Il Condaghe di Luogosanto

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Scritto da Administrator | 14 Agosto 2011

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Attilio Mastino
Il Condaghe di Luogosanto
5 settembre ore 10

Eccellenza, signora Presidente, Signor Sindaco, Cari amici,

più che per la mia competenza in materia, sono stato chiamato a parlare oggi a Luogosanto per la mia lontana parentela col sindaco Mario Scampuddu. Lo faccio con emozione davanti alle autorità, a tanti studiosi, ad amici, a persone che mi sono care.

Ho trovato significativo ed anche un po’ curioso che sia stata l’Accademia della Lingua Gadduresa presieduta da Andrea Rasenti a pubblicare questo volume di  Graziano Fois e Mauro Maxia sul Condaghe di Luogosanto, per iniziativa delle Edizioni Taphros di Dario Maiore: l’opera originale è stata infatti scritta a Sassari non in lingua Gallurese ma in Logudorese e riflette  un clima culturale, un ambiente, una tradizione che sono insieme iberici e logudoresi, come testimoniano i tanti catalanismi del testo: siamo nel 1519 nel terzo anno di Carlo V ed è come se il punto di osservazione scelto per narrare una così significativa fetta della storia religiosa e civile della Gallura sia volutamente esterno alla cultura locale e come se la memoria dei gloriosi eremiti devoti del culto mariano sia rimasta affidata agli archivi sassaresi piuttosto che alle testimonianze locali, per quanto il testo richiami genericamente antiche tradizioni orali.  Del resto gli autori non escludono che la scelta del logudorese sia stata determinata dal più elevato prestigio della varietà logudorese rispetto agli idiomi locali di matrice corsa. Vanno d’altra parte tenute presenti le incertezze documentarie sulla cronologia relativamente più tarda dell’introduzione dell’attuale dialetto sassarese a Sassari e del Gallurese in Gallura.

Riemerso dal fondo Sanjust della Biblioteca Comunale di Cagliari, il documento potrebbe esser una copia caralitana del manoscritto originario sassarese, effettuata dallo scriptorium dei frati di Stampace: il ritrovamento è significativo anche se il documento è in realtà molto più noto di quanto non appaia a prima vista e tutta la vicenda dei santi Nicolao e Trano e della antichissima presenza francescana nella diocesi di Civita è stata costantemente e gelosamente custodita dalla Provincia francescana di SM delle Grazie se è vero che era nota una trascrizione settecentesca del padre Pacifico Guiso Pirella, il costruttore nel 1730 della basilica dei Martiri di Fonni, che ha voluto rappresentare sulle pareti del santuario i pittoreschi  affreschi con le emozionanti immagini dell’arrivo dalla Terra Santa dei primi monaci francescani in Sardegna. Al tema hanno del resto dedicato attenzione in passato studiosi del livello di Arrigo Solmi, Evandro Putzulu, Agostino Saba, da ultimo Paolo Manichedda, che hanno collegato il manoscritto alla biblioteca di Nicolò Canyelles vescovo di Bosa negli anni 80 del 500, poi alla biblioteca del magistrato bibliofilo Montserrat Rossellò passata nel 1613 ai Gesuiti di Cagliari. Infine alla famiglia del Marchese di Neoneli Enrico Sanjust.

Il documento in nostro possesso in realtà non è un condaghe come pure è definito già dal Vitale; se si vuole neppure esattamente un fundaghe, ma una lettera con una leggenda di fondazione di una chiesa, quella della Madonna di Luogosanto e delle vicine chiese di Trano e Nicolao: studiato ora negli aspetti codicologici, diplomatistici, storici, linguistici, è una preziosa ed unica testimonianza dell’intreccio tra devozione mariana e culto dei santi in Gallura in un luogo come Luogosanto che conserva ancora oggi il sapore antico di un centro religioso e santuariale e che mantiene tradizioni secolari e speciali privilegi solennemente riconosciuti dall’autorità ecclesiastica fin dal medioevo. Non abbiamo elementi per ipotizzare un qualche collegamento originario con la celebrazione romana dell’anno santo a partire da Bonifacio VIII, anche se non è escluso che alle origini dei privilegi fino ad oggi posseduti ci sia una bolla papale del XV secolo. Siamo però di fronte ad una tradizione alla quale non si può non guardare con rispetto e piena comprensione dello spessore storico di tradizioni locali che appaiono profondamente radicate.

Quello che è storicamente certo è che l’opera fa riferimento ad un provvedimento, ad un atto giuridico del primo vescovo delle diocesi unite di Ampurias e Civita Ludovico Gonzalez, frate osservante, di origini iberiche, che nei primi decenni del Cinquecento volle evidentemente ricostruire - a beneficio dei confratelli vescovi sardi -  la vicenda della presenza francescana nella diocesi di Civita, erede di Olbia romana e di Fausiana tardo antica, rinata a partire dal 1095. L’antica diocesi medioevale era stata fusa proprio qualche anno prima con la diocesi di Ampurias, erede dell’antica sede di Flumen, il cui nome fa riferimento alla valle del Coghinas, diocesi attestata già nel 1112 nel territorio dell’antica Tibula. La data è sicura, anno ab incarnazione domini millesimo quingentesimo decimo nono, nel sesto anno del Papa Leone X (Giovanni dei Medici). Assistito dal notarius Gribaldus, Ludovicus dichiara di operare con l’autorità di episcopus civitatensis ossia di Terra nova, l’antica Olbia e recupera per condache et una littera antigua oltre che dalla tradizione orale la vicenda dei tre frati che dalla chiesa di san Giovanni Battista in Gerusalemme tornando in Italia ascoltarono l’invito della Madonna – apparsa miracolosamente loro in sogno -  di stabilirsi in sa isola lunga et petrosa quale est sa isola nostra de Sardigna, nel gran bosco del Capo di Sopra dove erano venerate le tombe degli eremiti San Nicola e San Trano.

Dietro questi pochi dati c’è la storia stratificata di un territorio montagnoso, c’è la profondità della cultura locale, c’è la certezza che la presenza francescana in Gallura è antichissima, addirittura si ritiene contemporanea a san Francesco, se è vero che la prima notizia storica relativa a conventi o monasteri francescani in Sardegna risale al marzo 1230 in una pergamena dell’Archivio di stato di Pisa che si data a 4 anni dalla morte ed a due anni dalla canonizzazione: e come è noto San Francesco fu in Terra Santa  nel 1220 e morì nel 1226. Il 1226 è anche l’anno della morte anche del suo protettore papa Onorio III. Per gli Annales Sardiniae di Salvador Vitale il conventiculum di Luogo Santo sarebbe stato costruito già nel 1218 proprio durante il Papato di Onorio III ad rupem sancti Trani.

Restano moltissimi interrogativi che non appaiono completamente risolti nel volume, tanto che alcuni capitoli sono intitolati Non conclude. E questo specialmente a proposito dei livelli differenti di documentazione che spesso sono cuciti tra loro in modo poco convincente quando non si sovrappongono anche per l’evidente ignoranza degli originari compilatori. Intanto poco sappiamo del destino delle diverse copie di un documento che doveva esser conservato in copia a Luogosanto e forse nella provincia francescana del Capo di Sopra, il che spiegherebbe la sottolineatura relativa alla selva di Capo Soprano del testo, in relazione alla divisione però più tarda, seicentesca, della originaria circoscrizione dei Frati Minori. Del resto forse è eccessivo porre al nostro testo delle domande precise di tipo storico come quelle che seguono, che ci sono state suggerite dalla curiosità di scendere in profondità e di capire di più.

-         il vescovo Gonzales utilizza come sua fonte più condaghi di fondazione delle tre chieste oppure un unico condaghe, ben distinto dal testo a noi pervenuto ? c’è un contrasto nel testo se inizialmente si parla di una trascrizione di testi raccolti: in condaginis dictarum ecclesiarum antiquis, espressione ripresa dall’Aleo en los antiguos codices de la fundacion de las mismas Iglesias. Eppure il vescovo dichiara: invenimus per condaginem et per unam scripturam antiquam et per antiquam famam etiam nostrorum subditorum Diocesanorum.

-         il condaghe logudorese citato dal vescovo Ludovico come sua fonte risale a quanti secoli prima di lui ?  al quattrocento o addirittura al trecento ?

-         Fino a che punto si sviluppa l’ intreccio tra la documentazione cinquecentesca con il formulario in lingua latina e la documentazione più antica ripresa dal condaghe logudorese che è in sardo ? Eppure dobbiamo osservare che la parte iniziale in logudorese appare contemporanea al vescovo Ludovicus, che richiama il parere de tottus sos diocesanos nostros de sa diocesi dee Civita over de Terra Nova: perché il vescovo scrive in latino e poi in sardo ? Non è che il vescovo Gonzalez è autore di tutto il testo logudorese, che dunque è cinquecentesco e non precedente ? Oppure dobbiamo distinguere tra Ludovicus, che si definisce Dei et apostolicae sedis gratia Castri Ianuensis, Ampuriensis, Civitatensis episcopus ed un precedente anonimo vescovo della diocesi di Civita autore del testo in logudorese citato tra virgolette ?  Non sembra proprio, anche perché abbiamo già osservato che Ludovicus agisce in quanto episcopus civitatensis, come se le due diocesi sopravvivessero distinte anche se unificate nella persona del vescovo.

-         Dunque quali sono le ragioni dell’utilizzo del latino e del sardo e dove i testi si divaricano?

-         Inoltre, quando si è costituita la leggenda di fondazione, tenendo presente (come mi fa osservare Alessandro Soddu) che il toponimo Luogosanto è documentato già nei secoli precedenti?

-         Quando furono costruite le tre chiese galluresi della Madonna di Luogosanto, di San Trano e di San Nicolao, che erano  tanto antiche da risalire a cando sa cristiana fidei commençait a chrescher et isparguersi per issu mundo ? Cioè ad età paleocristiana.

-         Eppure sappiamo che erano state consacrate con il frutto delle elemosine da un cardinale avignonese, un incerto messer Giovanni, nell’età di Papa Onorio, mentre Francesco era ancora in vita.

-         A quando risalgono i due santi eremiti?

-         Quando furono ufficialmente attribuite alle tre chiese cussas indulgencias et perdonos, quelle famose indulgenze e perdonanze, in occasione della festività della natività di Maria e nelle altre occasioni sacre?

Di fronte a una straordinaria e talora incerta stratificazione, va osservato subito che gli autori preferiscono presentare tutto il ventaglio delle ipotesi possibili, anche là dove le cose potevano apparire chiarissime.

Innanzi tutto la presenza degli eremiti nella Gallura: come è noto la tradizione storiografica sarda di matrice ecclesiastica ha costantemente attribuito la originaria introduzione del modello monastico in Sardegna all’esperienza compiuta da Eusebio di Vercelli e da Lucifero di Karales nella Tebaide nel corso del IV secolo in occasione dell’impero di Costanzo II: su questa linea si attestano alcuni dei commentatori del condaghe, che preferiscono fissare un intervallo di circa 8 secoli tra l’esperienza eremitica di Nicolao e Trano e forse di San Quirico nelle grotte galluresi e l’arrivo dei tre frati francescani dalla Terra Santa.  Più esplicitamente nei Successos dell’Aleo alla fine del 600 Nicolao e Trano sarebbero morti nel 390 d.C. dopo aver fondato una hermita, una chiesa rurale in onore della Madonna. Eppure la tradizione pluristratificata che inizia con il Fara non esclude anzi suggerisce la possibilità che i due eremiti siano vissuti in età bizantina oppure siano stati dei benedettini vissuti addirittura nel XII secolo pochi decenni prima di San Francesco.  Né esiste veramente l’esigenza di negare il ruolo di Fulgenzio di Ruspe nell’introduzione del monachesimo in Sardegna all’inizio del VI secolo né di negare la possibilità che alcuni dei monasteri documentati in Sardegna possano risalire ad epoca più antica di Eusebio, visto lo stato di degrado dell’organizzazione monastica in Sardegna documentato nell’età di Gregorio Magno. Infine, la ricerca delle reliquie nella nostra isola non comincia certo nel XIII secolo se è già attestata con i martiri sardi Efisio, Potito, Lussorio, con il vescovo caralitano Primasio che si è occupato del corpo di Speratus o con il vescovo di Ippona che ha portato con se il corpo di Agostino forse alla fine del VII secolo.

Al di là delle contraddizioni, degli errori, delle sovrapposizioni del nostro documento che sono effettivamente evidenti, sono rimasto sorpreso comunque dell’antichità di un documento che precede di circa un secolo la guerra per le reliquie sviluppatasi in Sardegna nel Seicento. Possiamo anche ammettere che la leggenda di fondazione sia nata solo nel Cinquecento proco tempo prima dell’episcopato di Ludovicus e ciò con lo scopo di valorizzare le origini francescane della devozione alla Madonna della Gallura e con lo scopo di definire giuridicamente il quadro delle indulgenze concesse effettivamente dal Pontefice o in qualche modo usurpate sia pure difese da una profonda tradizione religiosa locale.

Ad un secolo successivo riferiamo allora la guerra delle reliquie, che non si è limitata alla ricerca dei Sancti innumerabiles nelle chiese cagliaritane (San Saturno, San Lucifero) e nella basilica di San Gavino a Porto Torres, ma che si è estesa fino a comprendere altre diocesi, desiderose di retrodatare la propria storia religiosa ad epoca apostolica: così lo scontro per la primazia tra l’arcivescovo di Cagliari e quello di Sassari, gli scavi, gli atti notarili relativi alle scoperte, la leggenda della città di Calmedia e dei suoi vescovi Emilio e Priamo a Bosa,  la scoperta di iscrizioni con la sigla fraintesa di beati martires per bonae memoriae in tutta l’isola; la ricerca del corpo di San Simplicio (che mons. Tamponi continua ancora oggi) presso la basilica di Terranova. Il detonatore credo sia stato rappresentato dalla pubblicazione nel 1598 del De Sanctis Sardiniae di Giovanni Proto Arca, alle origini della letteratura agiografica isolana: a due anni dopo risale la Chronica de los santos de Serdena di Dimas Serpi. Ma il riflesso del nostro testo compare già nel Fara ancora alla fine del 500 e più in dettaglio nel 1624 nel Christus crucifixus di Jaime Pinto, che ha tutte le informazioni relative al documento fondativo delle chiese francescane di  Luogosanto.

La vicenda della polemica religiosa per le reliquie è troppo nota per dover essere oggi richiamata: quello che è però evidente è che ben prima che i Gesuiti si impadronissero di questa problematica guidando gli Arcivescovi di Cagliari e di Sassari nella lotta per la primazia, i Frati Minori avevano autonomamente avviato la riscoperta della loro presenza in Sardegna, oltretutto ancorandola a quell’anachoritarum incolatum che rimandava ai precedenti nobili della vita eremitica che ispirò la originaria comunione francescana. Comunione del resto nobilitata con riferimento all’esperienza dei tre monaci fondatori in Terra Santa in partibus infidelium, il pellegrinaggio in terra d’oltremare, in rapporto con l’ordine gerosolimitano e più ancora con i Giovanniti. Quello di Luogosanto sarebbe dunque il luogo del primo insediamento minoritico in Sardegna, conserverebbe un primato significativo, precedendo secondo Graziano Fois anche l’insediamento conventuale caralitano di Stampace considerato alle radici del francescanesimo isolano. Per quanto non mi azzarderei a seguire l’autore nel fissare le date della presenza francescana nella prima domus cagliaritana già nel 1217 e addirittura fino a due anni prima a Luogosanto, nell’età del giudice Lamberto Visconti.

Non va del resto nascosta la difficoltà rappresentata dall’inconsistenza della documentazione relativa ai due o tre eremiti, Trano, Nicolao, Quirico, nomi che recentemente sono stati considerati deformati e collegati col culto ben più noto e diffuso di San Nicola di Trani, il martire pellegrino pugliese morto il 2 giugno 1094.

Non so quanto rimanga dopo aver identificato le contraffazioni ideologiche e le ambiguità del nostro testo, che pure esprime una realtà storica, quella delle forte devozione mariana presso il venerato santuario di Luogosanto meta di antichi pellegrinaggi e quella di un’antica presenza francescana sui monti della Gallura: manca certamente una minima sensibilità per la cronologia, anche se il documento si fonda sulla consapevolezza che il territorio gallurese - quando la Sardegna usciva dal medioevo - era disabitato sulle colline granitiche della curatoria di Montanna e della vicina Gemini: è nel deserto che i gloriosi eremiti che hanno preceduto l’insediamento francescano cercano il loro raccoglimento e la loro dimora. Come è noto sappiamo ben poco sulle dimensioni e le caratteristiche del fenomeno urbano nella Gallura in età romana: il territorio occupato dal bellicoso popolo dei Corsi, ostile agli immigrati italici e resistente alla romanizzazione, doveva conoscere un insediamento sparso, con pochi centri abitati di modeste dimensioni, la cui localizzazione presenta problemi pressoché insuperabili per gli studiosi. E’ stata recentemente discussa l’identificazione di Tempio Pausania con la stazione militare romana di Gemellae oppure, in alternativa, con il santuario rurale di Heraeum. Fin qui è prevalsa l’idea che la città storica di Tempio Pausania debba comunque aver avuto un precedente illustre ed una sorta di continuità dall’età romana fino ai nostri giorni (per quanto la cosa contrasti con le leggende locali, che parlano proprio di uno spostamento di Tempio dall’agro di Luogosanto, presso la chiesa di Nostra Signora del Rimedio, all’attuale sede). Appare forse sottinteso il pregiudizio che non ci si può rassegnare ad immaginare che il territorio non conoscesse nell’antichità romana una fase urbana evoluta, che superasse l’insediamento sparso dei Corsi, pure esplicitamente testimoniato dalle fonti; e ciò anche se possiamo credere che le stazioni stradali e le fortificazioni romane dovettero avere a nord del Limbara un carattere estremamente modesto per tutta l’età imperiale ed in età bizantina.

Il nostro documento parte dalla consapevolezza che gli eremiti Nicolao e Trano avevano scelto il deserto, la montagna, la vita eremitica: ne discendono conseguenze non di poco conto anche sulla geografia storica della Sardegna bizantina e giudicale, che contrastano con l’idea romantica di una forte urbanizzazione, idea alla quale è legato il nome stesso di Tempio Pausania ricalcato sulla denominazione della antica diocesi di Fausiana in Gallura deformata dalle Carte d’Arborea, un falso della metà dell’800.

Eppure qui vicino il Palazzo di Baldu, la chiesa di santo Stefano, la grotta della chiesa di San Trano, il castello di Balaiana, le altre 22 chiese della campagna di Luogosanto testimoniano un momento di crescita e di forte espansione di una comunità che certamente ha visto nella presenza francescana il motore del suo sviluppo, anche se in origine è proprio il fatto che il territorio era disabitato ad aver incoraggiato la presenza francescana, caratterizzata da una singolare instabilitas loci, per il girovagare dei frati in territori disabitati.

Ci muoviamo veramente su tematiche difficili e controverse, a partire dall’introduzione del cristianesimo in una Gallura che Gregorio Magno descriveva alla fine del VI secolo abitata ancora da barbari pagani al margine tra la provincia bizantina e la Barbaria interna. Gregorio distingueva tra i cristiani della provincia bizantina ed i pagani dell'interno, tra provinciales e barbari e, nell'ambito della stessa provincia, precisava che esistevano alcuni territori, come quello della lontana diocesi di Fausiana, in cui i pagani continuavano ad essere in numero consistente: quosdam illic paganos remanere cognovimus et ferino degentes modo Dei cultum penitus ignorare.

Ma sono tante le problematiche sollevate da questo testo: la presenza degli ordini monastico-cavallereschi, l’affiliazione delle tre chiese di Luogosanto all’Ordine Gerosolimitano, l’arrivo dei due eremiti, i rapporti tra il monachesimo eremitico, quello benedettino e quello francescano, l’autorità del vescovo di Civita, l’impegno per sviluppare la pratica devozionale dei pellegrinaggi, delle elemosine, delle indulgenze, l’arrivo miracoloso della statua della Madonna, gli ex voto per grazia ricevuta, i miracoli.  Guardiamo a questi aspetti con grandissimo rispetto, ma oggi anche col senso della storia, con la voglia di andare oltre la superficie, di arrivare veramente alle radici, al cuore di una tradizione, quella sintetizzata dalla Porta Santa del nostro santuario, che racconta una vicenda secolare di fede, di devozione, di raccoglimento, di preghiera. Forse allora occorrerà chiedere aiuto agli archeologi, ad Angela Antona, a Fabio Pinna, a Franco Campus, ai collegi della Soprintendenza e dell’Università, per ricostruire attraverso le testimonianze di cultura materiale la realtà storica dell’insediamento eremitico e del primitivo insediamento francescano, attraverso le rovine medioevali delle chiese e del monastero, che abbiamo potuto recentemente visitare in occasione della inaugurazione del museo cittadino promosso da mons. Francesco Tamponi.

Sfogliando questo libro ho trovato il gusto per la scoperta, la voglia di rileggere un documento straordinario con gli occhi disincantati della filologia, della linguistica, della diplomatistica. Credo dobbiamo agli autori il sapore di una novità e di una primizia, la voglia di tornare alle radici di una fede antica e vitale che rimane preziosa anche per noi uomini d’oggi.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 22 Maggio 2013 11:04

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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