Convegno Internazionale di Studi “Daedaleia. Le torri nuraghiche oltre l’Età del Bronzo

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| 21 Maggio 2012

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Convegno Internazionale di Studi“Daedaleia.
Le torri nuraghiche oltre l’Età del Bronzo”.
Cagliari, 19 aprile 2012
Attilio Mastino

Introduzione

Nel classico “La civiltà dei Sardi dal paleolitico all’età dei nuraghi” Giovanni Lilliu scriveva: <<Gli Achei mostrano un grande dinamismo in direzione del Mediterraneo occidentale sino in Sicilia, oltre che verso le isole dell’Egeo e dell’Asia minore. Una eco di tali movimenti di popoli è nella leggenda di Dedalo, costruttore in Sardegna di daidàleia (cioè di da-da-reio, l’anàctoron, il santurio identificabile col nuraghe), dopo che vi ebbe rifugio, fuggito da Camico di Sicilia>>[1].

Il nostro convegno si intitola con la forma latina, con lo sguardo di Properzio, Daedaleìa,  ma rimanda, indubbiamente, ai Daidàleia, questi erga pollà kai megàla mèchri tòn nyn kairòn diamènonta, strutture grandi e numerose, opere restate fino al nostro tempo, edificate da Dedalo in Sardegna, secondo il passo della Biblioteca Storica di Diodoro, IV, 30, 1.

Fu Iolao e non Aristeo, come pure risultava da una tradizione nota a Sallustio e a Pausania, a far venire Dedalo dalla Sicilia: l’artista cretese costruì numerose e grandi opere, che da lui si chiamarono dedalee, ancora conservate al tempo di Diodoro. Anche l’anonimo autore del De mirabilibus auscultationibus, uno scritto pseudo-aristotelico forse dell’età di Adriano, ricorda come Iolao e i Tespiadi fecero edificare costruzioni realizzate secondo «l’arcaico modo dei Greci» e tra esse edifici a volta di straordinarie proporzioni. Questo Convegno, d’altro canto, si apre alla prospettiva delle rifunzionalizzazioni  dei Daidàleia, i nuraghi, in età arcaica, nel periodo punico, romano e altomedievale, ossia nei tempi in cui gli erga pollà kai megàla che contrassegnavano il paesaggio trasformato dall’uomoal tempo della fonte (timaica) di Diodoro, ma ancora all’epoca in cui scriveva Diodoro Siculo, così come marchiano il paesaggio della Sardegna attuale.

Ho parlato di rifunzionalizzazioni al plurale, poiché, se è ora documentato dagli scavi stratigrafici che l’edificazione dei nuraghi si era arrestata con l’età del Bronzo Finale, presumibilmente in una fase alta dello stesso, indubbiamente i riusi del nuraghe sono variati sia sul piano diacronico, sia sul piano geografico. Essenziale è definire il punto di vista della tradizione confluita in Diodoro, ovviamente di origine siceliota, e nel De mirabilibus auscultationibus.

Ritornando al titolo del Convegno osserverò che la riflessione da parte di filologi, storici, archeologi si è concentrata sul tema di Dedalo i Daidaleia e la Sardegna.

Dagli apporti di Ettore Pais nella memoria lincea sulla Sardegna prima del dominio romano del 1881, ai lavori di Piero Meloni del 1945, di Giovanni Lilliu, di Giovanni Ugas, di Ignazio Didu, al mio intervento del 1980 e del 2002, fino al recente saggio di Francesco Neri, Dedalo, i "Daidaleia" e Aristeo: considerazioni sulla presenza mitica di Dedalo in Sardegna, pubblicato negli Annali dell’Istituto italiano per gli Studi Storici nel 2005[2].

Giovanni Ugas ha da molti anni incentrato la sua attenzione sul rapporto fra la cronologia mitica di Dedalo e la costruzione dei nuraghi.

Scrive Ugas nell’Alba dei Nuraghi, (Cagliari 2005):

(Una serie di osservazioni indurrebbe) a pensare che fossero del tutto inventate le tradizioni letterarie antiche concernenti la costruzione dei nuraghi e delle altre coeve opere dell’architettura protosarda ad opera di artisti riconducibili ad ambito egeo minoico e miceneo. Tuttavia è palese il valore simbolico di Dedalo, l’architetto scultore operante in Creta, chiamatop nell’isola, stando a Diodoro, Pausania e tanti altri autori della letteratura classica, da eroi greci di origine beota, vale a dire da Aristeo a Iolao, ascritti rispettivamente al XVI-XV  e al XIII secolo a. C. dalle sequenze genealogiche delle città micenee tra loro intrecciate. La tradizione letteraria greca riporta al XVI-XV secolo, dunque al tempo dei protonuraghi, il primo avvento in Sardegna di un daidalos, un architetto di scuola cretese o ateniese, al seguito dell’eroe Aristeus, genero di Cadmo, avendo sposato la figlia Autonoe, collegandolo a un processo culturale che dal continente greco (la Beozia) conduce in Sardegna attraverso una rotta marittima che tocca Keos nelle Cicladi, Creta e l’Africa settentrionale (Cirene).

Il Dedalo che accompagnava Iolao, invece, era attribuito al XIII secolo poiché era considerato figlio di Ificle, fratello dell’Eracle di Tirinto e contemporaneo di Edipo. (…) Implicitamente le notizie di Diodoro Siculo e dello pseudo Aristotele, oltre a riconoscere  la perizia degli architetti protosardi nell’edificare <le> tholoi e le connessioni dell’architettura sarda con quella egea, offrono una datazione pienamente coerente con le ricerche archeologiche attuali[3].

Anche io in passato ho osservato inoltre come i materiali archeologici citati consentano di riportare al XIII-XII secolo a.C. i rapporti tra i Micenei e la Sardegna. Si deve di conseguenza notare un sorprendente sostanziale sincronismo tra i dati archeologici relativi ai Micenei in Sardegna e la cronologia fissata dagli antichi per la saga degli Eraclidi e di Dedalo.

Il mito di Eracle si situa cronologicamente a una generazione di distanza rispetto a quello di Minosse e Dedalo. Quest’ultima vicenda mitica si sarebbe svolta tre generazioni prima della guerra di Troia, quindi nella prima metà del XIV secolo a.C. (per la cronologia erodotea della guerra di Troia) o all’inizio del XIII secolo a.C. (per la cronologia troiana più comune). La saga di Eracle ci riporterebbe dunque al XIII secolo a.C., quando Iolao avrebbe chiamato Dedalo dalla Sicilia. La fonte siceliota è significativa.

L’interesse per i mirabilia sardi è tipico della storiografia siceliota, come ha ben messo in evidenza

Emilio Galvagno, che ha sottolineato il richiamo al mito di Dedalo, che si localizza a Camico alla corte di Kokalos. Ed in Sicilia i Palìci, figli gemelli di Zeus o del dio locale Adrano e della ninfa Talia, sono divinità ctonie protettrici della zona vulcanica della piana di Catania, che professavano l’arte degli indovini: nei pressi del tempio dove rendevano i loro oracoli e dove in epoca storica si rifugiavano gli schiavi fuggitivi sgorgavano acque sulfuree che perennemente ribollivano: qui la tradizione voleva fosse stata la culla dei gemelli. Sulle sponde del lago di Naftia presso Palagonia o presso Salinelle di Paternò, quando sorgeva qualche lite tra gli abitanti del luogo, si usava asseverare con giuramento i termini della controversia; e lo spergiuro era perseguitato dal castigo degli dei, la morte o la cecità.

Il quadro mitografico appare condizionato come è noto da una molteplicità di fattori, che testimoniano l’interesse del mondo greco, in particolare degli Ioni nel corso del VI secolo a.C., verso la Sardegna. In passato sono state ben rilevate anche le componenti euboiche del mito, ma in questa sede desidero sottolineare un aspetto specifico, quello siceliota, collegato all'arrivo di Dedalo dalla Sicilia, alla fondazione di Olbia, al ritorno di Iolao in Sicilia: temi che tendono a giustificare miticamente dapprima la supremazia commerciale di Corinto nel Tirreno per tutto il VII secolo a.C., e poi la potenza marittima che per tutto il V ed il

IV secolo a.C. esercitò Siracusa. Una politica che poteva essere rafforzata richiamando immaginari precedenti mitici.

Oggi ritengo però che il tema dei daidaleia della Sardegna va inquadrato, come già vide Giovanni Lilliu, nell’ambito più vasto delle attestazioni di Daidaleia in area egea, e al problematico rapporto tra il termine da-da-re-jo di due tavolette in lineare B di Cnosso e  il lessema daidaleion.

Vorrei qui rimandare al capitolo II – Daidalos and Kadmos- di Sarah P. Morris del suo Daidalos and the Origins of Greek Art in cui discute ampiamente il problema  risalendo sino al celebre intervento di K. Kerenyi al Primo Congresso Internazionale  di Micenologia di Roma, nel 1967, relativo ai di-wo-nu-so-jo e da-da-re-jo-de, dove il suffisso de è locativo. Secondo Kerenyi, infatti, da-da-re-jo può derivare da un toponimo e non da un elemento onomastico, un Dedalo, del Tardo Elladico.

Forse è rilevante che la fonte siceliota di Diodoro riutilizzi un termine Daidaleion che si adatta al tempo coloniale e non all’ambito dell’età del bronzo. Torniamo al tema del punto di vista e dell’orizzonte di riferimento.

Mi spiego meglio: com’è noto una tendenza degli studi ha privilegiato nei filoni mitografici di ambientazione occidentale una loro codificazione storica in ambito dell’età del bronzo, ritenendoli eco esile di reali rapporti del tipo dello scambio fra indigeni e elementi achei.

Oggi tendiamo a ricontestualizzare nella cultura mitografica di un autore e delle sue fonti il dato tramandato, che, in tale caso non può travalicare l’età geometrica.

Ovvero i daidaleia indicano le opere nuragiche così come osservate da una tradizione mitografica di età storica.

In questo senso appare assai pregevole la scelta degli organizzatori di questo convegno di utilizzare il termine diodoreo Daidaleia come fil-rouge delle analisi sui monumenti nuragici nell’età del ferro e nell’età successive.

Non c’è dubbio, infatti, che in età romana i nuraghi, ossia i daidaleia, erano presi in considerazioni, anche come elementi fissi del paesaggio, da piegare all’uso di termini, veri e propri cippi di confine.

E’ questo il caso esplicito del protonuraghe Aidu Entos di Bortigali- Mulargia, studiato per la sua architettura da Alberto Moravetti, e per il suo arricchimento epigrafico latino da me e dal compianto Lidio Gasperini:

Sull’architrave del nuraghe abbiamo il riferimento ad uno dei celeberrimi populi della sardinia, gli Ili(enses) in nurac Sessar, ossia come ha spiegato Giulio Paulis, nel nuraghe di Sessar, dove la forma nurac, ci offre ancora l’esito del paleosardo, non dotato del suffisso della desinenza in ablativo del latino preteso dalla preposizione in, per la denominazione del nuraghe.


[1] G. Lilliu, La civiltà dei Sardi dal Paleolitico all’ewtà dei nuraghi, Rorino 1988, p. 397.

[2] F. Neri, Dedalo, i "Daidaleia" e Aristeo: considerazioni sulla presenza mitica di Dedalo in Sardegna, Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici, XIX, 2002 (2005).

[3] G. Ugas, L’alba dei nuraghi, Cagliari 2005, p. 31.

Ultimo aggiornamento Martedì 22 Maggio 2012 11:25

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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