Tomasino Pinna (1949-2016)

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Scritto da Administrator | 04 Luglio 2016

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Tomasino Pinna (1949-2016)

Tomasino Pinna è scomparso il 25 giugno dopo otto mesi di terribili sofferenze iniziate il 30 ottobre con l'incidente in Ogliastra: a 66 anni di età, lascia nel dolore Luciana e Adriano, ma anche tanti amici di una vita che, come me, lo conoscevano da quasi cinquanta anni, partendo dai luminosi anni della Facoltà di Lettere di Cagliari, dove era cresciuto alla scuola di Alberto Mario Cirese e della sua Clara Gallini.

Ho consultato in questi giorni lo stato matricolare di Servizio elettronico, rilasciatomi dall’Area del settore personale dell’Università: dopo i 15 anni trascorsi alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Cagliari, si era trasferito il 20 aprile 1988 a Sassari come ricercatore confermato a tempo pieno nel gruppo di discipline n. 30, assegnato all’Istituto di Antichità, Arte e discipline etnodemologiche della Facoltà di Magistero. Supplente di Storia delle religioni ininterrottamente dal 1991 (quasi sempre a titolo gratuito), dal 1992 era passato all’Istituto di studi etnoantropologici della Facoltà di Lettere e Filosofia  e poi dal I gennaio 1999 al nostro Dipartimento di Storia.

Nel 2004 aveva superato il difficile concorso di professore associato di storia delle religioni e aveva preso servizio il 23 dicembre  ancora come non confermato presso il Dipartimento di storia, titolare di Storia delle religioni M-STO/06.

Superato il giudizio di conferma in ruolo, il 23 dicembre 2006 diventava professore associato a tempo pieno. Una malattia lo aveva obbligato a mettersi in congedo straordinario per motivi di salute per tutto il 2010. Con decorrenza I gennaio 2012 aderiva con tutti noi al nuovo Dipartimento di storia, scienze dell'uomo e della formazione, ancora come professore associato confermato di storia delle religioni in Sardegna e di Storia delle religioni.

Dopo l’incidente a fine 2015 si era messo in congedo straordinario e in aspettativa per malattia, arrivando nel frattempo alla V classe stipendiale.

Al momento della scomparsa, lascia tra i colleghi, gli studenti, i laureandi il ricordo di un uomo buono e generoso, coerente con se stesso, severo anche con gli amici, rigoroso nel suo lavoro di ricercatore pieno di curiosità, di passioni, di interessi, che partivano dal mondo antico con il Satyricon di Petronio (l’arbiter elegantiarum) per arrivare a Gregorio Magno e poi all'inquisizione spagnola e giungevano addirittura ai nostri giorni. Sempre con l'impegno di ritrovare in tutte le società complesse i sistemi mitico-rituali inquadrabili entro la categoria della “magia”, delle “superstizioni” e del “sacro” nelle tradizioni popolari della Sardegna.

Con quel suo linguaggio criptico scriveva per me: <<La diversità dei referenti sacri non nasconde le somiglianze dei bisogni e dei meccanismi ierogenetici sottesi alla regolazione rituale di rapporti conflittuali>>.

Eravamo molti diversi come formazione, lui così laico e razionale (una delle sue ultime lezioni all’Università della terza età il giorno di martedì grasso del 2014 era stata sul tema “Cos’è la religione! Qualche teoria e qualche risposta”). Eppure proprio questa nostra diversità aveva consentito di scrivere insieme l'articolo sul preside della Sardegna Massimino, amico nel IV secolo d.C: di un mago sardo capace di evocare le anime dannate e trarre presagi dagli spiriti (Negromanzia, divinazione, malefici nel passaggio tra paganesimo e cristianesimo in Sardegna: gli strani amici del preside Flavio Massimino, in Epigrafia romana in Sardegna. Atti del I Convegno di studio, Sant’Antioco, 14-15 luglio 2007 (Incontri insulari, I), a cura di F. Cenerini e P. Ruggeri, Carocci Roma 2008, pp. 41-83): lì avevamo studiato ancora le terribili bithiae, dalla doppia pupilla, i violatori delle tombe, i sistemi di divinazione oracolare riconosciuti ai massimi livelli ufficiali nell’ecumene romana (che dimostrano come la Sardegna comunicasse con la cultura diffusa nell’impero), gli altri metodi divinatori, come il rito ordalico-giudiziario legato alle acque prodigiose, che presenta, come spesso avviene in ambito rituale, una valenza polisemica, in quanto svolge una doppia funzione: divinatoria e terapeutica insieme. Le fonti calde e salutari (le Aquae Lesitanae, le Aquae Ypsitanae con il santuario delle Ninfe e di Esculapio, le Aquae calidae Neapolitanorum) servivano per guarire le fratture delle ossa, per neutralizzare l’effetto del veleno del ragno detto “solifuga” e per guarire le malattie degli occhi; ma servivano anche come mezzo per scoprire i ladri, i fures: costretti al giuramento sull’accusa di furto, se essi giuravano in modo falso dichiarandosi innocenti, al contatto con quelle acque diventavano ciechi, mentre la vista diventava più acuta se avevano giurato il vero.

Insomma, era tornato alle tematiche che più l’avevano appassionato da ragazzo, sotto l’influenza della Gallini, sulle religioni del mondo classico.

Dopo la pace religiosa e l’affermazione del cristianesimo, <<i riti magici e divinatori persisteranno in Sardegna, in un contesto sincretistico, nei secoli successivi, e così i malefici, le evocazioni dei morti e le formule cristianizzate di maledizioni, con una impressionante stratificazione culturale. Ci troviamo di fronte a quella che è stata definita una “mobilitazione magica del pantheon cattolico”, in cui l’orizzonte religioso cristiano viene recepito e reinterpretato in base alle esigenze dei gruppi che vi ricorrono (i banditi, i ladri, i maléfici), che filtrano sulla base dei loro interessi la percezione e l’utilizzazione dei santi e dei simboli cristiani, piegati alle esigenze connesse ai loro specifici problemi e ai loro vissuti esistenziali>>.  Alcuni santi gli sembravano <<invocati e ritualmente coinvolti (in un rapporto definito nei termini della costrizione magica) ad agire come potenza di morte contro i nemici: lontani eredi del Marsuas dell’óstrakon di Neapolis, delle divinità infere delle tabellae defixionum e delle anime noxiae dell’amico sardo di Massimino>>.

E poi Julia Carta, la “strega” perseguitata di Siligo, che aveva studiato nel celebre volume del  2000 della EDES e ripreso per me nel 2003. E il nostro contrasto dialettico sul tema “Culture egemoni e culture subalterne” del vecchio lavoro di Cirese, come a proposito del suo articolo sui linguaggi simbolici subalterni o sul diavolo nell’orizzonte magico subalterno. In un mondo attraversato dal terrorismo islamista (che osservavo da Herat in Afganistan), capivamo entrambi che queste categorie risultavano ormai da superare, la realtà finiva per essere più complessa delle formule. E poi San Nilo di Rossano (Edizioni Parallelo, 2011), la sorprendente amicizia con Ileana Chirassi Colombo, che considerava la più grande storica delle religioni italiana; i nostri amici comuni. Con Raimondo Turtas si scambiavano recensioni più o meno affettuose, come a proposito di Gregorio Magno o sulla storia della chiesa in Sardegna (2008), lui sempre attento alle reinterpretazioni popolari e alla repressione inquistoriale, come a proposito del culto dei morti e dei santi.  Tra le mie carte ho ritrovato i suoi estratti su Il diavolo di Sorigueddo con documenti scovati presso nel 1998 l’Archivo Histórico Nacional di Madrid e  Un auto de fe in Sardegna del 2000.
Due anni fa mi aveva regalato il libro che più amava, scritto da Ernesto De Martino, dedicato alla crisi causata dalla morte, che esplodeva nel pianto rituale nel mondo antico e che riproponeva il tema della riduzione antropologica del sacro (nell'edizione del 2008): ne avevamo discusso a lungo, riflettendo sul tema della presenza e dell’assenza, che finisce per essere una delle categorie sulle quali costruire un’idea diversa di Sardegna, partendo dagli “eroi” del rito incubatorio della Fisica di Aristotele e dai Giganti di Mont'e Prama, per i quali secondo Tomasino doveva presupporsi un apparato ideologico-celebrativo, che si concentrava a partire dal prestigio sociale riconosciuto dalla comunità dell’estrema età nuragica ai giovani rappresentati sulle statue.

Tra i suoi lavori più recenti: Il viaggio del signor inquisitore (Bollettino di Studi Sardi), 2014; la monografia Il sacro, il diavolo e la magia popolare. Religiosità, riti e superstizioni nella storia millenaria della Sardegna pubblicata nel 2012 da EDES; nel 2007 aveva pubblicato lo straordinario capitolo Magic in  The Blackwell Encyclopedia of Sociology.

Un suo allievo il 28 giugno ha scritto su “Il Manifesto”, come ci segnala Sandra Parlato: <<Ho un ricordo personale di Tomasino Pinna perché è con lui che ho sostenuto l’ultimo esame prima di laurearmi. E quando mi ha chiesto con chi avessi intenzione di preparare la tesi mi rammaricai di non averlo incontrato prima. Ricordo bene il suo corso di Storia delle religioni, le sue dispense su Bourdieu, fino al suo appassionato spiegare la disposizione delle caste e infine il suo libro imperdibile in cui ha ricostruito la storia di Julia Carta, una donna che nel 1596 è stata accusata di stregoneria dall’inquisizione. Quel volume ha contribuito alla storia delle tradizioni popolari in Sardegna e non solo. Oltre alla storia della stregoneria, tutta. Tomasino Pinna se ne è andato in silenzio, come in silenzio e con un sorriso gentile e garbato ha vissuto la sua esistenza. Con una grande finezza di pensiero che spesso, anche se non necessariamente, viene a incontrarsi con una certa dose di umiltà. Non ha strepitato o sbraitato neppure quando, non più tardi del 2012, la prefettura di Sassari negò al comune di Siligo, in cui era vissuta Julia Carta, la dedica di una via. In fondo cosa c’era da intitolarle, così disse la prefettura, era pur sempre una strega, un pessimo esempio e non certo una martire, piuttosto una appartenente a un “giro oscuro”. Consultato in quel frangente, si  limitò a ribadire cosa aveva fatto sotto il profilo della ricostruzione storico-scientifica, un lavoro di anni basato su documenti raccolti a Madrid. Insomma, la via poteva esserle intitolata di certo, ma non era questo il punto della vicenda. Era invece, come è anche adesso, raccontare la storia di chi non ha avuto voce per poi constatare amaramente che, una volta compiuta l’impresa, c’è sempre qualche cortocircuito che riporta al punto di partenza>>.

Oggi non apprezzerebbe un discorso sulle virtù del defunto.

Ma faremo tesoro della sua lezione alta e profonda.

Attilio Mastino

Ultimo aggiornamento Lunedì 04 Luglio 2016 19:51

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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