Tonino Oppes, La memoria ha il sapore di menta, Storie di Pozzomaggiore, da via Amsicora a Nova Giolka.

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Scritto da Administrator | 12 Gennaio 2016

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Tonino Oppes, La memoria ha il sapore di menta, Storie di Pozzomaggiore, da via Amsicora a Nova Giolka, Cagliari 2008, Edizioni domus de janas

Questa nuova fatica di Tonino Oppes è un omaggio al suo dolce paese, un luogo tanto amato e presente nel ricordo e nella mente anche quando l’autore si trova a chilometri di distanza, guardandolo con rimpianto dalla città lontana: un luogo di cui Tonino porta sempre con se nel cuore le immagini, i suoni, i profumi, i sapori forti, come l’orecchio abbrustolito del maiale con le setole carbonizzate oppure la caramella dal sapore di menta avvolta in una carta trasparente e sottilissima che gustava con gioia quand’era bambino.

Sfogliando queste pagine ho pensato anch’io alla mia infanzia lontana, ai tempi in cui a Bosa all’asilo ci azzuffavamo bambini per raccogliere le caramelle che il vescovo mons. Nicolò Frazioli gettava dalla finestra più alta che si affacciava sul salone e poi di sera andavamo a comprare per una lira le liquirizie esposte nelle vetrine del negozio dei Mascagnina al Corso Vittorio Emanuele; oppure a pranzo d’estate in spiaggia quando mangiavamo i maccheroni con il sapore della sabbia.

Tempi in cui si legavano i cani con la salsiccia, direbbe mio padre, tempi che Tonino Oppes ci fa rivivere con immediatezza in un viaggio a ritroso nel tempo, sorvolando d’un colpo su oltre 50 anni, con semplicità e con una prodigiosa capacità di ricordare i nomi, le figure caratteristiche, le situazioni, attraverso le fotografie, attraverso i documenti o anche attraverso le lapidi del cimitero come in una nuova Spoon River di Edgard Lee Masters: dubito che io potrei mai riuscire a ricostruire con tanta ricchezza di dettagli e con tanti particolari l’ambiente in cui si è svolta la mia infanzia a Bosa, dubito che chiunque potrebbe riuscire a restituirci un affresco tanto delicato e positivo, ricordando il mondo brulicante di vita sulla via Amsicora, ad iniziare dai giochi, la trottola, la luna monta, le palline a garici e boccia, nel salone parrocchiale il ping pong, il calcio balilla; e poi la scuola con i tanti maestri che si sono alternati, i bidelli e gli alunni; i campeggi a Tramariglio, i momenti di gioia e di lutto che scandiscono la vita di un paese vivace e allegro. Un libro che descrive l’epopea di Pozzomaggiore, l’ha definito ieri delicatamente su L’Unione Sarda Giuseppe Marci, mentre su La Nuova Sardegna Emidio Muroni parlava di un viaggio nel passato alla ricerca di senso per la vita di tutti.

Nella scrittura tradizionale sarda, non manca la letteratura del ricordo, come lo stesso Padre Padrone per Gavino Ledda, con un paese, Siligo, immaginato come abitato da disperati, lo spazio di tante tragedie quotidiane, il luogo del freddo e del caldo torrido: il paese letterario conosce insieme la lotta per la sopravvivenza, la tragedia del vivere quotidiano, la sofferenza di una società che sembra immobile e fuori dalla storia, afflitta dal gelo e dalla pioggia, dalle cavallette e dalle malattie.

Il paese di Pozzomaggiore descritto da Tonino Oppes è un paese diverso, un paese solare, un paese più complesso e più positivo, un paese nel quale in realtà ci sono tante cose da amare, che si ricordano con la dolcezza di chi è stato accolto senza riserve e che ancora ritorna per ritrovare il clima di accoglienza, l’amicizia, l’affetto profondo di chi l’ha conosciuto davvero. C’è in queste pagine il piacere dello stare insieme e dell’incontrarsi, per combattere la solitudine ed il silenzio, c’è il rapporto con la campagna e l’amore per i cavalli; c’è più ancora il senso di una comunità forte della quale si continua a far parte anche quando fisicamente si è lontani.

E allora il difficile dopoguerra in una comunità povera ma solidale e non disperata, l’arrivo dell’acqua nelle case, della corrente elettrica, poi della radio e della televisione; i momenti di divertimento dopo i disagi della guerra, i balli, il gioco a carte, il bere in compagnia. Già Vittorio Angius nel Dizionario del Casalis all’inizio dell’Ottocento considerava una delle caratteristiche principali di Pozzomaggiore le ricreazioni tradizionali – così le chiamava - della danza e del canto; <<molti però aman meglio le carte – aggiungeva – e fanno allora gran consumo di vino>>. E ancora le tradizioni popolari, i matrimoni, i battesimi, i momenti di lutto; la cucina tradizionale, le superstizioni, il malocchio, l’assistenza sanitaria ancora primitiva ma spesso efficace. E poi il lavoro dei campi, l’aratro a buoi, la trebbiatura, la tosatura, la marchiatura del bestiame, con il marchio incandescente o con le forbici, una pratica un poco barbarica che io stesso ho osservato con qualche dispiacere come delegato del sindaco di Bosa ancora negli anni 70. Qualche anno fa a Tresnuraghes non capivo da dove venisse la competenza di Tonino nella pratica dell’uccisione del maiale per la preparazione dei salami e delle salsicce ed ora scopro che il nonno era uno dei più celebri occhidores de porcu del paese. E poi le vendemmie, i giochi, il circo Zanfretta, lo sport, il calcio in particolare in FIGC e nel CSI. I gruppi musicali, i balli, gli spuntini a Bonuighinu di Mara oppure a sa Sea di Padria, a Nadduzzu, a Planu ‘e Murtas, le terre contese al confine col comune di Padria. La corsa degli asinelli, vinta sempre da Listrone, l’asino che correva come un cavallo, e le tante occasioni per competizioni e per scherzi che nel ricordo perdono la crudeltà originaria.

Ho trovato straordinaria la descrizione della misteriosa buttega de tia Bainza, con i sacchi di fagioli, ceci e fave, la bilancia, i ganci con appeso il baccalà salato, la pasta nei cassetti, le giare per le olive, immagini che ritrovo anche nella mia infanzia, nella bottega di Flavio Chelo a Bosa.

Infine la poesia popolare, esito di una sapienza secolare e vitale elemento di critica sociale e di incontro.

Tonino Oppes ha raccontato spesso le paristorias, le tante leggende che hanno animato la vita dei bambini di Pozzomaggiore, con quell’incredibile senso della meraviglia e del mistero, dell’incanto che supera la paura o il terrore, che nutre l’immaginario collettivo e fa sviluppare intelligenza e sensibilità: la curiosità, il senso della famiglia e del gruppo affiatato, la ricerca di nuovi amici, la voglia di confrontarsi con gli altri, le delizie dell’infanzia di fronte all’ignoto ed al mondo della magia.

Tutti sanno che i pascoli di Pozzomaggiore come quelli del Marghine sono tra i più grassi della Sardegna, come testimonia la produzione del formaggio ed il numero dei capi di bestiame, in particolare bovini, pecore, più ancora – una cosa che mi ha sempre incuriosito – i cavalli, con le tradizioni equestri che culminano nella festa del santo guerriero, l’imperatore Costantino Magno, che attraverso l’ardia di Sedilo ci conduce all’organizzazione militare bizantina in Sardegna tra Romania e Barbaria. Scorrono in queste pagine le immagini di pastori, contadini, muratori, fabbricanti di coltelli, operai, barbieri, calzolai, ambulanti, persone tutte con una propria esperienza riconosciuta ed apprezzata, con una specializzazione che ne faceva tanti cardini e fondamenti della comunità.

E infine i monumenti, le chiese, la parrocchiale di S. Giorgio e S. Antonio Abate con il convento degli Agostiniani, con il campanile e la croce davanti alla quale i condannati a morte si inginocchiavano poco prima dell’esecuzione, luoghi che fanno da scenario alle tante feste popolari, alle rappresentazioni di teatro popolare con la partecipazione delle confraternite o del coro sardo. Tonino Oppes è convinto che molte delle storie di Pozzomaggiore passano attraverso l’impegno della chiesa, don Castagna, don Cuccuru, don Pischedda, don Fadda, i sacerdoti che hanno testimoniato un’attenzione per i poveri, per i bambini, per gli anziani. E poi la piazza maggiore per il carnevale, vero e proprio momento di teatro popolare, così intenso partecipato e vivace, che ha tanto in comune con altri carnevali sardi.

Anche la partenza degli emigranti per la Francia, financo per gli Stati Uniti e per l’Australia ha un sapore diverso, il senso di una vita che ricomincia, mantenendo sempre legami e rapporti anche al di là degli oceani. Ci sono parenti che raggiungono i loro cari per matrimoni o nascite, ci sono musicisti ed artisti che uniscono idealmente Annemasse a Pozzomaggiore, ci sono gruppi di compaesani che mantengono una propria forte identità anche in terra straniera. Anche in questo caso, c’è un’incredibile distanza dalla disperazione di Siligo. Il libro di Gavino Ledda termina con le drammatiche pagine dedicate agli emigranti che partono per l’Australia: la miseria, il dolore, ma anche la rabbia di chi parte e di chi resta, in quello che l’autore descrive come un funerale doppio, dove i morti sono ancora vivi e dove gli abitanti di Siligo che rimangono accompagnano all’autobus, come al camposanto, i parenti che partono per sempre; e dove gli emigranti pensano di partecipare al funerale di quelli che restano, condannati ad una miseria senza scampo.

Il viaggio verso il posto di lavoro con la valigia di cartone perde nelle pagine di Tonino Oppes il suo aspetto più tragico; c’è certo il dolore, la nostalgia, la sofferenza profonda di chi vede sgretolarsi una comunità di fronte alle ondate dell’emigrazione, ma c’è anche apprezzamento per la capacità dei giovani di Pozzomaggiore di costruirsi una vita nuova, di farsi conoscere all’estero, di ricreare fuori dalla Sardegna un ambiente, un paesaggio, una comunità in una dimensione parallela al microscopico paese d’origine, come presso il bar di Madame Depres ad Annemasse. Possiamo seguire i successi dei compaesani lontani, fino alla competizione olimpica a Pechino della nipote degli Ezzis Mélanie Noel. E allora le migliaia di aneddoti sulle tante storie degli emigranti, la loro ingenuità, la loro semplicità, i loro sogni ambiziosi, la voglia forte di crescere e di affermarsi per tutti, la simpatia con la quale si seguono successi e delusioni, il senso di una comunità che continua a proteggere chi è lontano e che in qualche modo la rappresenta ancora.

Scorrono in queste straordinarie immagini situazioni e momenti diversi di una comunità ricca, piena di sentimenti, di passioni, di sogni, di devozione popolare, di interessi politici: all’Università il povero Don Bellu, storico della DC, ci ha insegnato il ruolo critico e positivo che il Gruppo di Pozzomaggiore ha svolto nell’ACI prima e poi nella nascita della Democrazia Cristiana in Sardegna, già durante l’ultima fase della guerra fascista: in particolare Don Angelico Fadda, parroco dal 1927, fu l’animatore di un movimento spesso di dissenso, fortemente impegnato in iniziative di carattere sociale, nel campo dell’assistenza all’infanzia, alla vecchiaia, ai lavoratori bisognosi. Le colonie marine e montane, i monti frumentari, le conferenze di carità, i medicinali per i poveri, una prodigiosa azione di promozione sociale. E poi gli incontri politici delle notti pozzomaggioresi fin dal maggio 43, come si esprime don Salvatore Fiori, con Pietrino Fadda, fratello del parroco e futuro parlamentare, Giuseppe Masia, che sarebbe diventato consigliere e assessore regionale, Salvatore Dettori, Don Pasquale Cuccuru. Questo, per riconoscimento degli storici, fu il gruppo più precoce e intelligente dei politici antifascisti, fondatori in Sardegna di una DC fortemente aperta alle istanze sociali, tanto da essere accusati talora di comunismo, separatismo, esasperato antifascismo. Un partito grande e sensibile alle istanze sociali, capace di interpretare il senso del mondo nuovo che arriva.

Qualche breve nota è dedicata in questo volume al pozzomaggiorese più illustre a quel generale dell’aeronautica fondata da Italo Balbo, Pietro Pinna Parpaglia alto commissario per la Sardegna dal 1944 al 1949, alle origini della Regione Autonoma: un personaggio che proveniva da una famiglia di antica nobiltà, prigioniero in Etiopia, in India e negli Stati Uniti. Subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 egli si adoperò per la costituzione di reparti combattenti al fianco degli Alleati, proponendone contemporaneamente il progetto allo stesso Presidente Franklin Delano Roosevelt. Rimandato in Italia fu nominato dal governo militare alleato Alto Commissario per la Sardegna, incarico che tenne con grande equilibrio fino al 1949, promuovendo la nascita dell’autonomia regionale.

Compaiono in questo volume anche i sindaci, come Luisa Meloni, Peppe Pinna Parpaglia, Angelino Cossu, ora Tonino Pischedda e tantissimi altri protagonisti della vita del paese.

Tonino Oppes testimonia ogni giorno nel suo lavoro di giornalista RAI, nella sua passione di studioso e di intellettuale, l’interesse per i piccoli comuni, l’impegno per combattere la polarizzazione della Sardegna, per salvare il patrimonio di valori della campagna, per continuare a seguire dall’interno le tante piccole storie delle comunità minori, che hanno una loro dignità profonda e che lo spopolamento rischia di compromettere. Dunque il ruolo della memoria è decisivo e può svolgere una feconda azione di aggregazione e di lievito: questo volume è un modo appassionato per dire che questo paese disteso sulla collina come un vecchio addormentato ha una sua precisa fisionomia ed una sua identità, non può essere condannato ad una perpetua malattia, alla noia, all'abbandono, al niente. I cittadini di Pozzomaggiore non possono essere votati alla disgregazione, alla fuga ed alla nostalgia. Ben vengano dunque le idee, i progetti, le novità, per costruire un paese più moderno, ma sempre consapevoli della ricchezza che abbiamo alle spalle e nel rispetto di una identità, di una realtà nobile e delicata, di un'eredità che non è fatta solo di pietre e che non si può disperdere al vento in vista di un'utilità immediata. Nel paese che cambia, la miniera dei ricordi rappresenta lo scrigno che conserva un patrimonio di affetti e di emozioni che ora possono veramente diventare il punto di partenza per costruire una comunità solidale.