VI Conferenza sulla lingua sarda.

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Scritto da Administrator | 13 Dicembre 2011

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VI Conferenza sulla lingua sarda

Intervento di Attilio Mastino

Alghero, 10 dicembre 2011

Cari amici,

la contestazione che si  è sviluppata dopo l'ultima relazione che ha riproposto la posizione della commissione per la lingua sarda dell'Università di Sassari non può che testimoniare la vivacità di un incontro, quello di oggi, che può veramente rappresentare una svolta, soprattutto costituisce una speranza per tutti noi.

Volevo per un attimo portarvi a Bosa, al carnevale del febbraio 1902, quando il fratello di mia nonna, il poeta sardo Giovanni Nurchi aveva rappresentato i problemi della città con la famosa Lamentazione di Geremia (>): in quell'occasione solenne il poeta era stato infastidito a lungo da un cittadino petulante ed invadente, al quale aveva risposto ironicamente: .

Credo che oggi tutti dobbiamo fare la nostra parte, cogliendo un'occasione storica, un'opportunità, un momento alto di riflessione e di incontro che lega i docenti dell'Università e della Scuola agli operatori degli sportelli linguistici, ai rappresentanti dei Comitati linguistici e dei premi letterari, ai membri dell'Osservatorio regionale, alla classe politica.

Come prima cosa, desidero ringraziare l’Assessore Sergio Milia per l’invito a partecipare a questa VI Conferenza sulla lingua sarda, porto il saluto dell’Università di Sassari e voglio subito dire che non mi sottrarrò a nessuno dei temi sul tappeto con l’intento sincero di dare un contributo positivo di riflessione sul piano triennale in corso di approvazione e sulla necessità di una maggiore integrazione tra politiche universitarie e politiche linguistiche regionali.  L'Università è una risorsa. Non c'è futuro senza l'Università per la Sardegna e per il Paese. L'Università è innanzi tutto al servizio della Sardegna. Metteteci alla prova e collaboreremo con voi, ascolteremo le vostre opinioni, vi rispetteremo davvero.

L’occasione odierna cade propizia, perché siamo reduci da una lunga polemica, la ‘guerra’ estiva che abbiamo dovuto sostenere sui mezzi di comunicazione e anche sui blog intorno al tema della cultura e della lingua sarda: vorrei allora profittare per parlare proprio delle critiche mosse all’Università riguardo a tali questioni, ricordando che le nostre storie personali testimoniano che il nostrro è il punto di vista di sardi che desiderano difendere la lingua sarda, anche se proprio non abbiamo la minima voglia di rispettare rigidamente un’ortodossia che rischia di appiattire il contributo di tutti.

Sono orgoglioso del fatto che nel corso del dibattito che abbiamo avviato a partire da gennaio intorno al nuovo statuto dell’Università, in attuazione della Legge 240 (la ‘legge Gelmini’), siamo riusciti a inserire un articolo (n. 58) che riguarda proprio la lingua e la cultura sarda: «L’Ateneo [di Sassari] promuove la tutela e la conoscenza dei beni e delle fonti dell’identità locale, con particolare riferimento alle lingue delle minoranze e alla lingua sarda nelle sua articolazioni territoriali, alle risorse naturali, ai beni storici, culturali, ambientali, paesaggistici e architettonici, ai saperi e alle tradizioni locali». Come si vede bene, nel nuovo statuto che verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale martedì prossimo e che comporterà l’abolizione delle Facoltà e l’istituzione di Dipartimenti che avranno funzioni di ricerca e di didattica, la ricchezza linguistica della Sardegna è indistintamente riconosciuta come un bene meritevole della più ampia salvaguardia. Per usare le parole di Silvano Tagliagambe l'Università non intende solo fornire contenuti astratti, ma deve partire dal contesto nel quale opera.

Al di là delle dichiarazioni di principi, voglio perciò ribadire anche in quest’occasione che l’Università di Sassari è fortemente impegnata per la difesa della lingua sarda come lingua dell’oggi e del domani, come segno di identità e come elemento distintivo per le culture della Sardegna. Le polemiche di questi giorni rendono necessario un chiarimento sulle posizioni assunte dalla Commissione lingua sarda dell’Università di Sassari, dalla università nel suo complesso: e mi consentono di ribadire che l’Ateneo prende l’impegno per difendere e qualificare l’insegnamento delle lingue minoritarie e della lingua sarda nel nostro Ateneo al servizio della scuola sarda.

Negli incontri che sono avvenuti nei mesi scorsi con l’Assessore Milia e alcuni funzionari dell’Assessorato, credo che le preesistenti difficoltà di dialogo siano state positivamente superate. Il ritardo nell’approvazione del Piano non è in alcun modo dipeso dalla nostra volontà. L’Università non si sottrae all’impegno e alle responsabilità che si è assunta votando nell’Osservatorio il piano triennale, ma naturalmente chiede che la Regione abbia la piena consapevolezza della complessità dei problemi e dello specifico apporto dell’Università, che impone un metodo scientifico, una competenza, un’accertata autorevolezza ma anche una passione e un interesse forte. Sullo sfondo mi sembra che il problema vada ben oltre la lingua e la cultura della Sardegna, c’è il tema della sovranità della Sardegna, una sovranità che non può che partire dalla difesa e dalla valorizzazione del patrimonio culturale, in particolare delle lingue delle minoranze che raccontano, specie il sardo, di una millenaria tradizione linguistica che parte dall’età romana, attraversa l’età bizantina, l’età giudicale, l’età catalano‑aragonese, l’età spagnola per arrivare ai giorni nostri: con moltissimi problemi e anche, se mi consentite, con un progressivo impoverimento interno e con un ampliamento della complessità dei rapporti con le altre lingue che si sono succedute in Sardegna e con quelle che fanno parte del nostro bagaglio di uomini di oggi. La lingua sarda è stata pensiero, riflessione, strumento per intendere la realtà, per entrare in comunicazione con gli altri sardi, in una comunicazione orizzontale profonda.

La commissione lingua sarda della Università di Sassari si mette al servizio della Sardegna e può contribuire a radicare delle competenze diffuse sulle quali si deve costruire una politica linguistica per il futuro. Per quanto concerne le posizioni scientifiche sulle quali l’Università di Sassari si sta attestando, sono convinto che non siano di retroguardia, tutt’altro: penso anzi che il lavoro linguistico che si è fatto in Sardegna in questi anni ci metta ai primi posti in Europa come laboratorio di soluzioni fondate sulla problematicità del territorio. Occorre quindi partire dall’orgoglio per il livello fin qui raggiunto dagli studi universitari, ma anche dalla riflessione di taluni appassionati, nel campo della tutela delle lingue minoritarie. Questo anche grazie anche all’attività della Regione, che pure è arrivata in ritardo a confrontarsi su questi temi.

Credo che si debba riconoscere e apprezzare anche il ruolo che hanno avuto e hanno i premi letterari per la raccolta di documenti preziosi, che debbono costituire la base per le modalità espressive del futuro: alcune settimane fa ero a Padria per il premio ‘Gavino Delunas’, ma ho seguito tanti altri premi come quelli intitolati a Jorzi Pinna a Pozzomaggiore (per i poeti improvvisatori in lingua sarda), a Remundu Piras a Villanova, a Pittanu Moretti a Tresnuraghes, senza trascurare naturalmente il premio Ozieri e, senza volerli menzionare tutti, i tanti altri straordinari premi letterari della Sardegna, scuola di scrittura creativa per i sardi. Le lingue dei sardi possono essere un elemento distintivo dell’autonomia, della sovranità del Popolo Sardo, però solo a patto di difendere le radici culturali profonde di queste lingue, di conservarle come specchio di un mondo che ci appartiene e che in esse si riflette con immediatezza: se riusciremo a pensare sempre più in sardo (o in sassarese, gallurese, algherese, tabarchino), rendendoci conto criticamente che ci sono differenze tra città e campagna, tra città e paese, tra paese e paese e in molti casi la lingua materna non è più il sardo ma è l’italiano. Sono problemi dei quali bisogna tenere conto. A livello personale, ricordo anche di essere allievo di Giovanni Lilliu e ho sempre presente quella sua pagina in cui sostiene che la lingua sarda è grado di comunicare a livello locale, ma è anche «in grado di tradurre per iscritto qualunque pensiero o qualunque esperienza della realtà del mondo in cui viviamo. Dunque lingua, in effetti, quella sarda, per natura, è lingua perché è ampiamente espressiva».

Ciò su cui invece intendevamo porre l’accento è che il sardo, come le altre lingue minoritarie della Sardegna, ha un suo percorso storico che lo ha mantenuto sostanzialmente estraneo rispetto al mondo dell’istruzione, dell’amministrazione, della politica: se per un verso le richieste dei cittadini per mutare un simile quadro si sono lentamente affermate, per altro verso va anche rilevato che la Regione è intervenuta in ritardo in questa materia.

Basti pensare che la Facoltà di Lettere di Cagliari sollevava il problema con due delibere del 1971 e 1974 (e nel 1977 nella stessa direzione andava una relazione della Scuola in Studi Sardi scritta anche da me), ma la nota legge regionale 26 è stata approvata soltanto nel 1997, con venti anni di ritardo. Una delibera del Consiglio Comunale di Bosa del 1976, che mi sono divertito un poco provocatoriamente a distribuire agli amici, sta poi a dimostrare che il dibattito odierno non è affatto nuovo, si ripetono cose già dette in passato anche da me, forse persino in maniera più violenta e radicale. Pertanto, il Consiglio Regionale ha adottato tardivamente delle politiche linguistiche con la legge regionale 26/97, che pure è più avanzata rispetto alla legge nazionale 482/99, non riconoscendo quest’ultima per il sassarese, il gallurese e il tabarchino alcuna tutela, cosa che invece avviene nella formulazione più democratica della legge 26, art. 2 comma 4, in cui le lingue delle minoranze interne sono esplicitamente protette accanto al sardo (La medesima valenza attribuita alla cultura ed alla lingua sarda è riconosciuta con riferimento al territorio interessato, alla cultura ed alla lingua catalana di Alghero, al tabarchino delle isole del Sulcis, al dialetto sassarese e a quello gallurese). L’art. 2 della legge 482 precisa che in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Eppure è proprio la legge 482 che impone all’art. 4 che già nelle scuole materne, l’educazione linguistica preveda, accanto all’uso della lingua italiana, anche l’uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado é previsto l’uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento. Le istituzioni scolastiche elementari e secondarie di primo grado, nell’esercizio dell’autonomia organizzativa e didattica, nei limiti dell’orario curriculare, deliberano le modalità di svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali, stabilendone i tempi e le metodologie, nonché stabilendo i criteri di valutazione degli alunni e le modalità di impiego di docenti qualificati. Le medesime istituzioni scolastiche possono realizzare ampliamenti dell’offerta formativa in favore degli adulti. Nell’esercizio dell’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, le istituzioni scolastiche adottano, anche attraverso forme associate, iniziative nel campo dello studio delle lingue e delle tradizioni culturali degli appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta e perseguono attività di formazione e aggiornamento degli insegnanti addetti alle medesime discipline.

All’art. 6 si precisa che ai sensi della legge 19 novembre 1990, n. 341, le università delle regioni interessate, nell’ambito della loro autonomia e degli ordinari stanziamenti di bilancio, assumono ogni iniziativa, ivi compresa l’istituzione di corsi di lingua e cultura delle lingue di cui all’articolo 2, finalizzata ad agevolare la ricerca scientifica e le attività culturali e formative a sostegno delle finalità della legge.

Non ho nessuna esitazione ad ammettere che arriviamo  quindi abbastanza in ritardo a trattare l’argomento, e non nego che possano esserci anche responsabilità dell’Università, pure dell’Università di Sassari: questo tema vorrei affrontarlo, perché c’è stata una polemica sulle cattedre bandite, in fase di avvio, negli ultimi anni con fondi regionali. L’Università ha inteso radicare, nei propri corsi di studio, molte discipline di ambito sardistico: ad esempio, abbiamo attivato, negli ultimi anni, cattedre di Storia medievale della Sardegna, Etnografia della Sardegna, Storia dell’arte della Sardegna. Lo dico perché qualcuno ha ironizzato su questa molteplicità di approcci che non si limitano all’aspetto linguistico, ma sono andati ben oltre: Demografia della Sardegna, Ecologia vegetale della Sardegna, Ecologia forestale della Sardegna, Glottologia e linguistica della Sardegna, Geografia della Sardegna, Storia della filosofia morale, Storia della Sardegna e Preistoria e protostoria della Sardegna. Intanto occorre precisare che la Regione ha finanziato le cattedre solo per i primi due o tre anni, dopo di che è subentrata l’Università, che attualmente è l’unico soggetto che mantiene questa offerta fornativa. Del resto, melius abundare quam deficere. Oggi c’è più Sardegna nell’Università. L’Ateneo ha dunque allargato enormemente, non direi troppo, la propria attenzione in questo fondamentale settore di studi, e lo sta facendo investendo risorse proprie, salvo che in una fase iniziale. Per questa politica vorremmo ricevere elogi e riconoscimenti e non già rimproveri.

Da un punto di vista della legittimità, è bene ricorda che l’art. 19 della legge 26 precisa che l’ Amministrazione regionale ha facoltà di finanziare, presso le Università della Sardegna, cattedre universitarie e corsi integrativi, destinati alla formazione del personale docente, da realizzare mediante contratti di diritto privato, volti all’ approfondimento scientifico delle conoscenze relative alla Sardegna prioritariamente nelle aree di cui al comma 2 dell’ articolo 17. Tali cattedre e corsi saranno finanziati secondo le modalità di cui alla legge regionale 8 luglio 1996, n. 28.

Le aree disciplinari indicate in legge sono le seguenti:

a) lingua e letteratura sarde;
b) storia della Sardegna;
c) storia dell’ arte della Sardegna;
d) tradizioni popolari della Sardegna;
e) geografia ed ecologia della Sardegna;
f) diritto, con specifico riferimento alle norme consuetudinarie locali e all’ ordinamento della Regione autonoma della Sardegna.

E' certo che l'investimento sulla lingua è stato insufficiente e dobbiamo recuperare ritardi, ma ciò non toglie un impegno e uno sforzo significativo.

Per quanto concerne il ruolo dell’Osservatorio della Lingua Sarda, dove siamo stati rappresentati prima dal Prof. Giuseppe Meloni, poi dal Prof. Angelo Castellaccio, ritengo debba essere potenziato in modo soddisfacente, nel senso che vorremmo l’Osservatorio più presente sul territorio, più capace di approfondire i problemi e anche di scrivere, discutere e emendare i piani triennali confrontandosi in spirito di apertura corale con le Università e la società civile, avviando reali percorsi di valutazione esterna e obiettiva dei risultati ottenuti in termini di efficacia nel perseguimento degli obiettivi.

Per arrivare al cuore del problema, la discussione di questi mesi è incentrata sulle modalità di realizzazione di corsi di formazione per insegnanti di ogni ordine e grado, finanziati dalla Regione, sui quali siamo pronti a rendere conto alla società civile, a chiedere il vostro aiuto, ad ascoltare i vostri suggerimenti e le vostre critiche. Quello che però non sopportiamo è il metodo del confronto: non si capisce perché quando non si entra nel gregge e si esprimono dei dubbi, delle perplessità, delle proposte concrete sul futuro della lingua sarda (e magari quando si ricorda il tema delle minoranze interne), ci sia l’inveterata abitudine in Sardegna di demonizzare gli avversari. Perciò, stigmatizzo il comportamento di alcuni ‘protagonisti’ del dibattito in corso: alcuni studiosi sono stati anche attaccati pesantemente per le loro legittime opinioni, per giunta da persone che continuano regolarmente a usare l’italiano e che non parlano mai in sardo, che attaccano le persone (non le idee) senza avere la capacità di approfondire davvero il discorso sul piano scientifico. Si ama la Sardegna anche attraverso un profondo rispetto nei confronti dei singoli cittadini sardi.

Anche il tentativo di rappresentare i sardi come pocos, locos e malunidos è un modo gravissimo di svalutare la cultura della Sardegna che dobbiamo assolutamente abbandonare. Dobbiamo dunque partire dal rispetto per i sardi, dal rispetto per le persone, pronti a confrontarci con chiunque, senza rinunciare però al valore aggiunto che ha l’Università, soprattutto un Ateneo storico come il nostro, che compie quest’anno 450 anni di vita e che si mette al servizio dei sardi.

C’è un ultimo aspetto che ci sta a cuore. Il nostro bacino di utenza, assai più di quanto accade per l’Università di Cagliari, include studenti che provengono da aree sardofone, ma anche di espressione sassarese, gallurese e catalana. Insomma, ci troviamo a offrire i nostri servizi a un’area tradizionalmente caratterizzata dalla compresenza di lingue e varietà di lingue, circostanza che ai nostri occhi rappresenta una ricchezza da esaltare e valorizzare.  Come Rettore dell’Università di Sassari, poi, vorrei tranquillizzare tutti sulla volontà dell’Ateneo che rappresento di fare quanto possibile per preservare e valorizzare una simile ricchezza linguistica che la storia ci ha consegnato.

In questa conferenza di Alghero si mette in rilievo in particolare l’esigenza di estendere la presenza della lingua sarda nelle scuole anche attraverso i nuovi media dell’era digitale, attraverso la musica, l’arte, la poesia. Mettiamo a disposizione il sistema e-learnig dell’UNITEL Sardegna, il Consorzio telematico dei due Atenei, mettiamo a disposizione i nostri Centri Linguistici di Ateneo e le nostre risorse intellettuali, con l’unico vincolo di innalzare la qualità dell’insegnamento.

Grazie e auguri a tutti noi