Tripolitania e Cirenaica: un futuro per il patrimonio

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Scritto da Administrator | 06 Luglio 2011

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Tripolitania e Cirenaica: un futuro per il patrimonio
Caserta-San Leucio, I luglio 2011
Apertura dell’incontro For the preservation of the cultural heritage in Libya

Intervento del Magnifico Rettore Prof. Attilio Mastino.

Debbo all’amicizia di lunga data con Serenella Ensoli il fatto di essere oggi qui al Belvedere di San Leucio a Caserta per questa straordinaria occasione di dibattito che non è solo scientifico: l’incontro di questi due giorni, organizzato d’urgenza, nel momento più duro della crisi internazionale in atto, ci porterà a discutere il futuro del patrimonio storico e culturale in un paese che amiamo, la Libia.

Desidero in apertura esprimere l’ammirazione per la tempestività con la quale quest’incontro For the preservation of the cultural heritage in Libya è stato promosso e insieme ricordare un maestro recentemente scomparso, André Laronde dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, il grande studioso della Cirenaica romana, che al porto di Cirene, ad Apollonia, ha dedicato per anni tutta la sua intelligenza e la sua passione.

Consentitemi di ricordare anche gli altri maestri che sono scomparsi in questi anni, primo tra tutti Sandro Stucchi:  la nostra conoscenza del patrimonio archeologico della Libia deve a loro un contributo straordinario.

Voglio ricordare oggi però un mio amico vero, Lidiano Bacchielli, di cui conservo un ricordo prezioso, il suo soggiorno in Sardegna, appena concluso il concorso che lo aveva portato in cattedra ad Urbino: un sorriso aperto e leale, una grande gioia di vivere, una serie di progetti straordinari, nei quali pensava di coinvolgerci tutti. E un grande dolore per averlo perduto.  Nel dicembre 1996, aprendo il XII Convegno internazionale su "L'Africa Romana" ad Olbia, Gianfranco Paci, ha scelto parole commosse per ricordare Lidiano: «Quanto a me, se mai tornerò un giorno nella terra di Libia, ho in animo di raccogliere una manciata di quella terra rossa di Cirene per depositarla sulla sua tomba, convinto che senza la Cirenaica Lidiano Bacchielli non sarebbe stato quello che abbiamo conosciuto, così come, senza Bacchielli, della città fondata sul secondo gradino del Jebel Achdar noi non avremmo la conoscenza che ne abbiamo; ma soprattutto nel ricordo di quel legame profondo, intenso, indimenticabile che ha unito la sua vita alla città di Batto».

Saluto i tanti amici presenti, ad iniziare da Fadel Ali Mohamed, antico Conservatore di Cirene ed ora responsabile del DOA e Ministro della Cultura della Cirenaica.

Ho visitato pochi anni fa con emozione Cirene, Sabratha, Tripoli, l’antica Oea, Leptis Magna, dove rimane evidente e visibile l’orma dell’imperatore Settimio Severo. Oggi vediamo in pericolo Leptis, la città  che mi è cara, ad iniziare dalla mia tersi di laurea su Caracalla discussa nel 1972.

A Tripoli ho ritrovato le ceramiche di mio zio Melchiorre Melis, direttore della Scuola Musulmana di arti e mestieri.

Questo Convegno mischia tante storie, anche tante storie personali e tante vicende che ci hanno riguardato tutti.

In Libia, nel fondo del Mediterraneo, al centro della Grande Sirte, c’è un luogo che non è un luogo, Ras Ali (Graret Gser et Trab), le antiche Arae Philenorum, il favoloso muchòs, il sacco del Mediterraneo, dove cultura punica e cultura ellenistica si sono toccate, più tardi cultura latina e cultura greca, e poi vandala, bizantina e araba: Sallustio ricorda: quem locum Aegyptum versus finem imperii habuere Carthaginienses, là dove i due fratelli Fileni si sarebbero fatti uccidere per segnare con la propria tomba un limite all’espansionismo greco.

Luogo che vorremmo divenisse di nuovo non una frontiera tra Cirenaica e Tripolitania ma un punto di contatto tra popoli che debbono integrarsi e confrontarsi pacificamente.

Ricorre quest’anno il centenario dall’occupazione italiana della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan voluta da Govanni Giolitti. E poi la Libia sotto il Fascismo, Italo Balbo, la II Guerra Mondiale.

Quarantun anni fa, con la deposizione nel 1963 del Re Idris I e la fine del Regno Unito costituito alla fine dell’età coloniale, nasceva la Repubblica araba di Libia, voluta da un gruppo di militari nasseristi.

Credo che il giudizio storico sui risultati dei processi politici promossi dalle non possa essere positivo, anche in rapporto alle politiche culturali connesse al patrimonio.

Certo ci sono responsabilità storiche anche degli europei. Come è noto, nella visione coloniale europea dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento la civiltà classica in Nord Africa non morì di morte naturale, ma fu assassinata: l’assedio di Ippona da parte dei Vandali nel 430 pochi mesi dopo la morte di Agostino, che fu sepolto nella basilica pacis, rende solo in parte l’idea di una cittadella della cultura travolta dalla montante marea barbarica, mentre i superstiti cercavano rifugio nelle terre transmarine. Più ancora, nel 698 la conquista ummayyade di Cartagine bizantina da parte degli Arabi di Damasco è stata considerata simbolicamente la data finale della cultura classica, per quanto siano sopravvissuti a lungo nel Nord Africa islamico dei principati berberi cristiani.

Il trasferimento delle reliquie di Agostino da Hippo Regius a Karales e poi a Pavia effettuato a quanto pare di fronte all’avanzata araba è stato interpretato simbolicamente come il punto conclusivo del momento più maturo della classicità e insieme come l’annunzio di tempi nuovi, con l’apertura (futuhat) del Nord Africa all’Islam, quando si manifesta l’aspirazione verso un nuovo universalismo. Nel contrasto tra mondi tanto diversi, la cultura araba fortemente motivata sul piano religioso finì per diventare egemone ed espansiva, a danno di quella romana e di quella giudaico-cristiana, che pure hanno lasciato tracce evidenti anche nel Maghreb di oggi.

La riscoperta delle rovine archeologiche, delle iscrizioni, dei monumenti è avvenuta al seguito degli eserciti coloniali, con l’obiettivo romantico di ripercorrere le strade di una civiltà perduta, di ritrovare le radici dell’anima europea del Nord Africa travolto dagli Arabi.

Con la colonizzazione si affermava una nuova cultura egemone e restò ormai fissata nell’immaginario collettivo dei popoli del Nord Africa l’idea di una forzatura, di una strumentalizzazione del mondo classico al servizio della prospettiva coloniale spagnola in Marocco, francese in Algeria e Tunisia, italiana in Libia, all’interno del nuovo impero coloniale mediterraneo.

Nel momento in cui i paesi del Maghreb ritrovavano, dopo la II guerra mondiale, una loro sovranità nazionale e nasceva una forma di nazionalismo direttamente ereditata dal colonialismo europeo, la conseguenza inevitabile fu una reazione contraria, una sostanziale sottovalutazione delle radici classiche ed una enfatizzazione, in realtà purtroppo spesso solo teorica,  delle fasi islamiche della storia del Nord Africa, con articolazioni nazionali più o meno naturali che stentavano ad affermarsi. Teorica perché se è vero che sullo sfondo c’è il convinto apprezzamento per la grande cultura araba arrivata anche ad influenzare l’Europa cristiana, di fatto però le fasi medievali del primo insediamento arabo in Ifriqya non sono mai state studiate davvero scientificamente e la cultura materiale islamica delle origini non ha fin qui avuto una presentazione adeguata. Manca del resto ancora oggi una affidabile seriazione di intere classi di materiali, ad iniziare dalle ceramiche islamiche.

In un articolo recente Nacera Benseddik si è chiesta quali potrebbero essere in futuro i contenuti profondi dell’identità nazionale che distinguano veramente i diversi nuovi stati del Maghreb. E ha risposto che considerato l’amalgama fortunato affermato propagandisticamente dalle forze coloniali tra romanità, cristianesimo ed europeismo, il panarabismo nella sua dimensione arabo-musulmana poteva giustamente ma erroneamente apparire agli occhi dei dirigenti “dii ex machina” autoproclamati, come un rimedio efficace ai mali del colonialismo. Così i lunghi e brillanti periodi preislamici del Nord Africa potevano rappresentare una minaccia per il progetto di panarabismo dominante. Del resto proprio il panarabismo più o meno islamizzante fu in effetti il nuovo quadro di riferimento per i dirigenti autoproclamatisi.

Al d là del giudizio storico su colonialismo e postcolonialismo, giudizio che del resto molti governi europei hanno ribaltato nel giro degli ultimi mesi, desidero esprimere la sofferenza per la grave crisi internazionale in atto, per i bombardamenti, ma anche per l’assenza di democrazia (l’ambasciatore Vincenzo Schioppa ci ricordava che occorre costruire presto in Libia dalla base una dimensione sociale). E poi sofferenza per il destino dei profughi interessati a fuggire dai bombardamenti, verso un’Europa scintillante e desiderata ma assolutamente incapace di accogliere l’altro. Più in generale simpatia per le sofferenze patite dagli uomini e dalle donne libiche.

Esistono oggi gravissimi pericoli per il patrimonio storico e identitario, i monumenti che ci sono cari.

Pericoli per il Castello Rosso, per il Museo di Tripoli che si affaccia sulla Piazza Verde e sulla Medina (Hassai Al-Hamra), percoli per lo stesso patrimonio islamico.

Desidero esprimere l’auspicio che la Libia e il Mediterraneo tutto ritrovino la pace, la libertà, la strada verso il progresso.  Che la Libia ritrovi la sua identità e la sua storia.

Al di là delle strumentalizzazioni dell’età coloniale, il patrimonio archeologico classico e post classico può contribuire a costruire l’identità della Nuova Libia di domani, se si affermerà la coscienza nuova dei Libici, che non può non partire dalla riscoperta del patrimonio.

Auguro che la Nuova Libia sia un grande Paese di pace, che riesca a contribuire efficacemente all’integrazione della riva sud del Mediterraneo in un mondo aperto e solidale.

Ho il piacere di presentare in questa occasione il volume su Leptis Magna, una città e le sue iscrizioni in epoca tarrdoromana, curato da Ignazio Tantillo e Francesca Bigi, con testi di  Lucio Del Corso, Adolfo La Rocca, Luca Lorenzetti, Massimiliano Munzi, Massimo Pentiricci, Pierfrancesco Porena, Giancarlo Schirru e con il contributo di Alfredo Mario Morelli,  autore dell’Appendicula testimoniorum.

Alcuni risultati delle ricerche condotte a Leptis a partire dal 2002 sono stati presentati ai Convegni internazionali de L’Africa Romana. Si segnala in questo volume il percorso storico della Libia dopo i Severi, le trasformazioni, le fratture, le continuità, le aristocrazie cittadine, la capitale provinciale, il concilium, la vitalità del paganesimo, il tardivo arrivo del cristianesimo, le incursioni, i terremoti, il destino dei diversi monumenti alla luce di una serie di documenti epigrafici, riletti in un contesto unitario.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 22 Maggio 2013 09:44

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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