Municipal promotions in Africa Proconsularis and Numidia between Caesar and Gallienus: institutions, society, economy
Sassari, 12 settembre 2025
Conclusioni di Attilio Mastino
Con questa importante serie di relazioni concludiamo di stamane una ricchissima tre giorni voluta dal Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali in particolare dal prof. Antonio Ibba e dal prof. Antonio M. Corda del Dipartimento di Lettere, Lingue e BB CC, nell’ambito del progetto biennale PRIN tra le Università di Sassari, Cagliari, Catania, Molise, Verona: il tema è stato sintetizzato e anticipato su Caster 9 da Lucia Rainone, nell’articolo sulle promozioni municipali in Africa e in Numidia prima di Gallieno, alla vigilia di quella che chiamiamo, forse impropriamente, la progressiva dissoluzione della pertica di Cartagine; in termini differenti – solo apparentemente in senso contrario – possiamo parlare con Claude Lepelley di un nivellement du monde romain à partir du IIIe siècle e di una marginalisation des droits locaux.
Già nell’apertura, abbiamo ricordato che non è senza significatro il fatto che i nostri lavori si siano svolti in questa bella aula che ricorda Fiorenzo Toso, linguista del ponente ligure ma radicato in Sardegna in particolare a Calasetta e a Carloforte oltre che a Sassari, scomparso nel settembre di tre anni fa: Toso ha lavorato a lungo a Genova ed a Thabaraca, ha collaborato con Monique Longerstay, la moglie del compianto Jehan Desanges, presidente dell’Associazione “Le pays vert” che ha operato attivamente tra la Tunisia, la Sardegna e la Liguria e non solo. Scrivendomi pochi giorni dopo la scomparsa di Fiorenzo, Monique mi raccontava il suo dolore per la notizia che aveva avuto da Remigio Scopelliti di Calasetta, ex sindaco e attore famoso da noi, incaricato a svolgere questo pietoso incarico dal nostro collega nei suoi ultimi giorni, quando a 60 anni sentiva arrivare la fine e voleva essere sicuro di esser ricordato agli amici.
Del resto ospitare a Sassari questo incontro che raccoglie tanti studiosi, storici, epigrafisti, archeologi, geografi e giuristi, divisi in cinque affiatate unità operative che hanno lavorato insieme per anni sui temi che amiamo ha un significato ancora maggiore perché ci troviamo in una delle appendici di quella Caserma Ciancilla dove si svolse la prima sessione dei convegni de L’Africa Romana nel dicembre 1983 (con la conferenza di Hedi Slim), fortemente voluta dal nostro maestro Marcel Le Glay, scomparso nel 1992, con gli atti pubblicati a spese della ricerca ministeriale coordinata da Sandro Schipani e dedicata all’impero universale. Ho sentito Sandro nei giorni scorsi, sta per concludere l’edizione integrale della traduzione del Digesto e vi saluta tutti con affetto; voleva raggiungermi martedì alla Scuola Danese per la presentazione fatta da Frédéric Hurlet del volume su Cartagine romana (Roman Carthage: a Reappraisal dedited by Jesper Carlsen & John Lund, Quasar, Roma 2024). Beh, l’ho dispensato.
Infine ci emoziona la presenza con noi di Mireille Corbier, direttrice de L’Anné épigraphique, che dà un sapore speciale a questo incontro, con tanta ironia e amicizia: in particolare per me riportandomi a Place Panlevé e ai luoghi di una Parigi che abbiamo continuato a frequentare, la Sorbonne e le sue biblioteche, il Centre Glotz con André Chastagnol e Michel Christol, Paris IV di Marcel Le Glay, la Biblioteca di Diritto Romano al Panthéon-Sorbonne, l’Ecole Normale Supérieure con René Rebuffat e Ginette Di Vita Evrard, il Centre d’information et de documentation del CNRS «Année épigraphique-Fonds Pflaum», che ha continuato ad invitarmi dal 1982, quando con Mireille ci conoscemmo a Roma al convegno su Epigrafia e ordine senatorio. A Sassari Mireille è stata più volte dal 1985 con la relazione al III convegno de L’Africa Romana nell’Aula Magna dell’Ateneo con la straordinaria riflessione su L’évergetisme de l’eau en Afrique: Gargilianus et l’aqueduc de Cirta; ma poi nel 1989 per il VII convegno con l’articolo Usages publics du vocabulaire de la parenté: patronus et alumnus de la cité dans l’Afrique romaine. In questo senso il suo è davvero un ritorno graditissimo. Del resto sono seguiti tanti altri momenti, ma voglio ricordare almeno l’ultima occasione per la conferenza di Maurice Aymad su un’altra isola, a Palermo nel marzo dell’anno scorso e la presentazione nella notte del Museo Archeologico Regionale «Antonino Salinas» fatta da lei, da me e da Caterina Greco per il convegno del Centro iniziativa democratica insegnanti CIDI “Esser vasto e diverso, e insieme fisso – Per un Mediterraneo mare di Pace”. Tema che continua ad avere una sua incredibile attualità in queste ultime settimane, quando idealmente siamo nel porto di Sidi Bou Said, al fianco della flotilla global sumud.
Molti studiosi ci hanno seguito on line e siamo stati accolti dal sorriso della direttrice del Dipartimento di scienze umanistiche e sociali Lucia Cardone. Sono seguiti i saluti di Moheddine Chaouali dell’INP, della Scuola archeologica italiana di Cartagine presieduta ora da Anna Depalmas e de L’Année épigraphique (indirettamente dell’Ecole Française de Rome e del Centro Antonino di Vita di Macerata oltre che delle istituzioni berlinesi). Questa è stata anche l’occasione per presentare i nuovi volumi, quello di Sergio Ribichini per i primi 9 anni della SAIC offerto da Antonio Corda oppure il volume XXIII della Rivista Africa pubblicato dal Ministére des Affaires Culturelles della Tunisia dedicato a Zama Regia e offerto da Moheddine Chaouali, anche per conto di Féthi Bejaoui, Mohamed Sebai e Sondès Douggui Roux. Infine il sorprendente Spatha, spada, épéee, Ideologia e prassi curato per UNICApress da Danila Artizzu, Antonio M. Corda e Michel-Yves Perrin.
Se torniamo al tema del nostro incontro, a questa problematica indirizzata verso l’età imperiale romana ed ora affrontata in modo unitario, la municipalizzazione del Nord Africa, Antonio Ibba ha tracciato in apertura una bella storia degli studi, per cui mi sento dispensato dall’approfondire il tema, limitandomi a ricordare almeno il pioniere Jacques Gascou, con il celebre libro di 53 anni fa, per il periodo tra Traiano (in realtà dai Flavi) fino ai Severi: La politique municipale de l’Empire romain en Afrique proconsulaire de Trajan à Septime-Sévère: al momento della sua pubblicazione nel 1972 l’opera era sembrata addirittura perfetta a Paul Petit (<<Il y fait preuve d’une grande érudition et la présentation de son travail est perfaite>>). In realtà non era così e l’esigenza di un approfondimento era apparsa però immediata se ancora Gascou ampliava il tema su Ausftieg un Niedergang del römische Welt, II, 10,2, 1982, con i due celebri articoli sulla politica municipale di Roma in Africa del Nord, il primo dalla morte di Augusto all’inizio del III secolo e il secondo successivo alla morte di Settimio Severo, tornando sul tema in successive occasioni: Antonio Ibba ha ricordato la bella festa Strena Tunetana celebrata a Sassari tra il 30 settembre e il 4 ottobre 2004 per la laurea honoris causa di Azedine Beschaouch, fino allo sbarco tempestoso nella Grotta di Nettuno nel Golfo delle Ninfe, con l’impavido René Rebuffat che ha rischiato l’annegamento nel mare d’occidente. Del resto la riflessione di Gascou era stata solo il momento iniziale di un approfondimento che ha coinvolto poi i maggiori specialisti internazionali, che si sono alternati sul piano dell’impostazione ragionata del tema così come gli studi specifici su tante località del Nord Africa, civitates, pagi, municipi latini o romani, colonie, lo Ius Italicum, che hanno visto coinvolti molti di noi e che fanno parte della nostra storia e del nostro cuore, soprattutto su singole geografie in Libia, in Tunisia, in Algeria, in Marocco: in totale ben 177 centri, che sono convinto rappresentano solo una parte della urbanizzazione antica. Rinuncio a leggere questa parte del mio testo sulla storia degli studi e del resto mi sembra superfluo fermarmi ora sulle mille novità da Uchi Maius, Numluli, Thignica, Uthina, Cartagine, Mactaris e tanti altri centri del Capo Bon, da ultimo grazie all’impegno di Mounir Fantar, di Moheddine Chaouali, di Samir Aounallah: ne abbiamo parlato all’Accademia Danese tre giorni fa (Roman Carthage: a Reappraisal dedited by Jesper Carlsen & John Lund, Quasar, Roma 2024), sempre cercando le specificità locali (penso alla Confederazione Cirtense) e i confronti con altre province, la penisola iberica, il Danubio, l’Oriente, consapevoli che le politiche locali rispondono ad esigenze profonde, si legano alle geografie, alla collocazione dei latifondi, delle miniere, degli agri rudes, delle attività economiche connesse ad esempio alla pesca e ai traffici marittimi: il diritto e la storia sono esito di tradizioni legate ai territori e ai loro rapporti. Mi limiterei a ricordare che il X convegno de L’Africa Romana svoltosi a Sassari nel 1992, è stato dedicato al tema della civitas, l’organizzazione dello spazio urbano nelle province romane del Nord Africa e nella Sardegna, con importanti interventi tra gli altri di Noel Duval, M’hamed Fantar, Edouard Lipinski, Iohannes Irmscher, René Rebuffat, Ahmed Siraj, Yann Le Bohec, Antonino Di Vita, Michel Christol, José Maria Bazquez Martinez, Naidé Ferchiou, Pierre Salama, Lidio Gasperini e tanti altri. Ma i successivi incontri non hanno mai trascurato il tema delle colonizzazioni, delle immigrazioni, degli scambi di popolazione, la relazione tra urbanistica, catasto rurale e ordinamento giuridico nel rapporto dialettico non sempre evidente tra preesistenze e nuova organizzazione romana, civile e militare, e poi i momenti di crisi. Mi rendo ben conto che rischio di restare troppo sulla superficie, rispetto alla ricchezza di contributi che sono stati forniti in questa e in altre sedi e che le vostre relazioni hanno messo in evidenza, scendendo nel dettaglio, talora con un sorprendente realismo e con un dibattito illuminante che spesso, come a proposito dello Ius Italicum – ha consentito di intravvedere divaricazioni e differenze di non poco conto.
Conoscendo gli studi degli ultimi anni e ascoltando le vostre relazioni tanto innovative e sempre più radicate sulla conoscenza dei luoghi colpiscono le novità, gli approfondimenti, perfino i dubbi, perché lungo è stato il cammino, molte le variabili introdotte, gigantesco il tema della complessità delle questioni giuridiche e istituzionali, anche dei limiti delle nostre conoscenze sul tema della storia istituzionale dei singoli centri africani, in un ambito ben più largo: la novità è ovviamente rappresentata dalla disponibilità di nuove banche dati informatiche, che hanno permesso un accesso molto più ampio alla documentazione epigrafica, un ordinamento più razionale, un’immediata possibilità di confronto. Pochi mesi fa è scomparso l’amico Manfred Clauss (professore di Storia antica alla Johann Wolfgang Goethe-Universität di Francoforte), promotore di quello straordinario strumento informatico che è l’Epigraphic database Clauss/Slaby : si tratta di un passo in avanti fondamentale utile per il nostro lavoro, intanto perché abbraccia l’intero orbe romano e poi perché dà conto in tempo reale di novità e inediti di grandissimo rilievo. La dimensione universale dell’ecumene romana è ben testimoniata dalle carte di sintesi dell’EDCS, che consentono una gestione interattiva e si affiancano a statistiche incrociate, a grafici, ad approfondimenti locali, sulle istituzioni, sui formulari, sulle tradizioni letterarie: questa banca dati epigrafica testimonia il rapporto tra la storia e la geografia e impone di valutare le ragioni che stanno alla base delle differenze sostanziali esistenti tra le province, pur in un ambito di progressiva convergenza. Oggi abbiamo veri e propri <<marcatori territoriali », che mettono insieme lo sfondo unitario e le differenze locali sulla base di oltre 862 mila record per 537 mila iscrizioni e 23 mila località, 230 mila foto (dati al 30 agosto scorso). Sappiamo tutti che siamo ancora molto indietro e che questi numeri cresceranno con le nuove scoperte. Tutto ciò ha fornito agli studiosi uno strumento potente che si affianca alle altre banche dati, alle indagini archeologiche, che sono state più volte richiamante in questi nostri lavori. Penso alla numismatica, alla papirologia, all’urbanistica antica, alla topografia, al diritto romano. I nostri colleghi hanno lavorato soprattutto con altre banche dati digitali e prodotto modelli in 3 D e annunciano ulteriori obiettivi davvero promettenti: lavorando sempre per una ricostruzione realistica del Mediterraneo antico, per definire questo processo leggibile nelle due direzioni, di una cultura esterna, quella romana, che attribuisce ai suoi portatori concreti privilegi in termini di assegnazioni catastali e una cultura locale composta da peregrini, dunque da stranieri in patria, sempre obbligati a contenere le proprie richieste. Interpretare questo rapporto in perenne squilibrio non è semplice e diffiderei di alcune formule che in astratto ipotizzano una direzione unitaria con semplificazioni di comodo e senza una reale conoscenza dei luoghi, sui quali insisteva una popolazione locale con proprie magistrature, propri usi e costumi, propri rapporti sociali.
Del resto ormai ci sostengono le nuove tecnologie digitali applicate ai beni culturali, la fotogrammetria, la computer vision, il trattamento delle immagini, la modellizzazione in 3D dei reperti tramite il Laser Scanner, il rilevamento dei siti archeologici, la collocazione dei reperti sul territorio tramite GPS, geo-referenziazione dei monumenti, sistemi informativi capaci di creare relazioni e di incrociale i dati, una nuova prospettiva anche per la presentazione museale dei testi. Antonio M. Corda ci ha presentato le linee per un database dedicato alle promozioni municipali e per nuove carte tematiche GIS, estendendo la riflessione svolta a Catania un anno fa.
Il tema che abbiamo affrontato è uno di quelli che collegano storia antica, epigrafia, diritto: non solo per rendere omaggio a un grande studioso francese che è stato nostro amico, Jean-Marie Lassère e all’esergo del suo volume del 1977, vorremmo concludere i nostri lavori con lo sguardo di un cartaginese di età Severiana, il Tertulliano del de anima, pieno di ottimismo e stupito per le trasformazioni che avvenivano sotto i suoi occhi: ubique domus, ubique populus, ubique respublica, ubique vita. Per Tertulliano è evidente che il mondo stesso, l’orbis intero, ai suoi tempi era molto più coltivato e popolato che in passato, in promptu est cultior de die et instructior pristino. Tutto ormai è accessibile, tutto conosciuto, tutto trafficato. Le solitudini un tempo famose hanno lasciato posto a poderi ridenti; i campi hanno domato le selve, le greggi hanno scacciato le belve; si seminano le sabbie, si fissano le rocce, si prosciugano le paludi; solitudines famosas retro fundi amoenissimi oblitteravenint, siluas arva domuerunt, feras pecora fugaverunt, harenae seruntur, saxa panguntur, paludes eliquantur. Ci sono città tanto grandi, quanto un tempo non lo erano neppure le capanne, tantae urbes quantae non casae quondam, i mapalia getuli, sparivano i tuguri, le caratteristiche capanne allungate, coperte da pareti ricurve, costruite secondo il mito con l’impiego delle chiglie delle navi di Eracle, che per Sallustio erano stati il simbolo dell’inciviltà delle popolazioni africane. Ormai né le isole fanno paura, né gli scogli minacciano: ovunque case, ovunque popolo, ovunque istituzioni civili, ovunque vita, ubique domus, ubique populus, ubique respublica, ubique vita. E anche le migrazioni organizzate – quelle che chiamano apoikiai (colonie) – per alleggerire il sovrappopolamento spingevano sciami di genti verso altri territori. Così le stirpi non solo rimasero nelle sedi originarie, ma moltiplicarono la propria gente altrove, dum sollemnes etiam migrationes, quas ἀποικίας vocant, consilio exonerandae popularitatis in alios fines examina gentis eructant. Nam et origines nunc in suis sedibus permanent et alibi amplius gentilitatem feneraverunt. Ma sullo sfondo emergono le preoccupazioni che sembrano le nostre di oggi, almeno per gli ambientalisti non pentiti, perché siamo diventati un peso per il mondo, onerosi sumus mundo: a stento le risorse naturali ci bastano; le necessità sono più strette; e presso tutti c’è lamentela, poiché ormai la natura non riesce a sostenerci, vix nobis elementa sufficiunt, et necessitates artiores, et querellae apud omnes, dum iam nos natura non sustinet. In verità pestilenze, carestie, guerre e rovine di città dovrebbero essere considerate come rimedi, quasi una sforbiciata ai capelli troppo cresciuti del genere umano.
Se lasciamo da parte le enfatiche sfumature millennaristiche espressione degli obiettivi teologici dell’opera, Tertulliano ci consegna un quadro realistico del Nord Africa dei suoi tempi, tanto differente dallo sguardo dei primi coloni in partenza dalla Cisalpina verso la riva Sud del Mediterraneo, quell’Africa, di cui al celebre episodio raccontato da Melibeo nella prima Ecologa delle Bucoliche di Virgilio duecento anni prima, alla vigilia della seconda rifondazione della città di Cartagine da parte dei triumviri nel 42 a.C.: <<Ma noi andremo alcuni dagli Africani assetati, una parte giungeremo in Scizia, altri verremo all’Oasse torbido perché trasporta impetuoso il fango, e altri dai Britanni, completamente separati da tutto il mondo>> (vv 64 ss.):
M.: Àt nos hìnc aliì | sitièntes ìbimus Àfros,
pàrs Scythiam èt rapidùm | cretaè venièmus Oàxen,
èt penitùs totò | divìsos òrbe Britànnos.
Paola Ruggeri ci ha ricordato oggi che già Elio Aristide nel 144 d.C., in occasione del IX centenario dalla fondazione di Roma, nel suo Encomio alla città eterna, al cap. 12, avrebbe osservato che i Romani partendo dall’urbe si erano estesi all’intero orbe e che l’Egitto, la Sicilia e la parte fertile dell’Africa erano ormai come loro poderi (γεωργίαι δὲ ὑμῶν Αἴγυπτος, Σικελία, Λιβύης ὄσον ἤμερον). Dunque la terra, l’agricoltura, il valore dei luoghi, il radicamento delle persone nei poderi definiti da termini confinari e indicati catastalmente in rapporto ai fiumi, ai monti, alle miniere, alle aree abbandonate, ai latifondi.
In un lavoro recente Sandro Schipani è tornato sul rapporto tra i cittadini Romani e le diverse nazioni delle singole province e ha osservato che spesso questa individuazione e il riconoscimento di natio per alcuni gruppi, non è completamente positivo, anzi è espressione di una svalutazione del gruppo sociale così designato, come rivela Ulpiano in D. 21,1,31,21; D. 50,15,4,5, passi che pongono il problema alla provenienza di “servi”, o a “barbari”, come in D. 50,15,1,5 (…) il che segnala una netta contrapposizione rispetto alla autoidentificazione romana fondata sulla dimensione giuridica-istituzionale della civitas, patria, res publica, Urbs, populus espressione della libertas (cfr., ad es. CIC., Phil., 10, 20).
Abbiamo visto come il tema della libertas sia fondamentale per le nostre ricerche, visto che apparentemente – scrive Schipani – Roma lasciava agli abitanti di comunità che vivevano con proprie leggi la facoltà di scegliere, secondo le circostanze, quali leggi usare per le loro relazioni, se le proprie o le romane, diventando il diritto civile romano comunque vigente per le relazioni fra appartenenti a comunità cittadine con leggi diverse (il processo che si sviluppò, peraltro, data la elevata qualità del diritto romano, vide il progressivo lento generale, ma non completo, accoglimento di esso). Ad Afrodisia di Caria, nell’attuale Turchia, una epigrafe richiama un rescritto di Gordiano III (databile al 243 d.C.) che afferma la volontà dell’imperatore di rispettare tutte le decisioni del senato cittadino, ma che, quanto alla giurisdizione, va letto alla luce di precedenti precisazioni secondo le quali Adriano aveva disposto che tutti i cittadini greci di Afrodisia erano soggetti alla giurisdizione municipale in base alle leggi locali, ma che il cittadino di Afrodisia che volesse intentare un’azione nei confronti di un cittadino di altra città doveva farlo secondo le leggi romane, davanti al tribunale provinciale, cioè al proconsole.
Certamente Mireille Corbier ha cose più interessanti, più argute ed ironiche da dire sulle sue impressioni raccolte in questi tre giorni: ieri notte mi ha già spiegato in anticipo il significato dell’espressione francese taquiner ses amis (fare dispetti, molestare, scherzare con gli amici), dunque ci aspettiamo qualche sorpresa. Lasciatemi allora ringraziare chi mi ha chiamato oggi, Antonio Ibba e Antonio Maria Corda, i Presidenti delle Sessioni, Marina Sechi, Alessandro Teatini, Francesco Arcaria, Rosanna Ortu, i colleghi che ci hanno accompagnato nell’escursione ad Alghero, Marina Sechi, Pietro Alfonso e Alessandra La Fragola, gli amici tunisini Moheddine Chaouali e Ines Lemjdi che ci hanno portato il saluto di Samir Aounallah dell’INP, i francesi, gli spagnoli come Helena Gozalbes Garcίa (Università del Léon), sempre ricordando il nostro carissimo Enrique. Tutti sono stati ospiti graditissimi, interessati, pieni di idee e di progetti; tutti abbiamo partecipato alla fase più importante dei nostri lavori, l’accesa discussione sui dati di volta in volta presentati.
Se mi chiedete un giudizio di sintesi, mi sembra necessario osservare che da tante riflessioni emerge la caratteristica principale della nostra disciplina saldamente ancorata al dato epigrafico, storico, numismatico, archeologico, ma che ha a che fare con una documentazione lacunosa e per tanti versi muta. Eppure ho già osservato il primo giorno nella discussione quanto sia stato rilevante l’apporto di molti, il lavoro di squadra, alcune piste nuove: penso proprio a Helena Gozalbes Garcίa, che ha affrontato il tema – per noi rilevantissimo – della produzione di moneta provinciale nell’Africa Proconsularis, con un’interpretazione sul funzionamento di alcune zecche cittadine, provinciali, imperiali, tra propaganda e necessità locali, commerciali, economiche, soprattutto simboliche e storiche. Emergono i temi dell’inclusione dei membri della famiglia imperiale nelle emissioni, con precedenti Cesariani e augustei e gli obiettivi delle emissioni disposte a livello provinciale, con interventi ripetuti dei proconsoli d’Africa. La combinazione di questi aspetti e l’icnografia dimostrano la labilità dei confini tra potere centrale e i variegati poteri delle autorità municipali, in un equilibrio perennemente instabile, influenzato dall’esercito e dalle tematiche legate alla municipalizzazione e alla riconosciuta libertas dei singoli centri. Il discorso si è poi allargato alla Colonia Iulia Pia Paterna in epoca augustea, con i dubbi sulla effettiva localizzazione e la volontà di esaltare il fondatore Giulio Cesare divinizzato. Abbiamo visto gli aspetti relativi ai valori coniati dalla città e ai pesi degli esemplari conosciuti e le peculiarità delle soluzioni epigrafiche adottate nelle emissioni della colonia. Infine, è stata analizzata la diffusione delle immagini iconografiche presenti nel numerario locale. La considerazione congiunta di tre assi permette di concludere che la Colonia Pia Paterna intratteneva rapporti stretti e significativi con i centri emittenti della zona centrale della provincia, facendo riferimento in particolare a Hadrumetum, Thaenae, Acholla e, soprattutto, a Lepti Minus. Nell’iconografia emerge la presenza dell’elefante simbolo della dea Africa. Personalmente resto convinto si tratti di Clupea.
In ambito giuridico temi analoghi sono variamente interpretati dalle costituzioni imperiali richiamate dalla profonda riflessione di Francesco Arcaria dell’Università di Catania, a proposito dell’esonero dai ‘munera municipalia’ a favore dei notabili più anziani, a seconda dell’età dei curiali, regolato dagli statuti municipali e della disposizione inviata per epistulam ad Antonino Pio conservataci da Callistrato ed indirizzata alla metà del II secolo al proconsole Ennius Proculus, secondo Thomasson Demetrius o Aemilius Proculus. Mi permetterei di suggerire che forse la bella espressione semper in civitate nostra senectus venerabilis fuit vada collegata con “il tradizionale rispetto per la vecchiaia nella nostra cultura”, senza nessun riferimento ad una città o a una nazione specifica, se così vogliamo esprimerci.
Riccardo Bertolazzi e Simone Don dell’università di Verona hanno constatato come nelle regioni del Byzacium e della Tripolitania sono documentate numerose promozioni, soprattutto tra i secoli II e III d.C., quando pressoché tutti i centri maggiori e buona parte di quelli minori divennero municipia e in seguito colonie. In queste fase si registrano la maggior parte degli onori tributati a imperatori e membri della famiglia imperiale e numerose iniziative edilizie, per quanto l’età di Cesare e di Augusto appaia particolarmente vivace, soprattutto per iniziativa delle autorità provinciali.
Antonio Ibba ha affrontato globalmente il tema delle promozioni municipali nella dioecesis di Cartagine, nell’areale compreso fra la Fossa Regia ad Ovest – rivitalizzata da Vespasiano – e la provincia tetrarchica di Byzacena a Sud. Promozioni municipali e deduzioni coloniali iniziarono sin dall’età cesariana, con scelte influenzate dalla contingenza poltico-economica o da interessi di influenti personaggi vicini all’imperatore.Se infatti le deduzioni di Cesare miravano soprattutto a coinvolgere i notabili del Capo Bon nell’organizzazione dei rifornimenti verso l’Urbe, già Augusto puntava ad assegnare a proletari e veterani terre fertili anche in aree più interne. Il processo si interruppe e riprese con Adriano, in relazione al progresso nei processi di acculturazione di alcune comunità e alla centralità economica sempre maggiore dell’Africa. Ci siamo chiesti quanto abbia pesato effettivamente la Constitutio Antoniniana e quali siano le ragioni di questo carattere quasi superfluo di questo provvedimento nella nostra materia, perché le promozioni continuarono dopo il 212, sia pure con ritmo ridotto, in rapporto con l’importanza strategica di alcuni territori. Si trattò allora forse soprattutto di decisioni sollecitate da senatori o funzionari imperiali, determinate da una pressione dal basso legata al prestigio del titolo di colonia o di municipio dii cittadini.
Antonio M. Corda e Piergiorgio Floris si sono concentrati sulle lente promozioni municipali nella Thusca, dimostrando con metodo teorico scientifico attraverso i poligoni del vicino più prossimo e una metodologia innovativa (rete web gis e carte tematiche) l’esistenza di un saldissimo il legame non sempre scontato degli abitati con la geografia, del rapporto tra urbanizzazione e topografia rurale, con continue novità nel corso del tempo; ma le domande sono mille e constatiamo insieme i limiti delle nostre conoscenze, in quella che era stata un’enclave del Regno di Numidia con capitale Mactaris. Un caso di scuola sul quale tutti abbiamo in passato dovuto fare i conti.
Mela Albana ha posto il rapporto tra i militari della Legio III Augusta fino a Gordiano IIInella regione del Mons Aurasius, l’Aurés, e l’urbanizzazione civile circostante: le opere infrastrutturali (strade, accatastamento, acquedotti, fortificazioni) e attività di controllo del territorio. I trasferimenti del campo legionario –da Ammaedara a Theveste e infine a Lambaesis– furono accompagnati dalla fondazione di colonie e municipi, innescando processi di romanizzazione che favorirono la nascita di nuovi centri urbani, con un processo di integrazione dei veterani nelle comunità locali, mai definite canabae. In Numidia meridionale a quanto ne sappiamo solo pochi veterani intrapresero carriere municipali, mentre la maggioranza si distinsero come evergeti o sacerdoti del culto imperiale. Le città nate attorno agli accampamenti, al piede del massiccio montuoso, mantennero comunque una forte dipendenza dall’autorità militare, con il legato che esercitava funzioni civili e di patronato. Le epigrafi menzionano numerose magistrature civiche e sacerdotali, a testimonianza del grado di assimilazione delle istituzioni romane e, più in generale, della profondità del processo di romanizzazione. In quest’’area l’esercito romano fu il principale motore della trasformazione territoriale, sociale e istituzionale, capace di modellare in profondità le strutture urbane e amministrative e favorendo il consolidarsi del modello municipale romano.
Claudio Farre ha indagato la possibile relazione tra la trasformazione del paesaggio urbanistico e monumentale e la storia istituzionale delle tre città di Hippo Regius, Calama e Cuicul. Solo a Hippo Regius, che sarebbe divenuta la sede episcopale di Agostino, emerge con chiarezza il rapporto tra edilizia pubblica e promozioni giuridiche, quantomeno per la fase immediatamente successiva allo statuto municipale e per quella che precede l’istituzione della colonia; considerazioni parzialmente analoghe vengono estese a Calama con i tribuli della Papiria, mentre per Cuicul la situazione è inevitabilmente diversa per via della sua stessa storia istituzionale e le tracce cronologicamente vicine alla deduzione sono molto episodiche. In tutti i casi si conferma il rapporto tra monumentalizzazione (costruzione di terme) e municipalizzazione e il radicamento di alcuni culti come Apollo, Saturno Frugifer o Tellus, accanto al calendario del flaminato imperiale. Temi che sono stati oggetto poi della relazione oggi di Paola Ruggeri, che ha battuto a tappeto e in modo credo originale la fisionomia divina dei dii patrii, legati ai municipi e alle colonie come protettori delle città e dei loro abitanti. In epoca imperiale la gerarchia religiosa appare legata alle singole situazioni territoriali e cittadine come attestano le fonti. Spesso, la loro fisionomia divina fu condizionata dalle precedenti divinità del pantheon punico, Eshmun e Baal Addir, che divennero rispettivamente Apollo e Mercurio pur mantenendo le funzioni dei loro predecessori; talvolta i dii patrii riuscirono a sopravvivere con il loro nome locale e le caratteristiche originarie come nel caso di Iocollo, deus patrius a Naragarra. Il legame di queste divinità con il culto imperiale è assai probabile dal momento che spesso gli imperatori si identificarono con i dii patrii della loro città come nel caso di Settimio Severo e dei figli a Leptis Magna, per non parlare di Cesare e Augusto. Il momento della promozione istituzionale con l’assunzione di cognomenta di una città costituisce una preziosa occasione per far riemergere antichissime tradizioni religiose alle quali i cittadini locali erano legati in modo emozionale: forse gli dii patri, sconosciuti prima del processo di romanizzazione, rappresentano una forma di resistenza che è in contrasto con le nuove divinità introdotte dai coloni.
Cecilia Ricci si è posta la domanda se le iscrizioni che ricordano costruzioni (o rifacimenti o restauri e consolidamenti) di edifici pubblici possano essere legate alle promozioni di Rusicade nella Confederazione Cirtense con Traiano, Madauros, Thibursicum Numidarum, ove è però documentata una tradizione di interventi che inizia già in età repubblicana col re Iempsale figlio di Gauda. La studiosa si trova a che fare con una documentazione che lascia parecchi interrogativi sulla tipologia dei monumenti dal I al III secolo, come il teatro di Rusicade, i templi del culto imperiale o di singole divinità e sul fatto che alcuni di essi possano aver avuto un valore maggiormente significativo da un punto di vista del prestigio della città. Possiamo osservare il profilo dei protagonisti degli interventi e la volontà rappresentativa di gruppi familiari in ascesa nel tempo: il tutto da inquadrare nello sviluppo della Confederazione Cirtense.
Moheddine Chaouali e Ones Lemjid (INP) hanno richiamato il detto pliniano ex Africa semper aliquid novi che indica come l’Africa sia una fonte costante di sorprese e novità. Il nuovo inedito del servo Vilicus di Bulla Regia conferma la complessità della struttura dei 18 uffici doganali fin qui conosciuti per la riscossione dei IV publica Africae, lungo la frontiera (il c.d. Fossatum Africae) che non erachiusa ma permeabile e controllata già dall’età di Adriano. Tema affrontato di recente nel bel volume curato da Cristina Soraci Fiscalità ed epigrafia nel mondo romano, 2020. Del resto come abbiamo osservato su “Epigraphica” Mela Albana si era chiesta se il pagamento dei dazi in una stazione evitava un nuovo pagamento alla stazionesuccessiva per le stesse merci, ponendo il problema dei confini dei singoli distretti. Naturalmente ci sono tradizioni locali che sopravvivono come per la stazione doganale di Vaga, l’attuale Beja, che già per Sallustio nel Bellum Iugurthinum era forum rerum venalium totius regni maxume celebratum (XLVII, 1).
Cristina Soraci avvia la ricognizione aggiornata degli studi sulla presenza dei duoviri e degli ex duoviri nei municipi e nelle colonie della Numidia romana, soprattutto a Cuicul (30 casi) ed a Diana Veteranorum, ben nota ma non sistematicamente indagata all’interno dell’articolato quadro regionale di riferimento. La promozione a municipium o colonia dei vari centri e la conseguente introduzione in essi di magistrature romane hanno rappresentato strumenti di inclusione e valorizzazione delle aristocrazie indigene, contribuendo alla costruzione di nuove forme di potere e identità civica, in un contesto cronologico in evoluzione. L’indagine, articolata su base territoriale, viene ampliata al IVvirato e consentirà di evidenziare dinamiche comuni e specificità locali, inserendo il caso numidico con una riflessione sui processi di romanizzazione e sulle strategie imperiali di integrazione delle élite provinciali.
Lucia Rainone ha presentato i principali interventi di edilizia pubblica documentati epigraficamente a Cirta tra l’età di Cesare e quella di Gallieno al fine di comprendere meglio le dinamiche della municipalizzazione. Nella discussione abbiamo osservato la distanza tra le nostre domande e le relative risposte, a causa dei danneggiamenti subiti da Cirta nell’età di Massenzio e dagli interventi urbanistici recenti che riducono le informazioni disponibili, per quanto si impone una revisione del materiale conservato e non sempre facilmente accessibile nel museo coloniale di Constantine. Nel complesso abbiamo visto ricostruita l’azione dei curatores operum locorumque publicorum e l’esistenza di due templi peripteri, dell’aedes Mercurii, il capitolium, una basilica cristiana, un ninfeo, ma soprattutto – a causa della singolarissima situazione topografica – i ponti, l’acquedotto di Gargilianus (di cui all’iscrizione studiata da Mireille Corbier nel citato articolo su L’Africa Romana III), l’anfiteatro, i mosaici, le statue con una particolare venerazione per Dioniso. Infine il tema dei quartieri periferici ai margini dell’altipiano della capitale numida di Massinissa, come la collina di Kudiat Aty con i mausolei che immaginiamo analoghi a quelli della vicina Kroub (con una forte tradizione numida) o le belle iscrizioni metriche tarde studiate da Paola Ruggeri.
Caroline Blonce (Université de Caen) ritiene che così come non tutti i riconoscimenti ad Adriano possono essere utilizzati per attestare la presenza dell’imperatore nelle città interessate durante i suoi viaggi, non tutte le promozioni istituzionali furono sempre accompagnate dalla costruzione di un arco onorario. Esiste, tuttavia, un piccolo numero di archi la cui dedica li collega esplicitamente al nuovo statuto giuridico, sia essa una promozione al rango di municipio o di colonia. Il tema è enorme e l’autrice distingue i casi sicuri (Lepcis Magna, Althiburos, Avitta Bibba, Thugga e Cillium) da quelli più incerti (Oea, Vaga, Uchi Maius, Zama Regia, Thibursicum Bure). Credo che oggi possiamo esser sicuri che anche a Thignica si costruivano archi per puro evergetismo (il caso dei Memmii della civitas) ma anche un arco per ricordare la promozione a municipio Erculeo e Frugifero nell’età di Settimio Severo e Caracalla. Rimane la necessità di approfondire la distanza cronologica tra promozioni municipali e elevazione di archi, al di là della revisione delle iscrizioni dedicatorie spesso imprecise, visto che si segnala un ritardo dovuto forse alle autorizzazioni necessarie oppure alla durata stessa del cantiere per alcuni archi che presentano davvero caratteristiche stilistiche straordinarie come nel caso di Oea oggi Tripoli. Infine le sorprese delle nostre fonti, forse come per il titolo di Septimia e non Septimia Aurelia Antoniniana per l’arco della colonia di Vaga dedicato nel 209 sotto Settimio Severo e Caracalla (CIL VIII 14395).
Lorenzo Gagliardi con una straordinaria competenza romanistica ha dato impulso agli studi sullo statuto degli incolae indigeni nelle colonie romane, tema centrale per comprendere i rapporti giuridici tra coloni e popolazioni locali. La tesi maggioritaria sostiene la coesistenza di due modelli: da un lato gli incolae indigeni, assoggettati alla giurisdizione dei magistrati coloniali; dall’altro le res publicae peregrinorum, comunità autonome configuranti le Doppelgemeinden (il doppio dominio), ampiamente attestate in Africa. La dottrina recente nega l’esistenza degli incolae e riduce ogni caso al modello delle res publicae. L’analisi dei passi gromatici di Siculo Flacco e Igino sembra però mostrare la pluralità delle soluzioni previste, confermata dall’epigrafia (come l’editto di Antiochia di Pisidia) e dai catasti (Orange). L’incolatus dei nativi risulta distinto ma complementare rispetto alle res publicae peregrinorum. Discussione è stata sollevata sull’interpretazione tecnica e giuridica del termine iurisdictio presente nelle fonti gromatiche, così come sulla rappresentazione effettiva delle procedure relative agli agri redditi, in situazioni spesso differenti.
Moheddine Chaouali (À propos du passé pré-municipal de Viltha : encore un castellum civil dans la Moyenne vallée de l’oued Medjerda) ha presentato una dedica inedita di una statua, Genio cast(elli) Aug(usto) (forse la Fortuna Vilthensis ?) che un C. Na(m)gedus ha posto a sue spese, per la sede del corpus, di una corporazione religiosa locale. Gli aspetti rilevanti sono molti, mi limiterò a segnalare quelli istituzionali e quelli onomastici : il castellum di cui si parla è forse uno degli 83 castella della pertica di Cartagine come ad Uchi Maius (CIL VIII 26874, da collegare col M. Caelius Phileros di Formia, CIL X 6104). Sull’onomastica – davvero interessante perché esito di una forma locale tardo-punica – basterà un rimando all’indice del recente volume di Alessandro Campus.
Sabine Lefebvre dell’Université de la Bourgogne (L’aide discrète des sénateurs et des chevaliers dans la promotion des cités : l’exemple de la Proconsulaire) ha esaminato le procedure della promozione, la difesa dei privilegi del pagus civium Romanorum rispetto alla civitas peregrina di Thugga, la serie di legationes urbicae di personaggi eminenti (patroni, legati) per ottenere almeno lo ius Latii (sullo stesso tema era annunciato l‘intervento scritto di Samir Aounallah, Communautés doubles dans l’Afrique proconsulaire). E poi il significato dell’indulgentia imperiale come sull’arco di Uchi Maius che contiene anche un richiamo alla Libertas riconquistata (CIL VIII 26262), con un provvedimento imperiale sollecitato silenziosamente ad esempio da alcuni cittadini illustri come Marco Attio Corneliano, divenuto poi prefetto del pretorio, civis et patronus, esaltato ob incomparabilem erga patriam et cives amorem (CIL VIII 26270) : non solo con allusione ad interventi economici, ma alla gratitudine per il prestigio ottenuto dalla che patria lontana, ora colonia libera ; così ad Abbir Cella un esponente della stessa famiglia sotto Filippo l’Arabo (CIL VIII 814).
Cari amici,
dal mosaico dei vostri interventi in questi tre giorni scaturiscono nuove piste e nuovi impegni, che certo ci saranno utili per capire e per allargare uno sguardo che vogliamo ancora per lunghi anni sempre più partecipe, affettuoso e solidale.