Introduzione al XIX Convegno de L’Africa Romana
Attilio Mastino
Sassari 16 dicembre 2010
Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale fino alla fine del mondo antico.
Scontri, integrazioni, transizioni e dinamiche insediative. Nuove prospettive dalla ricerca.
Con un ritorno alle origini si apre oggi, a Sassari il XIX Convegno dell’Africa Romana: sono trascorsi ventisette anni da quando, il 16 dicembre 1983, nella sede della Camera di Commercio in via Roma, non lungi dalla nostra Facoltà di Lettere e Filosofia (allora di Magistero), si apriva il I Convegno de L’Africa Romana, al quale avevano partecipato un campione insigne degli Studi Africanisti, quale fu Marcel Le Glay, indimenticabile maestro ed amico, e altri nostri carissimi colleghi, come Hedi Slim con la Signora Latifa, e poi Ammar Mahjoubi, Naidé Ferchiou, Giancarlo Susini e Angela Donati, Giovanna Sotgiu, la giovane e brillante collega Cinzia Vismara, l’allora Ispettore della Soprintendenza Archeologica di Cagliari Raimondo Zucca.
Lasciateci tornare indietro commossi a quel momento lontano, ripercorrendo per un attimo tante storie e tanti avvenimenti, un pezzo lungo significativo e felice della vita di tanti di noi, un percorso che è stato di studi, di ricerche, ma anche di curiosità e di passioni vere.
Oggi siamo veramente in tanti in questa Aula Magna della nostra Università Sassarese, ormai alle soglie del suo 450° anniversario, per aprire il nostro XIX Convegno, circondati da uno stuolo di Maestri e Amici del Maghreb innanzitutto, perché l’Africa romana è, in primis, sangue del loro sangue, inalienabile eredità storica, culturale, morale e di paesaggio. Portiamo con noi esperienze e storie differenti, ma insieme convergiamo verso obiettivi alti di collaborazione scientifica ed umana, che intende diventare sintesi di grandi imprese archeologiche condotte a livello internazionale da tante équipes di ricerca europee ed arabe.
Maestri e Amici, inoltre, del Mediterraneo e delle nazioni che rivendicano, anch’esse, nel nome della comune humanitas l’eredità feconda de L’Africa romana.
L’Africa romana, questo coronimo, nelle parole di Giancarlo Susini, si è poi disvelata in tutta la sua lucente chiarezza come l’Africa-Libye stratificata, dei molti popoli.
L’Africa dei popoli indigeni, gli Afri o Libi, dalle loro parlate arcane conservate, attraverso integrazioni e sovrapposizioni, dalle varie lingue berbere, scritte con il codice scrittorio “libico” su monumenti e stele anche bilingui, libio-puniche o latino-puniche, ma scritte anche sulle rocce dall’Egitto alla Mauritania, fino alle insulae Fortunatae di Lanzarote e Fuerteventura, sull’Atlantico.
Ed ancora l’Africa dei popoli fenici e cartaginesi, interrelati con i popoli indigeni, come ci mostra ora il bellissimo volume, edito in omaggio a Mhmed Hassine Fantar “Carthage et les autochtones de son empire du temps de Zama”, curato per l’Institut National du Patrimoine da Ahmed Ferjaoui. O l’Africa imperiale come compare in tanti lavori pubblicati negli ultimi anni, fino al recente lavoro di Lluís Pons Pujol, La Economía de la Mauretania Tingitana (s. I-III d.C.). Aceite, vino y salazones, Col·lecció Instrumenta 34, Universitat de Barcelona, 2009.
L’Africa romana, dunque, ossia l’Africa in cui Roma assicura una unità linguistica, il latino, che pure fa sopravvivere le parlate indigene e il punico, l’Africa in cui Roma garantisce a un sistema amministrativo e un’organizzazione municipale che si struttura sulle salde basi delle città cartaginesi, numidiche, mauritane e non è un caso che questo “paesaggio urbano del potere” rechi l’originaria impronta “libica”, in larga prevalenza, da Utica, ricondotta preferibilmente dagli studi più recenti alla strato toponomastico libico piuttosto che alla tradizionale origine linguistica fenicia, a Lixus, a Thugga, a Tamugadi, alle nostre care città di Vchi Maius e Vchi Minus.
E’ proprio nell’Africa romana, una delle più antiche province repubblicane, che si attua quell’esperienza di coesione interetnica, attraverso lo stanziamento dei veterani, che si inseriscono appieno nel modus vivendi delle genti locali, che è divenuta una delle carte vincenti della politica romana anche in altre aree dell’impero.
Non credo sia esagerato parlare dell’Africa romana come di una palestra politica dove ab initio sono emerse le contraddizioni del potere, tra le tendenze più retrive dell’aristocrazia romana e il progressismo di gruppi come quello che faceva capo a Caio Gracco, che intravedevano nella rinascita di Cartagine e dell’Africa settentrionale un’opportunità di sviluppo, legato a vettori altri che non fossero solo quelli dello sfruttamento latifondistico.
L’Africa romana, ancora, che diviene Africa romano-cristiana, sia nella sua forma politica vandalica, sia nella sua forma bizantina.
E non basta: l’Africa romana come eredità culturale (e come non poteva essere?) sopravvive nell’Yfrikia, l’Africa islamizzata e arabizzata, che ancora conserva nelle pagine dei suoi cronisti e dei suoi geografi la memoria dell’esperienza classica, le eredità, perfino i nomi delle città antiche, come hanno mostrato gli straordinari studi di Azedine Bechaouch tesi a verificare le trasformazioni fonetiche del poleonimi delle antiche città romano-africane.
Questo XIX Convegno affronta una tematica nuova, suggerita nell’ultimo convegno di Olbia dall’unanimità del comitato scientifico: “Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale fino alla fine del mondo antico. Scontri, integrazioni, transizioni e dinamiche insediative. Nuove prospettive dalla ricerca”.
Dalla ricchissima serie di interventi previsti nel nostro Convegno è possibile cogliere le più ampie declinazioni del tema delle “trasformazioni dei paesaggi del potere”, con riferimenti da un lato alla progettualità di un potere che ha necessità di uno spazio di autorappresentazione, in grado di intercettare il consenso e dall’altro alla concretezza monumentale e al suo legame con il territorio come frutto- e riprendo la seconda parte del tema dell’incontro che oggi inauguriamo – di scontri, integrazioni, transizioni e dinamiche insediative.
Due anni fa ad Olbia eravamo partiti dall’immagine dei costruttori di Cartagine, sulla Byrsa, gli architetti della regina Didone che Virgilio rappresenta affaccendati ed impegnati nella costruzione della colonia fenicia, con le sue mura, con le sue torri, con i suoi templi. Nel fervore degli structores Tyrii della Carthago di Didone Enea vede, con gli occhi di Virgilio, il solco dell’aratro che segna il limite sacro di una colonia, rinnovando il dolore e la speranza che anima coloro i quali costruiscono una nuova città, in contrasto con la visione della sua originaria patria- Ilio- distrutta dalle fiamme. Non c’è dubbio che Virgilio rifletta nel racconto della Cartagine nascente l’esperienza urbanologica di età augustea, con il theatrum dalle immanes columnae della frons scaenae tratte dalle cave in cui maestranze addestrate lavorano indefessamente a trarre il materiale lapideo della nuova città.
O ancora con le portae delle mura e gli strata viarum, le viae urbane silice stratae.
Avevamo allora scelto per introdurre il nostro incontro i versi virgiliani che esaltano l’attività degli uomini di buona volontà, anche se pure gli dei e le dee sono considerati a tutti gli effetti coinvolti in uno studium ed in un’ars che nobilita chi la pratica.
Più in generale, Virgilio trova le parole per rappresentare il paesaggio trasformato dall’uomo ai margini del lago di Tunisi.
Sui manifesti del nostro convegno quest’anno abbiamo scelto l’immagine del praetorium che si eleva minaccioso sulle rovine di Lambaesis, nel campo della legio III Augusta, vero strumento di occupazione romana nel cuore del territorio africano, al piede del Mons Aurasius nell’attuale Algeria: dunque un altro aspetto che è inserito appieno nell’esperienza politico-militare romana: le opere militari come monito tangibile dell’obbedienza, spesso coatta, al potere centrale.
Non c’è dubbio che gli aspetti immateriali dei paesaggi del potere, quali la diffusione ideologica del culto del sovrano, le voci del consenso al re, al collegio degli shofetìm di Cartagine, al Senato di Cartagine, al Senato e alla Res publica, al Princeps, all’imperatore dominus et deus, agli attori gerarchizzati nella pyramide des responsabilités nelle città, sono da noi percepibili attraverso i testi letterari e soprattutto le epigrafi, ma anche attraverso la “veicolazione” dell’imago del princeps nelle monete e nei ritratti.
Vi è però un aspetto più concreto dei “paesaggi del potere”, costituito dal mosaico dei siti archeologici inseriti nel loro contesto ambientale. Tali siti principalmente urbani, ma anche rurali costituiscono la cifra percepibile de l’Africa Romana, tra strutturazione e destrutturazione dei paesaggi.
Nel mio saluto intendo oggi proporre una chiave di lettura ancora più a distanza, legata alla politica dei Ministeri della Cultura del Maghreb, richiamando le responsabilità nuove che tutti debbono assumere di fronte alla tutela del patrimonio e il tema delle trasformazioni, che non riguardano solo processi antichi, ma anche richiamano ritardi e incapacità, insomma le dinamiche dei nostri giorni. Penserei per un attimo all’attualità dei crolli di Pompei ed all’inerzia incosciente di tanti responsabili, come pure all’erosione che compromette pericolosamente il sito di Nora. Ma tanto c’è da fare in tanti luoghi del Maghreb, da Lambaesis a Cuicul, da Volubilis a Gightis.
Voglio ricordare in questa sede sia la Convenzione sulla tutela del patrimonio mondiale, culturale e naturale (Parigi, 16 novembre 1972) sia la Convenzione europea del Paesaggio (Firenze 20 Ottobre 2000).
Quest’ultima riconosce, all’articolo 1, come "Paesaggio” una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.
Ed ancora un articolo fondamentale della carta costituzionale aliana, che in un certo senso ha assunto un valore internazionale, perlomeno a livello ideale, dopo che il grande direttore d’orchestra Daniel Barenmboim, con semplicità lo ha letto davanti al presidente Napolitano e al pubblico presente alla prima della Scala di Milano: La Repubblica promuove lo sviluppo. della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione.
I paesaggi del potere sono i paesaggi infrastrutturati e i paesaggi naturali, eredi delle sistemazioni agrarie o, in generale, economiche del territorio africano.
Essi sono, innanzitutto un patrimonio culturale, ossia la fusione dei Beni Culturali e dei Beni Paesaggistici, delle comunità nazionali del Maghreb. Ma sono anche Patrimonio dell’Umanità, sia nei numerosi casi africani di questi “paesaggi del potere” antichi (taccio qui dei mirabilia islamici) nella World Heritage List, dai siti archeologici libici di Cirene, Lepcis Magna, Sabratha e Ghadames a Volubilis in Marocco, passando per la Tunisia (Amphitheatre of El Jem; Archaeological Site of Carthage; Punic Town of Kerkuane and its Necropolis; Dougga / Thugga) e l’Algeria (Djémila; Timgad; Tipasa ed i Tassili), sia nei casi ancora più numerosi per i quali non si abbia ancora l’inserimento nella Lista del Patrimonio dell’umanità.
Questi paesaggi sono patrimonio identitario dei popoli del Maghreb ma appartengono intrinsecamente alla nostra identità mediterranea.
Noi abbiamo creduto che la nostra azione non potesse esaurirsi nell’attività di ricerca e di trasmissione di conoscenza: accolti fraternamente in Africa dagli eredi di questi paesaggi abbiamo tentato di cooperare, con i nostri studenti, fianco a fianco con gli studenti e gli archeologi del Maghreb, in Tunisia e in Marocco. Lasciatemi per un momento ripercorrere con orgoglio il cammino degli studenti e dei ricercatori delle Università di Cagliari e di Sassari negli ultimi tempi: dalla favolosa città atlantica di Lixus, sede mitica di un paesaggio del potere se Plinio vi ricorda la tradizione della regia Anthei, il palazzo regale del gigante stritolato da Herakles, alle città dell’Africa Proconsolare Vchi Maius, Utica, Numluli, Zama Regia ed ora Neapolis, sul Capo Bon, dove operiamo, in base ad un accordo con l’INP diretto da Fethi Bejaoui, per una ricerca su un “paesaggio del potere economico”, il Neapolitanus Portus, documentato dalle ricerche di Archeologia terrestre e subacquea di Mounir Fantar, Ouefa Ben Slimane, Ihmed Ben Gerbania accanto alla nostra équipe del curriculum di Archeologia subacquea ed ora della scuola di Specializzazione in Archeologia Subacquea e dei paesaggi costieri della Sede di Oristano del Consorzio UNO.
Molti di noi insomma insieme ai nostri carissimi amici e colleghi del Maghreb hanno tentato di fornire il loro modesto contributo per la conoscenza, ma anche per la conservazione, valorizzazione e fruizione di questi paesaggi africani, che tanto amiamo, al pari di quelli del nostro paese.
Per questo prendiamo l’impegno di una più profonda proposta di diffusione della conoscenza del paesaggio culturale africano, anche con la elaborazione a fianco dei nostri colleghi dell’INSAP, diretto dal carissimo amico Aomar Akherraz, e dei Musei locali, insieme alle Regioni di Sardegna, Lombardia e Calabria, del portale web dei Beni culturali del Marocco.
Ci proponiamo di far seguire la nostra collaborazione anche con i colleghi della Tunisia a partire proprio dai paesaggi culturali del Capo Bon.
La strada che si è imboccata, noi insieme, Maghrebini ed Europei, ci porterà a restituire con i mezzi ipermediali i paesaggi ricostruiti delle città e delle campagne dell’Africa antica, ancora una volta i “paesaggi del potere” dei sovrani, della Res publica, dell’homo oeconomicus, degli dèi e del dio unico, che è kyrios, signore, tra urbanistica ed ideologia.
Vorremmo allora restituire, riportare alla luce almeno virtualmente, ad esempio il forum della città di Vchi Maius alla quale abbiamo dedicato Moustafa Khanoussi ed io, insieme ai nostri colleghi ed allievi, energie per quasi un ventennio, ritrovando le scritture antiche di un mondo animato da un’aristocrazia cittadina vivace ed aperta.
Vorremmo per un momento far ricomparire virtualmente la statua equestre in bronzo di Settimio Severo che coglie lo sguardo d’ogni Uchitano che passeggia nella piazza forense sulla collina delle cisterne.
Far risalire uno ad uno i gradini del Capitolium a qualcuno di quei romano-africani di Uchi, per sentirsi partecipi del culto di Iuppiter, Minerva, Iuno che unifica i cives del pagus e i numidi che aspiravano a divenirlo.
Far compitare, ad un abitante di Vchi, la lunga iscrizione dell’architrave del triportico del foro uchitano con i nomi di Settimio Severo di Caracolla di Geta e di Giulia Domna.
Far venerare ad un uomo del popolo di Vchi il dio Saturno, erede del grande Baal cartaginese, che dona la vita, che i suoi antenati numidi avevano accolto nel loro pantheon con il dio supremo, di cui erano servi.
Ascoltare, insieme all’assemblea dei cristiani di Vchi, nella Cattedrale arricchita dai policromi mosaici, la liturgia pasquale celebrata dall’Episcopus catholicus, che proclama il suo Surrexit ! Alleluia.
E poi riportarvi ai tanti altri luoghi straordinari che in questi decenni sono stati oggetto dell’attenzione di tanti altri archeologi, epigrafisti, studiosi di tanti paesi, tra Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, con indagini che hanno spesso prodigiosamente restituito frammenti del paesaggio antico, fortificazioni, santuari, edifici pubblici, edifici di spettacolo, archi, strade tra città e campagna, che in qualche modo conservano il sapore di un tempo lontano che rimane parte di noi uomini d’oggi.
Dal nostro osservatorio, constatiamo che si moltiplicano le grandi imprese di collaborazione internazionale di cui ciascuno di voi renderà conto in questi giorni di intensi lavori. Guardiamo all’impegno di tutti voi con ammirazione e rispetto.
Grazie per essere oggi con noi per questa festa e per questo incontro scientifico: vi assicuro che cercheremo di accogliervi a Sassari con l’amicizia e l’affetto che conoscete e con la gratitudine per i vostri studi, il vostro impegno, la vostra generosità.
Noi non abbandoneremo questa impresa di scienza e di fratellanza tra i popoli del Mediterraneo, figli ed eredi delle stesse civiltà.
L’impegno di questi giorni ci introdurrà d’altro canto ai vicennalia dell’Africa Romana, che a Dio piacendo potremmo celebrare ancora una volta sulla sponda meridionale del mare nostro, forse nel trentennale della prima Africa Romana, nel 2012, magari – come si augura da tempo Raimondo Zucca - sul meridiano iniziale dell’oikoumene di Tolomeo, nell’insula Nivaria, delle Insulae Fortunatae , l’attuale Ierro, o altrove sui nostri spazi continentali africani, alla ricerca di una dimensione vera di vita.
Ultimo aggiornamento Martedì 21 Maggio 2013 14:17