Presentazione del volume Epi oinopa ponton. Studi sul Mediterraneo antico in ricordo di Giovanni Tore, a cura di Carla del Vais.

PDFStampaE-mail

Notizie - Archivio
Scritto da Administrator | 25 Settembre 2013

Valutazione attuale: / 1
ScarsoOttimo 

Attilio Mastino

Presentazione del volume Epi oinopa ponton.
Studi sul Mediterraneo antico in ricordo di Giovanni Tore, a cura di Carla del Vais.

Ho trovato straordinarie queste pagine di Studi sulla storia e l’archeologia del Mediterraneo antico in ricordo di Giovanni Tore, a cura di Carla del Vais, che nel titolo (Epi oinopa ponton) richiamano il tormentato viaggio di Ulisse “sul mare del colore del vino verso uomini di altre lingue” descritto da Omero e insieme raccolgono tante altre suggestioni, dai lirici greci ad Euripide, con sullo sfondo la cultura simposiaca, i vasi destinati al vino, la miscela di vino e di acqua nel cratere, come facevano i Sardolibici isolani, che secondo Ellanico di Mitilene nel V secolo a.C. e poi Nicolò Damasceno nell’età di Augusto  in viaggio non portavano con se altra suppellettile che una tazza per bere il vino ed un corto pugnale, kylix e machaira, ispirati da Dioniso.

Forse occorre arrivare fino al recente libro di Leonardo Sciascia Il mare colore del vino, edito da Adelfi, per capire che tutto si tiene e che un libro come questo finisce per essere anche un <<sommario>> di una lunga e feconda attività, rappresentata <<con una circolarità che non è quella del cane che si morde la coda», perché da queste pagine emergono reti di relazioni, rapporti, piani di indagine, curiosità sempre nuovi e diversi.

Non so se Gianni Tore amasse davvero il vino e usasse il corto pugnale per colpire gli avversari che diligentemente coltivava e contrastava lucidamente sul piano scientifico: certamente amava il viaggio per mare verso uomini di altre lingue, come sulle navi Tirrenia per raggiungere il porto di La Goulette in Tunisia oppure per sbarcare a Minorca nelle Baleari o a Bonifacio e Propriano in Corsica o a Trapani in Sicilia o in Libano; infine per attraversare le Colonne d’Eracle in direzione del Marocco. L’ho visto occuparsi di viaggi in mare già raccontando Tharros con la sua tesi di laurea discussa nel 1969 con Ferruccio Barreca e poi nel lontano e burrascoso seminario su Delos promosso da Mario Torelli l’anno dopo, quando l’isola sacra ad Apollo è divenuta per un attimo campo di scontro ma anche strumento per spiegare la complessità del mondo antico, fino al porto franco e al mercato degli schiavi nell’agorà degli italici.

 

Sono stati tanti i momenti di confronto, come quando alle pendici del colle di San Giuseppe di Padria, mi presentava i risultati dagli scavi che nel 1973 lo hanno portato a scoprire, assieme a Vincenzo Santoni, la stipe votiva di Gurulis Vetus, che ha restituito le più preziose testimonianze del culto di Eracle nella Sardegna interna, nella vallata del Temo, un’incredibile riscontro dei miti classici relativi alla saga di Iolao e ai gemelli fondatori Ippeus e Antileone.

Tra i suoi lavori più lontani (già del 1976) ci sono anche due articoli dedicati alle origini di Bosa e alla localizzazione di Bosa arcaica, che gli avevo suggerito per i due numeri della rivista Il Convegno degli amici del libro di Cagliari da me curati per conto di Nicola Valle. Aveva iniziato a regalarmi i suoi estratti, come quello sulle stele funerarie sarde di età punico-romana su Latomus del 1975, con una bella dedica che mi è cara; estratti che poi avrei continuato a ricevere sempre diligentemente rilegati a mano, con copertine trasparenti e ironiche dediche sulle mie origini bosane e dunque fenicie.

Poi la Scuola di specializzazione in Studi Sardi, i viaggi in Gallura, in Ogliastra, in Barbagia, in Planargia, con tante persone che ci erano care. A Roma, mi aveva messo in contatto con Michel Gras (col quale aveva pubblicato nel 1976 il suo lavoro sull’antica Bithia), che ci aveva ospitato a pranzo sulla terrazza della casa che si affacciava su Piazza Navona. Voglio ricordare la sua amicizia con le mie maestre Giovanna Sotgiu e Renata Serra, con le quali aveva compiuto un avventuroso viaggio in Algeria nel 1972, che ricordava sorridendo per le critiche e i commenti scandalizzati dei benpensanti locali, che non apprezzavano il fatto che viaggiasse con due graziose signorine senza velo.

Nel 1982 eravamo stati a Cartagine, sulla collina della Byrsa, all’Hotel Reine Didon, assieme ad Alfonso Stiglitz e Franco Satta, perché doveva studiare per un mese le brocchette con orlo a fungo, un tema lontanissimo dai miei interessi, noiso, ripetitivo, mai concluso. Ma allora avevano conosciuto gli amici dell’Institut National d’Archéologie et d’Art di Tunisi, il giovane Mustapha Khanoussi, avevamo visitato la collina di Dougga, la città romana forse troppo chiassosa per le torme di turisti europei, collocata alle sorgenti di quel fiume, l'oued Arkou, che solca la vallata di Uchi Maius e che attraversa i fertili campi della Numidia un tempo occupati dai coloni del console Gaio Maio e dalle fattorie dei Pullaieni. Eravamo partiti all'alba su un pullmino dell'INAA, fino ad arrivare molto più a Sud, fino a Mactaris dove Colette e Gilbert-Charles Picard trascorrevano uno dei loro ultimi soggiorni tunisini, dirigendo gli scavi all'interno della Villa di Venere.

In quei giorni, Marcel Le Glay teneva per noi a Cartagine le sue lezioni e i suoi seminari di epigrafia all'interno dello straordinario palazzo di Beit al Hikma, in riva al mare, con sullo sfondo la montagna sacra a Baal-Saturno, il Djebel Bou Kornine. Qualche giorno dopo eravamo arrivati all’alba al confine con l’Algeria, fino ad Haidra in compagnia di Rahmouni Lotfi che tornava a casa dai suoi con emozione vera. La vecchia nonna, tatuata come i berberi del medioevo, ci aveva offerto un uovo sodo per colazione, prima che ci tuffassimo tra le incredibili rovine di Ammaedara.

E poi il viaggio in Marocco nel 1986, il difficile incontro con Joudia Hassar Benslimane e Abdelaziz Touri, la trafila burocratica presso l’Institut National des Sciences de l’Archéologie et du Patrimoine, la visita ai siti archeologici, Tamuda, Thamusida, Banasa, Lixus, Sala Colonia a Chella. L’emozionate incontro con René Rebuffat e Aomar Akerraz a Volubilis.

In Sardegna aveva continuato a scavare a Pani Loriga di Santadi, a Othoca presso Santa Giusta con la tomba a camera costruita contesa a Raimondo Zucca, a Nora, a Uselis, a S’Uraki di San Vero Milis, a Matzanni di Vallermosa, avviando e dirigendo il Museo di Cabras.

Negli ultimi anni aveva accettato a Sassari la supplenza di Archeologia fenicio punica che come Preside della Facoltà di Lettere gli avevo proposto assieme a Peppina Tanda.

Quindici anni fa, quando ci ha lasciato, a soli 52 anni di età, il 17 novembre 1997, abbiamo provato un dolore vero, una pena profonda, soprattutto abbiamo avvertito un vuoto, per i tanti progetti in corso, per i tanti propositi non portati a compimento, per un filo spezzato, per una perdita irreparabile soprattutto nel cuore delle sue allieve e dei suoi allievi: voglio dire grazie a Carla Del Vais che rimedia in qualche modo pubblicando in testa a questo volume un articolo inedito di Gianni su Karales fenicia e punica che ricostruisce la storia degli studi e rimette al centro del dibattito dei giorni nostri il colle di Tuvixeddu, con il suo valore identitario e la sua straordinaria forza evocativa che sopravvive a dispetto degli scempi e degli abusi.

Dunque il nome stesso di Karales, le fonti, la storia degli studi, la cronologia, la topografia e l’urbanistica, il porto, le fortificazioni, i santuari, fino al tempo di Venere a capo Sant’Elia. Un prezioso recupero di un’opera scritta assieme a Lluís Plantalamor Massanet è anche il lavoro sulle stele di sa Cudia Cremada Vella (Maó), che rimanda alla presenza punica a Minorca.

Ecco allora il senso di una gratitudine e di un rimpianto che emerge da tanti lavori presentati in questo volume, in totale 54 articoli, al quale hanno collaborato molti suoi colleghi e amici, oltre 70, che testimoniano una fedeltà ad un amico e insieme un rapporto con uno studioso con il quale si è avviato un dialogo che si vorrebbe proseguire oltre la morte. Anthony Bonanno presenta le figurine femminili e l’arte preistorica a Malta. Joseph Cesari (con Franck Leandri, Paul Nebbia, Kewin Pếche-Quilichini) che ci porta su un’altra isola, la Corsica, illustrando il neolitico cardiale di Campu Stefanu presso Sollaccaro. Michel Gras studia le anfore corinzie arcaiche, indicando le linee per indagini seriali più ampie.

Sebastiano Demurtas Lucia Manca Demurtas e Lluís Plantalamor Massanet indagano le connessioni tra la Sardegna e Minorca a proposito della tecniche costruttive dei protonuraghi e dei talaiots. Proprio Lluís Plantalamor Massanet torna sulla ceramica talaiotica a decorazione geometrica di Minorca. Maria Eugenia Aubet ci porta al Libano, studiando la variabilità e le sequenze funerarie nella necropoli di Khaldé. Anthony J. Frendo riprende la celebre iscrizione di Biblos.

Ad Alicante e più precisamente al giacimento fenicio di La Fonteta ci conduce Marina Escolano Poveda, con un’analisi di sette amuleti egiziani.

A Ibiza Joan Ramon Torres studia i materiali, piatti, giarre, anfore del pozzo punico di Es Rafal del V secolo. Benjamí Costa e Jordi H. Fernández studiano il culto di Melqart attraverso le iscrizioni fenicie e puniche.

Mansour Ghaki affronta il tema delle città del regno di Numidia e del regno di Mauretania, studiando le diverse vocazioni delle principali città, il tessuto ubanistico, i rapporti di dipendenza, gli scambi.

Alle stele figurate puniche, un tema tanto caro a Gianni Tore per la Sardegna, ci conducono Nicholas C. Vella che studia i rituali funerari di Medina a Malta e Rossana De Simone, con una nuova stele da Mozia nella Sicilia occidentale.

Mari Luisa Famà studia il Bes del Museo Pepoli di Trapani. Carmela Angela Di Stefano presenta i materiali etruschi arcaici della necropoli di Palermo, in particolare le coppe etrusco-corinzie e gli alabastra decorati.

Antonella Spanò Giammellaro e Francesca Spatafora presentano gli insediamenti rurali e i centri produttivi nel territorio punico della Sicilia nord-occidentale.

Gli studi siciliani di Luigi Pareti sono ridiscussi da Pietro Giammellaro a proposito dei rapporti tra indigeni, Greci e Fenici.

Aldina Cutroni Tusa studia i ripostigli siciliani di monete puniche in oro ed elettro tra Trapani e Catania, prevalentemente lungo la costa meridionale della Sicilia. Elisabetta Gaudina aggiorna il repertorio numismatico relativo al “segno di Tanit” nelle monete di età punica inizialmente di zecca siciliana.

Marco Giuman, Andrea Cannas e Piero Mura studiano la saga di Asterione il Minotauro generato da Pasifae, dal mondo classico alla divina Commedia.

Il capitolo “sardo” rappresenta oltre la metà di questo volume e testimonia la vivacità di una scuola fondata da Sabatino Moscati e Ferruccio Barreca alla quale Gianni Tore ha appartenuto fin dalle origini. L’amico di sempre Vincenzo Santoni ridefinisce il neolitico di Capo Sant’Elia; Riccardo Cicilloni affronta gli aspetti cronologici del megalitismo preistorico della Sardegna; Salvatore Sebis presenta nuove testimonianze di cultura Monte Claro nel Sinis e nel Campidano di Oristano.

Anna Depalmas traccia le linee di sviluppo delle strutture urbanistiche della civiltà nuragica dall’età del bronzo medio fino all’età del ferro. Paola Basoli ci porta in comune di Ittireddu a Monte Zuighe per presentare un bracciale in lega d’argento decorato a treccia. Giuseppa Tanda utilizza la fibula di bronzo del nuraghe Costa di Burgos per tracciare le linee dei rapporti tra mondo villanoviano e mondo nuragico attraverso le principali vallate fluviali dell’isola. Giovanni Ugas presenta il complesso quadro delle importazioni greche, fenicie ed etrusche a Monte Olladiri di Monastir, nella fase tardo nuragica dell’orientalizzante finale.

Paolo Bernardini affronta il tema della musica, delle danze e dei canti documentati nella Sardegna nuragica, fenicia e punica.

Piero Bartoloni presenta un’anfora commerciale fenicia rinvenuta nel tofet di Sulky, che illumina il rituale funebre fenicio e punico. Antonio Forci studia i bracieri ellenistici figurati dalla necropoli di Is Pirixeddus di Sant’Antioco.

Carla Del Vais presena la tomba ad inumazione di età arcaica dalla necropoli di Santa Severa, presso l’antica Othoca, con lo straordinario corredo che comprende una coppetta etrusco-corinzia.

Raimondo Zucca studia la maschera ghignante da Tharros conservata nell’Antiquarium Arborense di Oristano proveniente dalla collezione Pischedda. Ancora a Tharros e alla collezione Cara ci conduce Maria Luisa Uberti, che studia alcuni bronzi al Museo Nazionale di Cagliari. Enrico Acquaro e Daniela Ferraru studiano gli amuleti egiziani della collezione Garovaglio arrivati a Tharros, oggi conservati a Como.

Peter Van Dommelen, Carlos Gómez Bellard, Carlo Tronchetti presentano la fattoria di Truncu ‘e Molas di Terralba, affrontando il rapporto tra insediamento rurale e produzione agricola nella Sardegna punica.

Raimondo Secci aggiorna il quadro degli studi sulla presenza punica in Ogliastra,

Anna Chiara Fariselli e Giovanna Pisano studiano l’iconografia punica in Sardegna: il tema del triangolo apicato, la figura seduta riprodotta sulle stele di Sulci, ma anche di Mozia e di Sousse.

Ad ambito linguistico di riporta Giulio Paulis che torna su alcuni relitti lessicali punici della Sardegna, soffermandosi su míttsa, “sorgente”.

Giampiero Pianu affronta alcuni fondamentali problemi metodologici di archeologia dei paesaggi della Sardegna, partendo dal villaggio di Santu Antine e ponendo il tema del vuoto rappresentato dallo studio dei contesti locali alla fine dell’età nuragica, tra il VII secolo e l’occupazione romana.

Sandro Filippo Bondì studia lo sviluppo urbanistico di Nora tra Cartagine e Roma, un tema portato avanti anche da Giorgio Bejor, partendo dall’area degli “ambienti repubblicani” nel quartiere centrale.

Franco Porrà studia il ruolo degli Antistii veteres nella fondazione della colonia di Uselis, ammettendo che comunque ci restano testimonianze di significativi rapporti di tipo economico che hanno lasciato un segno nell’onomastica della comunità locale.

A un’altra colonia, a Turris Libisonis, ci conduce l’articolo di Giovanni Azzena, che si concentra sul tema dei sistemi di accesso alla città attraverso la via a Karalibus Turrem.

Simonetta Angiolillo e Rubens D’Oriano studiano i frammenti della statua bronzea del relitto del porto di Olbia, attribuita ipoteticamente a Nerone e confrontata con le statue imperiali dell’Augusteo di Bosa.

Valeria Paretta e Donatella Salvi tornano sulla necropoli di Tuvixeddu, con uno studio estremamente dettagliato sulla localizzazione delle tombe puniche.

Il rapporto tra Krly e la Villa Sanctae Igiae è studiato da Rossana Martorelli, che riflette sulla rioccupazione dell’area urbana fenicio-punica di Cagliari in età giudicale.

Mauro Dadea conclude l’opera con un articolo di sintesi su due millenni di cultura materiale dall’anfiteatro romano di Cagliari, dalle ceramiche puniche fino alle produzioni islamiche, iberiche, moderne.

Tornano in questo volume le coppe e le kylikes che rimandano, come  a Ibiza nell’articolo di Joan Ramon Torres, al tema del vino e dell’acqua, con il quale abbiamo introdotto questa presentazione: come dimenticare Ulisse che effettua le sue libagioni per invocare l'accorrere delle anime dei defunti, nella sua celebre catabasi nell’Ade: :

« ... e io scavai una fossa d'un cubito, per lungo e per largo,
e intorno ad essa libai la libagione dei morti,
prima di miele e latte, poi di vino soave,
la terza d'acqua: e spargevo bianca farina,
e supplicavo molto le teste esangui dei morti...»

(Odissea, Libro XI, 24-29[)

La terra ti sia lieve, caro Gianni.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 25 Settembre 2013 21:17

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

 39 visitatori online