Attilio Mastino
Ricordo di Giovanni Del Rio
Sindia, 26 giugno 2015
Ricordare Giovanni Del Rio a sei mesi dalla scomparsa per me può essere un rischio, perché significa assumere un punto di osservazione forse troppo limitato e personale, renderebbe obbligata una riflessione anche critica e non agiografica non tanto sul personaggio quanto sulla compagnia che in qualche caso l’accompagnava, richiederebbe un distacco che ammetto di non avere per il debito di riconoscenza, per il forte legame con mio padre, con i luoghi che amo, ripensando al sole e al mare di Porto Alabe. Non si può ricordare Giovanni Del Rio senza ritornare alla misteriosa Sindia di mons. Giuseppe Masia (1938-87), il paese ricco delle tante memorie cistercensi, che stanno sullo sfondo di una formazione, di una passione, di una fedeltà che non ha avuto tradimenti, fino agli ultimi giorni, nonostante i tanti dolori come la morte della prima moglie Cicita nel 1985 o il sequestro di Ernesto Pisanu nella tenuta di Bara nel giugno 1984 o le tante delusioni umane.
Percepivamo, anche nello scontro che ebbe con la dirigenza RAI per le trasmissioni regionali, nei duri contrasti dentro il suo partito, più tardi nella breve e generosa guerra con Andreotti, una sua identità profonda popolare, democratica, antifascista, fortemente radicata e addirittura inflessibile, che riscoprivo ogni volta che ci chiamava con le motivazioni più diverse, magari solo perché voleva farci sapere che continuava a seguirci passo passo oppure più di recente ogni volta che c'incontravamo con la signora Geltrude in un bar di Piazza IV Novembre a Bosa, fino agli ultimi tempi, ormai quasi novantenne, con la cordialità, l'attenzione e la lucidità di sempre. Un signore sempre più distaccato dalla politica, ma profondamente inserito nel nostro ambiente, nelle nostre amicizie, in varie associazioni, perfino nel nostro paesaggio.
Allora innanzi tutto questa Sindia dove Del Rio era nato il 12 maggio 1925 da Michele e che non avrebbe mai dimenticato, un paese così misteriosamente simile alla Domomentis del romanzo di Salvatore Sechi, La stazione dei sogni, perché anche Del Rio coltivava dentro di sé fin da ragazzo un mito originale, quello di un Medioevo giudicale animato dalle colonizzazioni dei monaci, delle grandi abbazie collegate tra loro in una grande rete, al di là del mare ed al di là dei confini degli stati nazionali: quello della suggestione dei riti religiosi che ipnotizzano e che conducono alla verità.
Da qui bisogna partire per spiegare questa profondissima e oggi inusuale vocazione religiosa di Del Rio, alimentata dagli studi presso i salesiani di Lanusei e di Cagliari, ma che in realtà era il suo vero modo di vivere anche se m’immagino la politica lo abbia ripetutamente messo di fronte a scelte difficili e a compromessi imbarazzanti. Vocazione che si è rafforzata con inaspettata coerenza negli ultimi anni quando l'ho visto recitare il rosario nella chiesa parrocchiale di Sindia tra centinaia di donne devote alle reliquie raccolte dal parroco. Lo faceva anche le poche volte che saliva su un aereo. Mons. Masia aveva costruito la colonia estiva di Nigolosu nella pineta di Magomadas, dove ci recavamo a messa la domenica, guardando sbigottiti i bizzarri contenitori sanitari utilizzati per conservare i frammenti degli intonaci staccati sbrigativamente da tanti santuari mariani nel mondo. Come lo spavento che provai in una stanza buia della casa parrocchiale qui a Sindia, per la statua credo di Santa Daria stesa su un letto.
E' stato Salvatore Sechi a descrivere il paese di Sindia negli anni 50, partendo dal suono delle campane per le feste come per la tosatura delle pecore sui piazzali di Corte, di San Giorgio, di San Demetrio, infine di San Pietro, questo microscopico gioiello romanico che ancora emoziona. Forse da qui derivava l'intolleranza di fronte all’ingiustizia ma anche la capacità di razionalizzare, di leggere e di giudicare con occhi moderni, di combattere i moralismi e le ipocrisie, di capire i drammi degli emigrati, i problemi dei pastori, l'arretratezza di un'isola che aspettava ora non più insonnolita un impegno nuovo da amministratori, capaci di realizzare obiettivi concretissimi, senza inseguire la polemica politica inutile, anzi cercando convergenze con tutti, in particolare con la sinistra. Da qui l’ammirazione per la saggezza dei vecchi, il fatalismo, la forza d’animo, l’orgoglio, la solidarietà tra conoscenti, tutti valori della tradizione sarda. E infine il giudizio severo per il modello sociale che andava affermandosi, ma sempre con rispetto per gli altri, anche per gli avversari che spesso apprezzava più degli amici, come Umberto Cardia, Mario Melis, Girolamo Sotgiu. Dalla stessa parte della barricata riuscì a raccogliere in tante occasioni tutti i partiti di centro e di sinistra, fino al PSIUP e al PCI, come ad esempio l’11 maggio 1967 durante la prima giunta Del Rio per la vivacissima discussione contro le destre sul colpo di stato militare in Grecia.
Vedevo in Del Rio, come nel protagonista del romanzo di Sechi, il dissidio quasi schizofrenico della Sardegna di allora tra un passato che continuava ad essere vitale e che continuava a pulsare violento nelle vene ed un presente, quello del villaggio globale, nel quale le culture egemoni minacciavano di soffocare e di omologare gli individui, di travolgere le identità, di eliminare la comunicazione e il dialogo. Sullo sfondo c'era l'ammirazione per il mondo dei pastori, la consapevolezza che la pastorizia sarda continuava a vivere in uno spazio eterno, dove il tempo si misurava in altro modo. Mi torna in mente quella scena che ho vissuto a Tamuli di Macomer, quando Giovanni Lilliu riuscì ad evocare per noi studenti di Studi Sardi quasi per incanto un mondo antico, una dimensione parallela perduta, indicandoci la figura di un pastore che improvvisamente era apparso dal nulla, del tutto simile ad un personaggio dei tempi eroici protosardi: una figura, quella del pastore, che anche Del Rio osservava con grande simpatia e rispetto, perché era il testimone finale di una sapienza antica di un mondo che sentiva davvero suo.
Se dovessi raccogliere i tanti ricordi personali, dovrei parlare dell'arrivo del vescovo Francesco Spanedda a Bosa nel 1957, accolto da Del Rio Assessore regionale alla viabilità trasporti e turismo, dal sindaco Angelo Manca che aveva sostituito il vecchio Giuseppino Mannu, da mio padre, che si era occupato dei restauri del Seminario; l'impressione negativa per le condizioni spaventose della casa del vescovo nel Seminario della meridiana, la decisione di progettare un nuovo Episcopio in Viale Giovanni XXIII, alla vigilia della soppressione della diocesi. E poi le continue inondazioni del fiume Temo, che avrebbero consigliato di costruire la diga di Monte Crispu, voluta da Del Rio, che avrebbe finito per risolvere il problema una volta per sempre. Una storia di successo. Tante altre idee, il restauro del Centro storico con il travaso da Sa Costa a Caria, l’edilizia economica e popolare, l'Ospedale di Macomer d'intesa con il Sindaco Salvatore Castagna grazie alla donazione Pitzus, l’accorata difesa della Caserma Bechi Luserna, il progetto portato avanti dal Sindaco di Sindia Pietro Paolo Pisanu per la realizzazione della diga sul Rio Mannu, con un originale sistema idraulico che dopo 50 anni vedo continua ad essere indicato come fondamentale nei documenti dell'autorità di bacino della Sardegna e dell'Agenzia del distretto idrografico, intorno al nuraghe Moresa. Ricordo che il sindaco Pisanu ne aveva parlato – già vecchissimo perché era nato nel 1902 - in occasione della prima confusa assemblea del Comprensorio del Marghine e della Planargia che aveva presieduto come decano nel 1975, dopo il superamento delle aree omogenee, con la nascita dei 25 comprensori previsti dalla legge 33 del I agosto 1975 voluta da Del Rio. L’anno dopo Pietrino Soddu avrebbe istituto le Comunità Montane a seguito della legge del 6 settembre 1976 n. 45, mettendo insieme nelle giunte maggioranze e minoranze, comunisti, socialisti, democristiani. Come dimenticare l'impegno per la nascita del Consorzio industriale di Macomer, poi la Tirsotex, l'industrializzazione di Ottana, le infrastrutture fino al Tirso ? E anche tante polemiche, come per la nascita della provincia di Oristano nel 1974, con l'esclusione di Bosa, Sindia e parte della Planargia.
Ma ovviamente mi rendo conto che il mio orizzonte in quella fase era davvero troppo limitato, anche se qualche volta Del Rio veniva alle mie iniziative diocesane o regionali della Gioventù italiana di Azione Cattolica o del Centro Sportivo Italiano: del resto la DC di quegli anni era molto vicina alla Chiesa, forse troppo. Oppure lo accompagnavamo nei comizi in Planargia, credo proprio nel 1974, quando mi rimane nettissima la sua immagine nel Largo Moretti a Tresnuraghes, con questa sua capacità di trascinare le folle ma anche la stanchezza, il caldo, la fatica, questo enorme fazzolettone bianco col quale si asciugava il sudore che continuava a colargli sugli occhi, mentre parlava per convincere il suo pubblico che la strada giusta era quella di una prospettiva politica di centro sinistra. Ci spostavamo poi subito in corteo davanti ad altre platee ugualmente interessate. Ancora le mie visite a Porto Alabe, dove Giosué Ligios, Nino Carrus e Del Rio avevano costruito le loro case al mare, inizialmente isolati dal mondo, perfino privi di telefono, ma circondati da amici come Titino Burrai o il discusso segretario regionale della DC Tottoi Sanna di Suni. I fanfaniani di Bosa, pur in una dimensione locale vantavano origini illustri legate alla tradizione popolare del vecchio deputato Palmerio Delitala fondatore del PPI e della DC, l’avversario di Antonio Segni. Continui erano i rapporti con i fanfaniani di Macomer ad iniziare dal sempre presente Andrea Maninchedda spesso accompagnato dalla Preside Maria Roberta Calamida ai pranzi elettorali organizzati da Giommaria Urgu, Salvatore Deriu, Gino Tanda, Salvatore Milia. L'ostilità di Tilde Chelo, cossighiana dichiarata.
Tra le mie carte ho ritrovato un ciclostilato dell’aprile del 1971, ahimé 45 anni fa, in cui difendevo il sindaco Paolo Mereu, accusando insieme fanfaniani e forzanovisti, per il clima interno, per le lotte intestine che sfioravano il cannibalismo, trasferendosi dal piano politico al piano della cattiva educazione. La maggioranza non si era presentata in consiglio dandosi così in pasto ai frizzi della sinistra. Consideravo irresponsabili gli uni e gli altri, ma l’attacco frontale era riservato ai tre consiglieri di Forze Nuove, colpevoli di aver inviato un commando nella sede della DC per rapire schede e bollini. Intanto Bosa attraversava una crisi gravissima. E concludevo: <<non crediamo che i lavoratori e i giovani possano umanamente ancora tollerare che si continui a giocare sulla loro pelle>>. In realtà erano anni fecondi, che facevano emergere un’azione politica democratica e progressista e, al di là della rissosità, testimoniavano l’anima popolare della DC.
Attraverso alcuni suoi contatti Del Rio riceveva in continuazione notizie, non sempre lusinghiere ma anzi affettuosamente malevole, sulla mia attività, anche perché – oggi mi rendo conto - non riuscivo esattamente inquadrabile all'interno della galassia delle correnti DC, allievo come ero di Giovanni Lilliu e corrispondente per il giornale Il Popolo Sardo dell'avversario nuorese Ariuccio Carta, fondatore di Forze Nuove. Ma anche per altri giornali, come Sardegnavanti, diretto da Filippo Birocchi e mons. Giuseppe Lepori, con la redazione in Via Logudoro a Cagliari. Ne soffrivo, ma senza ragione, perché Del Rio come Nino Carrus - allora impegnato nella costruzione della Cantina Sociale di Flussio per la valorizzazione della Malvasia di Bosa - hanno continuato a seguirmi, se da Sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel terzo governo Andreotti nel 1976, Del Rio mi aveva chiesto di raggiungerlo a Roma in Viale Trastevere per non so più quale impiccio bosano. Del resto sarebbe stato proprio lui a far registrare a tempo di record presso la Corte dei Conti nel 1982 il decreto della mia nomina a professore associato.
Virtù straordinaria di Giovanni Del Rio mi pare sia stato questo lungo e fedele sodalizio con Nino Carrus, consigliere regionale, deputato, professore universitario, soprattutto uomo politico e di cultura che ha contribuito a formare generazioni di giovani intorno al tema del confronto politico rispettoso per gli altri e della rinascita della Sardegna. Entrambi uomini pieni di sentimenti, di idee, di curiosità, che partivano da un piccolo paese – Sindia e Borore – ma non avevano una visione provinciale del mondo perché si sentivano a tutti gli effetti protagonisti di una storia più grande. Più ancora di Del Rio, Carrus era interprete di quella feconda componente del mondo cattolico dossettiano più sensibile verso il sociale, più aperta verso la sinistra, più matura e desiderosa di dialogare e di trovare un consenso più ampio: e ciò gli derivava innanzi tutto dalla sua formazione e dalle sue origini, se tra le sue opere c’è una lettura non convenzionale di Antonio Gramsci. Nei libri scritti da Carrus c’è il tema dell’etica francescana, il ruolo in politica della sinistra cristiana, ci sono soprattutto i temi dell’autonomia della Sardegna, della programmazione, della rinascita, del federalismo, della cooperazione, degli interventi contro la criminalità, in generale dello sviluppo del Mezzogiorno. Temi che hanno fortemente pesato anche sulle posizioni forse solo apparentemente meno aperte di Del Rio, come testimonia il volume sui Discorsi politici di quest’ultimo, pubblicati con introduzione e note di Nino Carrus nel 1974. Dell'uno e dell'altro conservo ora un ricordo forte e positivo, pensandoli come punti di riferimento stabile nella mia vita e nella vita di tanti altri giovani non più giovani della Sardegna centrale, che credo coincida con l’idea che di loro hanno ancora oggi persino gli avversari politici.
Proprio dal libro dei Discorsi politici emergono i temi della drammatica recrudescenza dei fenomeni del banditismo, in maniera profetica se dieci anni dopo il 3 giugno 1984, Ernesto, il cognato di Del Rio, sarebbe stato catturato dai banditi. Ho trovato molto lucida l’analisi fatta da Francesco Soddu nell’introduzione al recente volume di Salvatore Mura per Franco Angeli, Pianificare la modernizzazione, Istituzioni e classe politica in Sardegna 1959-1969, dove si ammette – forse a denti stretti – che rispetto a quello di Dettori il programma di Del Rio metteva al centro più decisamente il problema delle zone interne; Ariuccio Carta avrebbe accusato Del Rio di badare solo al suo feudo elettorale, ma come segretario regionale sarebbe stato proprio lui a sostenerlo come presidente della Giunta. Al di là delle alleanze tattiche, la DC finiva per raggiungere al suo interno, specie nel Nuorese, forti intese operative. Salvatore Mura del resto ammette che Del Rio era <<un autentico cattolico di sinistra, e perciò antifascista e antiliberista>>. Dunque le grandi battaglie della contestazione contro il governo centrale, il confronto-scontro con lo Stato, la progettualità autonomistica, la nuova cultura di governo, la programmazione democratica dal basso che raccoglieva l'eredità sardista e antifascista, l'impegno per l'industrializzazione delle zone interne, la incredibile conoscenza dei dirigenti nazionali della miriade di Enti a partecipazione statale e il loro contributo alla battaglia per l'approvazione del disegno di legge 509 del 1972, i dibattiti in Consiglio Regionale sull'indagine sulle zone interne, il giudizio sui risultati della commissione parlamentare d'inchiesta. Alle spalle c'è l'idea profonda della solidarietà che la Repubblica deve garantire all'isola e che si era manifestato fin dagli anni 50 con la nascita della Cassa per il Mezzogiorno, allo scopo di predisporre programmi, finanziamenti ed esecuzione di opere straordinarie dirette al progresso economico e sociale dell’Italia meridionale, per superare gli svantaggi e colmare il divario con l'Italia settentrionale. Credo che possiamo considerare la Cassa per il Mezzogiorno il frutto più maturo e coerente di una grande intuizione solidaristica della Democrazia Cristiana e non solo, ispirata ai modelli nordamericani del New Deal. L’orizzonte che si intravvede nei suoi scritti è enormemente complesso, ampio, pienamente maturo. Suscita rimpianti, come già per la riforma ancora mancata dello statuto sardo.
Discutendo con Manlio Brigaglia, naturalmente è emerso il fatto che Del Rio sarebbe stato coinvolto nel 1967 nella congiura giagu-cossighiana contro Paolo Dettori, che in qualche modo avrebbe fatto deragliare su altri binari la nuova Questione sarda. Sempre Brigaglia mi ha detto che Dettori non aveva risentimenti, perché nella sua bontà perdonava tutti. Dettori aveva presieduto la XII Giunta Regionale tra il 22 aprile 1966 e il I febbraio 1967, per un periodo breve ma luminoso. Un breve volo. La cacciata di Dettori è oggi considerato dagli storici un episodio ignominioso da dimenticare.
Forse è così, ma il libro dei Discorsi politici testimonia anche l'ammirazione che Giovanni Del Rio nutriva nei confronti di Dettori, che apparteneva con Pietrino alla corrente di morotei alleata di Forze Nuove di Nuoro, decisamente schierati contro i Fanfaniani: le dichiarazioni programmatiche della Giunta Del Rio il 7 marzo 1967, dove Soddu era assessore alla PI, iniziano con queste frasi: <<Mi è di conforto l'ispirazione che ho tratto dalla testimonianza personale e dall'impegno politico del mio predecessore onorevole Paolo Dettori, al quale devo rendere un tributo di gratitudine non solo per il patrimonio di idee che mi ha consegnato, ma anche per l'esempio della sua opera di intelligente politico e di buon amministratore. La sua azione ha caratterizzato un importante momento del nostro impegno autonomistico e darà sicuramente risultati fecondi nella vita della nostra Regione>>.
Non mi sembra siano solo parole di circostanza e posso oggi testimoniare con tanti amici il rispetto che Del Rio ha sempre manifestato nei confronti di Dettori, inizialmente proposto lui stesso come Presidente della Giunta e poi, il 9 luglio 1968, eletto presidente del Consiglio regionale. Ma Del Rio era un combattente forse più coraggioso e meno prudente, più decisamente schierato per il centro sinistra organico contro le deboli correnti democristiane di destra, meno capace di trovare un compromesso interno e un accordo con i Socialdemocratici e Sardisti antichi alleati della DC. E il 2 febbraio 1967 era stato Dettori, indebolito dall’aventino sardista, a rinunciare alla Presidenza per motivi di carattere personale e familiare. La replica dell’11 marzo 1967 dimostra la natura progressista del programma della coalizione di centrosinistra, contro <<una defatigante ricerca di mediazioni o contro le forme involutive di moderatismo, sordo allo svolgersi delle cose>>: <<la base popolare dei due partiti [la DC e il PSU] esige coraggio per andare avanti, per mettersi al passo con la realtà, per un impegno totale, nel quale crediamo e che non può essere oggetto di distorte interpretazioni>> .
Ma andiamo con ordine. Dal 1944 proprio qui a Sindia Giovanni Del Rio aveva presieduto a soli 19 anni d’età, il Comitato di concentrazione antifascista (come si chiamava in Sardegna l’organismo omologo del CLN). Questo forse spiega la virulenza dei suoi attacchi alla destra, che abbiamo ereditato tutti e di cui qualche volta mi sono pentito. A 23 anni Del Rio si laurea in Giurisprudenza a Sassari il 5 luglio 1948, con una tesi su “Regolamento giuridico dei rapporti tra gli Enti ecclesiastici e i loro dipendenti”, discussa con la prof.ssa Ginevra Zanetti. Nell’Archivio Storico dell’Università è conservata copia della tesi e il titolo delle due tesine discusse con Sergio Costa e Antonio Castiglia: una di esse trattava un tema davvero bizzarro, la suppurazione di un callo della mano, indennizzabile per un assistente di laboratorio. Era stato poi eletto a soli 28 anni consigliere regionale nella seconda legislatura nel 1953, confermato nel collegio nuorese per 5 legislature fino al 1976, quando si sarebbe candidato al Parlamento. Era stato assessore al lavoro e artigianato nella Giunta Crespellani nel secondo semestre del 1953 quando la DC aveva ottenuto il 43% dei consensi. Confermato nelle giunte Corrias per un anno e mezzo, fino al 13 giugno 1955; aveva avuto la delega sulla viabilità, i trasporti e il turismo tra il 1957 e il 1958 nella giunta Brotzu, quindi i lavori pubblici nelle giunte Corrias per 5 anni dal 1958 fino al 1963, passando poi all'Agricoltura e foreste e di nuovo ai lavori pubblici ancora con Corrias fino al 1966. Sono gli anni dell'ingresso nel Consiglio Nazionale della DC a seguito del IX Congresso del settembre 1964. A due anni prima risaliva la legge 11 giugno 1962 n. 588, il Piano straordinario per favorire la rinascita economica e sociale della Sardegna, che inizialmente metteva in campo 400 miliardi di lire (da qui la LR 11 luglio 1962 n. 7). Sono gli anni delle battaglie per il centro sinistra, condotte inizialmente in solitudine, con solo 10 amici come nel novembre 1963, assieme proprio a Dettori, Pisanu e Soddu.
La prima Giunta presieduta da Giovanni Del Rio operò nella fase conclusiva della V legislatura tra l'11 marzo 1967 e il 14 giugno 1969, oltre due anni. Il 12 maggio 1967 si segnala la dura posizione assunta da Del Rio nel quadro della tensione con il Governo Moro a causa delle inadempienze clamorose – così scrive Carrus – in ordine agli impegni di intervento del Governo nell’isola dopo la legge sul piano di rinascita di quattro anni prima. La mozione unanime col “voto” al Parlamento rappresenta anche lo sforzo per una risposta nuova della politica regionale alla grave crisi che la Sardegna subiva in quegli anni, e il primo tentativo di definire uno sviluppo economico diverso da quello dei primi anni del piano di rinascita. Il 6 luglio il Consiglio regionale approvava un ordine del giorno unitario col quale si deliberava di promuovere una giornata regionale di azione rivendicativa: commenta Carrus che era <<un momento di particolare tensione che avrà il suo culmine nel rifiuto della RAI di trasmettere il messaggio ai Sardi del Presidente della Regione>>. Sarà stato certo così, ma ho un lontanissimo ricordo, il duro intervento del Presidente Del Rio nella televisione di Stato, credo attraverso Badde Urbara, che mi aveva colpito per questo fortissimo accento sardo-sindiese di cui mi vergognavo e che di persona non ero mai riuscito a cogliere.
Il 14 luglio Del Rio interveniva in Consiglio Regionale per suggerire interventi per il ristabilimento dell’ordine pubblico in Sardegna contro il banditismo e per commentare l’indagine svolta dalla Commissione rinascita nelle zone interne a prevalente economia pastorale. Tema ripreso il 12 ottobre, sulla proposta di nominare una Commissione parlamentare d’inchiesta sui problemi della Sardegna, che sarebbe stata costituita solo due anni dopo con legge 755 del 1969, sotto la presidenza del Sen. Giuseppe Medici. Il 2 ottobre 1967 denunciava ancora le inadempienze del Governo e anticipava le impostazioni del IV programma esecutivo del Piano di rinascita economica e sociale della Sardegna nei suoi rapporti con il piano economico nazionale: un documento straordinario, che ho riletto in questi giorni nel volume pubblicato da Fossataro dopo l’approvazione in Giunta Regionale il 26 luglio 1968. Analisi profonde e progetti complessi, che in qualche modo richiamavano i piani quinquennali dei paesi socialisti. Temi anticipati anche il 25 gennaio 1968 nell’intervento sul bilancio di previsione che denunciava il pericolo che la Sardegna regredisse anche rispetto al Mezzogiorno e che illustrava le ragioni profonde della politica di contestazione.
Sono ripetuti gli interventi che denunciano la crisi della pastorizia a seguito della siccità del 1967 e la morìa del bestiame (6 dicembre 1967); nel momento in cui si accentuavano i sequestri di persona, i ricatti, le estorsioni, l’analisi della situazione delle zone interne condotta dal Governo risultava già il 13 aprile 1967 troppo superficiale sicché era necessario che si orientasse in ben altra direzione: in modo sorprendente, Del Rio rifiutava con sdegno la scorciatoia dell’inasprimento delle pene per il furto del bestiame, l’abigeato. E poi la solidarietà ai minatori, ai disoccupati, ai lavoratori precari, agli emigrati, il richiamo ai doveri della classe dirigente per abbattere le barriere che intaccano la dignità dell’uomo e ne impediscono la crescita civile e politica (23 dicembre 1967). Il 9 febbraio 1968 Del Rio condannava l’arresto dell’operaio Fenu e del Sindacalista Giovannetti (lo stesso che vediamo in un comizio a Carbonia nel film di Fiorenzo Serra L’ultimo pugno di terra) durante la manifestazione dei pastori delle zone interne davanti al Palazzo Regio, pur lodando le forze dell’ordine ma criticando la legislazione post bellica di tipo repressivo. Il 5 dicembre 1968 commentando i risultati dell’indagine consiliare sulle zone interne formulava la proposta di costituire un demanio pascoli e proponeva una serie di misure sul programma di interventi in campo industriale. Temi che ricorrono nella discussione al bilancio della Regione per il 1969 (il 16 dicembre 1968).
Già nel clima della campagna elettorale per la VI legislatura Del Rio interviene il 14 marzo e il 30 maggio 1968 per difendere le prerogative costituzionali dell’autonomia speciale, di fronte alle accuse della sinistra mosse alla Giunta. Il 3 ottobre torna la polemica per le ombre e le furbizie del PCI sull’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe dell’URSS. E poi la realtà locale, il 9 ottobre 1968 compare il primo cenno alle industrie a partecipazione statale nelle zone interne e in particolare nelle Baronie.
La seconda giunta, di nuovo con Giagu e Abis assessori, durò solo sei mesi, tra il 7 agosto 1969 e il 26 gennaio 1970, dopo lo straordinario successo della DC nuorese alle elezioni per il VI Consiglio Regionale, quando toccò la punta massima del 53,2%. Le dichiarazioni programmatiche del 4 agosto, elencando i traguardi raggiunti e i nuovi orizzonti di impegno, contengono un vero e proprio discorso di legislatura che - scriveva Carrus quattro anni dopo – conserva ancora oggi la sua piena attualità. <<Purtroppo le vicende della legislatura hanno presto interrotto una prospettiva che può esser ripresa ancora oggi – nel 1974 - in tutta la sua interezza>>. Il 10 ottobre 1969 Del Rio interviene sulle interpellanze e le mozioni, presentando un programma operativo dettagliato per l’industrializzazione delle zone interne e definisce gli obiettivi, i metodi e le finalità dell’operazione “Sardegna Centrale”. Una visione strategica che oggi, col senno di poi, può apparire inadeguata, forse troppo succube rispetto ai poteri forti, ma che allora era incredibilmente capace di mobilitazione popolare da parte di una classe politica meno debole e subalterna di quanto si creda. Troppo facile è perciò parlare oggi di fallimento della Rinascita, soprattutto se si tengono presenti le condizioni di partenza della Sardegna.
Nonostante la fine della sua seconda Giunta, il successo elettorale della DC nel Nuorese spiega la presenza di Del Rio ancora nelle giunte successive, come assessore alla rinascita, al bilancio e all'urbanistica nella giunta Abis del 1970. Poi nella giunta Giagu per tutto il 1971 assessore agli EELL personale e AAGG; nel 1972 nella giunta Spano assessore all'industria e commercio; di nuovo nella giunta Giagu nel 1973 come assessore ai LLPP e trasporti e poi, negli ultimi mesi del 1973 ancora con Giagu come assessore alle finanze, al bilancio, alla programmazione. Tutte materie centrali, che testimoniano il riconoscimento di una competenza davvero speciale, formatasi sul campo di tante battaglie.
Il ritorno di Del Rio alla Presidenza fu veramente significativo: egli presiedette la sua terza giunta tra il 22 dicembre 1973 e il 16 giugno 1974, con Dessanay e Giagu, alla fine della VI legislatura: con le dichiarazione programmatiche manifestava l’esigenza di ricostruire un quadro di solidarietà politica e operativa tra i partiti del centro sinistra. In questo clima il 12 febbraio 1974 Del Rio ritornava sulle prospettive dell’industrializzazione in Sardegna e sulla battaglia per il finanziamento e l’approvazione del disegno di legge 509 del 1972, che rifinanziava la Rinascita con mille miliardi, poi ridotti a 600 (Legge 268 del 1974). Il 22 marzo 1974 Del Rio presentava i risultati raggiunti dalla sua terza giunta, indicando i pericoli di degenerazione burocratica e clientelare della struttura centralistica della Regione Sarda e proponendo un processo continuo di democratizzazione delle strutture rappresentative e delle varie e multiformi espressioni della società civile e del popolo sardo. Il bilancio si chiudeva alla vigilia dell’approvazione voluta da Mariano Rumor nel suo V governo sul Rifinanziamento del piano straordinario per la rinascita economica e sociale della Sardegna e riforma dell'assetto agropastorale in Sardegna, con il discorso dell’11 aprile 1974 che rivendica – scriveva Carrus – la conquista più importante della legislatura, non solo per la Giunta ma per l’intera classe politica regionale. Non per nulla Rumor fu in quei giorni in Sardegna, dove lo ricordo a Badd’e Salighes arrivare in elicottero tra migliaia di simpatizzanti. In questo quadro veniva pubblicato nel giugno 1974, il volume Discorsi politici, che usciva proprio a fine mandato, per affrontare con molta determinazione la polemica con lo stato, un poco evidentemente in chiave elettorale.
Il 16 giugno 1974, prima ancora dell’approvazione della legge sulla rinascita, un colpo di teatro (credo voluto dal Segretario Nazionale della DC Amintore Fanfani) che mobilitava enormi risorse in Sardegna, si arrivava alle elezioni per il settimo Consiglio Regionale che vide la sconfitta della DC ormai decisamente in calo fino al 38,3%. Nonostante tutto Del Rio fu riconfermato alla presidenza il I agosto, con lo scopo di condurre in porto la nuova programmazione a valle della legge 24 giugno 1974 n. 268 che finalmente rifinanziava il piano di rinascita. Per ottenere questo risultato ricordo a Cagliari in Via Sonnino i cortei, le manifestazioni, l’impegno della Giunta. Come assessore al bilancio aveva al suo fianco proprio Paolo Dettori, che sarebbe drammaticamente scomparso il 14 giugno del 1975. Manlio Brigaglia ricorda Del Rio piangere come un bambino per la morte dell’amico assessore, che commemorò davanti alla chiesa di Sant’Agostino. Subito dopo il Consiglio Regionale approvava la legge regionale n. 33 del I agosto 1975 sui Comprensori. La quarta Giunta Del Rio durò due anni, fino al 4 maggio 1976, quando il Presidente venne sostituito da Pietrino Soddu, con la giunta nella quale entrava per la prima volta Nino Carrus come assessore agli EELL, finanze e urbanistica. E' l'anno della legge 45 sulle Comunità Montane che per la prima volta faceva confrontare nelle loro Giunte maggioranza e minoranza e costruiva una fase nuova nei rapporti – fino a quel momento molto conflittuali – tra DC, PSI e PCI. Oggi, nel momento della liquidazione delle province e della nascita dell’area metropolitana di Cagliari, cogliamo meglio il senso di una programmazione unitaria fondata sulla partecipazione, ancorata ai territori, interessata al confronto tra le forze politiche democratiche. Da qui sarebbe nata l’idea della più tarda Legge regionale 14 del 1996, sui programmi integrati d’area finalizzati allo sviluppo locale, che vincolavano i finanziamenti europei alle aree programma e alle province, senza gli intollerabili squilibri che anche le più recenti assegnazioni dei fondi FAS hanno testimoniato.
Proprio nel 1976 Del Rio si dimetteva dal Consiglio Regionale per essere eletto deputato per due legislature, la VII (Presidente Pietro Ingrao) e dal 1979 l'VIII (Presidente Nilde Iotti): fu allora sottosegretario alla pubblica istruzione nel terzo governo Andreotti (dal 29 luglio 1976 all'11 marzo 1978), successivamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (con delega alla Pubblica Amministrazione) nel IV governo Andreotti dal 16 marzo 1978 il giorno terribile del rapimento di Aldo Moro fino al 30 novembre, quando si dimise per protesta; poi ai Trasporti (nel V governo Andreotti, dal 20 marzo al 4 agosto 1979), alla Difesa (Primo Governo Cossiga, dal 4 agosto 1979 al 4 aprile 1980). Membro di numerose commissioni parlamentari. Con Andreotti era entrato in rotta di collisione quando, con delega alla Pubblica Amministrazione, firmò un contratto nazionale degli ospedalieri, poi sconfessato dal Presidente del Consiglio. Si dimise il 14 luglio 1982.
Cessata l'attività politica è stato nominato Consigliere della Corte dei conti fino al 1997, quindi Consigliere di Stato.
Naturalmente in questa sede non possiamo dimenticare che Giovanni Del Rio fu uno tra i fondatori dell'Associazione Nino Carrus nata con lo scopo di <<ricordare – attraverso attività di natura politica e culturale – la sua figura di uomo politico e di cultura durante la sua attività parlamentare, di amministratore locale e di docente nelle università sarde, nonché di promuovere attività di studio e di ricerca politico-culturale con particolare attenzione alla formazione delle giovani generazioni>>.
Se c’è una nota negativa che vorrei emergesse da questo incontro, è la costante sottovalutazione del ruolo di Del Rio nella storia della Rinascita: una sottovalutazione alla quale oggi forse iniziamo a porre rimedio, chiedendo in particolare agli storici di iniziare a ripensare periodizzazioni, contenuti e giudizi sui protagonisti di quegli anni.
Ultimo aggiornamento Giovedì 06 Agosto 2015 14:53