria della città che lui aveva conquistato. Presso le ceneri del santuario abbandonato dal Dio ora se ne stavano dei miseri vecchi e poche donne riservate dal nemico al più infame oltraggio. Iniziavano i tempi terribili della diaspora, quando gli Ebrei dovettero avviarsi in esilio, sparpagliandosi per il Mediterraneo.

Gli oggetti preziosi del culto, i cimeli civili e religiosi conquistati nel corso dell’assedio, avevano ormai raggiunto Roma, al tempo del vescovo Lino, i primi raccolti nel tabularium principis sul Palatino, i secondi conservati all’interno del Templum Pacis, dove non escluderei sia stata progettata da Tito (tanto legato alla principessa Berenice)  la ripresa di un culto in onore del Dio dei Giudei, ripresa che in realtà poi non dové svilupparsi, apparentemente a causa della mancata adesione della comunità ebraica romana. Eppure si ha traccia di un vero e proprio pellegrinaggio di fedeli di religione ebraica verso il templum Pacis a Roma negli anni immediatamente successivi alla sua  consacrazione.

Non pretendo che questa mia spericolata ipotesi storica possa essere accettata oggi né tanto meno che possa coincidere con il pensiero di Benedetto XVI, che è ben più profondo e articolato: eppure il merito di questo libro è soprattutto quello di ancorare la figura di Gesù ad una storia reale, a un personaggio vero, ad una terra, ad un popolo. Nella prospettiva della purificazione del tempio e dopo la critica ai sacrifici cruenti celebrati nel cortile dei gentili, come il sangue della crocifissione è metafora di riparazione e di espiazione, la resurrezione è insieme una realtà, una speranza, una profezia, un luogo di riconciliazione, un orizzonte  escatologico per noi uomini di oggi.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 22 Maggio 2013 18:46

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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