Presentazione dei 6 numeri di Libya antiqua (2011-18), Rivista annuale del Dipartimento delle antichità della Libia.

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Attilio Mastino
Presentazione dei 6 numeri di Libya antiqua (2011-18),
Rivista annuale del Dipartimento delle antichità della Libia
(Annual of the Department of Antiquities of Libya)
Macerata, 26 novembre 2019

Cari amici,

presentare qui a Macerata grazie alla cortesia di Maria Antonietta Rizzo Di Vita e di Mustafa Turjman, questi splendidi sei numeri della serie di “Libya antiqua” significa innanzi tutto richiamare lontani rapporti che mi hanno legato a Lidio Gasperini, Gianfranco Paci, Silvia Maria Marengo, Antonino Di Vita, a tanti amici italiani, libici, stranieri. Tornare ad esempio a quelle luminose giornate di Tor Vergata e di Frascati nel lontano dicembre 1996 ed alle mie conclusioni al convegno su Cirene e la Cirenaica nell’antichità, dove avevano parlato tra gli altri Joyce Reynolds, Marc Mayer, Donald White, José María Blásquez, Patrizio Pensabene, Isabel Rodà, Nicola Bonacasa, André Laronde e Giovanni Geraci.

Mohamed Fadel Alì aveva presentato le straordinarie scoperte in corso nella necropoli di Giarabub, che grazie alle particolari condizioni climatiche, ci avevano conservato i corredi funerari e le testimonianze tessili del vestiario, con una policromia straordinaria e sorprendente (Intervento conclusivo, in Cirene e la Cirenaica nell’antichità, Atti del Convegno internazionale di studi, Roma-Frascati 18-21 dicembre 1996, a cura di L. Gasperini e S.M: Marengo, Edizioni TORED, Tivoli 2007, pp. 815-821). Allora non lo sapevamo, ma quello sarebbe uno degli ultimi incontri sull'archeologia cirenaica, 11 in tutto, dopo quello di Roma del novembre 1987 presso l'Accademia Nazionale dei Lincei (1990), quello di Urbino del luglio 1988, quello libico sul silfio del 1989, quello di Cambridge del 1993 e quello di Macerata del maggio 1995. Una serie davvero fortunata e ricca di risultati, conclusa ancora ad Urbino per il cinquantenario nel 2006 con l’XI incontro (Cirene Atene d’Africa) organizzato da Mario Luni, pubblicato sulle Monografie di archeologia Libica, ricordando Gaspare Oliverio, Giacomo Caputo, Gennaro Pesce, Sandro Stucchi, con negli anni successivi i bei volumi per il centenario di scavi a Cirene.

In quel 1996, a ottobre, io stesso avevo tracciato un bilancio su L'Archeologia italiana nel Maghreb e nei paesi del Mediterraneo occidentale nella Conferenza annuale della ricerca del CNR (21-25 ottobre 1996, Roma, Italia. Roma, Accademia nazionale dei Lincei. p. 581-629, Atti dei convegni Lincei, 13, Roma 1998, pp. 581-629): rileggendo quelle pagine mi sono accorto come il grandioso quadro delle missioni italiane in Libia si sia certo frammentato ma non si sia semplificato, anzi sia divenuto più complesso, quasi in parallelo col quadro di insicurezza e addirittura di guerra in alcune aree del paese.

Per me essere qui oggi significa ricordare i tanti amici e colleghi scomparsi, alcuni coinvolti nella nostra impresa de L’Africa Romana come Lidiano Bacchielli (1947-96), la cui prematura scomparsa vent’anni fa ancora ci commuove: di Lidiano conservo un ricordo prezioso, il suo soggiorno in Sardegna appena concluso il concorso che lo aveva portato in cattedra ad Urbino. Un sorriso aperto e leale, una grande gioia di vivere, una serie di progetti straordinari, nei quali pensava di coinvolgerci tutti. E un grande dolore per averlo perduto.

Nel maggio 2003 ero stato a Roma per l’incontro su La Libia nella storia del Mediterraneo, con il volume curato da S. Hasan Sury e Salvatore Bono (Atti del Convegno Roma, 10-12 maggio 2003, a cura di S. Hasan Sury e S. Bono, in “Africa”. Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, LXIII,2, giugno 2008, pp. 156-172), per l’ISIAO Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, che aveva assorbito il vecchio Istituto Italiano per l’Africa (di cui ero stato borsista), Istituti poi affrettatamente liquidati e trasformati in Associazione, presieduto inizialmente dall’amico Marco Mancini Presidente della CRUI: con Raimondo Zucca avevamo ripreso il tema a Tozeur per il XV convegno de L’Africa Romana nel dicembre 2004, partendo da Apollonio Rodio e dalla geografia mitica della Libia per arrivare alle grandi scoperte degli ultimi anni (La Libia dai Garamanti a Giustiniano, in L’Africa romana XV, a cura di M. Khanoussi, P. Ruggeri e Cinzia Vismara, Tozeur 2002, Roma 2004, pp. 1995-2024, anche in Infomedi, Informazione on line del Mediterraneo, 12 gennaio 2007).

Nel luglio 2011 infine ci eravamo ritrovati a San Leucio di Caserta per il Convegno promosso da Serenella Ensoli sulla salvaguardia del patrimonio culturale della Libia (For the Preservation of the cultural Heritage in Libya. A Dialogue among Institution, con un intervento su Tripolitania e Cirenaica: un futuro per il patrimonio (Kyrana, Libya in the ancient World, 1), edito a Pisa e Roma proprio da Fabrizio Serra nel 2012 (pp. 25-26). A Caserta era arrivato affannato da Cirene Mohamed Fadel Alì, utilizzando mezzi di fortuna per raggiungerci.

Già allora avevamo parlato del disastro libico dopo il bombardamento del marzo 2011, poche settimane prima della morte di Mu’ammar Gheddafi (avvenuta il 20 ottobre), seguita due giorni dopo da quella di Di Vita: allora avevo rievocato l’emozione del lungo viaggio compiuto anni prima con Raimondo Zucca, Piero Cappuccinelli, Salvatore Rubino, a Cirene, Sabratha, Tripoli, l’antica Oea, Tagiura, Leptis Magna, dove rimane evidente e visibile l’orma imponente dell’imperatore Settimio Severo e dei suoi figli; in quell’occasione a Sabratha (a settembre 2008) avevamo incontrato Nicola Bonacasa allora nel comitato di direzione della Rivista Libya antiqua e Rosa Maria Carra, con i loro colleghi libici e i loro allievi, che scavavano ai piedi del mausoleo punico-ellenistico B, con questi leoni inquadrati da sorta di cornice lapidea che mi hanno fatto ritrovare, quelli, ben più tardi, di Sulki in Sardegna, studiati nel 1993 da Serena M. Cecchini ed ora da Piero Bartoloni, che li collega ad una porta urbica.

Momenti che si sono incrociati con le drammatiche vicende politiche e militari di una Libia insanguinata e divisa dopo l’apogeo di Gheddafi, minacciata prima dal Daesh poi dagli scontri tra governi diversi. Sui numeri del 2014 e del 2017 la rivista “Archeologia Postmedioevale” diretta a Sassari da Marco Milanese ha pubblicato il saggio Combattere a Leptis Magna: archeologia della Guerra di Libia, con le ricognizioni archeologiche fortunosamente effettuate da Massimiliano Munzi, Fabrizio Felici, Andrea Zocchi che hanno dovuto confrontarsi con le precarie situazioni di sicurezza degli ultimi anni e con i gravissimi danni inferti dai bombardamenti Nato, dalla guerra tribale, a Sirte capitale dell’Isis, a Bengasi e Derna, ora a Tripoli. A farne le spese sono stati soprattutto i marabout e i monumenti islamici sunniti, ma lo sguardo degli autori torna indietro a Koms alla guerra italo-turca e ancora oltre. Speriamo che il Dipartimento libico voglia tradurre i due articoli in lingua araba. Ne hanno fortemente risentito in questi anni anche altre iniziative culturali, altre riviste, come i “Quaderni di archeologia della Libia” dell’Erma di Bretschneider ripartiti con difficoltà dopo il volume 18 del 2003 dedicato a Lidiano Bacchielli, il volume 20 curato nel 2009 da Di Vita sul Mausoleo Punico-Ellenistico B di Sabratha, arrivati ora ai volumi 21 nel 2018 (curato da Charlotte Rouechè e David Mattingly) e 22 curato da Luisa Musso, ormai pronto per la stampa.

Del resto già trent’anni fa – al Convegno di Frascati - assistevamo alle mille difficoltà affrontate dal popolo libico, alla perdurante interruzione dei collegamenti aerei e ai difficili rapporti politici tra Europa e mondo arabo. Poi la violenta rivoluzione, la frammentazione del territorio, le lunghe sofferenze del popolo libico fino ai nostri giorni.

Ma, al di là dei ricordi personali però volevo dire quanto siano importanti e coraggiosi questi sei numeri arretrati di questa rivista iniziata nel 1964, interrotta al XVI numero, ripresa nella nuova serie tra il 1995 e il 1998, poi nel 2010, volumi che colmano un vuoto drammatico, che testimoniano la fedeltà ad una scelta culturale ed etica, perché nel corso di questi anni c’è stato chi, nonostante la guerra, ha continuato a lavorare per il patrimonio, ha messo al sicuro cimeli preziosi, ha riordinato gli archivi, ha protetto musei e siti archeologici, ha continuato a guardare al futuro comune, che unisca le due rive del Mediterraneo, con sacrifici personali, rischi inenarrabili, coraggio senza uguali.

Lasciatemi dire l’ammirazione per questo impegno e la sorpresa per la quantità di informazioni che ora vengono raccolte e offerte alla comunità scientifica. Grazie per il suo straordinario impegno all’Editore Fabrizio Serra, che oggi è con noi.

Come ha recentemente scritto l’amico David Mattingly sui Libyan Studies (Journal of the Society for Libyan Studies n. 48 del 2018), “Lybia Antiqua” è la rivista dello Stato di Libia e del Dipartimento di Antichità della Libia e una pubblicazione essenziale per tutti coloro che si interessano al patrimonio archeologico della Libia.  Il ricchissimo contenuto dei nuovi volumi deve molto all’accuratezza, l’ingegno e la perseveranza degli editori. La rivista originale venne fondata da Antonino Di Vita, Richard Goodchild e Aissa el-Ashwed, ed è stato di Vita ad avere un’influenza fondamentale nelle varie fasi della sua rinascita. Il suo personale impegno per la rivista appare evidentissimo e nella sua edizione riveduta un ruolo fondamentale è stato adesso giocato da Maria Antonietta Rizzo Di Vita. Al suo fianco, gli altri redattori guidati dal Direttore del Dipartimento di Antichità di Tripoli, Mohamed Faraj Mohamed Alfaloos e da Nicola Bonacasa. Una speciale menzione va poi rivolta ai contributi di Mustafa Turjman e di Fatima Bahni. La maggior parte dei contenuti dei volumi dal VI all’XI riguarda i reports sul campo delle diverse missioni internazionali che hanno svolto le proprie ricerche nel periodo successivo al 2009, per quanto ci sia anche una breve sintesi sul lavoro di Wilson sulle Eusperidi dal 1999 al 2006.

Macerata si è guadagnata il primato delle ricerche in Libia, confrontandosi alla pari con agguerrite équipes di ricerca italiane (Sapienza, Jebel Garbi, direttore B. Barich), Urbino, Chieti, Palermo, Messina, Catania, Roma Tre, Seconda Università di Napoli, Bari, CNR; ma anche libiche, francesi (Università della Sorbona: Apollonia, Latrun, Leptis – terme, sotto la direzione di Vincent Michel; ricerche epigrafiche direttore C. Dobias Lalou a Paris IV), inglesi, Society of Libyan Studies (Cirenaica, Euesperides) direttore A. Wilson, University of Oxford (costa Marmarica) direttore E. Hulin, University of Cambridge (Cirenaica, Gebel Akhdar) direttore G. Barker, Society of Libyan Studies (Sahara libico) direttore D. Mattingly; Missioni tedesche Università di Monaco (Tripolitania, Gheriat el-Garbia) direttore M. Mackensen; Istituto archeologico Germanico Berlino (Tolemaide) direttore U. Wulf-Rheide, Università di Mainz (Tolemaide), coo-direttore T.M. Weber; Università di Amburgo (Budrinna) direttore H. Ziegert, Missioni americane Università di Oberlin in Ohaio (Cirene e Cirenaica) direttore S. Kane, Missioni polacche Università di Varsavia (Cirenaica, Tolemaide) direttore K. Lewartowski, perfino missioni giapponesi, Università di Tsukuba presso Tokio (tutela e valorizzazione), direttore K. Hidaka.

Del resto abbiamo visto quanto lavoro sia stato affrontato sfogliando le recenti pubblicazioni, gli Scritti Africani di Antonino Di Vita, curati da Maria Antonietta Rizzo Di Vita e Ginette Di Vita Evrard oppure la straordinaria 40° monografia di archeologia libica pubblicata tre anni fa da L’Erma di Bretschneider dedicata ai 45 anni di ricerche in Libia dell’Ateneo di Macerata (Macerata e l’archeologia in Libia. 45 anni di ricerche dell’Ateneo maceratese, a cura di Maria Antonietta Rizzo, Quaderni di archeologia libica, XL, L’Erma di Bretschneider, Roma 2016). Opere che con Giorgio Rocco abbiamo presentato a Roma all’ Istituto Nazionale di Studi Romani, 6 ottobre 2016, che hanno rafforzato i legami tra gli studiosi e che in qualche modo hanno potuto rilanciare le attività delle équipes di ricerca libiche, italiane, internazionali operanti in Libia tra mille difficoltà.

L’opera su Macerata e la Libia, volume ricchissimo, che attraverso tanti punti di vista, attraverso le parole dei colleghi e degli allievi, attraverso le immagini della Libia di oggi, consente di capire in profondità, di scavalcare questi decenni, di ricostruire un percorso lungo faticoso fatto di sacrifici personali, di fatiche fisiche che possiamo solo immaginare, di polemiche scientifiche, soprattutto permette di avere un quadro di quella che è davvero l’eredità lasciata da Antonino Di Vita, un gigante dei nostri studi e insieme un maestro capace di stimolare, creare curiosità e interesse tra i giovani, mobilitare risorse e forze nuove fino agli ultimi giorni, fino alla guerra sanguinosa che la Libia sta ancora vivendo in una interminabile fase post-coloniale.

Sugli Annali di Macerata il giovane Di Vita aveva pubblicato nel lontano 1971 un’acuta riflessione su Fenici e Puni in Libia, dove si sottolineano i rapporti più antichi con il mondo miceneo da un lato e dall’altro il saldo possesso delle coste della Tripolitania da parte della Cartagine ellenistica, pervasa da influssi alessandrini. Le sue grandi imprese africane testimoniano capacità organizzative e direzionali non comuni, che bene si sono manifestate negli anni in cui fu Rettore dell’Università di Macerata tra il 1974 e il 1977, quando fu nominato direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, un incarico che sembrava assorbirlo interamente; gli Scritti Africani ci avevano restituito lo studioso e fatto scoprire un mondo colorato e emozionante, che abbiamo ritroviamo in tante pagine nelle quali sono pubblicate tante foto originali, molte recuperate negli ordinatissimi archivi del Centro di documentazione e ricerca “Archeologia dell’Africa Settentrionale A. Di Vita” di Macerata.

Oggi la crisi internazionale continua ad essere drammatica, anzi è nata una nuova frontiera che come ai tempi delle Arae Philenorum separa Cirenaica e Tripolitania, con minacce dirette su Tripoli; sappiamo della presenza di terroristi e di truppe straniere, di eserciti contrapposti in una Libia da tempo orfana di Gheddafi, sempre negli occhi l’immagine della stazione aeroportuale di Tripoli completamente devastata o l’auto Wolkswaghen del colonnello sventrata nella prima sala del museo archeologico del castello rosso di Tripoli.

Ora questi sei numeri della rivista Libya antiqua, dal VI all’XI (2011-18), Rivista annuale del Dipartimento delle antichità della Libia (Annual of the Department of Antiquities of Libya) editi da Fabrizio Serra tutti dopo i 2016, diretti da Mohamed Faraj Mohamed Alfaloos e Maria Antonietta Rizzo Di Vita, grazie all’impegno di un comitato scientifico internazionale, contengono decine di articoli per oltre 1100 pagine con i bellissimi riassunti in arabo (oltre 250 pagine) firmati dal nostro Mustafa Turjman: un impegno, ma anche la testimonianza forte della volontà di aprire canali di dialogo paritario, partendo dal rispetto per la cultura araba, dal desiderio di costruire relazioni solide, con l’aspirazione ad un futuro di pace. Dice Mattingly che l’uscita quasi in simultanea di tanti volumi gli ha lasciato l’impressione della proverbiale colonna di autobus londinesi a lungo attesi dai passeggeri in attesa alle fermate. Del Comitato scientifico fanno parte tanti nomi che ci sono cari, Barbara Barich, Paul Bennett, Ginette Di Vita Evrard, Anna Maria Dolciotti, Serenella Ensoli, Mohamed Ali Frakroun, Salvatore Garraffo, Giuma Garsa, Ereis E. Gatanashm Khalil Abdel Hadi, Salah Hattab, Susan Kane, Kamiziers Lewartowski, Michael Mackensen, David J. Mattingly, Olivia Menozzi, Vincent Michel, Gilberto Montali, Luisa Musso, Toufeq Nael, Elisa Chiara Portale, Giorgio Rocco, Ramadan Shebani, Mustapha Turjman, Hafed Walda. Nell’ultimo numero, quello del 20198, XI della serie, nel Comtato Scientifico compare ancora il nome dell’amico carissimo che abbiamo recentemente perduto Sebastiano Tusa, morto in Etiopia il 10 marzo scorso, nel tragico incidente aereo, nel corso di una missione internazionale Unesco. Oggi lo ricordiamo con affetto e rimpianto. Nei giorni del dolore, mi era venuta in mente la commozione di Antonino Di Vita per la scomparsa nel febbraio 1973 di tre suoi amici libici in un altro lontanissimo incidente aereo, tra Tripoli e Il Cairo, Awad Mustapha Saddawaya, Presidente del Dipartimento per le antichità, laureato a Liverpool, Aissa Salem el-Aswed, direttore di ricerca e capo dei rapporti con le missioni straniere segretario di redazione di Libya antiqua <<il caro, dolcissimo amico, così tragicamente e immaturamente scomparso>>, Mohamed Fadil el-Mayar, aiuto controllore delle Antichità di Cirenaica. Era stata l’occasione per esprimere il compianto più cocente per gli amici così tragicamente <<strappati agli affetti, al lavoro, alla Patria>>.

Oggi posso dire che il testimone è stato pienamente raccolto e il quadro che scaturisce ora da queste oltre mille pagine non è certo una deludente visione di aspetti settoriali dispersi nel mare magnum dell'antichità, quanto un affresco grandioso delle diverse civiltà antiche che si sono succedute nella Cirenaica, nella Tripolitania, nel Fezzan, perché questa rivista spazia da un’area all’altra, supera le frontiere interne e le divisioni tribali, raccoglie notizie che sarebbero andate perdute per sempre, è aperta ai contributi internazionali di tutti, accompagna le grandi imprese che, sia pur con interruzioni e problemi organizzativi, continuano ancora in questi giorni. Del resto tutti i contributi si sono diffusi non certo su aspetti secondari delle testimonianze antiche di questa regione, bensì su elementi basilari per la ricostruzione storica: metodi e tecniche tra i più diversi e insieme capaci di integrarsi in una visione unitaria.

Presentando a Tunisi questa rivista al XXI Convegno de L’Africa Romana, il nostro amico Mustafa Turjman ha osservato che l’impegno di ricerca delle Università italiane è continuato nonostante le guerre in corso: con l’ultimo volume pubblicato nel 2018, l’XI, acquisiamo l’importante articolo di Nicola Bonacasa e degli altri colleghi palermitani sulle Attività della missione archeologica dell’Università di Palermo a Sabratha e Cirene negli anni 2009-2014; abbiamo la sintesi su Gli edifici termali di Sabratha di Rosa Maria Carra, e poi le fattorie fortificate, le iscrizioni paleocristane della cirenaica (C. Dobias, K. El Haddar).

In questi giorni va in stampa il volume XII del 2019, ricco di molti contributi significativi che oggi non mi è possibile presentare compiutamente, ma che ho potuto vedere in anteprima con l’impressione fortissima di un impegno crescente fatto di passione, di competenza, con mille sorprese. Sergio Aiosa discute del programma figurativo dei rilievi scultorei del pulpitum del teatro di Sabratha; Giuseppe Mazzilli torna sulle ricerchhe di Pietro Romanelli e Renato Bartoccini nella Basilica Severiana a Leptis Magna (1922-1928). Francesco Tomasello ricompone i rivestimenti parietali nell’insula 16 della Regio III di Leptis Magna; Marina Cappellino torna allo stabilimento ternale della villa dello Uadi Yala a Silin; Anna Maria Dolciotti, Alessandra Loglio, Giovanni Siracusano allargano all’archeozoologia con le indagini nel “Tempio Flavio” di Leptis Magna; S. Schmid, Michael Mackensen and M. Stephani, sulla torre di osservazione romana Gheriat el-Garbia; Enzo Catani, E. Cozzoni, Emanuela Stortoni, riprendono le ricerche dell’Università di Macerata nell’area di Suani el-Abiad; A. Santucci, P. Lassandro, M. Zonno, applicano la tecnica 3D allo spazio funerario della tomba N83 di Demetria a Cirene; M. Kacher ricostruisce le attività del porto di Tripoli tra VII e VIII secolo. Continuano ad essere preziose le News che raccolgono notizie che sarebbero andate perdute, come ora le tombe di Zliten o di Gargaresh (notizie firnate da A. Aghfyiar, A discovery of a tomb in Caam Zliten; R. Shebani, A discovery of a tomb in Gargaresh).

Se guardiamo all’insiene della collezione, il risultato che oggi presentiamo non era scontato: nonostante le lunghe pause causate dalla guerra e dagli avvenimenti politici, ben più che altre riviste straniere, ora colpisce la capacità di spaziare su aree differenti di una Libia politicamente disgregata e divisa, anche se una qualche autorità il Dipartimento delle antichità della Libia deve pur aver mantenuto con accordi che, forse sbagliando, immaginiamo esistere tuttora al di qua e al di là dei fronti contrapposti, con gli stipendi pagati ai funzionari, con una qualche forna di coordinamento nazionale che comunque sembra sopravvivere, per volontà del Governo di Tripoli.

La Tripolitania continua ad essere studiata nell’ambito della missione della Università di Macerata diretta da Maria Antonietta Rizzo tra Sabratha e Leptis. Già nel volume VI si presenta una sintesi dei lavori svolti a a Sabratha e Leptis, con la totale digitalizzazione degli archivi del Centro di documentazione e ricerca “Archeologia dell’Africa Settentrionale Antonino Di Vita” di Macerata. I contributi delle attività svolte tra il 2009 e il 2014 sono a firma anche di Silvia Forti, Monica Livadiotti, Giuseppe Mazzilli, Gilberto Montali, Maria Ricciardi, Giorgio Rocco, con le bellissime immagini e i nuovi dati dal foro, dalla curia, dal tempio della Magna Mater, dall’anfiteatro, dalla via colonnata; a Leptis dal circo e dall’anfiteatro; poi le tombe della Gorgone e del defunto eroizzato nell’area funeraria sacra di Sidret el Balik a Sabratha. Nello stesso volume Sergio Aiosa dell’Università di Palermo presenta l’area a Nord del Tempio di Ercole e la casa della piscina a Sabratha tra il 2009 e il 2010. Mohamed Faraj studia l’Oea-Tripoli in età romana e bizantina.

Nel VII volume si presentano i risultati della missione dell’Università di Roma Tre su Leptis e il suo territorio diretta tra il 2009 e il 2014 da Luisa Musso (con il contributo di Donatella Baldoni, Fabian Bartoni, Benedetta Bessi, Fulvia Bianchi, Matthias Bruno, Laura Buccino, Barbara Davidde Petriaggi, Fabrizio Felici, Mufttah al-Hadad, Massimiliano Munzi, Roberto Petriaggi, Ramadfan Shebani, Isabella Sjöström, Andrewa Zocchi): sondaggi sul territorio di Leptis, restauro nella Villa Silin sul mare, cimeli dei musei di Tripolitania, digitalizzazione dell'archivio, Uady Greyma, Funduk Ngaza, verso la linea di penetrazione per il Fezzan. Daniela Baldoni dà un quadro dei risultati della ricognizione nei Musei della Tripolitania orientale alla fine del primo conflitto armato nel dicembre 2011.

Tra gli articoli: Anna Maria Dolciotti, Paolo Mighetto, Francesca dell’Era e Alessandra Loglio presentano i risultati degli studi del Tempio della Gens Flavia a Leptis Magna; con Massimo Limoncelli si allarga l’indagine al tema architettura e informatica per lo stesso monumento.

Il cimitero bizantino nel cortile interno della Scuola d’arte islamica e d’artigianato di Tripoli è presentato da Ramadan Shebani e Areej Smaida, che ci portano ad un luogo che amiamo, legato alle memorie di un mio lontano parente, il celebre artista sardo Melkiorre Melis, primo direttore della Scuola negli anni di Italo Balbo. Nei cortili continuano a vedersi le memorie di quel tempo, con le mille mattonelle figurate.

Nell’VIII volume Francesco Tomasello presenta le ricerche dell’Università di Catania a Leptis Magna tra il 2009 e il 2014, la Basilica di Traiano e il quartiere decumano. Per gli stessi anni Salvatore Garraffo sintetizza l’impegno del CNR per lo studio e il restauro del Tesoro di Misurata.

Torniamo a Leptis Magna con Luisa Musso, Laura Buccino, Donato Attanasio, Matthias Bruno, Walter Prochaska che alla luce dei nuovi dati archeomnetrici studiano il marmo e la scultura (Marmo e scultura a Leptis Magna: un’analisi alla luce di nuovi dati archeometrici, vol. IX). La catacomba e le aree funerarie cristiane sono presentate da Emma Vitale. Antonella Mandruzzato lavora ad una riedizione delle pitture parietali di età romana nelle domus private di Sabratha.

Sul X volume Anna Calderone ed Elisabetta Trammontana presentano le ricerche dell’Università di Messina a Leptis Magna, tra urbanistica e territorio; segue Massimiliano Munzi con l’albergo degli scavi a Leptis. Nell’XI volume l’équipe di Palermo si concentra sul tempio di Serapide a Sabratha e sulle terme.

Autonomamente il Dipartimento di Antichità della Libia ha scavato all’interno delle necropoli di Leptis, di Sabratha oltre che di Sirte, con nuove scoperte di tombe romane effettuate in Tripolitania nel corso degli ultimi difficili anni: Mahomed Faraj, Historical-archaeological study of Oea (Tripoli) sites during the Roman and Byzantine times (vol. VI); Mabrok Abdalla Zenati, Il sito di Pisida/Bu Khamash nel contesto territoriale della Libia (vol. IX); Jabar Matoug, Tomba in località Atela e Attawila (Sirte) (vol. X); Mohamed Abojela, Scoperta di una tomba punica a Sabria (vol. X); R. Shebani, A. Smaida, Discovery of a Byzantine Cemetery at Islamic Arts and Crafts School of Tripoli-Oea (vol. VII).

Se passiamo alla Cirenaica, la missione dell’Università di Palermo diretta da Nicola Bonacasa ha lavorato a Cirene (vol. XI), procedendo coll’imponente restauro del tempio di Zeus. Tutto questo impegno ha un preciso riflesso sulla rivista: nel VII volume Mario Luni ed Oscar Mei presentano l’attività dell’Università di Urbino a Cirene tra il 2008 e il 2014 (nuovi templi di Cirene e santuario di Demetra). Alla grotta di Haua Fteah al margine del Gebel Akhdar in Cirenaica ci portano le ricerche di Gaeme Barker, che si estende alla situazione paleo climatica della preistoria. Ancora a Shahat Cirene ci conduce l’articolo di Susan Kane e Sam Carrier sull’attività della missione americana tra il 2009 e il 2014. Infine le ricerche polacche dell’Università di Varsavia tra il 2008 e il 2010 sull’urbanistica di Ptolemais in Cirenaica sono presentate da Kazimierz Lewartowski, Zofia Kowarska, Szymon Lenarczyck, Krzystof Misiewicz e George Yaoub.

Proseguendo la preziosa schedatura sviluppatasi nei decenni qui a Macerata per iniziativa di Lidio Gasperini e di Gianfranco Paci, continuata da Silvia Maria Marengo e Simona Antolini, Catherine Dobias-Lalou presenta un bilancio delle ricerche epigrafiche in Cirenaica nel decennio 2005-2014, con i progetti in pieno sviluppo.

Nell’VIII volume Serenella Ensoli presenta l’attività e i progetti scientifici della missione archeologica italiana a Cirene della Seconda Università di Napoli tra il 2009 e il 2015 (santuario di Apollo, Teatro, Mausolei). Olivia Menozzi, Maria Giorgia Di Antonio, Eugenio Di Valerio presentano i risultati tra il 2009 e il 2014 della Missione archeologica dell’Università di Chieti a Lamluda e Cirene (Rilievi in ​​territorio cirenaico; necropoli di Cirene).

Nel IX volume Alexandra Druzynski von Boetticher ed Ulrike Wulf-Rheidt presentano i risultati della campagna libico-tedesca del 2009 (Istituto archeologico Germanico Berlino) a Tauchira e lungo le mura di Ptolemais; Thomas Maria Weber-Karyotakis e Frederik Berger dell’Università di Mainz tornano a Ptolemais per necropoli e chora.

Alle indagini sottomarine in Cirenaica portate avanti dalla Soprintendenza del mare della Sicilia ci conduce l’articolo di Sebastiano Tusa e Cecilia Albana Buccellato. La necropoli est di Cirene è stata studiata tra il 2011 e il 2013 da Clara Tamburrino. Vengono raccolti anche piccoli interventi e notizie: la missione giapponese dell’Università di Tsukuba è presentata da Mustafa Turjman tra Tripoli e Ptolemais. Catherine Dobias-Lalou corregge l’interpretazione sul presunto eroe dioscuro della stele di Apollonia, che invece rappresenta un defunto eroizzato.

Sul X volume Anna Santucci presenta le pitture della tomba di Demetria a Cirene con una nuova restituzione grafica e nuove ipotesi interpretative. Silvia Maria Marengo presenta un inedito di Lidio Gasperini relativo alla firma del ceramista dall’Agorà di Cirene.

La Missione archeologica francese in Cirenaica si è concentrata a Latroun, antica Erythrum, con le terme e la Basilica cristiana; al porto di Apollonia continuando l’impegno di André Laronde, alle terme di Leptis, alle iscrizioni.

Vengono per la prima volta ripresi i vecchi scavi di Andrew Wilson ad Euesperides Benghazi, tornando indietro fino al 1999. Linda Hulin ha svolto le indagini di superficie nella Marmarica costiera occidentale tra il 2008 e il 2010.

Autonomamente il Dipartimento per le antichità ha curato scavi d’urgenza, ricerche e studi in Cirenaica: Veronica Petraccia, Almabruck Abdalrahim S. Saad, Saad Farag Abdel Hati studiano nel vol. VI il sito di El Mtaaugat, porta meridionale sul limes cirenaico. Il Dipartimento di antichità della Libia presenta le necropoli di Buch Kamash. L’attuale situazione di Cirene e del suo territorio è ben descritta nell’articolo di Mazen Mziene e Fawzi Al Raeid (vol. VIII). Nello stesso volume Barbara E. Barich, Giulio Lucarini, Giuseppina Mutri presentano i risultati della missione congiunta libico-italiana nel Jebel Gharbi, con attenzione per la preistoria e per l’Olocene. Le ricerche preistoriche delle missioni archeologiche britanniche sono coordinate dalla Society for Libyan Studies: Libyan Sahara, Benghazi e Gebel Akdar.

Per il Fezzan, l’articolo di Michael Mackensen sulla missione archeologica dell’Università di Monaco presenta le novità dal forte di Gheriat el-Garbia tra il 2009 e il 2010, sul limes tripolitanus. E poi le ricerche preistoriche, addirittura nel pleistocene alla ricerca dell’homo erectus a Budrinna nel 2009 a cura dello scomparso Helmut Ziegert, di Ilona Johannsen, di Dirk Siebers, di Marles Wendowski. L’impegno della Society for Libyan Studies nel Sahara tra il 2009 e il 2011 a firma di David J. Mattingly, che così cerca di colmare lacune presenti sulla rivista per gli anni precedenti.

Nell’VIII volume torniamo a Giarabub con l’articolo di Vincenzo D’Ercole e Laura Saraullo nel corso dell’ultimo decennio.

L’Università degli Studi di Roma Sapienza ha promosso con Savino Di Lernia le ricerche preistoriche di superficie e gli scavi tra il 2009 e il 2015 nell’Acacus e Messak 2009-2015 (volume VIII). Proprio in questi giorni Savino Di Lernia e Marina Gallinaro con la Scuola archeologica italiana di Cartagine hanno presentato gli atti del Workshop romano Archaeology in Africa, potenziali e prospettive sulla ricerca di laboratorio e di lavoro di campo, con tate novità e passi in avanti.

Il Centro internazionale di studi sull’architettura e storia del Mediterraneo tra il 2010-13 ha operato nell’oasi di Ghat come ci infornano Khalil Abdel Hadi e Marina Cappellino, che dimostrano l’assenza della fortificazione sulla collina ancora per tutto l’Ottocento (volume VIII).

Per l’insieme della Libia, la sintesi delle attività delle missioni francesi tra il 2007 e il 2012 a firma di Vincent Michel da Leptis fino ad Apollonia.

Particolarmente importanti sono anche i ricordi degli studiosi scomparsi, Commemorazioni dei “Giants of Libyan archaeology” come li ha definiti D. Mattingly nella presentazione di Libya Antiqua VI-X, in Libyan Studies: necrologi preziosi per ricostruire l’apporto di ciascuno dei protagonisti dell’Archeologia libica ai nostri studi. Dice Mustafa Turjman : <<Obituaries, many of the old protagonists of Libyan archaeology have left us in recent years. While their memory will remain both example and witness to the scientific and human endeavors, they lavished for so many years on the Libya they loved>>.

Per seguire l’ordine dei questi sei numeri, ritroviamo personaggi importanti nel mondo della ricerca archeologica libica: il polacco Tomasz Mikocki (1954-2007) ricordato da Monika Rekewska, l’italiano Fabrizio Mori (1925-2010) ricordato da Savino Di Lernia, i libici Mahmoud Abu Hamed (1936-2010) ricordato da Fatima Baghini, Fadallah Abdul Salam Abdul Hamid (1942-2010) e Abdulgader Mzeini (1950-2010) ricordati da Khaled Elhaddar; nel VII volume è fissato il nostro debito verso Antonino Di Vita (1926-2011) ricordato da Giorgio Rocco; il nostro indimenticabile André Laronde (1940-2011) ricordato da Vincent Michel. Nell’VIII volume compaiono i brevi ricordi del tedesco Helmut Ziegert (1934-2013) a firma di Dirk Sibers e di Mario Luni (1944-2014), con le parole di Oscar Mei. Nel numero successivo Khaled Elhaddar ricorda Abdulsalam Bazama (1942-2015). Ci resta da dire di Abdulhamid Abdussaid e Nicola Bonacasa (1931-2015), ricordati da Khaled Mohammed elHaddar e Maria Antonietta Rizzo. Già i nomi da soli, alcuni a noi carissimi, ci dicono come tante storie abbiano finito per intrecciarsi, di qua e di là del mare, come tante culture diverse si siano incontrate, tante vite si siano spese, quasi bruciate nell’impegno fatto di dedizione, di solidarietà, di curiosità scientifiche.

Lasciatemi citare un momento almeno Nicola Bonacasa, che ricordo nitidamente al lavoro a Sabratha ma soprattutto nella visita a Palermo: lui e Rosa Maria Carra mi avevano dato appuntamento in un bar a due passi da Capaci presso l’aeroporto e mi avevano accompagnato un’intera mattinata nella visita alla catacomba di Villagrazia di Carini. Un momento davvero emozionante e sorprendente. Come ha ricordato recentemente Maria Antonietta Rizzo, Nicola Bonacasa ha operato in Africa con grande impegno umano e scientifico per molti decenni dal 1955 raccogliendo l’eredità di Ernesto Vergara Caffarelli, al seguito di Renato Bartoccini a Leptis Magna e poi dal 1976 a Sabratha, dove ritornava ogni anno, con lo stesso immutato desiderio, e lontano dagli impegni accademici, per dedicarsi totalmente, e con una costanza esemplare, a riportare alla luce gli aspetti più significativi della sua lunga storia, indagando da par suo, e con l’aiuto della sua équipe, quelle mute rovine che sempre più, attraverso le sue innumerevoli ricerche, rivivevano offrendo tanti dettagli della vita degli antichi Sabrathensi. Un impegno e un senso del dovere che lo hanno portato poi – dopo la morte di Lidiano Bacchielli nel 1996 - ad accollarsi il difficile compito di portare a compimento l’anastilosi del grandioso tempio di Zeus a Cirene, iniziato da Sandro Stucchi tanti anni prima: quando lo visitammo nel 2008 ci rendemmo conto dell’enormità dell’impresa. Un grande interesse di Nicola fu quello rivolto alla scultura di età romana, attestata a Sabratha da importanti opere sia di carattere pubblico (sacro e profano) sia di carattere privato, in parte esposte nelle sale del bel museo creato da Giacomo Guidi e progettato da Diego Vincifori negli anni ’30, in parte conservate nei magazzini, in parte ancora giacenti nell’area archeologica, ad esempio nelle favisse del Capitolium. Sono fondamentali gli studi che Nicola Bonacasa, memore degli insegnamenti di Achille Adriani suo antico Maestro nell’Università di Palermo, ha dedicato all’analisi delle tante sculture rinvenute nella città, individuando culture figurative locali o allogene, botteghe, cicli decorativi, maestranze, con lo sguardo esperto dello storico dell’arte antica, nel chiaro e perseguito tentativo di inquadrare quelle opere in un preciso contesto urbano Si tratta di studi compiuti nell’ottica di giungere alla pubblicazione di un catalogo completo delle sculture sabrathensi, un progetto da lui lasciato in avanzato stadio di elaborazione, che, con le foto straordinarie di Giuseppe Cappellani, sarà compito ed eredità onerosa portare a compimento da parte dell’équipe palermitana. Non si può qui dimenticare il suo costante impegno internazionale per il recupero di opere d’arte trafugate dalla Libia in anni recenti, come la splendida testa marmorea di Flavia Domitilla restituita alla Libia nel 2012 o le due teste di Serapide riconsegnate alla municipalità di Sabratha un giorno memorabile del 2013, in cui Nicola Bonacasa veniva insignito del titolo di “cittadino onorario” sabrathense. L’articolo pubblicato sul volume XI di questa rivista, del 2018, vuole essere anche un legato sulle attività svolte dall’Università di Palermo a Sabratha e Cirene fino al 2014.

Credo possiamo concludere: per usare le parole di David Mattingly, questi volumi costituiscono un’importante accrescimento di conoscenze per il patrimonio storico archeologico della Libia, tanto più prezioso se si tengono presenti le attuali difficoltà del paese e ”l’assedio” al suo Dipartimento di Antichità, il cui staff deve essere ringraziato perché prosegue il lavoro di tutela e promozione del patrimonio culturale di questa straordinaria regione.

A sfogliare queste pagine, a vedere i mausolei di Sabratha, gli edifici di spettacolo, gli archi, i monumenti pubblici, i mosaici, le ville, le fattorie agricole, c'è da chiedersi dove sia finita la tragica guerra in corso nel cuore stesso della Tripolitania, soprattutto dove sia finita la Cirenaica desertica di Catullo, là dove sono solo granelli di sabbia in numero infinito, i granelli che a Cirene assediano i filari di silfio tra l'oracolo arroventato di Giove Ammone a Siwa e il monumento funerario sacro dell'antico Batto recentemente rivisitato. Sono i versi a cui siamo tutti affezionati fin da ragazzi, che riportano all'amore di Catullo per Lesbia, al numero infinito di baci che solo può saziare il delirio del poeta innamorato:

quam magnus numerus Libyssae harenae / lasarpiciferis iacet Cyrenis, / oraclum Iovis inter aestuosi / et Batti veteris sacrum sepulcrum.

Se c'è un tema che mi coinvolge sfogliando queste pagine, osservando le foto che avevamo scattato davanti alle grotte di Cirene, che raccontano gli amori di Apollo con la sua ninfa, è quello della continuità del culto della ninfa Cirene e del suo sposo Apollo kosmokravtwr attraverso i secoli, con le varianti anche più minute ed a noi poco note, con i loro mille volti che hanno rappresentato nella fantasia degli antichi il tema dell'integrazione tra culture e tra civiltà diverse. La vitalità del mito, il legame con il passato antico è una costante della storia della Cirenaica, dall'età del primo fondatore Batto coi profughi terei, all'età tolemaica, fino alla rifondazione adrianea dopo l'allontanamento di alcuni gruppi ebraici.

Emerge da queste pagine che esprimono attenzione, rigore filologico, fedeltà nel tempo e dall’incontro di oggi a Macerata una forte volontà di collaborazione tra studiosi, il desiderio di superare le differenze di metodo, di scuola, di lingua, di valicare più rapidamente il difficile momento che la Libia che amiamo sta conoscendo, anche per responsabilità di un’Europa egoista e distratta, di fronte ai pericoli affrontati in questi anni da un patrimonio fragile, sottoposto dopo il 2011 ad un drammatico rischio e a continue minacce. Desidero esprimere l'auspicio che la Libia e il Mediterraneo tutto ritrovino la pace, la libertà, la strada verso il progresso. Che la Libia ritrovi la sua identità e la sua storia.

Al di là delle strumentalizzazioni dell'età coloniale, il patrimonio archeologico classico e post classico può contribuire a costruire l'identità della Nuova Libia di domani, se si affermerà la coscienza nuova dei Libici, che non può non partire dalla riscoperta del patrimonio. Auguro che la Nuova Libia sia un grande Paese di pace; che riesca a contribuire efficacemente all'integrazione della riva sud del Mediterraneo in un mondo aperto e solidale, che dimentichi terrorismo, colonialismo e sfruttamento dell’uomo.

Ultimo aggiornamento Lunedì 02 Dicembre 2019 21:05

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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