Intervento del Rettore alla Conferenza Regionale per la Ricerca e l'Innovazione

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Scritto da Administrator | 20 Settembre 2010

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ATTILIO MASTINO

Rettore Università degli Studi di Sassari

Porto il cordialissimo saluto dei colleghi, dei professori, dei ricercatori, del personale della Università di Sassari, a questa Conferenza regionale per la ricerca e la innovazione voluta dall’assessore Giorgio La Spisa, appassionato e sensibile animatore di queste due giornate. Due giornate che si sono incentrate intorno al tema del capitale umano, della formazione dei giovani, dei giovani ricercatori, della innovazione in Sardegna e nel Mezzogiorno: un evento, un fatto nuovo, una manifestazione che testimonia la complessità dei problemi, delle questioni che noi abbiamo di fronte e con le quali giorno per giorno dobbiamo confrontarci, al di là veramente degli schemi astratti.

Sono rientrato ieri da Bologna dove si è svolta la cerimonia in occasione del 22°  anniversario della Magna Carta Universitatum, il Rettore Dionigi celebrava la solenne dichiarazione dei rettori europei scritta in latino 22 anni fa, nel 1988: questa dichiarazione indicava tra i principia e tra i fundamenta dell’universitas, i pilastri dell’universitas, della università pubblica, e non solo, la ricerca scientifica, intesa con linguaggio ciceroniano di scientiae pervestigatio che è posta accanto e strettamente congiunta con la docendi ratio, con la formazione, la didattica.

La ricerca scientifica dunque costituisce il principium, l’elemento che rende possibile e vitale l’insegnamento universitario.

In Sardegna la ricerca scientifica è insieme espressione di una tradizione di studi secolare, di reti di rapporti stabiliti nel tempo, ma anche si inserisce sempre di più in una grande comunità europea internazionale, costituisce le fondamenta per quella che è ormai la terza missione dell’università: il servizio a favore del territorio sul piano assistenziale sanitario, ma anche sul piano ambientale, sul piano economico, sul piano sociale, sul piano industriale, ma anche sul piano del trasferimento tecnologico a favore delle aziende.

Questa conferenza cade in un momento di profonda trasformazione per il paese e per la Sardegna, ma anche in un momento in cui si discutono, anche negativamente, il prestigio, il ruolo della scuola e dell’università pubblica, spesso incapaci di inserirsi in una dimensione sovrannazionale non sempre in grado di adeguarsi al velocissimo  progresso tecnologico, alle nuove tecnologie informatiche, alle recenti dinamiche economiche finanziarie, al mutamento delle professioni, alla innovazione continua che richiede una formazione continua.

La responsabilità dunque dell’università e della scuola in Italia, e particolarmente nel Mezzogiorno, è rilevante perché gli interventi innovativi in conoscenza avranno sicuramente riflessi positivi sull’intera società. C’è veramente però l’esigenza di far emergere nell’università le zone d’ombra, le incapacità di cogliere il nuovo, i ritardi, le difficoltà che le università incontrano. L’università arriva certamente in ritardo a confrontarsi con l’innovazione e ciò soprattutto in Sardegna eppure nei tempi del federalismo il punto di partenza contro ogni appiattimento e contro ogni omologazione deve essere quello del riconoscimento del valore e della diversità  dei territori che diventa capitale culturale, prezioso valore aggiunto se l’articolo 33 della Costituzione riconosce il significato straordinario dell’autonomia universitaria. Noi ci portiamo dietro delle tradizioni di studi che fanno parte della nostra identità di uomini di oggi e che possono costituire il lievito e la componente originale per il nostro entrare nel mondo delle nuove tecnologie.

L’università svolgerà un ruolo strategico di protagonista in Sardegna e nel Mediterraneo soprattutto se saprà stabilire rapporti e sinergie con grandi centri di eccellenza, a livello europeo, senza rinunciare ad una cooperazione però con la riva sud del Mediterraneo che favorisca un confronto culturale, che abbatta vecchi e nuovi steccati, che combatta la divaricazione che quasi inesorabilmente il mondo sta drammaticamente vivendo dopo l’11  settembre.

I giovani hanno diritto di ricevere dalle due università sarde non soltanto una formazione che consenta loro di confrontarsi ad armi pari in Europa con i loro coetanei, ma soprattutto devono ricevere stimoli, suggestioni, curiosità,  passioni che motivino il loro impegno futuro. Essi devono essere in grado di declinare con originalità e consapevolezza i grandi temi dei nostri giorni, la globalizzazione, il confronto tra culture, le identità plurali del Mediterraneo.

Veramente non riesco a convincermi che gli strumenti pensati dal Ministro Gelmini per la scuola, con la riforma della scuola e per l’università siano adeguati ai problemi che abbiamo di fronte, che sono gravi e complessi. Io veramente cercherei di sorvolare sulla riforma della scuola, ho un testo scritto che magari lascerò per gli atti, ma questa riforma della scuola che suscita la protesta degli studenti, la protesta dei precari, la protesta degli insegnanti, è una riforma diciamo piccola piccola, rispetto alle grandi riforme del passato, quasi insignificante. I dati dell’OCSE dicono che la scuola italiana, in particolare la scuola sarda, è indietro, ma soprattutto sappiamo che gli investimenti per la scuola sono assolutamente inadeguati, l’Italia investe il 9 per cento del PIL per la scuola, la media europea è del 13,3 per cento.

Un analogo discorso stiamo vivendo proprio in questi giorni con l’arrivo alla Camera del disegno di legge Gelmini di riforma dell’università: un progetto di legge, questo sì, ambizioso, che vorrebbe rappresentare un tentativo senza precedenti di riformare in profondità l’università italiana, con obiettivi molto alti come quelli di aumentare la produttività, di innalzare il numero degli iscritti, dunque il numero dei laureati in Italia, aumentare il numero dei laureati nelle discipline scientifiche, di specializzati, di dottori di ricerca; contemporaneamente riduce il numero dei corsi di laurea, delle facoltà, dei dipartimenti, elimina o vorrebbe eliminare i falsi studenti, gli studenti inattivi, i fuori corso, promuove l’internazionalizzazione, gli scambi Erasmus, la mobilità, lo sviluppo dell’ ITC, la conoscenza delle lingue straniere, combatte nuove forme di analfabetismo, eppure a mio avviso utilizza strumenti assolutamente inadeguati, senza mettere sul piatto nuove risorse. Rischia di essere in discussione la struttura stessa degli atenei, la sopravvivenza  di dipartimenti, facoltà, linee di ricerca, reti di relazioni internazionali.

Noi avremmo voluto oggi il Ministro per dire al Ministro queste cose, ma diciamo che sicuramente gli atti conterranno delle indicazioni ancora più precise di quelle che sto facendo in questo momento. La razionalizzazione proposta dal Ministro comporterà in realtà dei tagli, porrà gli atenei italiani di fronte a scelte dolorose, l’ingresso dei privati nel consiglio di amministrazione, l’indebolimento del Senato Accademico, la diminuzione della rappresentanza studentesca, la scomparsa del personale tecnico – amministrativo dagli organi accademici, l’impoverimento dei momenti di democrazia e di confronto, la precarizzazione dei ricercatori ai quali abbiamo espresso in questi giorni il nostro sostegno e la nostra solidarietà, non solo a parole, ma credo con i fatti. Vedremo con i fatti cosa potremo fare. Sono tutti elementi non positivi in un quadro caratterizzato dalla ricerca di una efficienza che si dovrà comunque confrontare con la capacità di coinvolgimento delle persone, con la adozione partecipata degli obiettivi prioritari da raggiungere, con politiche di sussidiarietà e di integrazione che correggano il modello centralistico di base.

Sapete che a noi non è piaciuto il taglio del fondo di funzionamento ordinario, il trasferimento di una massa consistete di risorse già nel 2009, centinaia di milioni di euro dalle Università delle isole e del sud del Mezzogiorno del paese, verso le università del Nord. Il nostro ateneo ha avuto un taglio di due milioni e mezzo di euro, Cagliari ha avuto un taglio percentualmente inferiore, ma è soprattutto l’investimento in termini assoluti che è inadeguato perché per l’università non si investe più dello 0.8 per cento del PIL, contro la media europea del 1.2 per cento e gli investimenti in ricerca da parte del Ministero vanno riducendosi, basti pensare i PRIN, ai FIRB agli altri strumenti pensati in passato per la ricerca.

Come ha già fatto il collega e amico Giovanni Melis, debbo riconoscere che la Regione Sarda ha svolto in questi ultimi anni, soprattutto per merito degli ultimi assessori alla programmazione, un ruolo incisivo, sicuramente ha garantito uno sforzo rilevante con investimenti significativi a favore della ricerca e anche della ricerca universitaria, sia orientata, sia di base. C’è stata una attenzione nuova nei confronti dell’università a partire dall’assessore Pigliaru. Ma voglio ricordare anche gli assessori alla pubblica istruzione Pilia, Mongiu e Baire  e infine soprattutto l’assessore La Spisa.

Un breve inventario, velocissimo, delle cose che sono in campo, ma le conoscete tutti meglio di me: ci sono nuovi strumenti per sviluppare la ricerca scientifica con la legge regionale 7, e non solo, con il master back che inizialmente è stato accolto anche nelle università con molte riserve, ma che si è rilevato uno strumento formidabile, anche per aprire le università verso l’esterno. E poi i visiting professor che nell’ultimo anno hanno portato solo a Sassari 100 studiosi stranieri, sono 312 dal 2006; è entrata aria fresca nei dipartimenti, negli istituti, nei laboratori. C’è il capitolo relativo al rientro dei cervelli, i premi di produttività, la premialità per i progetti di ricerca, il protocollo d’intesa Regione Sarda – Ministero della Università e i due Atenei: prevede un investimento di circa 45 milioni di euro per la valorizzazione del sistema universitario della ricerca in Sardegna. E poi i finanziamenti europei, il fondo europeo di sviluppo regionale, non solo, che ha consentito di finanziare dottorati di ricerca, sempre più vicini e calibrati sul mondo delle imprese, ha finanziato i giovani ricercatori, i bandi della legge 7 per progetti di ricerca di base e orientati, i finanziamenti europei del settimo programma quadro, del Marittimo, dell’ENPI, la nascita dei centri di competenza con tutte le zone d’ombra sulle quali vogliamo essere tranquillizzati da chi gestisce i centri di competenza, e infine la nuova anagrafe della ricerca che rende trasparente la ricerca universitaria. Vorremmo che si rendesse più trasparente anche la ricerca che si svolge negli enti regionali e nel CNR. Dunque ci sono molti passi in avanti significativi per rendere la Sardegna l’isola della ricerca, un modello anche per altre regioni, per aprirci, per creare reti, per aprire la Sardegna verso l’esterno, per essere capaci di accogliere e non di respingere al centro del Mediterraneo, per evitare di essere chiusi e ripiegati su noi stessi. Dunque abbiamo alcuni grandi temi sui quali si sta investendo, per quanto non in tutti la Sardegna possa raggiungere livelli di eccellenza per l’assenza di massa critica, per la debolezza anche di alcune aree disciplinari dentro le università: eppure guardiamo con speranza verso la la bio medicina, le neuroscienze, l’agroalimentare, le nanotecnologie, l’ICT, le biotecnologie, l’energia, i materiali, la chimica. Voglio ricordare la chimica anche con riferimento all’impegno che le università assumono anche nei confronti del territorio per valutare se alcune iniziative industriali sono velleitarie o se meritano viceversa attenzione da parte degli amministratori pubblici.

Segnalo la soddisfazione per il consistente finanziamento ottenuto per i laboratori, proprio in questi giorni: noi compreremo una risonanza magnetica per il dipartimento di chimica. Del resto ci sono tante altre iniziative in corso.

Naturalmente lavoreremo per rafforzare i centri di eccellenza come quello a Sassari delle biodiversità, ed estenderemo, così come abbiamo fatto in passato, la nostra partecipazione ai PRIN nazionali e sosterremo i finanziamenti per la ricerca universitaria.

Naturalmente non ci nascondiamo i problemi: guardando un pochino dall’alto la ricerca, in Sardegna esistono dei problemi gravissimi che la classe politica si dovrebbe porre, innanzitutto esiste una forte esigenza di riequilibrio territoriale; la concentrazione degli investimenti soltanto in alcune realtà indebolisce in realtà le attività di ricerca. C’è da lavorare veramente per censire, verificare, creare sinergie, con riferimento alle attività e tutti i soggetti, quindi CNR università, enti regionali. La polarizzazione nella Sardegna meridionale di alcune attività di ricerca, Polaris, ad esempio, richiede una compensazione con altri investimenti di AGRIS, di Porto Conte Ricerche, di Laore, di altri enti regionali destinati alla ricerca, in altri territori, nel cuore della Barbagia: era previsto un nodo di Sardegna ricerche anche nel Nuorese, nell’Oristanese, nel Sassarese.

Devo dire che poi è evidente a tutti la debolezza di alcuni settori della ricerca e soprattutto è necessario creare massa critica legando i due atenei con un patto federativo più forte, dobbiamo costruire delle reti ed abbiamo dei settori da sviluppare.

Infine il tema della valutazione: la valutazione della ricerca a livello nazionale pesa sul fondo di funzionamento ordinario. Sapete che il 7 per cento assegnato per la premialità degli Atenei viene pesato nella misura del 30 per cento sulla base dei docenti ricercatori che hanno ottenuto il finanziamento di progetti nazionali, PRIN; poi il 15 per cento è destinato a chi ha ottenuto finanziamenti sui FIRB, il 35 per cento sul coefficiente vecchio del CIVR. La valutazione CIVR è stata effettuata sulle attività del 2001 -  2003, ormai è molto invecchiata eppure è l’unico dato accessibile. Infine il 20 per cento su altre risorse europee, finanziamenti da altre istituzioni pubbliche estere. Naturalmente sono tutti coefficienti che fino ad ora non erano molto positivi per le università sarde che hanno avuto questi tagli.

Si avvia proprio in questi giorni con la nomina dei comitati di garanzia che abbiamo effettuato qualche settimana fa, l’attività di valutazione del CIVR, che vorremmo fosse estesa non soltanto alle due università: ogni ricercatore universitario deve presentare nei 5 anni almeno due prodotti di ricerca. Vorremmo che questa valutazione venisse estesa anche al CNR ed agli enti di ricerca regionali che possono pagare il CIVR per essere valutati:  noi vorremmo veramente che gli enti regionali, POLARIS, Porto Conte Ricerche, il CRS4  non si sottraggano questa volta ad una valutazione come è avvenuto per gli enti di ricerca regionali della regione Sicilia che sono stati valutati nell’ultima valutazione CIVR. Dunque vorremmo che vengano in piena trasparenza valutati i prodotti della ricerca, le pubblicazioni, i brevetti, la gestione della proprietà individuale della ricerca, la nascita di nuove imprese, lo start up di nuove imprese, alcuni spin off, l’organizzazione di progetti, di convegni, di altre attività.

Guardate, non potete pretendere che un umanista come me non rilevi in questo convegno il fatto che troppo poco si è parlato, ieri e oggi, di ricerca di base e di ricerca umanistica. La ricerca di base e soprattutto la ricerca in campo umanistico costituisce la base per lo sviluppo della società locale, del patrimonio, la valorizzazione  dei beni culturali, che deve essere affrontato con maggiore ampiezza e senza superficialità. Io ho partecipato nei giorni scorsi  ancora a Bologna a un convegno sulle officine lapidarie, sul mondo antico: si sono confrontati più di 50 studiosi che appartenevano ad università straniere,  italiane, al CNR e, stranamente, all’Istituto regionale dei beni culturali dell’Emilia Romagna che in passato la Regione Sarda aveva incaricato di censire i monumenti della Sardegna. In quel convegno abbiamo parlato di informatica applicata alla scienza epigrafica, abbiamo parlato di fotografia digitale, di rilievo grafico, fotografico, di tanti altri problemi relativi alla topografia dei monumenti: qualcuno ci deve spiegare perché la Regione Emilia Romagna ha un Istituto dei beni culturali e la Sardegna no; anzi la Regione Sarda deve ricorrere all’Emilia Romagna per svolgere questa attività, silenziosamente riconoscendo l’assoluta prevalenza, in Sardegna, delle Soprintendenze archeologiche, archivistiche, delle soprintendenze ai beni artistici e paesaggistici. Allora a me sembra che il tema del patrimonio ci debba richiamare la lezione di Giovanni Lilliu, perché le competenze in materia di beni culturali sono costituzionalmente affidate alla Repubblica nelle sue articolazioni territoriali, dunque non soltanto allo Stato, ma anche alla Regione, alla Provincia, al Comune, insomma al sistema completo delle autonomie, e ciò a maggior ragione in Sardegna, regione a statuto speciale, per quanto in materia il testo scheletrico dello statuto sardo non riconosca la possibilità di esercizio di funzioni analoghe a quelle del Trentino, della Sicilia, e della Valle d’Aosta. Dunque noi siamo per il trasferimento delle competenze in materia di beni culturali dallo Stato alla Regione, nei tempi del federalismo: qualcuno se ne deve finalmente accorgere, perché Lilliu ritiene che il patrimonio culturale sia un insieme di risorse umane e ambientali capaci di produrre una domanda sociale.

Forse uno strumento per affrontare con occhi nuovi questo problema potrebbe essere la costituzione che aspettiamo del centro di competenza per le tecnologie dei beni culturali, ma più in generale credo che il tema che noi abbiamo di fronte è quello del patrimonio, sul quale occorre esercitare l’attività di ricerca.

Dunque l’università è orgogliosa di essere qui oggi, così come è stata orgogliosa, io stesso sono stato veramente orgoglioso di essere al Quirinale qualche settimana fa perché Luca Ruiu, nostro ricercatore, ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Napolitano il premio dei premi per l’innovazione. Premio che significa riconoscimento per una idea progettuale brillante – un biopesticida - che ha già avuto una applicazione in uno spin off che è nato proprio in questi giorni.

Credo che ci siano tanti altri grandi progetti da portare avanti per i quali abbiamo necessità  del sostegno, dell’aiuto della Regione, non soltanto in termini edilizi, in termini di reclutamento di personale, in termini di riforma.

In chiusura voglio ricordare l’esigenza di arrivare alla firma dell’intesa triennale  che, assessore La Spisa e assessore Baire, dobbiamo ancora sottoscrivere nel mese di settembre per gli anni 2010, 2011, 2012: credo che l’occasione che noi abbiamo davanti sia una occasione preziosa quella della discussione in Consulta regionale della ricerca già da venerdì prossimo del piano regionale della ricerca.

Dobbiamo procedere a definire una programmazione unitaria, regione -  università - enti regionali, perché veramente, diceva Giovannino Melis, dobbiamo finalmente guardare lontano.

Grazie.

Ultimo aggiornamento Martedì 21 Maggio 2013 13:51

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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