Conclusioni al Convegno su “Bosa, la città e il suo territorio dall’età antica al mondo contemporaneo”

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Scritto da Administrator | 14 Gennaio 2015

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Attilio Mastino
Conclusioni al Convegno su
“Bosa, la città e il suo territorio dall’età antica al mondo contemporaneo”
Bosa, 24-25 ottobre 2014

Cari amici,

dopo due giorni di lavori davvero intensi, dopo tante novità, tante piste aperte, tanti colori e tante immagini, spetta a me concludere questo Convegno, fortemente voluto dal direttore del Centro interdipartimentale di studi storici Antonello Mattone e dai direttori del Dipartimento di storia, scienze dell’uomo e della formazione Maria Margherita Satta e ora Marco Milanese.

Grazie ai Vescovi Mauro Maria Morfino, Paolo Atzei, Pietro Meloni, grazie a mons. Antonio Francesco Spada, a Suor Alessia per la straordinaria ospitalità nell'auditorium del Palazzo Vescovile di Bosa, al Rettore Emerito dell'Università di Cagliari Pasquale Mistretta, a Tonino Oppes, a Maria Antonietta Mongiu, a Roberto Porrà, a Guido Melis, ai tanti relatori, agli autori dei 40 posters, ai nostri carissimi studenti, alle autorità, ai tantissimi cittadini presenti, primo tra tutti il sindaco di Bosa, mio fratello Luigi Mastino, l’Assessore Foffo Campus, l’ex Sindaco Piero Casula e l’ex Assessore Lilli Piu. I tanti amministratori dei comuni della Planargia e del Montiferru che hanno voluto essere con noi.

 

Grazie ai decani dei nostri studi, i carissimi Massimo Pittau e Manlio Brigaglia.

Grazie a chi ha organizzato queste giornate, Maria Bastiana Cocco, Pier Paolo Longu, Alberto Gavini, Simone Pisci, Cinzio Cubeddu, Gianni Madeddu, Davide Fiori, agli autisti dell'Università Laura Deriu e Salvatore Solinas. A Bosa grazie a Rita Mozzo, Vincenzo Mozzo, Giovanni Carta, Maria Carmina Masala, Giancarlo Mannu. Grazie ai tanti laureati nei due Atenei isolani che hanno fornito dati e documenti dalle loro tesi di laurea. Grazie alla Soprintendenza archeologica e a Gabriella Gasperetti, agli assegnisti Laura Biccone, Luca Sanna e Alessandro Vecciu. Grazie a Bernardo Demuro per la sua bella e inconsueta Ode a Bosa, che compare su un poster. Grazie ai componenti del Coro a Traggiu e del Coro di Bosa, all’Università della terza età, all’Associazione turistica Pro Loco, alla Biblioteca civica, alle diverse cooperative, La città del sole, L’antico tesoro, l’Associazione culturale La Foce, che hanno reso possibile l’accesso ai monumenti, ai musei, all’archivio storico.

Grazie a Salvatore Naitana e ad Andrea Rotta per il filmato sui delfini del Mare Sardo trasmesso questo pomeriggio ma girato ieri al largo dell’Isola Rossa, nel quadro della ricerca Sardegna Nord Cetacei. Grazie ai tanti allievi e colleghi che hanno lavorato intensamente in questi mesi, coltivando curiosità e passioni vere. Sono state unite tante energie diverse, per ricostruire un mosaico articolato e originale, per cercare di capire in profondità una città che ci è cara e il suo territorio.

Possiamo osservare tante novità, tanti passi in avanti, tanti frammenti di uno specchio che si sta progressivamente ricomponendo. Tanti punti di vista, tante sensibilità diverse, tanti modi per osservare e per conoscere.

So che l’Editore Carlo Delfino, oggi presente con noi, si impegna a procedere rapidamente, come concordato, alla stampa del volume degli Atti, con la partecipazione di oltre un centinaio di autori.

Grazie per la dimostrazione di affetto nei miei confronti negli ultimi giorni del mio mandato di Rettore dell’Università di Sassari; soprattutto nei confronti della mia città, anche per i gli straordinari risultati dovuti a una riflessione non convenzionale su un luogo amato dai poeti, dai turisti, da noi tutti.

Avete ricostruito in questi giorni nelle relazioni, nelle comunicazioni presentate da tanti giovani ricercatori, nei poster, la storia e la geografia di un intero territorio, partendo dall’età protostorica e dall’età nuragica, con la saporita polemica sulle origini di Bosa animata da Massimo Pittau e Raimondo Zucca; ma un'altra polemica ha visto contrapposti Antonio Francesco Spada e Roberto Porrà a proposito dell'archivio diocesano e dell'archivio della Cattedrale: una piccola testimonianza di un'attenzione e di un impegno per il futuro. Sono stati presentati dopo tanti anni i risultati degli scavi archeologici e delle esplorazioni topografiche effettuati a Sa Idda Ezza, a Messerchimbe, a San Pietro, sul fiume, alla foce: la localizzazione della città romana, le iscrizioni a partire dall'enigmatica lastra marmorea studiata da due maestri, Lidio Gasperini e Marc Mayer, che ci ha conservato il ricordo della dedica delle quattro statue d'argento nel tempio di Roma e di Augusto e ci ha informato sull'organizzazione cittadina e provinciale del culto imperiale nell’età degli Antonini. E poi Cornus, la città di Ampsicora e la sua partecipazione al Bellum Sardum dalla parte di Annibale, la colonia romana in età imperiale. Ancora il cristianesimo, con le basiliche di Cornus e a Bosa il culto di Elena e Costantino, i corpi santi di Emilio e Priamo e la loro scoperta nel 1603 ad opera del vescovo Gavino Manca de Cedrelles, l'inventore dieci anni dopo come arcivescovo di Sassari dei santi martiri Gavino, Proto e Gianuario nella basilica di Porto Torres: l'immagine dei tre martiri turritani sarebbe stata adottata in quegli anni dai Gesuiti nel sigillo storico dell'Università. Ancora a Cuglieri la rivalutazione della tradizione intorno alla misteriosa figura della famula Dei Imbenia. E poi il mito di Calmedia fin dal Seicento, le iscrizioni falsae e la visita a Bosa nel 1881 di Johannes Schmmidt, allievo di Theodor Mommsen, il ruolo di Gavino Nino, forse uno dei falsari (con Salvatorangelo De Castro) delle Carte d’Arborea, le monete, la zecca catalana. E il territorio della Planargia e del Montiferru al margine meridionale del giudicato logudorese con le antiche curatorie, fino Cornus, con Magomadas, Tresnuraghes, Sennariolo, Scano Montiferro, Cuglieri, Flussio, Suni, Tinnura, Modolo, Sagama, Sindia, Montresta e oltre.

Ancora le indagini archeologiche sul colle di Serravalle, il Castello dei Malaspina, la signoria alla fine dell’età bizantina e del regno giudicale del Logudoro. Le tante novità sulla situazione topografica della valle del Temo, a partire dalle isole alla foce, il delta fluviale, il porto, forse la scoperta dell’isola che non c’è, quella sulla quale era stata costruita la chiesa di San Paolo Eremita, ben distinta dall’Isola Rossa.

L’età catalano-aragonese e poi la presenza arborense fino agli ultimi giorni del Giudicato, il lento travaso urbano, l'abbandono della Bosa Manna erede del municipio romano, ricordata dal Libellus iudicum Turritanorum come patria all'inizio del XII secolo di Marcusa de Gunale, la madre di Gonario di Torres, il fondatore di N.S. di Corte a Sindia. E ormai la nuova Bosa alle falde del colle di Serravalle, con le sue mura e i suoi fondaci, con le caratteristiche aree a corte sede delle attività dei rappresentanti consolari stranieri interessati allo sviluppo dei commerci. Nel sito della Bosa Vetus bizantina e giudicale, come la chiamò Giovanni Spano, restava la cattedrale costruita nel 1073 dal primo vescovo Costantino De Castra, ben prima dell’arrivo dei Malaspina. Dietro ciascuno di questi temi rimangono problemi aperti di difficilissima soluzione, con una cronologia che continuamente viene corretta e rettificata sulla base delle nuove scoperte.

Le indagini sull’età medioevale e moderna sono state possibili soprattutto grazie alle ricerche d’archivio, al ruolo della cooperativa La Memoria Storia e della Soprintendenza archivistica, penso a Cecilia Tasca, a Roberto Porrà, ad Amalia Santona. Due anni fa per Carocci editore è uscito il volume di Cecilia Tasca Bosa città Regia 1421-1826, capitoli di corte, leggi e regolamenti, che in qualche modo sintetizza una storia, definisce gli statuti e i privilegi urbani, rinnova alla radice i dati della tradizione. In questi giorni Cecilia Tasca ci ha regalato un altro volume per AM&D Edizioni, Bosa nel tardo medioevo, Fonti per lo studio di una città mediterranea, con una piccola grande scoperta, quella degli attributi che si attribuivano alla città spagnola : Illustre, Fidelissima y Zelant com la millor del Regne.

Emergono allora i documenti sulla baronia, il feudo dei Villamarì, l'amministrazione civica, il seicento barocco spagnolo che si manifesta pienamente nella Relacion de la antigua ciutat de Calmedia, da ultimo nell’iscrizione inedita su marmo di Carrara della Domus Regia o Domus Curiae, già di proprietà della Principessa di Salerno, poi Casa di città, oggi di proprietà d Amalia Mastinu in Vico Palazzo e Via del Carmine. Dunque di nuovo la città Regia, con le sue tante richieste ai Parlamenti spagnoli: le mura, il ponte, l’acquedotto, il porto, i dazi, le terre pubbliche, più tardi il lento passaggio verso la proprietà perfetta, le chiudente sul Marrargiu. L'arrivo dei Savoia, il Settecento e lo sviluppo dell’Ottocento, le visite di Carlo Alberto, l’urbanistica con il nuovo strumento urbanistico, il Piano d’Ornato, il Risorgimento in Planargia con i Deputati come Gavino Nino e i Senatori come Salvatore Parpaglia, tante altre figure che si incrociano con la storia di Bosa, come nei diari di Paolo Mantegazza o nella biografia di Pasquale Mola. Infine il ruolo di Palmerio Delitala nella nascita del Partito Popolare e della Democrazia Cristiana.

Il Novecento, con il Fascismo, le guerre, la povertà senza limiti, come quella che Tata Carboni ha voluto descrivere per gli anni 40. La riforma agraria, l’agricoltura fondata sull'olivicoltura e le celebrate olive bosane, la vite, la produzione di malvasia, la pesca, l'allevamento. Ancora le tradizioni che sopravvivono, la musica, l’arte, il carnevale, le tante altre feste popolari, appuntamenti insieme variopinti e scherzosi, ma anche elementi preziosi giunti fino a noi di un'identità lontanissima, che è insieme alla radice dei tanti valori di oggi e insieme si trasforma continuamente. Le figure di Melkiorre, Federico e Olimpia Melis sintetizzano un gusto che ritroviamo in Antonio Atza ma anche in tanti altri artisti e più in generale nei prodotti di tante artigiane del quartiere di Sa Costa impegnate nella lavorazione del filet, nell'arte di dipingere con l’ago: <<di ricamare sulla tela di lino uccelli incantati in selve incantate e simboli per le mense eucaristiche>>.

E poi l’ambiente naturale incontaminato, sintetizzato dai grifoni, esaltati di recente dalla straordinaria opera d’arte donata all’Università di Sassari dal maestro Elio Pulli, capace di raffigurare un grifone che trionfa su un cinghiale della Sardegna. Per me i grifoni che volano larghi e si muovono tra le falesie di Capo Marrargiu e i canaloni vulcanici che conducono a Montresta passando per i costoni di Badde Orca continuano a ricordare una giovinezza lontana e luminosa, continuano a rappresentare un simbolo di libertà, un elemento identificativo della biodiversità della nostra isola. Il rimpianto per la recente scomparsa di un amico, l'ornitologo Helmar Schenk, di cui ci ha parlato Vincenzo Tiana. L’ambiente fluviale così caratterizzato e originale. Le polemiche sulla nascita dei parchi e delle riserve naturali, l’area marina protetta, i Siti di interesse comunitario, le risorse ambientali e naturalistiche di interesse paesaggistico, i giardini, le zone verdi. I musei, i monumenti, il patrimonio dei beni culturali, fino alle chiese, agli affreschi, alle tante opere d'arte, agli organi a canne. E poi il bellissimo monumento ai caduti con una spettacolare Vittoria alata, la diga di Monte Crispu, il nuovo porto, lo sviluppo verso il turismo nautico.

In passato ho osservato che <<per tracciare un profilo storico di Bosa dall’antichità si può partire dalla geografia: il fiume, il mare, l'altopiano e la montagna hanno profondamente condizionato le forme dell'insediamento umano, le dimensioni stesse delle case e delle barche, che sono rapportate alla ricettività degli approdi portuali, alle forme della linea di costa, ai fondali, ricchi di corallo e di pesci. E' la geografia che condiziona il bizzarro percorso della ferrovia, che sembra studiato per unire tra loro i comuni della Planargia; la geografia spiega molte delle caratteristiche del popolamento e molte attività economiche, le miniere, le antiche gualchiere sul Rio Mannu, le concerie, i mulini, fino alla cantina sociale di Flussio per la produzione della malvasia. Ma anche la pastorizia e l'agricoltura nella valle del Temo>>.

Un capitolo significativo in questo quadro è rappresentato dalla letteratura, la cultura, le scuole: si può partire dal fondatore della storia e della geografia della Sardegna Giovanni Francesco Fara alla fine del Cinquecento, poi i grandissimi poeti e intellettuali della Sardegna, come Pietro Delitala (che seguiva il modello di Torquato Tasso), il poeta plurilingue Gerolamo Araolla, il vescovo Nicolò Canelles, fino ad arrivare all’Ottocento, fino a Gavino Nino e poi nei primi anni del Novecento a Giovanni Nurchi: fu lui a preconizzare una Bosa Redenta, rispondendo trionfalmente alle malignità del poeta Melkiorre Murenu, perché la città in pieno degrado, derruta, istenuada dae tanta maladia doveva finalmente affermarsi come una realtà nuova, una Bosa risuscitada. Certo qualche decennio prima la città si era sentita ferita dalla feroce ironia del poeta di Macomer, che con Sas Isporchizias de Bosa, facendo leva su una realtà distorta e sul clima malarico, aveva voluto denunciare in modo implacabile un luogo che sentiva ostile.

Deo, cun tottu ch'hapo ment'abbizza,

s'animu non mi bastat chi lu conte,

unu chi s'incontresid in su ponte

M'iscriet chi l'hat fattu meravizza,

in tres minutos vasos settemizza

De merd'a su fiumen' hant bettadu.

Ma la lezione di Giovanni Nurchi ormai aveva fatto scuola, come dimostra il rimpianto per la “Divina Calmedia” sulle pagine del diario di Amalio Stinotti o tante altre pagine di viasggiatori. A interpretare meglio questo sentimento è stato il poeta della disperazione Orlando Biddau, che descrive il paesaggio, la marina, le case, la stazione degli eucalipti: «La mia inerzia si scioglieva al sole

lungo il viale o dalla città alla marina,

o più spesso lungo la strada inversa

presso la stazione si destava al singulto del vento».

E  ancora:

«La pioggia indolente rimena

un antico torpore assopito,

si perdono le acace nella nebbia

presso la vecchia stazione

che sa le partenze e le soste,

la via del fiume lungo i giunchi

e i canneti, il mare aperto».

Dunque la marina, all’estuario del Temo, dove tornano alla mente gli sconsolati gabbiani che planavano lenti sul greto:

«Respira il mare ed io son vivo,

le barche in secca a un porticciolo di sassi

come ramarri al sole. Venimmo

un mattino a quest’isola verde

per sciogliere il voto, ed il passo

e il respiro era incerto a violare

le intatte scogliere ove cielo

e mare si fondevano.

Candide ali si aprivano

sulle braccia nude dei fanciulli,

colombacci marini; tra frusci

d’azzurro e spumeggi

si tuffavano in acqua, emergevano

con un riso acerbo, agguantando

esultanti un’orata!

Tenera come la gola della lucertola

la memoria della spina di ieri.

Dietro il faro e la torre

un pane frugale, e di ritorno

con un fiore di giunco.

Come lungo cammino della memoria,

come arsura bramosa dell’oblio,

un fiore di giunco».

Questa città e questa Sardegna speciale è stata raccontata da tanti, che hanno saputo cogliere anche il lato oscuro di una storia e di una tradizione: così in una famosissima pagina del romanzo Procedura, Salvatore Mannuzzu descrive Bosa come una cittadina di provincia tutta avvolta in un passato senza presente e senza futuro, in cui i vecchi palazzi del Corso d’una qualche tradizione civile, che denunciano una prosperità purtroppo perduta, diventano la teca ideale per custodire le fotografie ingiallite della memoria: lo scenario è letterariamente perfetto per accogliere una volontaria prigionia, per seppellire la solitudine cupa di una donna bambina precocemente invecchiata.

Eppure mi sembra che sia stato soprattutto Billia Muroni (dopo Salvatorangelo Spanu e Ottorino Mastino) ad insegnarci ad amare un territorio straordinario, ricco di memorie storiche e di emergenze culturali: egli ci ha mostrato che anche la microstoria della Planargia ha una sua dignità e caratteri peculiari, all’interno della più vasta storia della Sardegna, segno della diversità e della originalità di queste comunità. Da qui bisogna partire per fare veramente di Bosa e della Planargia insieme un ideale e sofisticato luogo di soggiorno, in un ambiente di elevata qualità, molto caratterizzato ed originale. Muroni sapeva bene che la causa dell’isolamento di questo territorio e del frazionamento delle comunità è soprattutto da ricercarsi nei condizionamenti, nei limiti e nella prospettiva della gente di Bosa, un capoluogo che spesso ha rinunciato alla sua funzione di coordinamento e che si è ripetutamente ripiegato su se stessa. Giovanni Sistu, in alcune tra le più belle pagine scritte su Bosa, nel volume pubblicato sulle città dell’isola dal Banco di Sardegna, è riuscito a spiegare questo aspetto della storia di Bosa, richiamando quel “senso di insularità” che un noto studioso inglese riscontrava nelle comunità medioevali chiuse dentro le mura, delle quali sottolinea l’importanza psicologica. Per Bosa questo senso di insularità sarebbe una costante storica, che sembra persistere al di là della scomparsa delle mura, della demolizione dell’elemento fisico dell’isolamento. In realtà questo Convegno a consentito di correggere in parte quest'impressione, ha messo in luce il fervore dei commerci a partire dal medioevo, il porto, il fiume, la raccolta del corallo, le concerie, le miniere, i traffici e le relazioni con l'”altra” Sardegna e verso altri porti del Mediterraneo.

Altrove Muroni ha parlato di Bosa come di una nobildonna decaduta; io credo che anche lui condividesse però il giudizio sulla diversa qualità dello sviluppo civile di questo centro, nei suoi rapporti con il territorio circostante, che ha profondissimi elementi di identificazione ed ha marcati segni di identità, risultato di una storia lunga, che ciascuno di noi è consapevole di portarsi dietro, con una rete di rapporti, di relazioni e di eredità che rappresentano veramente la ragione per la quale noi per Bosa parliamo di città e di ambiente urbano, anche quando la crescita demografica presenta – come oggi – un saldo negativo. Anche quando i monumenti si sbriciolano, come la Cattedrale, già nell’anno del Grande Giubileo.

Oggi Bosa non è solo un insieme di monumenti, un paesaggio, una forma urbana espressione di determinanti storiche; è un modo di vivere, forse un clima, un’atmosfera, una rete di sentimenti e di sensazioni, un piccolo mondo articolato e al suo interno straordinariamente complesso. Questo paese disteso sulla collina come un vecchio addormentato ha una sua precisa fisionomia ed una sua identità, non può essere condannato ad una perpetua malattia, alla noia, all’abbandono, al niente. I bosani non possono essere votati alla disgregazione, alla fuga ed alla nostalgia. Ben vengano dunque le idee, i progetti, le novità, per costruire una città più moderna, ma sempre nel rispetto di una identità, di una realtà nobile e delicata, di un’eredità che non è fatta solo di pietre e che non si può disperdere al vento in vista di un’utilità immediata.

Chi ha voluto questo convegno intendeva folrnire un contributo alla valorizzazione di una città nobile e di qualità, oggi in crisi di identità, profondamente ferita e delusa, che rischia di rinnegare sé stessa, di annullare il proprio passato, di dimenticare le proprie radici. Ottorino Mastino rivolgeva ai giovani l’invito di non vergognarsi mai di essere sé stessi, di guardarsi dagli speculatori e dagli affaristi, di difendere, assieme ai valori monumentali e del paesaggio, all’ambiente naturale, soprattutto un ideale di nobiltà e di distacco.

Pasquale Mistretta si chiedeva poco fa come sarà Bosa tra quarant'anni, partendo dal suo straordinario articolo firmato con M. Lo Monaco intitolato Modificazioni di assetto territoriale in ambiente tipico. Bosa e la Planargia, uscito in “Critica Tecnica” nel 1974, un lavoro incredibilmente profondo, che avevo commentato quaranta anni fa sulle colonne de L'Unione Sarda, mettendo in evidenza il ruolo della Planargia nelle prospettive di sviluppo della Sardegna: le nuove funzioni, il turismo, l'agricoltura, l'allevamento, la pesca, i servizi. Ancora oggi io sono convinto che la città riuscirà a svilupparsi, a costruire il suo futuro partendo – sono parole di Pasquale Mistretta - dalla qualità del suo ambiente urbano e naturale, dal particolare livello socio-culturale, dalla sua tradizione umanistica. Se guardo val futuro, non posso immaginare passi indietro o disperazione, anche in un momento di crisi come quello di oggi, con tanti giovani che rimangono inspiegabilmente nella disperazione dei senza lavoro.

Forse questa è l'occasione per rilanciare tanti progetti: il Museo archeologico di Bosa e della Planargia (con il completamento dell'allestimento e ordinamento scientifico), la protezione degli scavi di Cornus, gli itinerari religiosi nel Montiferru, il fiume Temo che già negli anni settanta Antonio Romagnino voleva bonificare, la torre dell'Isola Rossa e le altre torri spagnole tra Foghe, S'Ischia Ruggia, Columbargia, Argentina; il turismo nautico, le produzioni di qualità che si affermano grazie all'ingegno di tanti operatori.

Allora vorrei chiudere anche facendomi trasportare per un momento dalla commozione: lasciate che dica che mi considero fortunato perché siamo riusciti a mobilitare tanti amici per questa occasione preziosa. Il sentimento che provo è innanzi tutto di gratitudine e di apprezzamento per l'impegno e la sensibilità di tutti.

Questo incontro cade negli ultimi giorni del mio mandato di Rettore: grazie per la presenza anche in quest’occasione al Prorettore Vicario Laura Manca, ai direttori dei Dipartimenti Andrea Montella (Scienze Biomediche), Salvatore Naitana (Medicina Veterinaria), Maria Margherita Satta e Marco Milanese (Storia, scienze dell'uomo e della formazione). Li ho sentiti sempre vicini e amici. Il nuovo Rettore Massimo Carpinelli per un equivoco causato da me non è potuto essere presente e se ne scusa. Venerdì prossimo io chiuderò il mio mandato davanti ai nostri cento migliori studenti, con la voglia di passare il testimone a persone che sono sicuro faranno meglio di noi.

Ma intanto, oggi, vogliamo dire grazie a tutti voi per aver voluto dedicare questi due giorni a riflettere sulla Sardegna e su una città che amiamo, in un momento di crisi come quello terribile che sta attraversando. Forse inizia davvero una nuova primavera.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 14 Gennaio 2015 13:42