Intitolazione a Giovanni Lilliu della Cittadella dei Musei.

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Scritto da Administrator | 20 Febbraio 2013

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Intervento del Rettore Attilio Mastino
in occasione dell’intitolazione a Giovanni Lilliu della Cittadella dei Musei
Cagliari, 19 febbraio 2013

Caro Magnifico, Cari amici,

con qualche emozione porto oggi il cordialissimo saluto di tutta l’Università degli Studi di Sassari  testimoniando  adesione e consenso per questa giornata.

Con la cerimonia di oggi, che non è certamente un rito formale, l’Università di Cagliari e il suo Dipartimento di storia, beni culturali e territorio hanno inteso onorare un grande maestro, Giovanni Lilliu, un punto di riferimento per tante generazioni di studenti, di studiosi, di sardi. Con vivo senso di riconoscenza desidero ricordare  solo tre realizzazioni che si debbono all’opera di Giovanni Lilliu, il Dipartimento di Scienze Archeologiche e storico-artistiche dell’Università di Cagliari entro la Cittadella dei Musei, l’Istituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro, la Scuola di specializzazione di Studi Sardi.

Ci saranno certo altre iniziative e altre occasioni. Lascio da parte i tanti ricordi personali che iniziano nel 1968 con la visita al nuraghe Sa Corona di Villagreca.

Da allora è iniziato un rapporto che è durato 45 anni,: un periodo lungo della mia vita - anche se Lilliu aveva iniziato a pubblicare già trent'anni prima - che ha visto in Sardegna una straordinaria crescita dell'archelogia, soprattutto quella preistorica, e non solo a livello di metodi di indagine, come disciplina incardinata nell'accademia, ma anche come passione, come tema di discussione per tanti insegnanti, per tanti studenti, ma soprattutto per tanta gente qualunque, appassionata del proprio territorio, alla ricerca delle proprie radici: un fenomeno culturale di massa che ha coinvolto intere generazioni. Per Lilliu l'archeologia non era solo pura tecnica di scavo, ma è anche sintesi, riflessione, interpretazione, ricostruzione storica, infine scelta politica; in questo senso Lilliu considerava lo storico un uomo non inutile né senza speranza. Io ho avuto modo recentemente di descrivere Giovanni Lilliu come un uomo inquieto e ruvido, carico di insoddisfazioni, un democratico pieno di sentimenti e di desideri, senza pace, che non si è rassegnato e che intendeva combattere per la sua terra, contro la subalternità e l'emarginazione; il suo pensiero, nutrito a volte di utopie e di asprezze, si è arricchito progressivamente nel tempo, sino a giungere ad una straordinaria coerenza, pure attraverso una incredibile varietà di interessi.

Lilliu si considerava un uomo di campagna che aveva avuto il privilegio di accedere all'incanto dell'archeologia, per lui una fatica ma anche un diletto aristocratico. Del resto egli  era orgoglioso delle sue origini contadine e leggeva la sua esperienza in continuità ideale con la storia della sua famiglia originaria di Barumini, con generazioni e generazioni di antenati che lo riportavano sempre più indietro, fino agli eroici costruttori del nuraghe: continuità che era innanzi tutto un persistente legame affettivo con gli spazi, con i monumenti, con il territorio, con l'ambiente fisico che contribuiva a costruire un'identità. Il tema dell'identità del resto era centrale nei lavori di Lilliu, che pensava ad un'identità non fossile, ma aperta al nuovo, non digiuna del moderno, culturalmente e storicamente dinamica. E allora la lingua sarda, innanzi tutto, che avrebbe voluto insegnata nelle scuole e utilizzata liberamente nelle sedi ufficiali, in modo che si affermi il biliguismo. Lilliu aveva seguito costantemente il dibattito in Consiglio Regionale sul problema, fino alla legge regionale a tutela della lingua, della cultura e della civiltà del popolo sardo. Egli aveva anche indicato una strada coraggiosa nel dibattito sul trasferimento delle competenze in materia di Beni Culturali dallo Stato alle Regioni, alle Province ed ai Comuni, insomma al sistema delle autonomie: ci ha spesso sorpreso la sua abilità, la capacità di presentare la sua posizione, spesso anche molto coraggiosa ed estremistica, senza asprezze ed intemperanze, con equilibrio, riuscendo a non urtare suscettibilità profonde, come sulla spinosa questione di Tuvixeddu.

Per Lilliu la storia della Sardegna era fondata su un mito, il mito dell'età dell'oro dell'epoca nuragica, una cultura non pacifica ed imbelle ma conflittuale, quando le armi venivano usate dagli eroi per difendere l'autonomia,  l'autogoverno, la sovranità del popolo sardo, quando i sardi erano protagonisti e padroni del loro mare. La preistoria e la protostoria furono il tempo della libertà, prima che i popoli vincitori e colonizzatori imponessero una cultura altra. Gli altipiani ed i monti al centro dell'isola gli sembravano l'antico grande regno dei pastori indipendenti. Furono i Cartaginesi e poi i Romani a creare una Sardegna bipolare, quella dei mercanti e dei collaborazionisti della costa e quella dei guerrieri resistenti dell'interno: verso questo popolo della Barbagia accerchiato ed assediato andavano le simpatie di Lilliu, che denunciava la violenza dell'imperalismo e del colonialismo romano, giunto fino ad espropriare i Sardi della loro terra, della loro libertà, perfino della loro lingua. Eppure in Barbagia e sul Tirso sarebbe sopravvissuto uno zoccolo duro conservativo, resistente e chiuso, che giustificava la continuità di una linea culturale ed artistica barbarica ed anticlassica, che per Lilliu era possibile seguire e documentare fino ai nostri giorni. Nei momenti di passaggio tra una potenza e l'altra, questa cultura locale si esprime con prepotenza in maniera decisamente originale.

Ricorrono nei suoi scritti alcuni grandi maestri, come non citare Antonio Gramsci, ma anche Camillo Bellieni, Emilio Lussu, quest'ultimo visto come il Sardus Pater, che nel Santuario di Santa Vittoria di Serri, assieme a Ranuccio Bianchi Bandinelli, gli sembrava il demiurgo ideale della sua gente.

La storia della Sardegna è fondata dunque su quella che Lilliu chiamava una costante residenziale e libertaria dei Sardi, che illumina il fondo dell'identità di un popolo perseguitato ed oppresso ma non vinto. A quest'anima profonda di una nazione vietata e compressa, di una nazione perduta o proibita (come non pensare a Camillo Bellieni ?) rimanderebbe la cultura alternativa popolare sarda, non quella delle città, ma quella dei paesi dell'interno: anche la nomenclatura ed i valori sono allora ribaltati, se barbarica e selvaggia sono due categorie positive e contrastive della diversità del processo della storia del mondo, contro l'integrazione e la monocultura imposta dall'esterno. Lilliu ha certo anticipato gli studi più recenti sulla resistenza, che hanno anche un profondo significato politico e che si proiettano sull'attualità, per costruire la nuova autonomia della Sardegna contro ogni forma di dipendenza. C'era una strada maestra, per Lilliu ed era quella di riprendersi il passato e di farlo giocare come elemento di identificazione nella società che cambia, perché contro la crisi esistenziale della Sardegna occorre ribadire che un popolo che non ha memorie è un gigante dai piedi d'argilla.

Ultimo aggiornamento Giovedì 23 Maggio 2013 09:40