Isole e arcipelaghi. Apertura del Symposium RETI I mari delle isole

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Scritto da Administrator | 22 Giugno 2013

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Attilio Mastino
Isole e arcipelaghi
Apertura del Symposium RETI

I mari delle isole
Réseau d’excellence des territoires insulaires
Alghero, Porto Conte Ricerche, 20 giugno 2013

Cari amici,

è con emozione e vivo interesse che a nome dell’Università di Sassari accogliamo a Porto Conte il Réseau d’excellence des territoires insulaires in occasione dell’assemblea generale e del Symposium I mari delle isole.

Saranno rappresentate 26 università insulari di tutto il mondo, dal Mediterraneo alle isole oceaniche, per una riflessione non convenzionale sul tema dell’insularità, con i suoi svantaggi specifici ma anche con le sue potenzialità e con la sua profondità identitaria sul piano storico, archeologico, geografico, ambientale, naturalisticop, marino.

Vogliamo cogliere questa occasione per stimolare lo sviluppo di rapporti di collaborazione fra le istituzioni universitarie coinvolte, partenariati Erasmus, scambi scientifici e formativi.

L’Università di Sassari ha recentemente celebrato l’anniversario dei 450 anni dalla nascita del Collegio Gesuitico e si è andata organizzando a seguito della riforma in 13 dipartimenti.

In quest’area di ricerca di Porto Conte a Tramariglio lavorano ogni giorno i nostri colleghi di alcuni Centri di ricerca e di alcuni Dipartimenti scientifici.

All’inizio del mio mandato ho partecipato all’Assemblea generale RETI svoltasi a Corte, ma lasciatemi dire che il lavoro fatto da RETI, in particolare da Antoine Aiello e ora da Paul-Marie Romani in questi anni è stato sempre più significativo e coinvolgente.

C’è un’isola a due passi da qui, oltre la falesia di Capo Caccia, che il geografo Tolomeo nel II secolo d.C. chiamava Numphaion nesos, l’isola delle ninfe, oggi Foradada, collocata a 30gradi di longitudine est rispetto alla lontanissima isola delle Canarie El Ierro, l’antica Capraria, una delle Isole Fortunate o delle Isole dei beati, dove il geografo alessandrino faceva passare il meridiano fondamentale. Visiteremo in barca domani l’isola calcarea che ha preso il nome dalla grotta nella quale si svolgevano i riti sacri in onore delle ninfe protettrici della navigazione così come visiteremo l’antico golfo del Portus Nimpharum, il luogo che l’immaginario collettivo degli antichi considerava l’angolo più pittoresco dell’isola dalle vene d’argento, Ichnussa, Sandaliotis.

Come le Canarie, anche la Sardinia è considerata nell’antichità isola d’occidente, collocata sulle rotte che - attraverso il canale che la separa dalla Corsica - collegavano le Baleari alle colonne e all’Atlantico. Un’isola collocata fuori dal tempo e dallo spazio, sede di miti greci, nota per la sua eudaimonia, felice per le produzioni e per l’abbondanza di metalli. La Sardegna appare dal mito classico, in particolare in ambiente ionico, come un’isola eudaimon felice, che per grandezza e prosperità eguaglia le isole più celebri del Mediterraneo: le pianure sono bellissime, i terreni fertili, mancano i serpenti e i lupi, non vi si trovano erbe velenose (tranne quella che provoca il riso sardonio).

La Sardegna, isola di occidente, appare notevolmente idealizzata, soprattutto a causa della leggendaria lontananza e collocata fuori dalla dimensione del tempo storico. Eppure i Greci avevano informazioni precise sulla reale situazione dell’isola: già Diodoro Siculo, confrontando il mito con le condizioni di arretratezza e di barbarie dei Sardi suoi contemporanei, osservava come essi erano riusciti a mantenere la libertà promessa da Apollo ad Eracle, dopo le ripetute aggressioni esterne. I discendenti del dio erano riusciti ad evitare, nonostante le dure condizioni di vita, le sofferenze del lavoro. Si aggiunga che gli autori greci e latini avevano una notevole conoscenza, più o meno diretta, dell’esistenza in Sardegna di una civiltà evoluta come quella nuragica, caratterizzata da un lato dall’assenza di veri e propri insediamenti urbani, dall’altro da uno sviluppo notevole dell’architettura, dell’agricoltura e della pastorizia. Questa consapevolezza si esprime, per l’età del mito, nella saga degli Eraclidi, di Dedalo costruttore dei nuraghi e di Aristeo il dio del vino, del miele, del latte e del formaggio, che avrebbero determinato quello sviluppo, prima dell’evoluzione urbana miticamente attribuita a Norace.

Domani pranzeremo a due passi da qui presso il nuraghe Sant’Imbenia nella piazza del villaggio nuragico dove si svolgono gli scavi diretti da Marco Rendeli.

Molte isole circumsarde conservano il ricordo di divinità fondatrici e benefiche, come l’Isola di Eracle (l’alluce del piede di Ichnussa, l’Asinara), sulla rotta che Eracle padre dei Tespiadi fondatori di Olbia percorse per raggiungere le colonne.

Oppure come Ermaia nesos, l’isola di Mercurio, collocata all’ingresso del porto di Olbia (Tavolara).

A parte i teonimi, i 9 nesonimi della geografia tolemaica riferita alle isole circumsarde si articolano in zoonimi (Ierákon per l’isola di San Pietro, nell’antichità l’isola degli sparvieri, Enosim, Accipitrum insula, nido di pirati e di uccelli rapaci), fitonimi (Fikaría, con riferimento agli alberi di fico), antroponimi (Fíntonos, l’isola che prende il nome dal marinaio naufrago ricordato nel cenotafio eretto sulla spiaggia di Caprera), nomi di qualità (Diabate, isola del passaggio, Isola Piana e Molibòdes, isola del piombo, Sant’Antioco); a parte deve essere considerata Iloúa, La Maddalena, la cui dichiarata pertinenza ad ambito ligure ed il sicuro rapporto con l' ethnos degli Ilvates non consente un inquadramento del nome nell' ambito degli etnonimi.

La prevalenza teonomastica delle denominazioni insulari delle isole circumsarde è in perfetta linea con la ricchezza dei teonimi di tante altre isole non solo mediterranee. Anche l'unico zoonimo, d'altro canto, deve riferirsi all' ambito sacro, in quanto un testo punico dichiara la pertinenza degli NSM «sparvieri», che sono alla base del nesonimo punico, reso in calco greco da Tolomeo, con B‘LSHMM «il Signore dei Cieli», il Baal venerato in quell' isola. Il fitonimo Fikaría rappresenta l'unico caso, tra le isole sarde, di traslitterazione in greco di un nesonimo latino, segno forse nella recenziorità della denominazione. L'antroponimo greco Fínton, come è stato proposto da Paola Ruggeri, è alla base del nesonimo Fíntonos, che sarebbe stato determinato da un naufragio di cui è forse eco in un epigramma di Leonida nell' Anthologia Palatina.

Diabate appartiene ad un novero di denominazioni di carattere geografico riferibili al ruolo «di passaggio» assolto dalle isole in rapporto alla terraferma o ad altre formazioni insulari.

Il nesonimo più interessante della serie tolemaica appare Molibòdes riferito all' isola di Sant'Antioco, che nella versione latina del testo tolelmaico è Plumbaria.

Come già osservato da vari autori l'assenza nell' isola di filoni metalliferi di una reale consistenza impone di credere che il nesonimo sia stato determinato dall'attività del commercio del piombo e della galena argentifera nell' insediamento di Sulci .

Appare rilevante la forma del nesonimo attestata nei principali codici tolemaici.

Plinio il Vecchio, oltre a serbare un frammento di un perduto isolario greco relativo alle Bocche di Bonifacio, già analizzato tra le fonti greche, segnala alle estremità nord occidentale, sud occidentale e sud orientale della Sardegna quattro isole, dell' Asinara e Piana, dette entrambe Herculis insula, dell' isola di San Pietro (Enosis) e dell' isola dei Cavoli (Ficaria).

A proposito delle isole delle Bocche di Bonifacio Plinio indica la presenza di piccole isole che riducono la già esigua distanza tra Sardinia e Corsica, benché la precisa corrispondenza tra nesonimi antichi e moderni non possa dirsi accertata: etiamnum angustias eas (scil. inter Corsicam et Sardiniam ) artantibus insulis parvis,quae Cuniculariae appellantur itemque Phintonis et Fossae, a quibus fretum ipsum Taphros nominatur.

Alla Sardegna era stato concesso il primato assoluto nel “canone delle isole” del Mediterraneo riferito al V secolo a.C. e ad ambito greco, sulla base non della superficie (non calcolabile nell’ età arcaica), ma per il suo maggiore effettivo sviluppo costiero rispetto alla Sicilia. Faceva bene Erodoto allora a ricordare la Sardegna come l'isola più grande del mondo, nésos megìste: il presunto errore di Erodoto, variamente ripreso dagli scrittori antichi, in particolare da Timeo e quindi da Pausania, era stato considerato in passato come una prova della scarsa conoscenza che dell'isola avevano i Greci, esclusi alla fine del VI secolo a.C. dalle rotte occidentali dalla vincente talassocrazia cartaginese all'indomani della battaglia navale combattuta nel Mare Sardo per il controllo di Alalia, della Corsica e della Sardegna. Una tale interpretazione va comunque rettificata e va rilevato che il calcolo di Erodoto è stato effettuato non in termini di superficie ma di sviluppo costiero delle diverse isole del Mediterraneo: il litorale della Sardegna è lungo circa 1.385km. ed è dunque nettamente superiore al perimetro costiero della Sicilia, che ha uno sviluppo di 1.039 km.

Pertanto se ne può dedurre viceversa una buona conoscenza del litorale sardo da parte dei marinai greci già nel V secolo a.C., come testimoniano i nomi di “Isola dalle vene d’argento”, “Ichnussa”, “Sandaliotis”, con riferimento in particolare alla forma cartografica dell’isola. Del resto il significato della battaglia di Alalia - che alcuni ritenevano il momento finale della colonizzazione greca nel Mediterraneo occidentale - viene oggi notevolmente ridimensionato. Tuttavia c'è da presumere che le caratteristiche della costa e dei fondali, le correnti e l'andamento prevalente dei venti siano stati oggetto di successive esperienze durante la dominazione cartaginese; dopo il 238 a.C. e quindi nell'intervallo tra la prima e la seconda guerra punica, in età romana.

Il canone delle isole, attestato nel Periplo dello Pseudo Scilace, in Timeo, Alexis, Pseudo Aristotele, Diodoro, Strabone, Anonimo della Geographia compendiaria, Tolomeo, ed in epigramma ellenistico di Chio, comprendeva, originariamente, sette isole, il cui elenco, seppure non sempre nello stesso ordine, è il seguente: Sardegna, Sicilia, Creta, Cipro, Lesbo, Corsica, Eubea. È sintomatico del processo di formazione di questo canone il fatto che l'isola più occidentale dell'elenco sia la Sardegna e che il più antico aggiornamento del canone, contenuto nel Periplo di Scilace, forse ancora del VI secolo a.C., annoveri esclusivamente isole del Mediterraneo orientale.

L’ Occidente, ossia lo spazio del buio, dopo il tramonto del sole, è evocato nella rotta di Odisseo, ma la codificazione occidentale della geografia dell' Odissea è del tutto ignorata da Omero, mentre le avventure di Odisseo principiano ad avere una loro localizzazione occidentale solo nella Theogonia di Esiodo.

Con Lorenzo Braccesi dobbiamo ribadire che «la critica ha riconosciuto la prima codificazione della geografia dell' Odissea a una matrice euboica, sottolineando come le tappe delle peregrinazioni di Ulisse, nella loro localizzazione occidentale, si accompagnino all'evolversi della grande avventura coloniaria di Calcide e di Eretria».

A questo medesimo quadro storico potremmo, dunque, proporre di attribuire una serie di filoni mitografici greci ambientati in isole occidentali, pur rendendoci conto che il mito è un sistema semiologico che impone la individuazione «dei meccanismi delle sue letture e riletture successive, dall' antichità fino ad oggi».

L’isola più grande del mondo, la Sardegna, nelle fonti è sempre associata alla Corsica, sesta tra le isole Mediterranee nel Periplo di Scilace, come in Dionigi il Periegeta, per il quale l’amplissima Sardegna (Sardò eurutàte) e la deliziosa Corsica (eperatos Kurnos) erano unite nello stesso mare d’occidente.

Ed Eustazio parlando delle isole del mare Ligustico, conferma che la più estesa è la Sardegna, mentre la Corsica prende il nome dalla serva Corsa oppure dalla sommità dei suoi monti e il suo paesaggio è caratterizzato da uno straordinario manto boschivo, innhorrens Corsica silvis per Avieno. Il paesaggio era dominato da quegli alberi fittissimi che impedirono la colonizzazione romano-etrusca ricordata da Teofrasto nel IV secolo a.C., quando sull’isola non riuscirono a sbarcare i 25 battelli, che ebbero i pennoni danneggiati dai rami degli alberi di una foresta sterminata. Niceforo chiamava la Corsica anche kefalé, testa irta di capelli, per via delle tante cime montagnose e la ricchezza di boschi.

Gli Oracula Sibyllina annunciavano per Cyrno e per la Sardegna uno stesso destino tragico, una sorta di apocalisse incombente, «sia a cagione di grandi procelle invernali, sia per le sciagure inflitte dal supremo dio, quando le due isole nel profondo del pelago penetreranno, sotto i flutti marini».

Vi è infine da evidenziare due nuclei di tradizioni mitiche che localizzano la sede del re Phòrkus nello stretto fra Sardò, la Sardegna, e Kyrnos, la Corsica e la sede di Gerione, l' avversario di Herakles nella sua decima fatica, nelle tre maggiori isole baleariche, le tre isole su cui regnavano le figlie di Phòrkus, al di là dello stretto fra

Sardegna e Corsica, da identificarsi con le tres insulae adiacenti all' Hispania, Baliarica maior, Baliarica minor ed Ebusus.

 

Non vorrei andare troppo oltre, preferisco affrontare il tema delle isole partendo dalla Sardegna per raggiungere una dimensioni più vasta.

Le isole godono nel pensiero antico di una profonda ambivalenza: da un lato esse rappresentano un 'punto di passaggio' lungo le rotte percorse dall’uomo, dall' altro, per la loro stessa natura, sono luoghi 'remoti' e 'isolati', e, in quanto tali, possono trasformarsi in luoghi utopici. Il rapporto delle isole è anzitutto con il mare, il pelagos dei marnai greci: è questo rapporto che spiega da un lato chiusure e resistenze ma anche aperture culturali e dimensioni legate a traffici transmarini. Per Montale la <<legge rischiosa>> del mare è quella di <<essere vasto e diverso / e insieme fisso>>. Le vie del mare congiungono ma insieme anche separano.

Il grande storico delle “Annales” Lucien Febvre assunse paradigmaticamente la Sicilia e la Sardegna come espressione rispettiva dell’ «île carrefour» e dell’ «île conservatoire». Al di là dello schematismo febvriano non c’è dubbio che la Sicilia partecipi di un maggiore dinamismo culturale ed economico rispetto alla Sardegna in tutte le fasi della storia.

Le isole, urbanizzate o meno, sono soggette ad un utilizzo economico in relazione sia al loro ruolo nella navigazione antica, come approdi e luoghi di approvvigionamento dei navigli, sia e soprattutto per lo sfruttamento delle risorse minerarie (ad esempio i filoni ferrosi di Ilva, le cave di granito di Planaria, l'argilla di Aenaria-Ischia, l'allume di Lipara), agricole (la messa a coltura delle Stoikádes da parte dei Massalioti, la coltivazione comunitaria delle isole Lipari), della silvicoltura (con la connessa attività dei cantieri navali), dell'allevamento, della pesca e della raccolta di molluschi e di corallo, con le manifatture ad esse collegate.

Dall' antichità ai nostri giorni le isole (e le coste) hanno frequentemente offerto un'ottima base alle attività piratiche. Come lucidamente notato da Federico Borca: <<Le isole procuravano porti sicuri, basi logistiche da cui partire per effettuare ruberie e saccheggi sulla vicina terraferma, infine nascondigli dove potersi rifugiare in caso di pericolo, ovvero dove tendere un agguato a un ignaro mercante di passaggio con la sua nave. Avevano reputazione di essere frequentate da pirati o comunque legate ad attività predatorie non soltanto le Baleari, ma anche numerose altre isole tra cui la Corsica e la Sardegna, le isole del mare Tirreno e l'arcipelago delle Eolie (...)>>.

Benché la pirateria abbia costituito un fenomeno endemico lungo tutta la storia del Mediterraneo le campagne militari contro i pirati sviluppate dai Romani, ed in particolare il bellum condotto da Pompeo con i suoi legati nel 67 a.C. e le iniziative di Augusto contro la risorgente pirateria consentirono lo sviluppo tra l'età tardo repubblicana e l'Alto Impero di residenze di lusso nelle isole.

Tali residenze, in corrispondenza spesso di proprietà imperiali delle stesse isole, poterono servire anche da esilio dorato per i membri della domus Augusta che si macchiarono di colpe sanzionate con la relegazione in insulam, mentre altre isole servirono per la deportazione. Nel Mediterraneo Occidentale le insulae per le quali è attestata, nelle nostre fonti, la relegatio o la deportatio (a parte la Sardinia e la Corsica) furono le Baliares, Planasia, Pontia, Pandateria nel Tirreno, Cercina e le Aegrimuritanae insulae presso le coste dell' Africa.

Infine, con la tarda antichità e, successivamente, nell'alto medioevo, talora con continuità nel tardo medioevo, le desertae insulae, spesso di dimensioni ridottissime, costituiscono il luogo extra mundum dove i monachi trovano l' horror solitudinis, che diviene nell' esperienza eremitica del monasterium un paradisus, pur non restando esclusa l'esigenza di trovare nelle insulae un perfugium, pro necessitate feritatis barbaricae.

Nella pars Occidentis sono documentati monasteria insulari a Capraria (Maiorica), nelle Stoechades, nelle insulae del Ligusticum mare (Lero, Lerina, Gallinaria, Palmaria, Noli, Tino e Tinetto), nelle isole dell' Etruscum mare e in particolare Gorgona, Capraia, Montecristo ma anche dirimpetto alla costa campana (insula Eumorfia). Il fenomeno monastico riguardò anche, come si è già osservato, le piccole insulae della Sicilia e dell' Africa.

Rutilio Namaziano, in una sorta di day after descrive il litorale etrusco e le isole dell’arcipelago abitate dai monaci rifugiatisi nelle grotte per sfuggire all’avanzata di Alarico: gente che per il terrore della misera era diventata volontariamente miserabile e come in passato Circe trasformata i corpi dei compagni di Ulisse in maiali, così ora il cristianesimo rendeva mostruosi e deformava gli animi dei fedeli: tunc mutabantur corpora, nunc animi.

E allora la maledizione, il risentimento dei pagani verso i cristiani: Atque utinam numquam Iudaea subasta fuisset, mai Gerusalemme fosse stata conquistata sotto il comando di Pompeo o l’impero di Tito. Espressioni che sono quanto mai lontane dalla comprensione di un fenomeno, lo sviluppo dell’esperienza monastica, che invece rappresentò per l’Africa e per la Sardegna un momento di straordinaria fioritura culturale e di profonda spiritualità.

I nomi che i greci davano al mare sono significativi: thalassa, ovviamente, ma anche pontos e pelagos, per Omero infecondo perché non arabile, ma multisonante, canuto, del colore del vino. Pontos nel senso di ponte, <<il più necessario e arrischiato dei ponti, così come il ponte è il più arrischiato e necessario dei sentieri tracciati dall’uomo>>.

Per Massimo Cacciari <<questo non è Mare infecondo anzitutto perché ricco di isole. Anche quando appare in tutta la sua immensità, non vien meno la fiducia che un che un cammino vi sia, che ad una di esse conduca. Dal Mare non nascono né vite né ulivo, ma le isole, che danno la loro radice. Questo Mare non è, dunque, astrattamente separato dalla Terra>>, ma è fecondo di isole.

Anzi il Mare per eccellenza è l’archi-pelagos, che diventa luogo della relazione, del dialogo, <<del confronto tra le molteplici isole che lo abitano: tutte dal Mare distinte e tutte dal Mare intrecciate; tutte dal Mare nutrite e tutte nel Mare arrischiate>>.

Dall’Arcipelago procede il Mare nel senso del tramonto, verso quel limite che dovrà oltrepassare. <<La nostalgia di quelle voci che scrosciano dall’agorà non può arrestarsi alla circumnavigazione dell’arcipelago>>. <<E da tutti i viaggi nell’Arcipelago (per raccogliere, connettere, trascegliere: sempre il senso di logos risuona) nascerà l’idea del Viaggio, o dell’agòn éschatos, della gara, della lotta suprema, il Viaggio verso il Logos a tutti comune, verso quell’unità che il molteplice mostra, sì, ma come perduta; rivela, sì, ma nella sua assenza>>.

Arcipelaghi sono anche i vari mari, le diverse città, i diversi topoi, per Cacciari <<quei luoghi, quelle forme, quelle domande, cioè, che vi rimbalzano da epoca a epoca, da nazione a nazione, che ne intrecciano spazi e momenti, dall’Antichità al Medioevo, dalle lettere classiche a quelle romanze, che si richiamano inaspettatamente da autore ad autore, attraverso le più grandi lontananze>>. E questo perché <<nell’Arcipelago città davvero autonome vivono in perenne navigazione le une versus – contra le altre, in inseparabile distinzione>>. <<Non v’è cammino nell’Arcipelago senza Scilla e Cariddi, senza rupi Simplegadi>>, perché fare esperienza <<comporta distaccarsi, dipartire – affrontare il tramonto>>, in qualche modo affrontare con Ulisse l’ira degli dei e dimenticare la casa, la patria d’origine, per mescolarsi con gli altri, per affrontare le ombre del tramonto, per rischiare sul Mare.

La geografia storica della Sardegna e delle isole del Mediterraneo e degli altri mari è innanzitutto uno spazio di intersezioni, di stratificazioni culturali, di contatti, di rapporti, di connessioni, di scelte: il mito antico esprime con vivacità le emozioni dei marinai e degli uomini di ieri e di oggi che operano in quel mare che innanzi tutto è una via che unisce popoli e mondi diversi.

Grazie per questa occasione di confronto: l’assemblea di RETI deve contribuire a trasformare le nostre isole solitarie in un Arcipelago ricco di contatti e di relazioni, anche di confronti e di competizioni. Benvenuti in Sardegna.

Ultimo aggiornamento Sabato 22 Giugno 2013 13:09

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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