Lettera del Rettore dell'Università di Sassari all'On. Avv Sergio Milia. Il sardo un lingua "normale" di Giuseppe Corongiu.

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Scritto da Administrator | 09 Novembre 2013

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Lettera del prof. Attilio Mastino all’Assessore Regionale alla Pubblica Istruzione sul volume di  Giuseppe Corongiu
Sassari, 27 ottobre 2013

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Caro Assessore,

negli ultimi giorni ho potuto leggere questo volume, che si presenta come un Manuale per chi non ne sa nulla, non conosce la linguistica e vuole sapere di più o cambiare idea, con l'intento sincero di capire le ragioni profonde di una polemica alimentata da Giuseppe Corongiu, direttore del Servizio Lingua Sarda della Regione Autonoma della Sardegna. Debbo dire che il libro non mantiene nessuna delle sue promesse e certamente non rivela le competenze linguistiche di chi l'ha scritto, anzi in diversi punti contiene refusi e veri e propri errori. A prescindere dai contenuti scientifici del tutto inesistenti, l'autore si ritiene costituito ufficialmente come guardiano del tempio dell'ortodossia linguistica e si dedica a dare colpi a tutti coloro che scantonano anche di pochi centimetri dal suo illuminato pensiero. Il resto è costruito tutto sulla bipartizione amici/nemici, attribuendo a questi ultimi riprovevoli e fantasiose posizioni reazionarie e di retroguardia in tema di lingua. Sorprende l'abilità di chi è convinto di rappresentare la sintesi di pensieri diversi, quello dell'Assessore Milia e del Presidente Cappellacci, come già dell'Assessore Mongiu e del Presidente Soru; prima ancora degli Assessori Pasquale Onida e Beniamino Scarpa, sempre e comunque dalla parte del potere. Trovo inspiegabili queste oscillazioni così come appare sorprendente il cambiamento di campo a proposito della Limba Sarda Comuna, dal momento che ho conosciuto Corongiu come sostenitore accanito della Limba de Mesania e in precedenza di altre soluzioni linguistiche.

Per il resto, trovo molte cose banali e perfino condivisibili, anche se la ricostruzione della “questione linguistica” in chiave anti-accademica viene fatta con molta ingenuità e con l’obiettivo scoperto di finalizzare la storia del mondo alla provvidenziale e illuminata azione di Giuseppe Corongiu, nuovo Alessandro Manzoni. Eppure proprio Manzoni è criticato per il ruolo verticistico assunto nella nascita della lingua italiana standard e a p. 156 si condannano coloro che hanno voluto normalizzare l’italiano e si apprezza la posizione più democratica a favore del multilinguismo di Graziadio Isaia Ascoli.

Trovo però del tutto inaccettabile il tono aggressivo verso <<gli accademici nichilisti e carichi – chissà perché – d’invidia>> e l’attacco frontale ai docenti dell’Università di Sassari additati come <<nemici del bilinguismo>>, con una ricostruzione dei fatti (penso alla Conferenza di Alghero del 10 dicembre 2011) decisamente scorretta. L’incontro è stato certo vivace, ma nessuna polemica si è svolta nei miei confronti, quando ho citato una frase di un mio zio poeta sardo Giovanni Nurchi, oppure quando ho ricordato il mio maestro Giovanni Lilliu oppure quando ho richiamato la mia antica appartenenza alla Sotziedade de sa limba sarda e la mia specializzazione in Studi Sardi (dove ha insegnato Antonio Sanna), infine quando ho esibito la deliberazione del Consiglio Comunale di Bosa approvata nel lontano 1976 su mia proposta, in difesa del bilinguismo.

Dunque non posso essere certo indicato come uno dei  “nemici” su cui si appunta la vis polemica di Corongiu (che ce l’ha soprattutto con i comunisti) e non si tratta di una questione personale.

La ricostruzione della “questione della lingua” tutta formulata in senso finalistico e provvidenzialistico appare ingenua e vittimistica, oltre che del tutto autoreferenziale. Soprattutto sullo sfondo c’è un giudizio disastroso e non condivisibile sulla lingua sarda, <<che ha avuto solo brevi momenti storici di ufficialità e secoli bui di considerazione esclusivamente dialettale di natura antropologica e folclorica, compreso l’attuale>>. E’ ovviamente un patriota che parla delle cose che ama, con quello che lui stesso definisce un <<livore e una foga antiaccademica>>.

Semmai trovo pericolosissime alcune posizioni assunte da Corongiu su diverse questioni e mi sembra vada ribaltata l’accusa rivolta agli <<assassini del sardo>>, che a mio avviso sono quelli che vogliono abbandonare la difesa della ricchezza linguistica e della profondità storica di una lingua che non può essere disprezzata per la sua immaginaria storia di <<frammentazione linguistica dialettale>>..

Innanzi tutto l’autore si propone intelligentemente di amputare la letteratura sarda, cancellando le opere di coloro che hanno scritto anche in italiano (penso a Grazia Deledda), anche in latino (penso alla Divi Gavini tragoedia attribuita proprio a Gerolamo Araolla, erroneamente citato come vescovo di Bosa), in castigliano, in catalano, in altre lingue. Penso anche a Los diez libros de Fortuna de amor, un’opera di Antonio Lo Frasso tra castigliano, catalano, italiano e sardo.

Infine appaiono francamente inaccettabili i plotoni di esecuzione e le raffiche di mitragliatrice utilizzate per scomunicare gente come il canonico Giovanni Spano, Emilio Lussu, Michelangelo Pira, fino all’<<amletico>> Antonio Sanna e a Eduardo Blasco Ferrer.

Mi ha però colpito l’idea di relegare ad ambito dialettale la lingua di Bitti o quella di Bonorva o quella di Quartu, alla ricerca di una ipotetica LSC standard e normale, più autorevole della tradizionale <<accozzaglia di dialetti>> visti con disprezzo e superiorità davvero coloniale. La Limba Sarda Comuna nascerebbe solo a condizione di rinnegare quelle che Corongiu terroristicamente considera <<le 377 parlate isolane>> e soprattutto di respingere la bipartizione della lingua sarda <<biforcuta>> tra Logudorese e Campidanese. La strada sarebbe quella di immaginare una LSC con più espressioni “meridionali” (termine con il quale si fa rientrare dalla finestra l’odiato ampi danese), rispetto a quante non fossero presenti nella originaria proposta di Limba de mesania o nella Limba Sarda Unificada.

Non fa parte della nostra cultura accettare espressioni irrispettose nei confronti della lingua sarda. Non è nella nostra educazione culturale l’autolesionismo e la politica della esclusione nei confronti di chi la pensa diversamente, sia pur impegnato verso obiettivi comuni. Ho trovato poi offensivi i giudizi rivolti verso i premi letterari (p. 72), che sarebbero voluti dalla <<cultura egemone>> per solleticare <<il poeta dopolavorista>>, che <<non ha pretese di politica linguistica, è un subalterno, uno che vive ai margini del mondo culturale>>, uno che <<si auto-ghettizza da sé, senza bisogno di intervento dall’alto>>.

Espressioni che hanno il sapore amaro dell’intolleranza e del disprezzo e che sono in contraddizione con le politiche regionali.

Si può concordare con l’esigenza di difendere l’unitarietà della lingua sarda, ma senza stringerla in un abbraccio mortale, uccidendo la diversità e la profondità della storia: il Suo Assessorato ha fatto intelligentemente molto attraverso gli sportelli linguistici e la presenza diffusa sul territorio proprio in questa direzione.

L’Università di Sassari ha collocato la difesa della lingua sarda nel nuovo statuto e ha inteso operare positivamente con il Progetto di formazione ‘Il Sardo a scuola’ per gli insegnanti, finalmente approvato dal Suo Assessorato in quanto <<congruo con le linee guida del Piano triennale 2008-10>>. Eppure sappiamo quanti ostacoli sono stati frapposti, tanto che le somme destinate a tale attività, relative all’esercizio finanziario 2008, sono cadute in perenzione; il capitolo al momento non è stato ripristinato, per via del Patto di stabilità. Nella relazione per l’inaugurazione dell’Anno Accademico dirò che <<in rapporto a recenti polemiche, l’Ateneo ribadisce la volontà di battersi in difesa del bilinguismo e per la promozione della lingua sarda>>. Credo ci sia necessità di una maggiore integrazione tra politiche universitarie e politiche linguistiche regionali. L'Università è una risorsa. Non c'è futuro senza l'Università per la Sardegna e per il Paese. L'Università è innanzi tutto al servizio della Sardegna.

Eppure Corongiu insiste e sostiene a p. 133 che <<l’Università di Sassari, nel 2011, ha preso posizione contraria all’uso della lingua veicolare nella formazione degli insegnanti, bloccando di fatto la programmazione regionale e la creazione di un albo di docenti in materia di lingua minoritaria>>. Tali affermazioni sono state smentite proprio dal Suo Assessorato.

Anche nel citato incontro di Alghero avevo precisato: <<Al di là delle dichiarazioni di principio, voglio ribadire anche in quest’occasione che l’Università di Sassari è fortemente impegnata per la difesa della lingua sarda come lingua dell’oggi e del domani, come segno di identità e come elemento distintivo per le culture della Sardegna. L’Università di Sassari prende l’impegno per difendere e qualificare l’insegnamento delle lingue minoritarie e della lingua sarda nel nostro Ateneo al servizio della scuola sarda. L’Università non si sottrae all’impegno e alle responsabilità che si è assunta votando nell’Osservatorio il piano triennale, ma naturalmente chiede che la Regione abbia la piena consapevolezza della complessità dei problemi e dello specifico apporto dell’Università, che impone un metodo scientifico, una competenza, un’accertata autorevolezza ma anche una passione e un interesse forte. Sullo sfondo si muovono altri problemi che  vanno ben oltre la lingua e la cultura della Sardegna.

C’è , in particolare, il tema della sovranità della Sardegna, una sovranità che non può che partire dalla difesa e dalla valorizzazione del patrimonio culturale, in particolare delle lingue delle minoranze che raccontano, specie il sardo, di una millenaria tradizione linguistica che parte dall’età romana, attraversa l’età bizantina, l’età giudicale, l’età catalano‑aragonese, l’età spagnola per arrivare ai giorni nostri: con moltissimi problemi e anche, se mi consentite, con un progressivo impoverimento interno e con un ampliamento della complessità dei rapporti con le altre lingue che si  sono succedute in Sardegna e  con quelle che  fanno parte del nostro bagaglio di uomini di oggi. La lingua sarda è stata pensiero, riflessione, strumento per intendere la realtà, per entrare in comunicazione con gli altri sardi, in una comunicazione orizzontale profonda>>.

E ancora: <<La commissione lingua sarda della Università di Sassari si mette al servizio della Sardegna e può contribuire a radicare delle competenze diffuse sulle quali si deve costruire una politica linguistica per il futuro. Per quanto concerne le posizioni scientifiche sulle quali l’Università di Sassari si sta attestando, sono convinto che non siano di retroguardia, tutt’altro: penso anzi che il lavoro linguistico che si è fatto in Sardegna in questi anni ci metta ai primi posti in Europa come laboratorio di soluzioni fondate sulla problematicità del territorio. Occorre quindi partire dall’orgoglio per il livello fin qui raggiunto dagli studi universitari, ma anche dalla riflessione di taluni appassionati, nel campo della tutela delle lingue minoritarie. Questo anche grazie all’attività della Regione, che pure è arrivata in ritardo a confrontarsi su questi temi. Anche il tentativo di rappresentare i sardi come pocos, locos e malunidos è un modo gravissimo di svalutare la cultura della Sardegna che dobbiamo assolutamente abbandonare. Dobbiamo dunque partire dal rispetto per i sardi, dal rispetto per le persone, pronti a confrontarci con chiunque, senza rinunciare però al valore aggiunto che ha l’Università, soprattutto un Ateneo storico come il nostro, che compie quest’anno 450 anni di vita e che si mette al servizio dei sardi. C’è un ultimo aspetto che ci sta a cuore. Il nostro bacino di utenza, assai più di quanto accade per l’Università di Cagliari, include studenti che provengono da aree sardofone, ma anche di espressione sassarese, gallurese e catalana. Insomma, ci troviamo a offrire i nostri servizi a un’area tradizionalmente caratterizzata dalla compresenza di lingue e varietà di lingue, circostanza che ai nostri occhi rappresenta una ricchezza da esaltare e valorizzare. Come Rettore dell’Università di Sassari, poi, vorrei tranquillizzare tutti sulla volontà dell’Ateneo che rappresento di fare quanto possibile per preservare e valorizzare una simile ricchezza linguistica che la storia ci ha consegnato>>.

Il nostro Ateneo vanta una tradizione di studi in materia di Lingua Sarda: penso a Massimo Pittau, Nicola Tanda, Giulio Paulis, Giovanni Lupinu, ma anche a tanti altri, più o meno strutturati e incardinati nell’Accademia (a p. 118 l’autore cita anche Dino Manca, Fiorenzo Toso, Carlo Schirru). Di conseguenza non posso accettare, in qualità di Rettore, giudizi offensivi che l’immagine e il prestigio dell’Ateneo ci autorizzano a rifiutare.

Credo che ciascuno sia libero di scrivere e di pubblicare quello che crede: il rischio è però che la posizione di Corongiu direttore del Servizio Lingua Sarda venga confusa con la posizione dell’Assessore e della Regione Sarda, che vorrei venisse precisata in sede ufficiale.