Attilio Mastino
La nascita dell’archeologia in Sardegna: il contributo di Giovanni Spano tra ricerca scientifica e falsificazione romantica[1]*
1. Gli studi fino alla laurea. 2. Le scoperte nella colonia romana di Turris Libisonis. 3. La formazione: il viaggio a Roma Roma. 5. Baille e La Marmora. 5. I viaggi in Italia. 6. Le ricerche giovanili. 7. I primi scavi: Tharros. 8. Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le “Scoperte Archeologiche”. 9. La rete dei collaboratori. 10. La nascita dell’archeologia in Sardegna. 11. I corrispondenti italiani. 12. I corrispondenti stranieri. 13. I rapporti con Theodor Mommsen e la polemica sulle Carte d’Arborea. 14. Lo scontro con Gaetano Cara ed il tramondo dello Spano. 15. Il mito della patria lontana: la leggendaria Ploaghe-Plubium.
1. La recente ristampa del "Bullettino Archeologico Sardo" e delle "Scoperte Archeologiche" curata dalle Edizioni dell'Archivio Fotografico Sardo di Sassari[2] e la Giornata di studio su Giovanni Spano promossa dal Comune di Ploaghe il 15 dicembre 2001 per le celebrazioni bicentenarie dalla nascita, sono l'occasione per una riflessione complessiva sull'attività di Giovanni Spano tra il 1855 ed il 1878: un periodo di oltre vent’anni, che è fondamentale per la conoscenza della storia delle origini dell'archeologia in Sardegna, nel difficile momento successivo alla "fusione perfetta" con gli Stati della Terraferma, fino alla proclamazione dell'Unità d'Italia e di Roma capitale; in un momento critico e di passaggio tra 1a «Sardegna stamentaria» e lo «Stato italiano risorgimentale», quando secondo Giovanni Lilliu «si incontrarono e subito si scontrarono la "nazione" sarda e la "nazione" italiana al suo inizio»[3].
Gli interessi dello Spano per l'archeologia non sono originari[4]: nella tarda Iniziazione ai miei studi, pubblicata nel 1876 sul settimanale sassarese "La Stella di Sardegna" (recentemente edita da AM&D Edizioni di Cagliari a cura di Salvatore Tola)[5], lo Spano ripercorre le tappe della sua formazione a Sassari al Collegio degli Scolopi, poi in Seminario, per gli studi di grammatica e di retorica e quindi di logica e di matematica, fino a conseguire il titolo di maestro d'arti liberali nel 1821; solo più tardi, incerto tra la medicina («una scienza in allora abborrita e disonorata nelle famiglie, specialmente la chirurgica») e la giurisprudenza, scelse si iscriversi alla Facoltà teologica, per motivi non propriamente spirituali: «perchè vi erano le sacre decime, di buona memoria, che allettavano la maggior parte degli studenti»[6]. Il 14 luglio 1825 conseguiva la laurea in Teologia («un corso florido», perchè «la Teologia nell'Università di Sassari è stata molto coltivata perché ha avuto sempre buoni professori»), dopo un esame sostenuto davanti ad una commissione di undici membri presieduta dall'arcivescovo Carlo Tommaso Arnosio (omonimo del vescovo-poeta di Ploaghe ricordato nelle Carte d'Arborea)[7], con l'intervento tra gli altri del professore di Teologia dogmatica padre Tommaso Tealdi e di Filippo Arrica parroco di Sant'Apollinare, originario di Ploaghe e docente di Teologia morale, poi divenuto vescovo di Alghero: il Promotore padre Antonio De Quesada (docente di Sacra Scrittura) lo aveva presentato come il princeps theologorum e «dopo l'acclamazione fatta dal bidello» gli «pose il berrettino a quattro punte in testa», gli fece indossare la toga e gli infilò «l'anello gemmato d'oro» nell'anulare; seguì il giuramento ed il ringraziamento, che lo Spano fece «in versi leonini», per distinguersi dagli altri[8]. Presso il Centro di studi interdisciplinari sulla storia dell'Università di Sassari (nella sede del Dipartimento di Storia) si conserva ancora la registrazione dell'esame di laurea superato a pieni voti[9]. Solo nel 1830 avrebbe conseguito il titolo di dottore in arti liberali ed in particolare in Filosofia, discutendo una dissertazione De stellis fixis, mentre uno dei commissari avrebbe voluto assegnargli un tema altrettanto bizzarro, i nuraghi della Sardegna[10].
2. Egli era nato a Plaghe l'8 marzo 1803 da Giovanni Maria Spanu Lizos e da Lucia Figoni Spanu[11]: a 16 anni aveva seguito con ingenua curiosità la vicenda degli scavi effettuati a Porto Torres da Antonio Cano, un frate architetto esperto di esplosivi (il costruttore della cattedrale di Nuoro, morto cadendo da un'impalcatura nel 1840), che aveva scoperto la base del prefetto M. Ulpius Victor relativa al restauro del tempio della Fortuna e della basilica giudiziaria, monumento che è alla base della falsificazione delle Carte d'Arborea[12]: «nella primavera di quell'anno (1819) ricordo che in Porto Torres un frate conventuale, Antonio Cano, scultore ed architetto sassarese, per ordine della regina Maria Teresa, moglie di Vittorio Emanuele II, ed a sue spese, faceva degli scavi nel sito detto Palazzo di re Barbaro e, di mano in mano che si scoprivano pietre scritte o rocchi di colonne, le trasportavano a Sassari per collocarle nella sala dei professori [dell'Università]»[13]. E ancora: «Io senza capirne un'acca, ero curioso e di osservare questi rottami e dal conto che ne facevano pensava che fossero cose preziose». Era dunque scattata una molla che lo avrebbe portato più tardi a valorizzare le antichità di Ploaghe, la sua piccola patria, quella che nelle Carte d'Arborea sarebbe diventata la gloriosa Plubium con i suoi eroi Sarra ed Arrio, un luogo con «una lussureggiante vegetazione con selve di alberi d'ogni sorta, con orti irrigati (...) con vigne ed ogni genere di piante»[14]: «arrivato in villaggio col desiderio di trovare qualche pietra simile, passava i giorni visitando i nuraghi del villaggio e le chiese distrutte; m'introduceva nei sotterranei e stava sempre rivoltando pietre, arrampicandomi alle sfasciate pareti; per cui la povera mia madre mi sgridava sempre, e mi pronosticava che io sarei morto schiacciato sotto qualche rovina»[15]. Dopo la laurea, laureatus et inanellatus, in occasione del giubileo aveva vissuto nella basilica di San Gavino a Porto Torres l'esperienza della penitenza e della flagellazione «con un fascio di discipline di lame di ferro ben affilate» fornitegli da da un prete devoto di San Filippo, restando ammalato poi per due mesi: un'esperienza che gli avrebbe fatto capire meglio l'assurdità delle ipotesi del direttore del Museo di Cagliari Gaetano Cara, che avrebbe visto come «flagellii» oggetti diversissimi, vere e proprie decorazioni militari di età romana.
3. Fu però soprattutto il burrascoso soggiorno romano del 1831 ad orientarlo verso l'archeologia: alloggiato nella locanda dell'Apollinare, lo Spano prese a frequentare tutti i giorni la vicina piazza Navona, «l'emporio delle cose vecchie, di libri e di antichità» che fu il luogo in cui si avvicinò all'archeologia «comprando monete, pezzi di piombo, tele vecchie, ecc.»[16]. E poi «l'Achiginnasio romano, ossia la Sapienza», l'Università agitata dai «primi movimenti rivoluzionari» degli studenti e dai «torbidi» e dal «malcontento del popolo contro il governo dei preti» dopo l'elezione di Gregorio XVI che aveva scatenato l'«odio contro i preti, i quali erano presi a sassate, e molti restavano vittime»: qui lo Spano poté conoscere l'abate modenese Andrea Molza, docente di ebraico e di Lingua caldaica e siro-caldaica, il maestro più amato «un angelo mandato dal cielo», poi bibliotecario della Vaticana, morto tragicamente nel 1850; ma anche il prof. Nicola Wiseman, docente di Ebraico (lingua che lo Spano già in parte conosceva, in quanto allievo a Sassari di Antonio Quesada); il dott. De Dominicis ed il suo sostituto Emilio Sarti, professori di Lingua greca (quest'ultimo un «gran genio», «un mostro di erudizione»), il cav. Scarpellini di Fisica sacra, il Nibby di archeologia, «che allora era tenuto come il topografo per eccellenza dell'antica Roma»[17]; l'anno successivo il cav. Michelangelo Lanci di Fano docente di Lingua araba. Esaminato dal prof. Amedeo Peyron, professore di Lingue orientali nell'Università di Torino (col quale avrebbe successivamente collaborato alla pubblicazione della iscrizione trilingue di San Nicolò Gerrei[18]), fu nominato nel 1834 professore di Sacra Scrittura e Lingue orientali nella Regia Università di Cagliari, dove «a causa del clima» le lezioni terminavano con molto anticipo, il I maggio e le vacanze arrivavano fino al 15 luglio; l'Università di Cagliari infatti «si distingueva fra tutte le altre per il tempo assegnato alle vacanze», con grande soddisfazione dello Spano, che in primavera era ora libero di fare le sue «escursioni archeologiche e fisiologiche nel centro dell'isola».
4. A Cagliari la passione per l'archeologia doveva ulteriormente svilupparsi, soprattutto all'ombra di un grande vecchio, il cav. Lodovico Baille (gà censore dell'Università, bibliotecario e direttore del Museo archeologico), con il quale lo Spano fu messo in contatto da Amedeo Peyron, suo collega nell'Accademia delle Scienze di Torino: «era dotto archeologo, buon giurisprudente, caritatevole, disinteressato», oltre che «esperto e assennato antiquario»; fu il Baille «da vero archeologo», in occasione di una visita a Porto Torres, a sostenere che il Palazzo del Re Barbaro «sarà stato un tempio, o basilica, non però palazzo», un giudizio che per lo Sparo era stato luminosamente confermato dal ritrovamento avvenuto nel 1819 della base relativa al restauro del tempio della Fortuna, pubblicata poi proprio dal Baille[19]. Lo Spano lavorò per cinque lunghi anni accanto al Baille, fino al 14 marzo 1839, giorno della sua morte, considerata «una perdita nazionale» da Pasquale Tola.
Proprio in questi anni lo Spano ebbe l'occasione («la fortuna») di conoscere il generale Alberto della Marmora, «che trovavasi in Cagliari iniziando gli studi trigonometrici della Sardegna, col cavalier generale Carlo Decandia»: con lui lo Spano avrebbe avviato una cordiale amicizia ed una prolungata collaborazione scientifica. Scrivendo tredici anni dopo la morte del Della Marmora (avvenuta il 18 maggio 1863), lo Spano non avrebbe nascosto anche i motivi di un profondo disaccordo, la differente opinione della destinazione e sull'uso dei nuraghi (un tema decisivo che avrebbe portato lo Spano a scontrarsi sanguinosamente con il direttore del Museo di Cagliari Gaetano Cara), edifici che per lo Spano erano abitazioni e per il Della Marmora solo tombe: «ma siccome era di una tempa forte, difficilmente si lasciava vincere nelle sue opinioni, come era quella sopra i nuraghi; ché per aver trovato nell'ingresso del nuraghe Isalle una sepoltura antica col cadavere e stromenti di bronzi antichi, conchiuse che quelle moli erano trofei di guerrieri, mentre lo scheletro e le armi non furono trovati dentro la camera, quindi erano assolutamente memorie posteriori»[20]. E poi le dubbie amicizie del La Marmora, osservate con sospetto dallo Spano, le ingenuità e gli errori, come per la vicenda degli idoli sardo-fenici, fatti acquistare dal Cara ed entrati a pieno titolo negli allegati al codice Gilj e nelle Carte d'Arborea: «io gli insinuava che non si fidasse tanto sulle relazioni; finalmente, dopo ultimata la colossale opera, comprò un centinaio di questi idoletti e si convinse che il mio sospetto non era senza ragione», perchè «nei bronzi figurati, io ripeteva, "ci vuole la fede di battesimo!"»[21]. Fu il Cara a dissanguare il conte Della Marmora, «nuovo Caio Gracco che si dipartì da Roma colla cintura piena di denaro e vi rientrò riportandola totalmente vuota»[22]. Certo le posizioni dello Spano non dovevano esser state inizialmente così nette se nel 1847 aveva scavato a Lanusei «nella stessa località già esplorata dal Della Marmora, dove dicevasi essersi rinvenuti di quegli idoletti fenici»[23] e se ancora nel 1866 la dedica della Memoria sopra alcuni idoletti di bronzo trovati nel vilaggio di Teti (con le Scoperte Archeologiche del 1865) era effettuata in onore di B. Biondelli, direttore del Gabinetto numismatico di Milano, «perché la scoperta fu fatta quando egli era in Sardegna e moveva dubbi sugli idoletti sardi»[24]. Ma già nel 1862 il La Marmora aveva rotto da tempo col Cara, se il Conte aveva minacciato il Ministro C. Matteucci di rivolgere un'interrogazione in senato per la recente riconferma nell’incarico di direttore facente funzioni del Museo di Cagliari di un «individuo» compromesso in passato, che aveva curato a suo modo «gli affari del Museo».
5. Fu nel corso delle vacanze del 1835 (vent'anni prima della pubblicazione del primo numero del "Bullettino") che lo Spano si dedicò per la prima volta seriamente delle antichità della Sardegna: egli passò «le vacanze biennali visitando continuamente la necropoli di Caralis antica, l'anfiteatro romano e copiando le iscrizioni antiche che trovansi sparpagliate nel Campidano di Cagliari», a suo dire già prevedendo di utilizzare queste informazioni per la sua Rivista[25]; all'anfiteatro in particolare avrebbe poi dedicato un volume[26], dopo gli scavi degli anni 1866-67 promossi dal Municipio e controllati da una commissione da lui presieduta di cui avrebbero fatto parte Gaetano Cima, l’avv. Marini Demuru, il Marchese De-Litala, il prof. Patrizio Gennari, Vincenzo Crespi (che avrebbe sostituito Pietro Martini, deceduto il 17 febbraio 1866)[27]. Utile sarebbe stato nel 1836 il viaggio a Verona «per visitare l'Anfiteatro che, per essere quasi intiero» lo «aiutò per poter istituire paragoni col cagliaritano»; nella città scaligera poté visitare il Museo Maffeiano dove volle trascrivere «alcune iscrizioni che avevano relazione colle sarde». In quel viaggio raggiunse Torino, frequentò le lezioni di Ebraico di Amedeo Peyron e di Greco del cav. Bucheron; quindi Milano, dal prof. Vincenzo Cherubini; e poi Padova (dove conobbe il Pertili), Venezia (dove conobbe i bibliotecari di San Marco cav. Bettio e Bartolomeo Gamba, ma anche l'istriano Pier Alessandro Paravia, professore di Eloquenza nell'Università di Torino, che avrebbe rivisto nel 1838), Rovigo, Bologna, Ferrara, Rimini, Foligno, Spoleto, infine raggiunse Roma. Qui, rivide il Molza ed altri maestri e colleghi ed iniziò a «visitare le antichità romane dentro e fuori di città per rinnovare la memoria», preparando qualche suo «scritto sopra le medesime e sopra i dialetti sardi»[28]. Trattenuto per mesi a Napoli dall'epidemia di colera, poté studiare «le antichità ai musei ed alla Regia biblioteca», le rovine di Pompei (dove studiò «la struttura delle case antiche», analoghe a quelle che avrebbe riconosciuto a Cagliari nel 1876 a Campo Viale, la necropoli, o via dei Sepolcri, e l'anfiteatro), infine Pozzuoli, per visitare un altro anfitreatro, il Tempio di Serapide, il lago d'Averno, la Grotta detta della Sibilla: «qui doveva vedere altri monumenti e copiare alcune iscrizioni che hanno relazione colle sarde, specialmente le classiarie di Miseno»[29]. Un viaggio avventuroso, con non pochi pericoli, che lo avrebbe segnato per gli anni successivi, quando lo Spano avrebbe ripreso le sue escursioni sarde, «raccogliendo vocaboli, oggetti di antichità, carte antiche e canzoni popolari».
6. Gli interessi dello studioso continuavano ad essere eterogenei e l'archeologia rappresentava ancora solo un aspetto secondario delle sue passioni: nel 1838, dopo aver visitato Bonorva, il Monte Acuto, il Goceano, il Nuorese, le Barbagie, la Planargia, il Marghine, studiò la lingua di Ghilarza e visitò «nuraghi ed altri monumenti preistorici, di cui abbonda questo territorio», scoprendo «molte di quelle lunghe spade di bronzo che gli antichi usavano XIV secoli prima di Cristo allorché, confederati con altri popoli, invadevano il Basso Egitto»: era la prima volta che lo Spano si misurava con la tesi dellle origini orientali dei Sardi e con la vicenda dei Shardana, allora illustrata da F. Chabas[30]. Nominato responsabile della Biblioteca Universitaria alla morte del Baille, si vantava di aver consentito agli studenti cagliaritani ed ai frequentatori della biblioteca «di studiare a testa coperta, come loro era più comodo; mentre prima erano obbligati di stare a testa nuda come in chiesa». Si sentiva però totalmente impreparato a dirigere la Biblioteca, per quanto assistito da padre Vittorio Angius, ed intraprese perciò un viaggio a Pisa, a Genova, a Bologna, a Modena, a Parma, a Milano, a Torino, per conoscere dall'interno il funzionamento delle principali biblioteche italiane. In particolare avrebbe avuto un seguito l'amicizia con «quel mostro di erudizione» che era Celestino Cavedoni, che avrebbe a lungo collaborato con il "Bullettino Archeologico Sardo" fino alla morte, avvenuta nel 1867. A Modena tra gli altri aveva conosciuto «l'unico rampollo del celebre Muratori», il canonico Soli Muratori, mentre a Parma aveva approfondito col cav. Pezzana le problematiche poste dalla tabula ipotecaria di Veleia, «che ha una certa rassomiglianza con la nostra tavola di bronzo di Esterzili» (che sarebbe stata scoperta solo quasi trent'anni dopo)[31]. A Milano aveva conosciuto G. Labus, «distinto archeologo» ed «epigrafista aulico», ricordato più volte successivamente, che gli suggerì di raccogliere in catalogo i bolli sull’instrumentum domesticum, dandogli l’idea del volume sulle Iscrizioni figulinarie sarde, che sarebbe uscito solo nel 1875[32]. Infine, l’egittologo Rossellini e tanti altri.
Rientrato a Cagliari, aveva dovuto fronteggiare l'ostilità del Magistrato sopra gli studi e del censore, che lo accusavano di non occuparsi «di Bibbia, distratto in far grammatiche ed in altre opere vernacole»; dopo la drastica riduzione dello stipendio, fu costretto a dimettersi dalla direzione della Biblioteca, che nel 1842 passò ad un amico, a Pietro Martini: una magra consolazione, anche se lo Spano si compiace di aver avuto «per successore un uomo dotto che si dedicò con intelligenza a far progredire quello stabilimento materialmente e scientificamente».
Lo Spano, esonerato dalla direzione della Biblioteca, poté dedicarsi ancora di più ai suoi veri interessi: visitò il Sulcis, Iglesias, Carloforte e Sant'Antioco, dove fece «una gran messe di monete romane (che ora si trovano nel gran (...) medagliere donato al Regio Museo), di iscrizioni anche fenicie, di bronzi e di molte edicole in trachite e di marmo, tra le quali una di Iside»; l’anno successivo fu ad Oristano ed a Tharros.
L'arrivo a Cagliari nel 1842 del nuovo arcivescovo, l'amico Emanuele Marongiu Nurra, segnò una svolta profonda, sul piano personale ma anche sul piano politico: egli «a più delle scienze sacre coltivò la storia e l'archeologia, in cui diede numerosi saggi» e nel 1848 capeggiò la Commissione parlamentare inviata a Torino per chiedere la "perfetta fusione" della Sardegna al Piemonte, finendo due anni dopo in esilio e riuscendo a rientrare in sede solo dopo 15 anni. Fu l'arcivescovo Marongiu Nurra ad anticipare l'ostilità del censore dell'Ateneo cagliaritano, che riteneva lo Spano un «inetto», perchè si era dedicato invece che alla teologia ed alla Bibbia alle «iniezie della lingua vernacola»: l’arcivescovo gli poté offrire «il canonicato della prebenda di Villaspeciosa (la più misera di tutta la diocesi), piccolo villaggio di circa 400 anime vicino a Decimo»: una tranquilla sinecura, inizialmente non gradita dallo Spano, che comunque gli consentì di superare l'avversione generalizzata che minacciava di travolgerlo, per dedicarsi a tempo pieno agli studi prediletti.
Guardando a quei difficili momenti, a distanza di trent'anni, lo Spano avrebbe lucidamente scritto: «liberato dal peso della cattedra e dalle lezioni della lingua ebraica e greca, fui più libero di dedicarmi agli studi di mio genio, cioè alla filologia ed all'archeologia sarda, spigolando il campo in cui aveva mietuto il Della Marmora». Egli non si vergognava di passare le sue giornate «nelle umili case dei contadini» e di viaggiare per le campagne sarde; nè si vergognava, «dove vedeva ruderi di antiche abitazioni» di frugare colle sue mani «il terreno fangoso, tirando fuori pezzi di stoviglie o di bronzi, monete ed altro, per esaminare a quale età potevano appartenere» e riempiendosi le saccoccie «di quei rozzi avanzi» che la sua guida ed altri che lo accompagnavano «credevano inutili trastulli». Nella primavera 1845 iniziò a visitare la Trexenta, riuscendo a stabilire attraverso i reperti provenienti dal nuraghe Piscu di Suelli «i nuraghi essere serviti d'abitazione»: una tesi che successivamente non avrebbe più abbandonato. Visitò poi Nora, «la patria di Sant'Efisio martire»[33], per osservare «i ruderi di quella famosa città, emula di Cagliari, e che si crede d'essere più antica», con la speranza di trovare qualche nuova iscrizione fenicia. Qui praticò uno scavo che egli stesso riteneva di scarsa importanza, raccogliendo monete ed alcuni frammenti epigrafici latini, «perché, per trovare oggetti che dimostrino la prima sua fondazione e civiltà, bisogna lavorare molto, onde scuoprire le prime tombe della sua necropoli, che tuttora non si è trovata». E ancora, alla luce delle osservazioni fatte nel volume delle Scoperte del 1876 e nelle Carte d'Arborea: «vi si vedono molti monumenti romani, l'acquedotto, il castello e una parte della città seppellita nel mare, dicesi da un terremoto».
Rientrando a Cagliari, aveva iniziato a raccogliere i suoi appunti, le sue note, gli oggetti, per servirsene in futuro, quando si sarebbe occupato «delle cose archeologiche sarde», lavorando intanto per il Vocabolario, riposandosi solo «nelle ore del coro» in Cattedrale, per «cantare e "labbreggiare"» coi suoi colleghi canonici.[34]
Nel 1846 iniziano gli scavi a Ploaghe nella loc. Truvine (la Trabine delle Carte d'Arborea), in compagnia del rettore Salvatore Cossu «persona intelligente e di genio per le antichità» morto nel 1868[35], che a proposito dell'etimologia di Plubium aveva saputo «indovinare» la spiegazione fornita quattro secoli prima da un immaginario Francesco De Castro[36], di amici, parenti e perfino della madre quasi ottantenne (sarebbe morta l'8 aprile 1864 a 93 anni di età): furono raccolte tra l'altro 35 monete di bronzo di età repubblicana, fino all'età di Augusto e tra esse una rarissima «moneta coloniale della città di Usellus», statuine di Cerere col modio, di Bacco e di satiri, lucerne col bollo di C. Oppius Restitutus [37], un pavimento in opus signinum, materiali presentati nella bella Memoria sull'antica Truvine, dedicata nel 1852 e ripresa sul IV numero del "Bullettino": un testo che è purtroppo alla base dell'attività dei falsari delle Carte d'Arborea ed in particolare dei numerosi fantasiosi documenti su Plubium-Ploaghe, sul cronista Francesco De Castro, sull'«intrepido e coraggioso Sarra», su Arrio amico di Mecenate, inventore della scrittura stenografica (!) [38]; quest'ultimo sarebbe stato rappresentato dal celeberrimo pittore cagliaritano Giovanni Marghinotti in una tela conservata ora nella sala consiliare del Comune di Ploaghe[39]. Lo Spano, quanto mai soddisfatto del nuovo orizzonte di studi che poteva intravedere, ci appare decisamente impegnato a sostenere che «la Cronaca di Francesco De Castro Ploaghese ha tutti i caratteri della genuinità, sia nell'intrinseco dettato della storia che abbraccia, sia nella parte estrinseca del Codice, cioè la carta, il carattere e tutto quanto induce a formare il vero criterio, per distinguere la veracità e l'autenticità dei codici, e delle scritture antiche»[40]. Su tale posizione di accentuato campanilismo vedremo che il canonico dové però subire le ironie e gli «sghignazzi» di qualche confratello poco credulone[41].
Il tema del rapporti dello Spano con i falsari delle Carte d'Arborea non è stato del resto ancora pienamente affrontato: è vero che lo Spano fin da ragazzo si esercitava un po' per scherzo nella tecnica delle invenzioni e citava «testi di filosofi e di santi padri inventati nella mia testa», disquisendo con gli amici dell'Accademia della Pala (così chiamata da una collina di Bonorva)[42]. E' anche vero che lo Spano intrattenne rapporti più che amichevoli con Pietro Martini (che gli subentrò come direttore della Biblioteca Universitaria), con Salvatore Angelo Decastro (che gli subentrò come direttore del Regio Convitto) e con altri protagonisti della falsificazione. Eppure una partecipazione diretta dello Spano alla falsificazione, che proprio in quegli anni andava delineandosi, non è dimostrabile e forse neppure probabile. Basterà in questa sede osservare che rapporti di aperta ostilità lo Spano ebbe con Gaetano Cara, pienamente coinvolto come si dirà nella vicenda dei falsi bronzetti fenici e forse anche con Gavino Nino, il canonico bosano polemico con lo Spano fin dal 1862 ed accusato apertamente di campanilismo dieci anni dopo[43]; la versione sulla destinazione dei nuraghi adottata dal Cara ma anche dalle Carte d’Arborea (ad es. nella memoria su Plubium) è in conflitto con quella proposta dallo Spano.
7. Del 1847 sono gli scavi a Lanusei, alla ricerca degli idoletti fenici, le indagini a Talana e ad Urzulei, dove conobbe quello che sarebbe diventato il suo più caro «discepolo», Giuseppe Pani, poi vicario perpetuo di Sadali, il soggiorno a Dorgali, alla ricerca del luogo di provenienza del diploma militare di un ausiliario della seconda coorte di Liguri e di Corsi nell'età dell'imperatore Nerva, il soldato Tunila, pubblicato dal Baille[44]; e quindi Orosei, Siniscola, Posada «dove si diceva sorgesse l'antica Feronia» fondata dagli Etruschi, il Luguidonis Portus, Terranova (l'antica Olbia e poi Fausania), Teti, Oschiri, Nostra Signora di Castro, Bisarcio, Ploaghe e di nuovo a Cagliari: luoghi tutti visitati «per lo stesso oggetto linguistico ed archeologico»[45], che restituirono anche iscrizioni lapidarie, come l'epitafio di Terranova di Cursius Costini f(ilius) e di sua madre, «morti nello stesso giorno» (?)[46] o le epigrafi di Castro mal trascritte dallo Spano, oggi per noi purtroppo perdute[47].
Nel burrascoso 1848, dopo la cacciata dei Gesuiti e l'abolizione del posto di viceré, lo Spano sospese le sue ricerche archeologiche, impegnato a difendere la sua prebenda di Villaspeciosa, dove «ognuno gridava che non volevano canonici né pagar più decime»; sospesa anche la pubblicazione del Vocabolario (che sarebbe uscito solo tre anni più tardi), iniziò «a pubblicare qualche cosa di archeologia», in particolare curò l'edizione di un diploma militare probabilmente dell'imperatore Tito trovato a Lanusei, che fu dedicata alla memoria dell'unico figlio del cav. Demetrio Murialdo di Torino, avvocato fiscale generale dell'Isola, morto nella guerra d'indipendenza[48]; inoltre l'anno successivo (dopo la nomina del conte Alberto Della Marmora a Regio Commissario per la Sardegna), presentò un epitafio greco del Museo di Cagliari «di cui si erano date strane e ridicole interpretazioni», con una nota dedicata al prof. G. Pisano, lo stesso che avrebbe collaborato al I numero del "Bullettino"[49]. Nel 1849 tornato a Porto Torres, lo Spano era rimasto per 10 giorni nella basilica di San Gavino, per poi raggiungere Ploaghe, dove proseguì gli scavi di Truvine; infine i nuraghi di Siligo, la tomba di giganti di Crastula, Bonorva, di nuovo Cagliari[50]. L'anno successivo fu «memorando per gli scavi di Tharros e per il congresso dei vescovi sardi in Oristano», promosso «per trattare affari di disciplina ecclesiastica e difendere i diritti del clero». Con la scusa della Conferenza episcopale, lo Spano aveva colto l’occasione per effettuare scavi a Tharros, in compagnia del presidente del Tribunale G. Pietro Era, dell’avv. Antonio Maria Spanu e del giudice N. Tolu. «Il principale scopo di portarmi in quella città – scrisse più tardi – fu però per praticare uno scavo in Tharros, dove mi portai nel 21 aprile (1850), e ci stetti tre giorni attendendo agli scavi che fruttarono un buon risultato, sebbene il tempo fosse cattivo, quasi le ombre dei morti fossero sdegnate contro di me, perché disturbava il loro eterno riposo»[51]. Fu pubblicata l'anno successivo una Notizia sull'antica città di Tharros, dedicata all'amico Demetrio Murialdo e nel 1852 tradotta in inglese per la British Archaeological Society[52]: un volumetto che avrebbe fatto circolare un po' troppo la notizia delle straordinarie scoperte effettuate dallo Spano, gioielli, scarabei, vetri, altri oggetti preziosi, scatenando una vera e propria "corsa all'oro": «concorsero da tutti i villaggi del circondario di Oristano, specialmente da Cabras, Nurachi, Milis, ecc., da Seneghe e San Lussurgiu. Fecero scempio di quel luogo, quasi fosse una California; erano circa tremila uomini lavorando a gara e con tutto impegno», senza che le autorità riuscissero ad arginare tale «vandalismo»[53]. Iniziamo a conoscere i nomi di coloro che poi acquistarono a caro prezzo i reperti ritrovati a Tharros, «orefici e signori di Oristano», che ci portano alle origini del collezionismo antiquario che si sarebbe sviluppato ad Oristano nella seconda metà dell'Ottocento, senza che la borsa dello Spano potesse «reggere a confronto di quella di tanti ricchi cavalieri e negozianti speculatori»: il cav. Paolo Spano, il cav. Salvatore Carta, il giudice Francesco Spano, il negoziante Domenico Lofredo, Giovanni Busachi, Nicolò Mura, nomi che troveremo negli anni successivi sul "Bullettino" e sulle "Scoperte". Il Lofredo riportò lo Spano a Tharros nel 1852 col suo «bastimento», ma il Governo aveva ormai vietato gli scavi archeologici, chiudendo «la vigna dopo che erano fuggiti i buoi». Se ne andò perciò di nuovo a Ploaghe e poi a Codrongianus, per continuare le sue ricerche, pubblicando infine la Memoria sull'antica Truvine. A fine anno veniva nominato dal Ministro della Pubblica Istruzione membro del Consiglio Universitario di Cagliari: era la premessa necessaria per un ritorno in grande stile nell'Ateneo dal quale era stato espulso nel '44. Rifiutata la proposta del Ministro Luigi Cibrario di presiedere il Consiglio, lo Spano continuava a pubblicare i suoi studi, orientandosi progressivamente verso l'archeologia e la storia antica: proprio del 1853 è la Lettera sul riso sardonico, dedicata all'amico Vegezzi Ruscalla, che aveva lodato lo Spano con una bella recensione all'Ortografia sarda nazionale, sul "Messaggiere" del 1840; il tema è quello dell'espressione omerica relativa all'atteggiamento minaccioso ed ironico di Ulisse contro i Proci in Odissea[54], un argomento fortunato, che sarebbe stato ripreso pochi decenni dopo nella tesi di laurea di Ettore Pais, e, più recentemente, da C. Miralles, Massimo Pittau, Enzo Cadoni e da ultimo da Giulio Paulis[55].
Nel maggio 1853 si svolsero a Ploaghe sull'altopiano di Coloru presso il nuraghe Nieddu le esplorazioni geologiche del gen. Alberto Della Marmora e del gen. Giacinto di Collegno, diretti poi in Ogliastra, verso la Perdaliana di Seui: quello sarebbe stato l'ultimo viaggio del Della Marmora in Sardegna che quattro anni dopo avrebbe pubblicato i due ultimi volumi del Voyage e l'Atlas[56].
L'anno successivo fu quello della pubblicazione della Memoria sopra i nuraghi della Sardegna[57]: per prepararla, lo Spano visitò le Marmille, Isili, Nurri, Mandas, poi di nuovo Ploaghe e Siligo, in compagnia di Otto Staudinger di Berlino. Nel luglio 1854 nominato preside del Regio Convitto e del Collegio di Santa Teresa appena riformati, entrò in relazioni molto amichevoli con quel Bernardo Bellini che gli avrebbe confidato «il segreto stereotipo», di cui si sarebbe servito «in alcuni disegni del "Bullettino"»[58]; per documentarsi ulteriormente sul funzionamento dei Regi Convitti, effettuò allora un nuovo viaggio «nel continente», a Torino, Alessandria, Moncalieri, Genova e poi per tre anni si dedicò con passione ai suoi studenti, seguendoli nelle lezioni, nello studio in biblioteca, negli esami, tanto da sembrargli «di stare in compagnia di angeli».
Infine, nominato Rettore della Regia Università di Cagliari il 5 settembre 1857 per volontà del Ministro Giovanni Lanza, Giovanni Spano aveva poi lasciato con molto rimpianto il Regio Convitto nelle mani dell'amico Salvator Angelo De Castro.
[1]* L’A. ringrazia la prof. Paola Ruggeri, alla quale si deve in parte il § 15, relativo specificamente ai rapporti tra lo Spano e il suo paese natale, Ploaghe.
[2] Vd. G. Spano, E. Pais, Bullettino Archeologico Sardo 1855-1884, Scoperte Archeologiche, ristampa commentata a cura di A. Mastino e P. Ruggeri (Biblioteca illustrata sarda), Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro 2000 ss.
[3] G. Lilliu, Un giallo del secolo XIX in Sardegna. Gli idoli sardo fenici, "Studi Sardi", XXIII, 1973-74, p. 314 n. 2.
[4] Vd. E. Contu, Giovanni Spano, archeologo, in Contributi su Giovanni Spano, 1803-1878, nel I centenario della morte, 1878-1978, Sassari 1979, pp. 161 ss.; G. Lilliu, Giovanni Spano, in I Cagliaritani illustri, I, a cura di A. Romagnino, Cagliari 1993, pp. 31 ss.
[5] G. Spano, Iniziazione ai miei studi, a cura di S. Tola, Cagliari 1997.
[6] Spano, Iniziazione cit., p. 69.
[7] Spano, Iniziazione cit., p. 83: «Questa mia laurea venne onorata dalla presenza dell'arcivecovo nella qualità di cancelliere, che per l'ordinario delegava un canonico o altra persona, alla quale cedeva non la propina ma la tesi che tutti i graduandi dovevano stampare a loro spese». Per un Arnosio vescovo di Ploaghe, che sarebbe stato amico del giudice Mariano IV, ricordato nelle Carte d'Arborea, vd. Id., Abbecedario storico degli uomini illustri sardi scoperti nelle pergamente codici ed in altri monumenti antichi con appendice dell'Itinerario antico della Sardegna, Cagliari 1869, p. 17.
Il testo della tesi (Ex theologia dogmatum de SS. Patribus, nec non de traditionibus), è ora pubblicato anastaticamente in Guido, Vita di Giovanni Spano cit., pp. 52 ss.
[8] Spano, Iniziazione cit., pp. 82 s.
[9] Secondo Registro degli esami privati e pubblici (dell'Università di Sassari), II, 1810-1829, p. 201: «Sassari li 14 luglio 1825. Seguì l'esame pubblico di Laurea in Teologia del Sig.r Giovanni Spano Figoni di Ploaghe Semi(inarista) Trid(entino) con intervento dell'Ill.mo Eccell.mo monsig.r Arcivescovo D.n Carlo Tommaso Arnovio Cancell.re, del Pref.to Can.co Pinna, del Prof. Tealdi, delli D.ri Colleg(ia)ti Arrica, Mela, Canu, Fenu, D'Andrea, e Sanna e Colleg.le Emerito Cubeddu Pievano di Mores ed è stato a pieni voti approvato per cui venne ammesso dal Collegio e gli venne conferita la Laurea dal Promotore Quesada, di che».
Ringraziamo cordialmente il direttore prof. Antonello Mattone, la dott. Paola Serra ed il dott. Francesco Obinu per le preziose informazioni.
[10] Spano, Iniziazione cit., p. 124 n. 16: «Ad un padre conscritto venne in mente di propormi di dissertare sopra i nuraghi, tema preistorico, e sarebbe statto lo stesso che parlar delle stelle, né avrei avuto la gloria di squarciare il velo del loro uso, bensì di onorarli d'un poema latino, come il Bellini li onorò d'un poema italiano».
[11] Per una rapida biografia dello Spano, vd. L. Guido, Vita di Giovanni Spano, con l’elenco di tutte le sue pubblicazioni, Villanova Monteleone 2000, pp. 7 ss.
[12] CIL X 7946 = ILS 5526, vd. A. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea, in Le Carte d'Arborea. Falsi e falsari nella Sardegna del XIX secolo, Atti del Convegno "Le Carte d'Arborea", Oristano 22-23 marzo 1996, Cagliari 1998, p. 231.
[13] Spano, Iniziazione cit., p. 55 e n. 18, con le osservazioni di Enrico Costa: «sebbene gli scavi li abbia fatti a casaccio, e con poca intelligenza, pure merita lode solo per aver dissotterrato quel cippo coll'iscrizione che ci ha fatto conoscere come l'edifizio era un tempio dedicato alla dea Fortuna, col tribunale ornato di sei colonne, restaurato dal prefetto di Sardegna Ulpio Vittore sotto l'imperatore Filippo, e non palazzo»
[14] G. Spano, Testo ed illustrazioni di un Codice Cartaceo del secolo XV contenente la fondazione e Storia dell’antica città di Plubium, Cagliari 1859, vd. "BAS", IX, 1863, p. 120.
[15] Spano, Iniziazione cit., p. 55. Vd. le osservazioni di Enrico Costa alle pp. 64 s. n. 23: «Allorquando nel 1819 [1820] noi lo vediamo aggirarsi per le campagne della sua Ploaghe, arrampicandosi su per le vecchie muraglie, contemplando le macerie degli antichi monumenti e chiedendo ai geroglifici d'una pietra frantumata la storia di una generazione sepolta dai secoli, era come un glorioso preludio del genio per l'archeologia che doveva distinguere il fondatore del "Bullettino Archeologico" dove vennero raccolti, disegnati ed illustratri tutti i monumenti della Sardegna, per far conoscere ai posteri la storia dei nostri padri. Quei nuraghi infine, che fin dalla prima gioventù furono l'oggetto della sua curiosità, dovevano essere da lui studiati per toglierli più tardi da quel mistero in cui erano avvolti da migliaia di secoli».
[16] Spano, Iniziazione cit., p. 106.
[17] Spano, Iniziazione cit., p. 126 n. 31, cfr. Bonu, Scrittori cit., p. 309.
[18] CIL I2 2226 = X 7586 = ILS 1874 = ILLRP I, 141 = IG XIV 608 = IGR I 511 = CIS I,1, 143.
[19]CIL X 7946 = ILS 5526.
[20] Spano, Iniziazione cit., pp. 140 s.; vd. Bonu, Scrittori cit. p. 314.
[21] Spano, Iniziazione cit., p. 141.
[22] Spano, Iniziazione cit., p. 222.
[23] Spano, Iniziazione cit., p. 177.
[24] Spano, Iniziazione cit., p. 252.
[25] Spano, Iniziazione cit., p. 141.
[26] G. Spano, Storia e descrizione dell'Anfiteatro romano di Cagliari, Cagliari 1868.
[27] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 253.
[28] Spano, Iniziazione cit., pp. 145 ss.
[29] Spano, Iniziazione cit., pp. 148 s.
[30] Spano, Iniziazione cit., pp. 151 ss. In seguito lo Spano avrebbe pubblicato la Memoria sopra il nome di Sardegna e degli antichi Sardi in relazione ai monumenti dell’Egitto illustrati dall’Egittologo F. Chabas, Cagliari 1873.
[31] Spano, Iniziazione cit., pp. 155 ss.; per la tabula ipotecaria di Veleia vd. CIL XI, 1147; per la tavola di Esterzili, cfr. La Tavola di Estetrzili. Il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda, in Atti Convegno di studi, Esterzili, 13 giugno 1992, a cura di A. Mastino, Sassari1993.
[32] Vd. Bonu, Scrittori cit., p. 312.
[33] Come patria di Sant’Efisio in realtà le fonti indicano Elia Capitolina, Gerusalemme.
[34] L'espressione ironica ma non irriverente è in Spano, Iniziazione cit., p. 176.
[35] Sul personaggio, vd. G. Spano, Operette spirituali composte in lingua Sarda Logudorese del sac. Teol. Salvatore Cossu Rettore Parrocchiale di Ploaghe, Opera postuma colla sua Biografia, Cagliari 1873.
[36] Vd. G. Spano, Testo ed illustrazioni di un Codice Cartaceo del secolo XV contenente la fondazione e Storia dell’antica città di Plubium, "BAS", IX, 1863, p. 125.
[37]CIL X 8053, 157, l.
[38] Memoria sull'antica Truvine, Cagliari 1852; vd. "BAS", IV, 1858, pp. 190-201. Vd. successivamente Testo ed illustrazioni cit.; vd. "BAS", IX, 1863, pp. 113-161.
[39] Vd. infra n. 153.
[40] Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, p. 171.
[41] Spano, Iniziazione cit., p. 209 n. 12.
[42] Spano, Iniziazione cit., p. 79.
[43] Vd. G. Spano, Proverbi sardi trasportati in lingua italiana e confrontati con quelli degli antichi popoli, Cagliari 1871, 2a ed., ristampa a cura di G. Angioni, Nuoro 1997, pp. 83 s., s.v. Bosa: «Fare come fanno in Bosa. Quando piove lasciano piovere. La città di Bosa ha provveduto tanti proverbi, ed in vece di adontarsene, come fece con noi il can. Gavno Nino, in quell'opera che dicono Del capoluogo del nuovo circondario nel territorio della soppressa provincia di Cuglieri (Cagliari 1862, p. 8 e n. 2), se ne dovrebbe lodare. In Italia si ha lo stesso proverbio per Pisa. Fare come fanno in Pisa, lasciar piovere quando piove. L'origine si racconta in vari modi, ma si crede che dovendosai ivi tenere una fiera all'aperto, uno degli anziani del Senato insorse proponendo la difficoltà: come fare se piovesse ? Un altro, dicesi, rispose:
"Fare come si fa in Pisa".
"E cosa ?"
"Se piove si lascia piovere".
Il sig. Nino sarà contento di questa spiegazione ?».
[44] L. Baille, Diploma militare dell'imperatore Nerva illustrato, Torino 1831, cfr CIL X 7890 = XVI 40 = AE 1983, 449.
[45] Per gli studi linguistici dello Spano, vd. G. Paulis, in G. Spano, Vocabulariu sardu-italianu con i 5000 lemmi dell'inedita Appendice manoscritta di G. Spano, I, Nuoro 1998, pp. 7 ss.
[46] CIL X 7981, già nel I volume del "Bullettino".
[47] Vd. G. Spano, in CIL X 7892.
[48] G. Spano, Sopra un frammento di un antico diploma militare sardo, Cagliari 1848, vd. "BAS" I, 1856, pp. 191-199 e CIL X 7853 = XVI 27, cfr. A. Mastino, P. Ruggeri, La romanizzazione dell'Ogliastra, "Sacer", VI, 1999, pp. 23 s.
[49] G. Spano, Illustrazione sopra un epitafio greco del R. Museo di Cagliari. Lettera al prof. G. Pisano, Cagliari 1849.
[50] Spano, Iniziazione cit., pp. 181 ss.
[51] Spano, Iniziazione cit., p. 185.
[52] G. Spano, Notizia sull'antica città di Tharros, Cagliari 1851; Id., Notice of the discovery of the ancient city of Tharros, "Atti Società archeologica di Londra", 1852.
[53] Spano, Iniziazione cit., pp. 185 s.
[54] Odissea u 301 s.
[55] G. Spano, Lettera al cav. D. Giovenale Vegezzi-Ruscalla sul volgare adagio Gevlw" Sardovnio", «il riso sardonico», Cagliari 1853; vd. E. Pais, Sardavnio" gevlw", "Atti R. Accad. Lincei", Memorie di scienze morali, V, 1879-80, estr. Salviucci, Roma 1880 (si tratta della revisione della tesi di laurea, dedicata a Domenico Comparetti); vd. ora C. Miralles, Le rire sardonique, in Mevti", Revue d'antropologie du monde gec ancien", II,1, 1978, pp. 31-43; M. Pittau, Geronticidio, eutanasia e infanticidio nella Sardegna antica, in "L'Africa Romana", VIII, Cagliari 1990, Sassari 1991, pp. 703-711; E. Cadoni, Il Sardonios gelos: da Omero a Giovanni Francesco Fara, in Sardinia antiqua, Studi in onore di Piero Meloni in occasione del suo settantesimo compleanno, Cagliari 1992, pp. 223-238; G. Paulis, Le "ghiande marine" e l'erba del riso sardonico negli autori greco-romani e nella tradizione dialettale sarda, "Quaderni di semantica", I, 1993, pp. 9-23.
[56] A. De la Marmora, Voyage en Sardaigne ou description statistique, physique et politique de cette ile, avec des recherches sur ses productions naturelles et ses antiquités, Atlas, Paris 1857; cfr. G. Spano, Cenni biografici del conte Alberto Ferrero Della Marmora ritratti da scritture autografe, Cagliari 1864 ; Id., Mnemosine sarda, ossia ricordi e memorie di vari monumenti con altre rarità dell'isola di Sardegna, Cagliari 1864, tav. XXI n. 6.
[57] G. Spano, Memoria sopra i nuraghi della Sardegna, Cagliari 1864; una seconda edizione è in "BAS", VIII, 1862, pp. 161-199; una terza edizione è del 1867.
[58] Spano, Iniziazione cit., p. 211 n. 36.
[59] Vd. A. Accardo, La nascita del mito della nazione sarda, Cagliari 1996, p. 16.
[60] G. Spano, Vocabolario sardo geografico-patroniomico ed etimologico, Cagliari 1872-73, p. 129 n. 18.
[61] Spano, Iniziazione cit., p. 194 e pp. 211 s. n. 38.
[62] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 258.
[63] CIL I2 2226 = X 7586 = ILS 1874 = ILLRP I, 141 = IG XIV 608 = IGR I 511 = CIS I,1, 143.
[64] CIL X 7858.
[65] Spano, Iniziazione cit., p. 196.
[66] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 258.
[67] Vd. R. Bonu, Scrittori sardi nati nel secolo XIX con notizie storiche e letterarie dell'epoca, II, Sassari 1961, p. 313.
[68] CIL X 7852, 7930, 7884, 7891; CIS I 140 = ICO Sard. 19.
[69] Spano, Iniziazione cit., p. 205.
[70] P. Ruggeri, Giovanni Spano, Bullettino Archeologico Sardo (1855-64), Scoperte archeologiche (1865-76); Ettore Pais, Bullettino Archeologico Sardo n.s. (1884), in Africa ipsa parens illa Sardiniae. Studi di storia antica e di epigrafia, Sassari 1999, pp. 171 ss.; vd. anche le introduzioni annuali alla ristampa G. Spano, E. Pais, Bullettino Archeologico Sardo 1855-1884, Scoperte Archeologiche, ristampa commentata a cura di A. Mastino e P. Ruggeri (Biblioteca illustrata sarda), Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro 2000 ss.
[71] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 250 s.
[72] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 254.
[73] CIL X,2, p. 782.
[74] ASC, Segreteria di Stato e di Guerra, serie II, busta n. 152, Relazione sopra il pavimento in mosaico scoperto in un campo vicino a San Bernardo di Stampace, di Gemiliano Deidda (Cagliari, 4 marzo 1763); vd. G. Spano, Orfeo, Mosaico Sardo esistente nel Museo Egiziano di Torino, "BAS", IV, 1858, pp. 161-165; S. Angiolillo, Mosaici antichi in Italia, Sardinia, Roma 1981, nr. 101; vd. ora P. Sanna, La «rivoluzione delle idee», "Rivista Storica Italiana", 1998, in c.d.s., n. 144.
[75] Scoperte 1866, p. 35 n. 1.
[76] Vd. Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, p. 147, con la vecchia denominazione S. Maria in Bubalis; il nome moderno di S. Maria di Mesu Mundu viene collegato alla «sua forma di calotta».
[77] Lilliu, Giovanni Spano cit., p. 35. Per gli scavi nei nuraghi di Ploaghe, vd. anche A. Moravetti, Monumenti, scavi e scoperte nel territorio di Ploaghe e M.A. Fadda Pirisi, Il nuraghe Don Michele di Ploaghe, in Contributi su Giovanni Spano cit., pp. 11 ss. e 47 ss.
[78] Con la dedica allo Spano, «che dottamente illustrò liberalmente accrebbe il Museo sardo», vd. Catalogo della raccolta Archeologica sarda del can. G. Spano da lui donata al Museo di Antichità di Cagliari, Parte prima, Cagliari 1860; Parte seconda, dedicata a Monete e medaglie, Cagliari 1865. Vd. ora C. Tronchetti, I materiali di epoca storica della collezione Spano, in Contributi su Giovanni Spano cit., pp. 115 ss.
[79] Vd. Spano, in "BAS", IV, 1858, p. 3.
[80] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 155.
[81] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 204, 213 n. 50.
[82] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 195.
[83] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 227.
[84] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 197.
[85] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 202 e 212 n. 47.
[86] Vd. Illustrazione sopra un epitafio greco del R. Museo di Cagliari (Lettera al prof. G. Pisano), Cagliari 1849.
[87] Si tratta di un articolo sui vetri di Cornus, ripreso dal «Bullettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica di Roma».
[88] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 268 n. 27.
[89] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 189.
[90] Si tratta di una ristampa di un articolo comparso sul «Bullettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica di Roma» del 1861.
[91] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 203.
[92] Solo per la ristampa di un breve studio Sulle monete dell’impero Cartaginese che si trovano in Sardegna, che è ripreso dal volume Numismatique de l’ancienne Afrique del 1861.
[93] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 201.
[94] A. Mastino, Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le “Scoperte”: Giovanni Spano ed Ettore Pais, in G. Spano, E. Pais, Bullettino Archeologico Sardo 1855-1884, Scoperte Archeologiche, ristampa commentata a cura di A. Mastino e P. Ruggeri (Biblioteca illustrata sarda), Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro 2000 ss. p. 27.
[95] Vd. M.L. Ferrarese Ceruti, Materiali di donazione Spano al Museo Pigorini di Roma, in Contributi su Giovanni Spano cit., p. 65.
[96] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 259.
[97] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 203.
[98] Spano, Iniziazione cit., p. 233 e p. 268 n. 24.
[99] A. Della Marmora, Sulle iscrizioni latine del Colombario di Pomptilla, "BAS" VIII, 1862, p. 113; vd. G. Spano, Serpenti che si vedono scolpiti nelle tombe, ibid., p. 138.
[100] Spano, Iniziazione cit., p. 237;vd. Id., Abbecedario storico cit., p. 75: «dimenticato da tutti e nell'inedia, mentre avrebbe meritato alto compenso dalla patria».
[101] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 261 e pp. 271 s. n. 62. Per la posizione di G. Manno verso le Carte d'Arborea è fondamentale la lettera del 10 maggio 1859, pubblicata in Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, pp. 151 s. n. 2: «così il mio lamento dell'essersi tacciuto dagli orgogliosi storici Romani il nome degli Eroi Sardi che hanno dovuto capitanare le molte guerre d'indipendenza combattute dai nostri padri, è di molto attenuato».
[102] Spano, Iniziazione cit., p. 226.
[103] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 266 n. 4.
[104] W. Helbig, Cenni sopra l'arte fenicia. Lettera al sig. Senatore G. Spano, Roma 1876, estr. "Annali dell'Inst. di corrispondenza archeologica").
[105] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 203.
[106] Spano, Iniziazione cit., p. 227.
[107] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 261 s. e p. 272 n. 63.
[108] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 262.
[109] Spano, Scoperte 1870, p. 35 n.1.
[110] Spano, Scoperte 1875, p. 23 ss.
[111] CIL X 7957.
[112] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 255.
[113] Th. Mommsen, in CIL, X,2, p. 782.
[114] Vd. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea cit., pp. 221 ss.
[115] Vd. Spano, Postilla alla lapide , in Scoperte , p. 35
[116] CIL X 7930, vd. A. Mastino, La supposta prefettura di Porto Ninfeo (Porto Conte), «Bollettino dell’Associazione Archivio Storico Sardo di Sassari», II, 1976, pp. 187-205.
[117] Vd. E. Pais, Le infiltrazioni delle falsificazioni delle così dette «Carte di Arborea» nella Storia della Sardegna, in Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio Romano, Roma 1923, p. 670; vd. ibid., p. 331 n. 3.
[118] Vd. S. Tola, in Spano, Iniziazione cit., p. XI.
[119] Vd. G. Ghivzzani, Al prof. Teodoro Mommsen, in S.A. De Castro, Il prof. Mommsen e le Carte d’Arborea, Sassari 1878, pp. 7 s.: si criticano «certe paroline che dicono esserle uscite dalla bocca», «paroline agrette anzi che non» e lo si invita a guardarsi, nel viaggio per Sassari, «da un certo de Castro». L’imbarazzo del Mommsen è evidente nella risposta pubblicata su «L’Avvenire di Sardegna» il 25 novembre, cfr. Th. Mommsen, in De Castro, Il prof. Mommsen cit., p. 13 (dove si fa cenno a «qualche parola ... detta da me in una riunione privata, riguardo a certi punti della Storia della Sardegna»; «parole probabilmente male espresse e certamente assai male ripetute di un viaggiatore tedesco»). Vd. anche a p. 15 il giudizio sulla «vostra eroica Eleonora», al quale il Mommsen si sottrae, perchè dichiara di volersi occupare solo di epigrafia latina e di storia romana. Sui nomi degli studiosi presenti al pranzo ufficiale, vd. I. Pillitto, in De Castro, Il prof. Mommsen cit., p. 56, per il quale lo Spano, ammalato, preferì non ribattere «per non impegnarsi in una discussione ormai superiore alle sue forze». Più in dettaglio, al pranzo ufficiale, offerto dal prefetto Minghelli Valni, erano presenti il prof. Pietro Tacchini dell'Università di Palermo, i senatori conte Franco Maria Serra e can. Giovanni Spano, il consigliere delegato cav. Alessandro Magno, il preside dell'Università prof. Gaetano Loi, i proff. Patrizio Gennari e Filippo Vivanet, cfr. "L'Avvenire di Sardegna", VII, nr. 247, 17 ottobre 1877, p. 3.
[120] Th. Mommsen, in De Castro, Il prof. Mommsen cit., p. 15. Vd. le ironiche osservazioni di Salvator Angelo De Castro in una lezione del 3 novembre 1877 agli studenti dell'Università di Cagliari, in G. Murtas, Salvator Angelo De Castro, Oristano 1987, p. 76.
[121] Tali osservazioni furono ripetute a Sassari, in occasione del pranzo offerto dai redattori de "La Stella di Sardegna", cfr. De Castro, Il prof. Mommsen cit., pp. 17 s.: «quando egli, per esempio, mi veniva dicendo che, in Sardegna, di cento iscrizioni, cento son false e fratesche, poteva io credere ch’ei non celiasse ? E celiando io lo pregava a non usare una critica tanto severa per tema che col cattivo se ne potesse andar via anche il buono. Per le altre provincie d’Italia, ammise il dieci per cento d’iscrizioni vere; meno male !». Tali giudizi sulle «iscrizioni di fabbrica fratesca» furono ripresi anche nella rubrica i "Pensieri" pubblicata su "La Stella di Sardegna", III, 44, del 4 novembre 1877, p. 224.
[122] "L'Avvenire di Sardegna", VII, nr. 250, 21 ottobre 1877, p. 3, cfr. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea cit., p. 224 n. 10.
[123] Vd. S. Sechi-Dettori, Le pergamene d'Arborea, All'illustre Cav. S. Angelo De-Castro, "La Stella di Sardegna", III, dicemre 1877, p. 315; S.A. De-Castro, Le carte di Arborea. Al chiarissimo Signor S. Sechi-Dettori, "La Stella di Sardegna", IV, 6 gennaio 1878, pp. 1 s. Di quest'ultimo vd. soprattutto Il prof. Mommsen e le Carte d’Arborea, Sassari 1878, opera dedicata alla memoria di Pietro Martini.
[124] CIL X,2, 1883, pp. 781 s.
[125] CIL X 1480*.
[126] CIL X 7946.
[127] CIL X,2, 1883, p. 781. Vd. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea cit., pp. 221 ss.
[128] CIL X 7852, cfr. La Tavola di Esterzili cit.
[129] Vd. R. Mara, Theodor Mommsen e la storia della Sardegna attraverso i carteggi e le testrimonianze del tempo, tesi di laurea presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Cagliari (relatori i proff. Antonello Mattone e Attilio Mastino), Sassari 1997-98, p. 335. Vd. ora A. Mastino, A. Mattone, Il viaggio di Mommsen in Sardegna, in preparazione.
[130] Mara, Theodor Mommsen cit., p. 337. L'edizione dell'articolo del Mommsen (con qualche errore forse dovuto all'eccessiva fretta), è in Th. Mommsen, Decret des Proconsul von Sardnien L. Helvius Agrippa vom J. 68 n. Chr., "Hermes", II, 1867, pp. 102-127.
[131] CIL X 1098*.
[132] G. Cara, Statua di Ercole in bronzo, "BAS" I, 1855, pp. 51 ss.
[133] Spano, Iniziazione cit., p. 219.
[134] Spano, Iniziazione cit., p. 226.
[135] W. Förster, Sulla questione dell'autenticità dei codici d'Arborea. Esame paleografico, "Memorie della R. Accad. delle scienze di Torino", LV, 1905, p. 234.
[136] F. Loddo Canepa, Dizionario archivistico della Sardegna, "Archivio Storico Sardo", XVII, 1929, p. 370, s.v. Carte d'Arborea.
[137] Spano, Iniziazione cit., p. 239.
[138] Spano, Scoperte 1865, p. 30.
[139] Spano, Scoperte 1874, p. 9.
[140] G. Cara, Cenno sopra diverse armi, decorazioni, ecc. del Museo di Cagliari, Cagliari 1871.
[141] Spano, Scoperte 1876, p. 22.
[142] G. Cara, Considerazioni sopra una fra le opinioni intorno all'origine ed uso dei Nuraghi, Cagliari 1876.
[143] H. B. von Maltzan, Reise auf der Insel Sardinien, nebst einem Anhang über die phönicischen Inschriften Sardiniens, Leipzig 1869.
[144] Spano, Scoperte 1876, pp. 37 ss.
[145] Vd. G. Spano, Memoria sopra i Nuraghi della Sardegna, Cagliari 1854, poi nell'VIII volume del "Bullettino".
[146] Spano, Scoperte 1876, p. 35.
[147] A. Cara, Questioni archeologiche, Lettera al can. Giovanni Spano, Cagliari 1877. Vd. Bonu, Scrittori cit., p. 325 n. 29.
[148] G. Spano, Bosa vetus. Opera postuma del canonico Giovanni Spano Senatore del Regno, con biografia scritta dal professore Filippo Vivanet, Bosa 1878.
[149] Ruggeri, Africa ipsa parens illa Sardiniae cit., pp. 173 ss.
[150] Memoria sull'antica Truvine, Cagliari 1852; vd. "BAS", IV, 1858, pp. 190-201. Vd. successivamente Testo ed illustrazioni cit.; vd. "BAS", IX, 1863, pp. 113-161.
[151] Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, p. 171.
[152] Spano, Iniziazione cit., p. 209 n. 12.
[153] CIL X 7955 = XIV 346.
[154]CIL X 8053, 157, l.
[155] CIL X 8056, 259.
[156] CIL X 7979.
[157] Da qui il quadro del Marghinotti conservato al Comune di Ploaghe; vd. G. Dore, La raccolta Spano ed altre opere d'arte a Ploaghe, in Contributi su Giovanni Spano, cit., p. 147 nr. 20. Per il Marghinotti, vd. ora M.G. Scano, Pittura e scultura dell’Ottocento, Nuoro 1997, p. 131 ss.
[158] Ruggeri, Africa ipsa parens illa Sardiniae cit., p. 239.
[159] Lilliu, Giovanni Spano cit., p. 35. Vd. anche Moravetti, Monumenti, scavi e scoperte nel territorio di Ploaghe e Fadda Pirisi, Il nuraghe Don Michele di Ploaghe, in Contributi su Giovanni Spano cit., pp. 11 ss. e 47 ss.
[160] Spano, Scoperte 1875, p. 23 ss.
[161] W. Helbig, Cenni sopra l'arte fenicia. Lettera al sig. Senatore G. Spano, Roma 1876, estr. "Annali dell'Inst. di corrispondenza archeologica".
Attilio Mastino
La nascita dell’archeologia in Sardegna: il contributo di Giovanni Spano tra ricerca scientifica e falsificazione romantica[1]*
1. Gli studi fino alla laurea. 2. Le scoperte nella colonia romana di Turris Libisonis. 3. La formazione: il viaggio a Roma Roma. 5. Baille e La Marmora. 5. I viaggi in Italia. 6. Le ricerche giovanili. 7. I primi scavi: Tharros. 8. Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le “Scoperte Archeologiche”. 9. La rete dei collaboratori. 10. La nascita dell’archeologia in Sardegna. 11. I corrispondenti italiani. 12. I corrispondenti stranieri. 13. I rapporti con Theodor Mommsen e la polemica sulle Carte d’Arborea. 14. Lo scontro con Gaetano Cara ed il tramondo dello Spano. 15. Il mito della patria lontana: la leggendaria Ploaghe-Plubium.
1. La recente ristampa del "Bullettino Archeologico Sardo" e delle "Scoperte Archeologiche" curata dalle Edizioni dell'Archivio Fotografico Sardo di Sassari[2] e la Giornata di studio su Giovanni Spano promossa dal Comune di Ploaghe il 15 dicembre 2001 per le celebrazioni bicentenarie dalla nascita, sono l'occasione per una riflessione complessiva sull'attività di Giovanni Spano tra il 1855 ed il 1878: un periodo di oltre vent’anni, che è fondamentale per la conoscenza della storia delle origini dell'archeologia in Sardegna, nel difficile momento successivo alla "fusione perfetta" con gli Stati della Terraferma, fino alla proclamazione dell'Unità d'Italia e di Roma capitale; in un momento critico e di passaggio tra 1a «Sardegna stamentaria» e lo «Stato italiano risorgimentale», quando secondo Giovanni Lilliu «si incontrarono e subito si scontrarono la "nazione" sarda e la "nazione" italiana al suo inizio»[3].
Gli interessi dello Spano per l'archeologia non sono originari[4]: nella tarda Iniziazione ai miei studi, pubblicata nel 1876 sul settimanale sassarese "La Stella di Sardegna" (recentemente edita da AM&D Edizioni di Cagliari a cura di Salvatore Tola)[5], lo Spano ripercorre le tappe della sua formazione a Sassari al Collegio degli Scolopi, poi in Seminario, per gli studi di grammatica e di retorica e quindi di logica e di matematica, fino a conseguire il titolo di maestro d'arti liberali nel 1821; solo più tardi, incerto tra la medicina («una scienza in allora abborrita e disonorata nelle famiglie, specialmente la chirurgica») e la giurisprudenza, scelse si iscriversi alla Facoltà teologica, per motivi non propriamente spirituali: «perchè vi erano le sacre decime, di buona memoria, che allettavano la maggior parte degli studenti»[6]. Il 14 luglio 1825 conseguiva la laurea in Teologia («un corso florido», perchè «la Teologia nell'Università di Sassari è stata molto coltivata perché ha avuto sempre buoni professori»), dopo un esame sostenuto davanti ad una commissione di undici membri presieduta dall'arcivescovo Carlo Tommaso Arnosio (omonimo del vescovo-poeta di Ploaghe ricordato nelle Carte d'Arborea)[7], con l'intervento tra gli altri del professore di Teologia dogmatica padre Tommaso Tealdi e di Filippo Arrica parroco di Sant'Apollinare, originario di Ploaghe e docente di Teologia morale, poi divenuto vescovo di Alghero: il Promotore padre Antonio De Quesada (docente di Sacra Scrittura) lo aveva presentato come il princeps theologorum e «dopo l'acclamazione fatta dal bidello» gli «pose il berrettino a quattro punte in testa», gli fece indossare la toga e gli infilò «l'anello gemmato d'oro» nell'anulare; seguì il giuramento ed il ringraziamento, che lo Spano fece «in versi leonini», per distinguersi dagli altri[8]. Presso il Centro di studi interdisciplinari sulla storia dell'Università di Sassari (nella sede del Dipartimento di Storia) si conserva ancora la registrazione dell'esame di laurea superato a pieni voti[9]. Solo nel 1830 avrebbe conseguito il titolo di dottore in arti liberali ed in particolare in Filosofia, discutendo una dissertazione De stellis fixis, mentre uno dei commissari avrebbe voluto assegnargli un tema altrettanto bizzarro, i nuraghi della Sardegna[10].
2. Egli era nato a Plaghe l'8 marzo 1803 da Giovanni Maria Spanu Lizos e da Lucia Figoni Spanu[11]: a 16 anni aveva seguito con ingenua curiosità la vicenda degli scavi effettuati a Porto Torres da Antonio Cano, un frate architetto esperto di esplosivi (il costruttore della cattedrale di Nuoro, morto cadendo da un'impalcatura nel 1840), che aveva scoperto la base del prefetto M. Ulpius Victor relativa al restauro del tempio della Fortuna e della basilica giudiziaria, monumento che è alla base della falsificazione delle Carte d'Arborea[12]: «nella primavera di quell'anno (1819) ricordo che in Porto Torres un frate conventuale, Antonio Cano, scultore ed architetto sassarese, per ordine della regina Maria Teresa, moglie di Vittorio Emanuele II, ed a sue spese, faceva degli scavi nel sito detto Palazzo di re Barbaro e, di mano in mano che si scoprivano pietre scritte o rocchi di colonne, le trasportavano a Sassari per collocarle nella sala dei professori [dell'Università]»[13]. E ancora: «Io senza capirne un'acca, ero curioso e di osservare questi rottami e dal conto che ne facevano pensava che fossero cose preziose». Era dunque scattata una molla che lo avrebbe portato più tardi a valorizzare le antichità di Ploaghe, la sua piccola patria, quella che nelle Carte d'Arborea sarebbe diventata la gloriosa Plubium con i suoi eroi Sarra ed Arrio, un luogo con «una lussureggiante vegetazione con selve di alberi d'ogni sorta, con orti irrigati (...) con vigne ed ogni genere di piante»[14]: «arrivato in villaggio col desiderio di trovare qualche pietra simile, passava i giorni visitando i nuraghi del villaggio e le chiese distrutte; m'introduceva nei sotterranei e stava sempre rivoltando pietre, arrampicandomi alle sfasciate pareti; per cui la povera mia madre mi sgridava sempre, e mi pronosticava che io sarei morto schiacciato sotto qualche rovina»[15]. Dopo la laurea, laureatus et inanellatus, in occasione del giubileo aveva vissuto nella basilica di San Gavino a Porto Torres l'esperienza della penitenza e della flagellazione «con un fascio di discipline di lame di ferro ben affilate» fornitegli da da un prete devoto di San Filippo, restando ammalato poi per due mesi: un'esperienza che gli avrebbe fatto capire meglio l'assurdità delle ipotesi del direttore del Museo di Cagliari Gaetano Cara, che avrebbe visto come «flagellii» oggetti diversissimi, vere e proprie decorazioni militari di età romana.
3. Fu però soprattutto il burrascoso soggiorno romano del 1831 ad orientarlo verso l'archeologia: alloggiato nella locanda dell'Apollinare, lo Spano prese a frequentare tutti i giorni la vicina piazza Navona, «l'emporio delle cose vecchie, di libri e di antichità» che fu il luogo in cui si avvicinò all'archeologia «comprando monete, pezzi di piombo, tele vecchie, ecc.»[16]. E poi «l'Achiginnasio romano, ossia la Sapienza», l'Università agitata dai «primi movimenti rivoluzionari» degli studenti e dai «torbidi» e dal «malcontento del popolo contro il governo dei preti» dopo l'elezione di Gregorio XVI che aveva scatenato l'«odio contro i preti, i quali erano presi a sassate, e molti restavano vittime»: qui lo Spano poté conoscere l'abate modenese Andrea Molza, docente di ebraico e di Lingua caldaica e siro-caldaica, il maestro più amato «un angelo mandato dal cielo», poi bibliotecario della Vaticana, morto tragicamente nel 1850; ma anche il prof. Nicola Wiseman, docente di Ebraico (lingua che lo Spano già in parte conosceva, in quanto allievo a Sassari di Antonio Quesada); il dott. De Dominicis ed il suo sostituto Emilio Sarti, professori di Lingua greca (quest'ultimo un «gran genio», «un mostro di erudizione»), il cav. Scarpellini di Fisica sacra, il Nibby di archeologia, «che allora era tenuto come il topografo per eccellenza dell'antica Roma»[17]; l'anno successivo il cav. Michelangelo Lanci di Fano docente di Lingua araba. Esaminato dal prof. Amedeo Peyron, professore di Lingue orientali nell'Università di Torino (col quale avrebbe successivamente collaborato alla pubblicazione della iscrizione trilingue di San Nicolò Gerrei[18]), fu nominato nel 1834 professore di Sacra Scrittura e Lingue orientali nella Regia Università di Cagliari, dove «a causa del clima» le lezioni terminavano con molto anticipo, il I maggio e le vacanze arrivavano fino al 15 luglio; l'Università di Cagliari infatti «si distingueva fra tutte le altre per il tempo assegnato alle vacanze», con grande soddisfazione dello Spano, che in primavera era ora libero di fare le sue «escursioni archeologiche e fisiologiche nel centro dell'isola».
4. A Cagliari la passione per l'archeologia doveva ulteriormente svilupparsi, soprattutto all'ombra di un grande vecchio, il cav. Lodovico Baille (gà censore dell'Università, bibliotecario e direttore del Museo archeologico), con il quale lo Spano fu messo in contatto da Amedeo Peyron, suo collega nell'Accademia delle Scienze di Torino: «era dotto archeologo, buon giurisprudente, caritatevole, disinteressato», oltre che «esperto e assennato antiquario»; fu il Baille «da vero archeologo», in occasione di una visita a Porto Torres, a sostenere che il Palazzo del Re Barbaro «sarà stato un tempio, o basilica, non però palazzo», un giudizio che per lo Sparo era stato luminosamente confermato dal ritrovamento avvenuto nel 1819 della base relativa al restauro del tempio della Fortuna, pubblicata poi proprio dal Baille[19]. Lo Spano lavorò per cinque lunghi anni accanto al Baille, fino al 14 marzo 1839, giorno della sua morte, considerata «una perdita nazionale» da Pasquale Tola.
Proprio in questi anni lo Spano ebbe l'occasione («la fortuna») di conoscere il generale Alberto della Marmora, «che trovavasi in Cagliari iniziando gli studi trigonometrici della Sardegna, col cavalier generale Carlo Decandia»: con lui lo Spano avrebbe avviato una cordiale amicizia ed una prolungata collaborazione scientifica. Scrivendo tredici anni dopo la morte del Della Marmora (avvenuta il 18 maggio 1863), lo Spano non avrebbe nascosto anche i motivi di un profondo disaccordo, la differente opinione della destinazione e sull'uso dei nuraghi (un tema decisivo che avrebbe portato lo Spano a scontrarsi sanguinosamente con il direttore del Museo di Cagliari Gaetano Cara), edifici che per lo Spano erano abitazioni e per il Della Marmora solo tombe: «ma siccome era di una tempa forte, difficilmente si lasciava vincere nelle sue opinioni, come era quella sopra i nuraghi; ché per aver trovato nell'ingresso del nuraghe Isalle una sepoltura antica col cadavere e stromenti di bronzi antichi, conchiuse che quelle moli erano trofei di guerrieri, mentre lo scheletro e le armi non furono trovati dentro la camera, quindi erano assolutamente memorie posteriori»[20]. E poi le dubbie amicizie del La Marmora, osservate con sospetto dallo Spano, le ingenuità e gli errori, come per la vicenda degli idoli sardo-fenici, fatti acquistare dal Cara ed entrati a pieno titolo negli allegati al codice Gilj e nelle Carte d'Arborea: «io gli insinuava che non si fidasse tanto sulle relazioni; finalmente, dopo ultimata la colossale opera, comprò un centinaio di questi idoletti e si convinse che il mio sospetto non era senza ragione», perchè «nei bronzi figurati, io ripeteva, "ci vuole la fede di battesimo!"»[21]. Fu il Cara a dissanguare il conte Della Marmora, «nuovo Caio Gracco che si dipartì da Roma colla cintura piena di denaro e vi rientrò riportandola totalmente vuota»[22]. Certo le posizioni dello Spano non dovevano esser state inizialmente così nette se nel 1847 aveva scavato a Lanusei «nella stessa località già esplorata dal Della Marmora, dove dicevasi essersi rinvenuti di quegli idoletti fenici»[23] e se ancora nel 1866 la dedica della Memoria sopra alcuni idoletti di bronzo trovati nel vilaggio di Teti (con le Scoperte Archeologiche del 1865) era effettuata in onore di B. Biondelli, direttore del Gabinetto numismatico di Milano, «perché la scoperta fu fatta quando egli era in Sardegna e moveva dubbi sugli idoletti sardi»[24]. Ma già nel 1862 il La Marmora aveva rotto da tempo col Cara, se il Conte aveva minacciato il Ministro C. Matteucci di rivolgere un'interrogazione in senato per la recente riconferma nell’incarico di direttore facente funzioni del Museo di Cagliari di un «individuo» compromesso in passato, che aveva curato a suo modo «gli affari del Museo».
5. Fu nel corso delle vacanze del 1835 (vent'anni prima della pubblicazione del primo numero del "Bullettino") che lo Spano si dedicò per la prima volta seriamente delle antichità della Sardegna: egli passò «le vacanze biennali visitando continuamente la necropoli di Caralis antica, l'anfiteatro romano e copiando le iscrizioni antiche che trovansi sparpagliate nel Campidano di Cagliari», a suo dire già prevedendo di utilizzare queste informazioni per la sua Rivista[25]; all'anfiteatro in particolare avrebbe poi dedicato un volume[26], dopo gli scavi degli anni 1866-67 promossi dal Municipio e controllati da una commissione da lui presieduta di cui avrebbero fatto parte Gaetano Cima, l’avv. Marini Demuru, il Marchese De-Litala, il prof. Patrizio Gennari, Vincenzo Crespi (che avrebbe sostituito Pietro Martini, deceduto il 17 febbraio 1866)[27]. Utile sarebbe stato nel 1836 il viaggio a Verona «per visitare l'Anfiteatro che, per essere quasi intiero» lo «aiutò per poter istituire paragoni col cagliaritano»; nella città scaligera poté visitare il Museo Maffeiano dove volle trascrivere «alcune iscrizioni che avevano relazione colle sarde». In quel viaggio raggiunse Torino, frequentò le lezioni di Ebraico di Amedeo Peyron e di Greco del cav. Bucheron; quindi Milano, dal prof. Vincenzo Cherubini; e poi Padova (dove conobbe il Pertili), Venezia (dove conobbe i bibliotecari di San Marco cav. Bettio e Bartolomeo Gamba, ma anche l'istriano Pier Alessandro Paravia, professore di Eloquenza nell'Università di Torino, che avrebbe rivisto nel 1838), Rovigo, Bologna, Ferrara, Rimini, Foligno, Spoleto, infine raggiunse Roma. Qui, rivide il Molza ed altri maestri e colleghi ed iniziò a «visitare le antichità romane dentro e fuori di città per rinnovare la memoria», preparando qualche suo «scritto sopra le medesime e sopra i dialetti sardi»[28]. Trattenuto per mesi a Napoli dall'epidemia di colera, poté studiare «le antichità ai musei ed alla Regia biblioteca», le rovine di Pompei (dove studiò «la struttura delle case antiche», analoghe a quelle che avrebbe riconosciuto a Cagliari nel 1876 a Campo Viale, la necropoli, o via dei Sepolcri, e l'anfiteatro), infine Pozzuoli, per visitare un altro anfitreatro, il Tempio di Serapide, il lago d'Averno, la Grotta detta della Sibilla: «qui doveva vedere altri monumenti e copiare alcune iscrizioni che hanno relazione colle sarde, specialmente le classiarie di Miseno»[29]. Un viaggio avventuroso, con non pochi pericoli, che lo avrebbe segnato per gli anni successivi, quando lo Spano avrebbe ripreso le sue escursioni sarde, «raccogliendo vocaboli, oggetti di antichità, carte antiche e canzoni popolari».
6. Gli interessi dello studioso continuavano ad essere eterogenei e l'archeologia rappresentava ancora solo un aspetto secondario delle sue passioni: nel 1838, dopo aver visitato Bonorva, il Monte Acuto, il Goceano, il Nuorese, le Barbagie, la Planargia, il Marghine, studiò la lingua di Ghilarza e visitò «nuraghi ed altri monumenti preistorici, di cui abbonda questo territorio», scoprendo «molte di quelle lunghe spade di bronzo che gli antichi usavano XIV secoli prima di Cristo allorché, confederati con altri popoli, invadevano il Basso Egitto»: era la prima volta che lo Spano si misurava con la tesi dellle origini orientali dei Sardi e con la vicenda dei Shardana, allora illustrata da F. Chabas[30]. Nominato responsabile della Biblioteca Universitaria alla morte del Baille, si vantava di aver consentito agli studenti cagliaritani ed ai frequentatori della biblioteca «di studiare a testa coperta, come loro era più comodo; mentre prima erano obbligati di stare a testa nuda come in chiesa». Si sentiva però totalmente impreparato a dirigere la Biblioteca, per quanto assistito da padre Vittorio Angius, ed intraprese perciò un viaggio a Pisa, a Genova, a Bologna, a Modena, a Parma, a Milano, a Torino, per conoscere dall'interno il funzionamento delle principali biblioteche italiane. In particolare avrebbe avuto un seguito l'amicizia con «quel mostro di erudizione» che era Celestino Cavedoni, che avrebbe a lungo collaborato con il "Bullettino Archeologico Sardo" fino alla morte, avvenuta nel 1867. A Modena tra gli altri aveva conosciuto «l'unico rampollo del celebre Muratori», il canonico Soli Muratori, mentre a Parma aveva approfondito col cav. Pezzana le problematiche poste dalla tabula ipotecaria di Veleia, «che ha una certa rassomiglianza con la nostra tavola di bronzo di Esterzili» (che sarebbe stata scoperta solo quasi trent'anni dopo)[31]. A Milano aveva conosciuto G. Labus, «distinto archeologo» ed «epigrafista aulico», ricordato più volte successivamente, che gli suggerì di raccogliere in catalogo i bolli sull’instrumentum domesticum, dandogli l’idea del volume sulle Iscrizioni figulinarie sarde, che sarebbe uscito solo nel 1875[32]. Infine, l’egittologo Rossellini e tanti altri.
Rientrato a Cagliari, aveva dovuto fronteggiare l'ostilità del Magistrato sopra gli studi e del censore, che lo accusavano di non occuparsi «di Bibbia, distratto in far grammatiche ed in altre opere vernacole»; dopo la drastica riduzione dello stipendio, fu costretto a dimettersi dalla direzione della Biblioteca, che nel 1842 passò ad un amico, a Pietro Martini: una magra consolazione, anche se lo Spano si compiace di aver avuto «per successore un uomo dotto che si dedicò con intelligenza a far progredire quello stabilimento materialmente e scientificamente».
Lo Spano, esonerato dalla direzione della Biblioteca, poté dedicarsi ancora di più ai suoi veri interessi: visitò il Sulcis, Iglesias, Carloforte e Sant'Antioco, dove fece «una gran messe di monete romane (che ora si trovano nel gran (...) medagliere donato al Regio Museo), di iscrizioni anche fenicie, di bronzi e di molte edicole in trachite e di marmo, tra le quali una di Iside»; l’anno successivo fu ad Oristano ed a Tharros.
L'arrivo a Cagliari nel 1842 del nuovo arcivescovo, l'amico Emanuele Marongiu Nurra, segnò una svolta profonda, sul piano personale ma anche sul piano politico: egli «a più delle scienze sacre coltivò la storia e l'archeologia, in cui diede numerosi saggi» e nel 1848 capeggiò la Commissione parlamentare inviata a Torino per chiedere la "perfetta fusione" della Sardegna al Piemonte, finendo due anni dopo in esilio e riuscendo a rientrare in sede solo dopo 15 anni. Fu l'arcivescovo Marongiu Nurra ad anticipare l'ostilità del censore dell'Ateneo cagliaritano, che riteneva lo Spano un «inetto», perchè si era dedicato invece che alla teologia ed alla Bibbia alle «iniezie della lingua vernacola»: l’arcivescovo gli poté offrire «il canonicato della prebenda di Villaspeciosa (la più misera di tutta la diocesi), piccolo villaggio di circa 400 anime vicino a Decimo»: una tranquilla sinecura, inizialmente non gradita dallo Spano, che comunque gli consentì di superare l'avversione generalizzata che minacciava di travolgerlo, per dedicarsi a tempo pieno agli studi prediletti.
Guardando a quei difficili momenti, a distanza di trent'anni, lo Spano avrebbe lucidamente scritto: «liberato dal peso della cattedra e dalle lezioni della lingua ebraica e greca, fui più libero di dedicarmi agli studi di mio genio, cioè alla filologia ed all'archeologia sarda, spigolando il campo in cui aveva mietuto il Della Marmora». Egli non si vergognava di passare le sue giornate «nelle umili case dei contadini» e di viaggiare per le campagne sarde; nè si vergognava, «dove vedeva ruderi di antiche abitazioni» di frugare colle sue mani «il terreno fangoso, tirando fuori pezzi di stoviglie o di bronzi, monete ed altro, per esaminare a quale età potevano appartenere» e riempiendosi le saccoccie «di quei rozzi avanzi» che la sua guida ed altri che lo accompagnavano «credevano inutili trastulli». Nella primavera 1845 iniziò a visitare la Trexenta, riuscendo a stabilire attraverso i reperti provenienti dal nuraghe Piscu di Suelli «i nuraghi essere serviti d'abitazione»: una tesi che successivamente non avrebbe più abbandonato. Visitò poi Nora, «la patria di Sant'Efisio martire»[33], per osservare «i ruderi di quella famosa città, emula di Cagliari, e che si crede d'essere più antica», con la speranza di trovare qualche nuova iscrizione fenicia. Qui praticò uno scavo che egli stesso riteneva di scarsa importanza, raccogliendo monete ed alcuni frammenti epigrafici latini, «perché, per trovare oggetti che dimostrino la prima sua fondazione e civiltà, bisogna lavorare molto, onde scuoprire le prime tombe della sua necropoli, che tuttora non si è trovata». E ancora, alla luce delle osservazioni fatte nel volume delle Scoperte del 1876 e nelle Carte d'Arborea: «vi si vedono molti monumenti romani, l'acquedotto, il castello e una parte della città seppellita nel mare, dicesi da un terremoto».
Rientrando a Cagliari, aveva iniziato a raccogliere i suoi appunti, le sue note, gli oggetti, per servirsene in futuro, quando si sarebbe occupato «delle cose archeologiche sarde», lavorando intanto per il Vocabolario, riposandosi solo «nelle ore del coro» in Cattedrale, per «cantare e "labbreggiare"» coi suoi colleghi canonici.[34]
Nel 1846 iniziano gli scavi a Ploaghe nella loc. Truvine (la Trabine delle Carte d'Arborea), in compagnia del rettore Salvatore Cossu «persona intelligente e di genio per le antichità» morto nel 1868[35], che a proposito dell'etimologia di Plubium aveva saputo «indovinare» la spiegazione fornita quattro secoli prima da un immaginario Francesco De Castro[36], di amici, parenti e perfino della madre quasi ottantenne (sarebbe morta l'8 aprile 1864 a 93 anni di età): furono raccolte tra l'altro 35 monete di bronzo di età repubblicana, fino all'età di Augusto e tra esse una rarissima «moneta coloniale della città di Usellus», statuine di Cerere col modio, di Bacco e di satiri, lucerne col bollo di C. Oppius Restitutus [37], un pavimento in opus signinum, materiali presentati nella bella Memoria sull'antica Truvine, dedicata nel 1852 e ripresa sul IV numero del "Bullettino": un testo che è purtroppo alla base dell'attività dei falsari delle Carte d'Arborea ed in particolare dei numerosi fantasiosi documenti su Plubium-Ploaghe, sul cronista Francesco De Castro, sull'«intrepido e coraggioso Sarra», su Arrio amico di Mecenate, inventore della scrittura stenografica (!) [38]; quest'ultimo sarebbe stato rappresentato dal celeberrimo pittore cagliaritano Giovanni Marghinotti in una tela conservata ora nella sala consiliare del Comune di Ploaghe[39]. Lo Spano, quanto mai soddisfatto del nuovo orizzonte di studi che poteva intravedere, ci appare decisamente impegnato a sostenere che «la Cronaca di Francesco De Castro Ploaghese ha tutti i caratteri della genuinità, sia nell'intrinseco dettato della storia che abbraccia, sia nella parte estrinseca del Codice, cioè la carta, il carattere e tutto quanto induce a formare il vero criterio, per distinguere la veracità e l'autenticità dei codici, e delle scritture antiche»[40]. Su tale posizione di accentuato campanilismo vedremo che il canonico dové però subire le ironie e gli «sghignazzi» di qualche confratello poco credulone[41].
Il tema del rapporti dello Spano con i falsari delle Carte d'Arborea non è stato del resto ancora pienamente affrontato: è vero che lo Spano fin da ragazzo si esercitava un po' per scherzo nella tecnica delle invenzioni e citava «testi di filosofi e di santi padri inventati nella mia testa», disquisendo con gli amici dell'Accademia della Pala (così chiamata da una collina di Bonorva)[42]. E' anche vero che lo Spano intrattenne rapporti più che amichevoli con Pietro Martini (che gli subentrò come direttore della Biblioteca Universitaria), con Salvatore Angelo Decastro (che gli subentrò come direttore del Regio Convitto) e con altri protagonisti della falsificazione. Eppure una partecipazione diretta dello Spano alla falsificazione, che proprio in quegli anni andava delineandosi, non è dimostrabile e forse neppure probabile. Basterà in questa sede osservare che rapporti di aperta ostilità lo Spano ebbe con Gaetano Cara, pienamente coinvolto come si dirà nella vicenda dei falsi bronzetti fenici e forse anche con Gavino Nino, il canonico bosano polemico con lo Spano fin dal 1862 ed accusato apertamente di campanilismo dieci anni dopo[43]; la versione sulla destinazione dei nuraghi adottata dal Cara ma anche dalle Carte d’Arborea (ad es. nella memoria su Plubium) è in conflitto con quella proposta dallo Spano.
7. Del 1847 sono gli scavi a Lanusei, alla ricerca degli idoletti fenici, le indagini a Talana e ad Urzulei, dove conobbe quello che sarebbe diventato il suo più caro «discepolo», Giuseppe Pani, poi vicario perpetuo di Sadali, il soggiorno a Dorgali, alla ricerca del luogo di provenienza del diploma militare di un ausiliario della seconda coorte di Liguri e di Corsi nell'età dell'imperatore Nerva, il soldato Tunila, pubblicato dal Baille[44]; e quindi Orosei, Siniscola, Posada «dove si diceva sorgesse l'antica Feronia» fondata dagli Etruschi, il Luguidonis Portus, Terranova (l'antica Olbia e poi Fausania), Teti, Oschiri, Nostra Signora di Castro, Bisarcio, Ploaghe e di nuovo a Cagliari: luoghi tutti visitati «per lo stesso oggetto linguistico ed archeologico»[45], che restituirono anche iscrizioni lapidarie, come l'epitafio di Terranova di Cursius Costini f(ilius) e di sua madre, «morti nello stesso giorno» (?)[46] o le epigrafi di Castro mal trascritte dallo Spano, oggi per noi purtroppo perdute[47].
Nel burrascoso 1848, dopo la cacciata dei Gesuiti e l'abolizione del posto di viceré, lo Spano sospese le sue ricerche archeologiche, impegnato a difendere la sua prebenda di Villaspeciosa, dove «ognuno gridava che non volevano canonici né pagar più decime»; sospesa anche la pubblicazione del Vocabolario (che sarebbe uscito solo tre anni più tardi), iniziò «a pubblicare qualche cosa di archeologia», in particolare curò l'edizione di un diploma militare probabilmente dell'imperatore Tito trovato a Lanusei, che fu dedicata alla memoria dell'unico figlio del cav. Demetrio Murialdo di Torino, avvocato fiscale generale dell'Isola, morto nella guerra d'indipendenza[48]; inoltre l'anno successivo (dopo la nomina del conte Alberto Della Marmora a Regio Commissario per la Sardegna), presentò un epitafio greco del Museo di Cagliari «di cui si erano date strane e ridicole interpretazioni», con una nota dedicata al prof. G. Pisano, lo stesso che avrebbe collaborato al I numero del "Bullettino"[49]. Nel 1849 tornato a Porto Torres, lo Spano era rimasto per 10 giorni nella basilica di San Gavino, per poi raggiungere Ploaghe, dove proseguì gli scavi di Truvine; infine i nuraghi di Siligo, la tomba di giganti di Crastula, Bonorva, di nuovo Cagliari[50]. L'anno successivo fu «memorando per gli scavi di Tharros e per il congresso dei vescovi sardi in Oristano», promosso «per trattare affari di disciplina ecclesiastica e difendere i diritti del clero». Con la scusa della Conferenza episcopale, lo Spano aveva colto l’occasione per effettuare scavi a Tharros, in compagnia del presidente del Tribunale G. Pietro Era, dell’avv. Antonio Maria Spanu e del giudice N. Tolu. «Il principale scopo di portarmi in quella città – scrisse più tardi – fu però per praticare uno scavo in Tharros, dove mi portai nel 21 aprile (1850), e ci stetti tre giorni attendendo agli scavi che fruttarono un buon risultato, sebbene il tempo fosse cattivo, quasi le ombre dei morti fossero sdegnate contro di me, perché disturbava il loro eterno riposo»[51]. Fu pubblicata l'anno successivo una Notizia sull'antica città di Tharros, dedicata all'amico Demetrio Murialdo e nel 1852 tradotta in inglese per la British Archaeological Society[52]: un volumetto che avrebbe fatto circolare un po' troppo la notizia delle straordinarie scoperte effettuate dallo Spano, gioielli, scarabei, vetri, altri oggetti preziosi, scatenando una vera e propria "corsa all'oro": «concorsero da tutti i villaggi del circondario di Oristano, specialmente da Cabras, Nurachi, Milis, ecc., da Seneghe e San Lussurgiu. Fecero scempio di quel luogo, quasi fosse una California; erano circa tremila uomini lavorando a gara e con tutto impegno», senza che le autorità riuscissero ad arginare tale «vandalismo»[53]. Iniziamo a conoscere i nomi di coloro che poi acquistarono a caro prezzo i reperti ritrovati a Tharros, «orefici e signori di Oristano», che ci portano alle origini del collezionismo antiquario che si sarebbe sviluppato ad Oristano nella seconda metà dell'Ottocento, senza che la borsa dello Spano potesse «reggere a confronto di quella di tanti ricchi cavalieri e negozianti speculatori»: il cav. Paolo Spano, il cav. Salvatore Carta, il giudice Francesco Spano, il negoziante Domenico Lofredo, Giovanni Busachi, Nicolò Mura, nomi che troveremo negli anni successivi sul "Bullettino" e sulle "Scoperte". Il Lofredo riportò lo Spano a Tharros nel 1852 col suo «bastimento», ma il Governo aveva ormai vietato gli scavi archeologici, chiudendo «la vigna dopo che erano fuggiti i buoi». Se ne andò perciò di nuovo a Ploaghe e poi a Codrongianus, per continuare le sue ricerche, pubblicando infine la Memoria sull'antica Truvine. A fine anno veniva nominato dal Ministro della Pubblica Istruzione membro del Consiglio Universitario di Cagliari: era la premessa necessaria per un ritorno in grande stile nell'Ateneo dal quale era stato espulso nel '44. Rifiutata la proposta del Ministro Luigi Cibrario di presiedere il Consiglio, lo Spano continuava a pubblicare i suoi studi, orientandosi progressivamente verso l'archeologia e la storia antica: proprio del 1853 è la Lettera sul riso sardonico, dedicata all'amico Vegezzi Ruscalla, che aveva lodato lo Spano con una bella recensione all'Ortografia sarda nazionale, sul "Messaggiere" del 1840; il tema è quello dell'espressione omerica relativa all'atteggiamento minaccioso ed ironico di Ulisse contro i Proci in Odissea[54], un argomento fortunato, che sarebbe stato ripreso pochi decenni dopo nella tesi di laurea di Ettore Pais, e, più recentemente, da C. Miralles, Massimo Pittau, Enzo Cadoni e da ultimo da Giulio Paulis[55].
Nel maggio 1853 si svolsero a Ploaghe sull'altopiano di Coloru presso il nuraghe Nieddu le esplorazioni geologiche del gen. Alberto Della Marmora e del gen. Giacinto di Collegno, diretti poi in Ogliastra, verso la Perdaliana di Seui: quello sarebbe stato l'ultimo viaggio del Della Marmora in Sardegna che quattro anni dopo avrebbe pubblicato i due ultimi volumi del Voyage e l'Atlas[56].
L'anno successivo fu quello della pubblicazione della Memoria sopra i nuraghi della Sardegna[57]: per prepararla, lo Spano visitò le Marmille, Isili, Nurri, Mandas, poi di nuovo Ploaghe e Siligo, in compagnia di Otto Staudinger di Berlino. Nel luglio 1854 nominato preside del Regio Convitto e del Collegio di Santa Teresa appena riformati, entrò in relazioni molto amichevoli con quel Bernardo Bellini che gli avrebbe confidato «il segreto stereotipo», di cui si sarebbe servito «in alcuni disegni del "Bullettino"»[58]; per documentarsi ulteriormente sul funzionamento dei Regi Convitti, effettuò allora un nuovo viaggio «nel continente», a Torino, Alessandria, Moncalieri, Genova e poi per tre anni si dedicò con passione ai suoi studenti, seguendoli nelle lezioni, nello studio in biblioteca, negli esami, tanto da sembrargli «di stare in compagnia di angeli».
Infine, nominato Rettore della Regia Università di Cagliari il 5 settembre 1857 per volontà del Ministro Giovanni Lanza, Giovanni Spano aveva poi lasciato con molto rimpianto il Regio Convitto nelle mani dell'amico Salvator Angelo De Castro.
[1]* L’A. ringrazia la prof. Paola Ruggeri, alla quale si deve in parte il § 15, relativo specificamente ai rapporti tra lo Spano e il suo paese natale, Ploaghe.
[2] Vd. G. Spano, E. Pais, Bullettino Archeologico Sardo 1855-1884, Scoperte Archeologiche, ristampa commentata a cura di A. Mastino e P. Ruggeri (Biblioteca illustrata sarda), Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro 2000 ss.
[3] G. Lilliu, Un giallo del secolo XIX in Sardegna. Gli idoli sardo fenici, "Studi Sardi", XXIII, 1973-74, p. 314 n. 2.
[4] Vd. E. Contu, Giovanni Spano, archeologo, in Contributi su Giovanni Spano, 1803-1878, nel I centenario della morte, 1878-1978, Sassari 1979, pp. 161 ss.; G. Lilliu, Giovanni Spano, in I Cagliaritani illustri, I, a cura di A. Romagnino, Cagliari 1993, pp. 31 ss.
[5] G. Spano, Iniziazione ai miei studi, a cura di S. Tola, Cagliari 1997.
[6] Spano, Iniziazione cit., p. 69.
[7] Spano, Iniziazione cit., p. 83: «Questa mia laurea venne onorata dalla presenza dell'arcivecovo nella qualità di cancelliere, che per l'ordinario delegava un canonico o altra persona, alla quale cedeva non la propina ma la tesi che tutti i graduandi dovevano stampare a loro spese». Per un Arnosio vescovo di Ploaghe, che sarebbe stato amico del giudice Mariano IV, ricordato nelle Carte d'Arborea, vd. Id., Abbecedario storico degli uomini illustri sardi scoperti nelle pergamente codici ed in altri monumenti antichi con appendice dell'Itinerario antico della Sardegna, Cagliari 1869, p. 17.
Il testo della tesi (Ex theologia dogmatum de SS. Patribus, nec non de traditionibus), è ora pubblicato anastaticamente in Guido, Vita di Giovanni Spano cit., pp. 52 ss.
[8] Spano, Iniziazione cit., pp. 82 s.
[9] Secondo Registro degli esami privati e pubblici (dell'Università di Sassari), II, 1810-1829, p. 201: «Sassari li 14 luglio 1825. Seguì l'esame pubblico di Laurea in Teologia del Sig.r Giovanni Spano Figoni di Ploaghe Semi(inarista) Trid(entino) con intervento dell'Ill.mo Eccell.mo monsig.r Arcivescovo D.n Carlo Tommaso Arnovio Cancell.re, del Pref.to Can.co Pinna, del Prof. Tealdi, delli D.ri Colleg(ia)ti Arrica, Mela, Canu, Fenu, D'Andrea, e Sanna e Colleg.le Emerito Cubeddu Pievano di Mores ed è stato a pieni voti approvato per cui venne ammesso dal Collegio e gli venne conferita la Laurea dal Promotore Quesada, di che».
Ringraziamo cordialmente il direttore prof. Antonello Mattone, la dott. Paola Serra ed il dott. Francesco Obinu per le preziose informazioni.
[10] Spano, Iniziazione cit., p. 124 n. 16: «Ad un padre conscritto venne in mente di propormi di dissertare sopra i nuraghi, tema preistorico, e sarebbe statto lo stesso che parlar delle stelle, né avrei avuto la gloria di squarciare il velo del loro uso, bensì di onorarli d'un poema latino, come il Bellini li onorò d'un poema italiano».
[11] Per una rapida biografia dello Spano, vd. L. Guido, Vita di Giovanni Spano, con l’elenco di tutte le sue pubblicazioni, Villanova Monteleone 2000, pp. 7 ss.
[12] CIL X 7946 = ILS 5526, vd. A. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea, in Le Carte d'Arborea. Falsi e falsari nella Sardegna del XIX secolo, Atti del Convegno "Le Carte d'Arborea", Oristano 22-23 marzo 1996, Cagliari 1998, p. 231.
[13] Spano, Iniziazione cit., p. 55 e n. 18, con le osservazioni di Enrico Costa: «sebbene gli scavi li abbia fatti a casaccio, e con poca intelligenza, pure merita lode solo per aver dissotterrato quel cippo coll'iscrizione che ci ha fatto conoscere come l'edifizio era un tempio dedicato alla dea Fortuna, col tribunale ornato di sei colonne, restaurato dal prefetto di Sardegna Ulpio Vittore sotto l'imperatore Filippo, e non palazzo»
[14] G. Spano, Testo ed illustrazioni di un Codice Cartaceo del secolo XV contenente la fondazione e Storia dell’antica città di Plubium, Cagliari 1859, vd. "BAS", IX, 1863, p. 120.
[15] Spano, Iniziazione cit., p. 55. Vd. le osservazioni di Enrico Costa alle pp. 64 s. n. 23: «Allorquando nel 1819 [1820] noi lo vediamo aggirarsi per le campagne della sua Ploaghe, arrampicandosi su per le vecchie muraglie, contemplando le macerie degli antichi monumenti e chiedendo ai geroglifici d'una pietra frantumata la storia di una generazione sepolta dai secoli, era come un glorioso preludio del genio per l'archeologia che doveva distinguere il fondatore del "Bullettino Archeologico" dove vennero raccolti, disegnati ed illustratri tutti i monumenti della Sardegna, per far conoscere ai posteri la storia dei nostri padri. Quei nuraghi infine, che fin dalla prima gioventù furono l'oggetto della sua curiosità, dovevano essere da lui studiati per toglierli più tardi da quel mistero in cui erano avvolti da migliaia di secoli».
[16] Spano, Iniziazione cit., p. 106.
[17] Spano, Iniziazione cit., p. 126 n. 31, cfr. Bonu, Scrittori cit., p. 309.
[18] CIL I2 2226 = X 7586 = ILS 1874 = ILLRP I, 141 = IG XIV 608 = IGR I 511 = CIS I,1, 143.
[19]CIL X 7946 = ILS 5526.
[20] Spano, Iniziazione cit., pp. 140 s.; vd. Bonu, Scrittori cit. p. 314.
[21] Spano, Iniziazione cit., p. 141.
[22] Spano, Iniziazione cit., p. 222.
[23] Spano, Iniziazione cit., p. 177.
[24] Spano, Iniziazione cit., p. 252.
[25] Spano, Iniziazione cit., p. 141.
[26] G. Spano, Storia e descrizione dell'Anfiteatro romano di Cagliari, Cagliari 1868.
[27] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 253.
[28] Spano, Iniziazione cit., pp. 145 ss.
[29] Spano, Iniziazione cit., pp. 148 s.
[30] Spano, Iniziazione cit., pp. 151 ss. In seguito lo Spano avrebbe pubblicato la Memoria sopra il nome di Sardegna e degli antichi Sardi in relazione ai monumenti dell’Egitto illustrati dall’Egittologo F. Chabas, Cagliari 1873.
[31] Spano, Iniziazione cit., pp. 155 ss.; per la tabula ipotecaria di Veleia vd. CIL XI, 1147; per la tavola di Esterzili, cfr. La Tavola di Estetrzili. Il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda, in Atti Convegno di studi, Esterzili, 13 giugno 1992, a cura di A. Mastino, Sassari1993.
[32] Vd. Bonu, Scrittori cit., p. 312.
[33] Come patria di Sant’Efisio in realtà le fonti indicano Elia Capitolina, Gerusalemme.
[34] L'espressione ironica ma non irriverente è in Spano, Iniziazione cit., p. 176.
[35] Sul personaggio, vd. G. Spano, Operette spirituali composte in lingua Sarda Logudorese del sac. Teol. Salvatore Cossu Rettore Parrocchiale di Ploaghe, Opera postuma colla sua Biografia, Cagliari 1873.
[36] Vd. G. Spano, Testo ed illustrazioni di un Codice Cartaceo del secolo XV contenente la fondazione e Storia dell’antica città di Plubium, "BAS", IX, 1863, p. 125.
[37]CIL X 8053, 157, l.
[38] Memoria sull'antica Truvine, Cagliari 1852; vd. "BAS", IV, 1858, pp. 190-201. Vd. successivamente Testo ed illustrazioni cit.; vd. "BAS", IX, 1863, pp. 113-161.
[39] Vd. infra n. 153.
[40] Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, p. 171.
[41] Spano, Iniziazione cit., p. 209 n. 12.
[42] Spano, Iniziazione cit., p. 79.
[43] Vd. G. Spano, Proverbi sardi trasportati in lingua italiana e confrontati con quelli degli antichi popoli, Cagliari 1871, 2a ed., ristampa a cura di G. Angioni, Nuoro 1997, pp. 83 s., s.v. Bosa: «Fare come fanno in Bosa. Quando piove lasciano piovere. La città di Bosa ha provveduto tanti proverbi, ed in vece di adontarsene, come fece con noi il can. Gavno Nino, in quell'opera che dicono Del capoluogo del nuovo circondario nel territorio della soppressa provincia di Cuglieri (Cagliari 1862, p. 8 e n. 2), se ne dovrebbe lodare. In Italia si ha lo stesso proverbio per Pisa. Fare come fanno in Pisa, lasciar piovere quando piove. L'origine si racconta in vari modi, ma si crede che dovendosai ivi tenere una fiera all'aperto, uno degli anziani del Senato insorse proponendo la difficoltà: come fare se piovesse ? Un altro, dicesi, rispose:
"Fare come si fa in Pisa".
"E cosa ?"
"Se piove si lascia piovere".
Il sig. Nino sarà contento di questa spiegazione ?».
[44] L. Baille, Diploma militare dell'imperatore Nerva illustrato, Torino 1831, cfr CIL X 7890 = XVI 40 = AE 1983, 449.
[45] Per gli studi linguistici dello Spano, vd. G. Paulis, in G. Spano, Vocabulariu sardu-italianu con i 5000 lemmi dell'inedita Appendice manoscritta di G. Spano, I, Nuoro 1998, pp. 7 ss.
[46] CIL X 7981, già nel I volume del "Bullettino".
[47] Vd. G. Spano, in CIL X 7892.
[48] G. Spano, Sopra un frammento di un antico diploma militare sardo, Cagliari 1848, vd. "BAS" I, 1856, pp. 191-199 e CIL X 7853 = XVI 27, cfr. A. Mastino, P. Ruggeri, La romanizzazione dell'Ogliastra, "Sacer", VI, 1999, pp. 23 s.
[49] G. Spano, Illustrazione sopra un epitafio greco del R. Museo di Cagliari. Lettera al prof. G. Pisano, Cagliari 1849.
[50] Spano, Iniziazione cit., pp. 181 ss.
[51] Spano, Iniziazione cit., p. 185.
[52] G. Spano, Notizia sull'antica città di Tharros, Cagliari 1851; Id., Notice of the discovery of the ancient city of Tharros, "Atti Società archeologica di Londra", 1852.
[53] Spano, Iniziazione cit., pp. 185 s.
[54] Odissea u 301 s.
[55] G. Spano, Lettera al cav. D. Giovenale Vegezzi-Ruscalla sul volgare adagio Gevlw" Sardovnio", «il riso sardonico», Cagliari 1853; vd. E. Pais, Sardavnio" gevlw", "Atti R. Accad. Lincei", Memorie di scienze morali, V, 1879-80, estr. Salviucci, Roma 1880 (si tratta della revisione della tesi di laurea, dedicata a Domenico Comparetti); vd. ora C. Miralles, Le rire sardonique, in Mevti", Revue d'antropologie du monde gec ancien", II,1, 1978, pp. 31-43; M. Pittau, Geronticidio, eutanasia e infanticidio nella Sardegna antica, in "L'Africa Romana", VIII, Cagliari 1990, Sassari 1991, pp. 703-711; E. Cadoni, Il Sardonios gelos: da Omero a Giovanni Francesco Fara, in Sardinia antiqua, Studi in onore di Piero Meloni in occasione del suo settantesimo compleanno, Cagliari 1992, pp. 223-238; G. Paulis, Le "ghiande marine" e l'erba del riso sardonico negli autori greco-romani e nella tradizione dialettale sarda, "Quaderni di semantica", I, 1993, pp. 9-23.
[56] A. De la Marmora, Voyage en Sardaigne ou description statistique, physique et politique de cette ile, avec des recherches sur ses productions naturelles et ses antiquités, Atlas, Paris 1857; cfr. G. Spano, Cenni biografici del conte Alberto Ferrero Della Marmora ritratti da scritture autografe, Cagliari 1864 ; Id., Mnemosine sarda, ossia ricordi e memorie di vari monumenti con altre rarità dell'isola di Sardegna, Cagliari 1864, tav. XXI n. 6.
[57] G. Spano, Memoria sopra i nuraghi della Sardegna, Cagliari 1864; una seconda edizione è in "BAS", VIII, 1862, pp. 161-199; una terza edizione è del 1867.
[58] Spano, Iniziazione cit., p. 211 n. 36.
[59] Vd. A. Accardo, La nascita del mito della nazione sarda, Cagliari 1996, p. 16.
[60] G. Spano, Vocabolario sardo geografico-patroniomico ed etimologico, Cagliari 1872-73, p. 129 n. 18.
[61] Spano, Iniziazione cit., p. 194 e pp. 211 s. n. 38.
[62] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 258.
[63] CIL I2 2226 = X 7586 = ILS 1874 = ILLRP I, 141 = IG XIV 608 = IGR I 511 = CIS I,1, 143.
[64] CIL X 7858.
[65] Spano, Iniziazione cit., p. 196.
[66] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 258.
[67] Vd. R. Bonu, Scrittori sardi nati nel secolo XIX con notizie storiche e letterarie dell'epoca, II, Sassari 1961, p. 313.
[68] CIL X 7852, 7930, 7884, 7891; CIS I 140 = ICO Sard. 19.
[69] Spano, Iniziazione cit., p. 205.
[70] P. Ruggeri, Giovanni Spano, Bullettino Archeologico Sardo (1855-64), Scoperte archeologiche (1865-76); Ettore Pais, Bullettino Archeologico Sardo n.s. (1884), in Africa ipsa parens illa Sardiniae. Studi di storia antica e di epigrafia, Sassari 1999, pp. 171 ss.; vd. anche le introduzioni annuali alla ristampa G. Spano, E. Pais, Bullettino Archeologico Sardo 1855-1884, Scoperte Archeologiche, ristampa commentata a cura di A. Mastino e P. Ruggeri (Biblioteca illustrata sarda), Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro 2000 ss.
[71] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 250 s.
[72] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 254.
[73] CIL X,2, p. 782.
[74] ASC, Segreteria di Stato e di Guerra, serie II, busta n. 152, Relazione sopra il pavimento in mosaico scoperto in un campo vicino a San Bernardo di Stampace, di Gemiliano Deidda (Cagliari, 4 marzo 1763); vd. G. Spano, Orfeo, Mosaico Sardo esistente nel Museo Egiziano di Torino, "BAS", IV, 1858, pp. 161-165; S. Angiolillo, Mosaici antichi in Italia, Sardinia, Roma 1981, nr. 101; vd. ora P. Sanna, La «rivoluzione delle idee», "Rivista Storica Italiana", 1998, in c.d.s., n. 144.
[75] Scoperte 1866, p. 35 n. 1.
[76] Vd. Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, p. 147, con la vecchia denominazione S. Maria in Bubalis; il nome moderno di S. Maria di Mesu Mundu viene collegato alla «sua forma di calotta».
[77] Lilliu, Giovanni Spano cit., p. 35. Per gli scavi nei nuraghi di Ploaghe, vd. anche A. Moravetti, Monumenti, scavi e scoperte nel territorio di Ploaghe e M.A. Fadda Pirisi, Il nuraghe Don Michele di Ploaghe, in Contributi su Giovanni Spano cit., pp. 11 ss. e 47 ss.
[78] Con la dedica allo Spano, «che dottamente illustrò liberalmente accrebbe il Museo sardo», vd. Catalogo della raccolta Archeologica sarda del can. G. Spano da lui donata al Museo di Antichità di Cagliari, Parte prima, Cagliari 1860; Parte seconda, dedicata a Monete e medaglie, Cagliari 1865. Vd. ora C. Tronchetti, I materiali di epoca storica della collezione Spano, in Contributi su Giovanni Spano cit., pp. 115 ss.
[79] Vd. Spano, in "BAS", IV, 1858, p. 3.
[80] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 155.
[81] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 204, 213 n. 50.
[82] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 195.
[83] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 227.
[84] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 197.
[85] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 202 e 212 n. 47.
[86] Vd. Illustrazione sopra un epitafio greco del R. Museo di Cagliari (Lettera al prof. G. Pisano), Cagliari 1849.
[87] Si tratta di un articolo sui vetri di Cornus, ripreso dal «Bullettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica di Roma».
[88] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 268 n. 27.
[89] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 189.
[90] Si tratta di una ristampa di un articolo comparso sul «Bullettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica di Roma» del 1861.
[91] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 203.
[92] Solo per la ristampa di un breve studio Sulle monete dell’impero Cartaginese che si trovano in Sardegna, che è ripreso dal volume Numismatique de l’ancienne Afrique del 1861.
[93] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 201.
[94] A. Mastino, Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le “Scoperte”: Giovanni Spano ed Ettore Pais, in G. Spano, E. Pais, Bullettino Archeologico Sardo 1855-1884, Scoperte Archeologiche, ristampa commentata a cura di A. Mastino e P. Ruggeri (Biblioteca illustrata sarda), Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro 2000 ss. p. 27.
[95] Vd. M.L. Ferrarese Ceruti, Materiali di donazione Spano al Museo Pigorini di Roma, in Contributi su Giovanni Spano cit., p. 65.
[96] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 259.
[97] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 203.
[98] Spano, Iniziazione cit., p. 233 e p. 268 n. 24.
[99] A. Della Marmora, Sulle iscrizioni latine del Colombario di Pomptilla, "BAS" VIII, 1862, p. 113; vd. G. Spano, Serpenti che si vedono scolpiti nelle tombe, ibid., p. 138.
[100] Spano, Iniziazione cit., p. 237;vd. Id., Abbecedario storico cit., p. 75: «dimenticato da tutti e nell'inedia, mentre avrebbe meritato alto compenso dalla patria».
[101] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 261 e pp. 271 s. n. 62. Per la posizione di G. Manno verso le Carte d'Arborea è fondamentale la lettera del 10 maggio 1859, pubblicata in Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, pp. 151 s. n. 2: «così il mio lamento dell'essersi tacciuto dagli orgogliosi storici Romani il nome degli Eroi Sardi che hanno dovuto capitanare le molte guerre d'indipendenza combattute dai nostri padri, è di molto attenuato».
[102] Spano, Iniziazione cit., p. 226.
[103] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 266 n. 4.
[104] W. Helbig, Cenni sopra l'arte fenicia. Lettera al sig. Senatore G. Spano, Roma 1876, estr. "Annali dell'Inst. di corrispondenza archeologica").
[105] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 203.
[106] Spano, Iniziazione cit., p. 227.
[107] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 261 s. e p. 272 n. 63.
[108] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 262.
[109] Spano, Scoperte 1870, p. 35 n.1.
[110] Spano, Scoperte 1875, p. 23 ss.
[111] CIL X 7957.
[112] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 255.
[113] Th. Mommsen, in CIL, X,2, p. 782.
[114] Vd. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea cit., pp. 221 ss.
[115] Vd. Spano, Postilla alla lapide , in Scoperte , p. 35
[116] CIL X 7930, vd. A. Mastino, La supposta prefettura di Porto Ninfeo (Porto Conte), «Bollettino dell’Associazione Archivio Storico Sardo di Sassari», II, 1976, pp. 187-205.
[117] Vd. E. Pais, Le infiltrazioni delle falsificazioni delle così dette «Carte di Arborea» nella Storia della Sardegna, in Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio Romano, Roma 1923, p. 670; vd. ibid., p. 331 n. 3.
[118] Vd. S. Tola, in Spano, Iniziazione cit., p. XI.
[119] Vd. G. Ghivzzani, Al prof. Teodoro Mommsen, in S.A. De Castro, Il prof. Mommsen e le Carte d’Arborea, Sassari 1878, pp. 7 s.: si criticano «certe paroline che dicono esserle uscite dalla bocca», «paroline agrette anzi che non» e lo si invita a guardarsi, nel viaggio per Sassari, «da un certo de Castro». L’imbarazzo del Mommsen è evidente nella risposta pubblicata su «L’Avvenire di Sardegna» il 25 novembre, cfr. Th. Mommsen, in De Castro, Il prof. Mommsen cit., p. 13 (dove si fa cenno a «qualche parola ... detta da me in una riunione privata, riguardo a certi punti della Storia della Sardegna»; «parole probabilmente male espresse e certamente assai male ripetute di un viaggiatore tedesco»). Vd. anche a p. 15 il giudizio sulla «vostra eroica Eleonora», al quale il Mommsen si sottrae, perchè dichiara di volersi occupare solo di epigrafia latina e di storia romana. Sui nomi degli studiosi presenti al pranzo ufficiale, vd. I. Pillitto, in De Castro, Il prof. Mommsen cit., p. 56, per il quale lo Spano, ammalato, preferì non ribattere «per non impegnarsi in una discussione ormai superiore alle sue forze». Più in dettaglio, al pranzo ufficiale, offerto dal prefetto Minghelli Valni, erano presenti il prof. Pietro Tacchini dell'Università di Palermo, i senatori conte Franco Maria Serra e can. Giovanni Spano, il consigliere delegato cav. Alessandro Magno, il preside dell'Università prof. Gaetano Loi, i proff. Patrizio Gennari e Filippo Vivanet, cfr. "L'Avvenire di Sardegna", VII, nr. 247, 17 ottobre 1877, p. 3.
[120] Th. Mommsen, in De Castro, Il prof. Mommsen cit., p. 15. Vd. le ironiche osservazioni di Salvator Angelo De Castro in una lezione del 3 novembre 1877 agli studenti dell'Università di Cagliari, in G. Murtas, Salvator Angelo De Castro, Oristano 1987, p. 76.
[121] Tali osservazioni furono ripetute a Sassari, in occasione del pranzo offerto dai redattori de "La Stella di Sardegna", cfr. De Castro, Il prof. Mommsen cit., pp. 17 s.: «quando egli, per esempio, mi veniva dicendo che, in Sardegna, di cento iscrizioni, cento son false e fratesche, poteva io credere ch’ei non celiasse ? E celiando io lo pregava a non usare una critica tanto severa per tema che col cattivo se ne potesse andar via anche il buono. Per le altre provincie d’Italia, ammise il dieci per cento d’iscrizioni vere; meno male !». Tali giudizi sulle «iscrizioni di fabbrica fratesca» furono ripresi anche nella rubrica i "Pensieri" pubblicata su "La Stella di Sardegna", III, 44, del 4 novembre 1877, p. 224.
[122] "L'Avvenire di Sardegna", VII, nr. 250, 21 ottobre 1877, p. 3, cfr. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea cit., p. 224 n. 10.
[123] Vd. S. Sechi-Dettori, Le pergamene d'Arborea, All'illustre Cav. S. Angelo De-Castro, "La Stella di Sardegna", III, dicemre 1877, p. 315; S.A. De-Castro, Le carte di Arborea. Al chiarissimo Signor S. Sechi-Dettori, "La Stella di Sardegna", IV, 6 gennaio 1878, pp. 1 s. Di quest'ultimo vd. soprattutto Il prof. Mommsen e le Carte d’Arborea, Sassari 1878, opera dedicata alla memoria di Pietro Martini.
[124] CIL X,2, 1883, pp. 781 s.
[125] CIL X 1480*.
[126] CIL X 7946.
[127] CIL X,2, 1883, p. 781. Vd. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea cit., pp. 221 ss.
[128] CIL X 7852, cfr. La Tavola di Esterzili cit.
[129] Vd. R. Mara, Theodor Mommsen e la storia della Sardegna attraverso i carteggi e le testrimonianze del tempo, tesi di laurea presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Cagliari (relatori i proff. Antonello Mattone e Attilio Mastino), Sassari 1997-98, p. 335. Vd. ora A. Mastino, A. Mattone, Il viaggio di Mommsen in Sardegna, in preparazione.
[130] Mara, Theodor Mommsen cit., p. 337. L'edizione dell'articolo del Mommsen (con qualche errore forse dovuto all'eccessiva fretta), è in Th. Mommsen, Decret des Proconsul von Sardnien L. Helvius Agrippa vom J. 68 n. Chr., "Hermes", II, 1867, pp. 102-127.
[131] CIL X 1098*.
[132] G. Cara, Statua di Ercole in bronzo, "BAS" I, 1855, pp. 51 ss.
[133] Spano, Iniziazione cit., p. 219.
[134] Spano, Iniziazione cit., p. 226.
[135] W. Förster, Sulla questione dell'autenticità dei codici d'Arborea. Esame paleografico, "Memorie della R. Accad. delle scienze di Torino", LV, 1905, p. 234.
[136] F. Loddo Canepa, Dizionario archivistico della Sardegna, "Archivio Storico Sardo", XVII, 1929, p. 370, s.v. Carte d'Arborea.
[137] Spano, Iniziazione cit., p. 239.
[138] Spano, Scoperte 1865, p. 30.
[139] Spano, Scoperte 1874, p. 9.
[140] G. Cara, Cenno sopra diverse armi, decorazioni, ecc. del Museo di Cagliari, Cagliari 1871.
[141] Spano, Scoperte 1876, p. 22.
[142] G. Cara, Considerazioni sopra una fra le opinioni intorno all'origine ed uso dei Nuraghi, Cagliari 1876.
[143] H. B. von Maltzan, Reise auf der Insel Sardinien, nebst einem Anhang über die phönicischen Inschriften Sardiniens, Leipzig 1869.
[144] Spano, Scoperte 1876, pp. 37 ss.
[145] Vd. G. Spano, Memoria sopra i Nuraghi della Sardegna, Cagliari 1854, poi nell'VIII volume del "Bullettino".
[146] Spano, Scoperte 1876, p. 35.
[147] A. Cara, Questioni archeologiche, Lettera al can. Giovanni Spano, Cagliari 1877. Vd. Bonu, Scrittori cit., p. 325 n. 29.
[148] G. Spano, Bosa vetus. Opera postuma del canonico Giovanni Spano Senatore del Regno, con biografia scritta dal professore Filippo Vivanet, Bosa 1878.
[149] Ruggeri, Africa ipsa parens illa Sardiniae cit., pp. 173 ss.
[150] Memoria sull'antica Truvine, Cagliari 1852; vd. "BAS", IV, 1858, pp. 190-201. Vd. successivamente Testo ed illustrazioni cit.; vd. "BAS", IX, 1863, pp. 113-161.
[151] Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, p. 171.
[152] Spano, Iniziazione cit., p. 209 n. 12.
[153] CIL X 7955 = XIV 346.
[154]CIL X 8053, 157, l.
[155] CIL X 8056, 259.
[156] CIL X 7979.
[157] Da qui il quadro del Marghinotti conservato al Comune di Ploaghe; vd. G. Dore, La raccolta Spano ed altre opere d'arte a Ploaghe, in Contributi su Giovanni Spano, cit., p. 147 nr. 20. Per il Marghinotti, vd. ora M.G. Scano, Pittura e scultura dell’Ottocento, Nuoro 1997, p. 131 ss.
[158] Ruggeri, Africa ipsa parens illa Sardiniae cit., p. 239.
[159] Lilliu, Giovanni Spano cit., p. 35. Vd. anche Moravetti, Monumenti, scavi e scoperte nel territorio di Ploaghe e Fadda Pirisi, Il nuraghe Don Michele di Ploaghe, in Contributi su Giovanni Spano cit., pp. 11 ss. e 47 ss.
[160] Spano, Scoperte 1875, p. 23 ss.
[161] W. Helbig, Cenni sopra l'arte fenicia. Lettera al sig. Senatore G. Spano, Roma 1876, estr. "Annali dell'Inst. di corrispondenza archeologica".
Attilio Mastino
La nascita dell’archeologia in Sardegna: il contributo di Giovanni Spano tra ricerca scientifica e falsificazione romantica[1]*
1. Gli studi fino alla laurea. 2. Le scoperte nella colonia romana di Turris Libisonis. 3. La formazione: il viaggio a Roma Roma. 5. Baille e La Marmora. 5. I viaggi in Italia. 6. Le ricerche giovanili. 7. I primi scavi: Tharros. 8. Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le “Scoperte Archeologiche”. 9. La rete dei collaboratori. 10. La nascita dell’archeologia in Sardegna. 11. I corrispondenti italiani. 12. I corrispondenti stranieri. 13. I rapporti con Theodor Mommsen e la polemica sulle Carte d’Arborea. 14. Lo scontro con Gaetano Cara ed il tramondo dello Spano. 15. Il mito della patria lontana: la leggendaria Ploaghe-Plubium.
1. La recente ristampa del "Bullettino Archeologico Sardo" e delle "Scoperte Archeologiche" curata dalle Edizioni dell'Archivio Fotografico Sardo di Sassari[2] e la Giornata di studio su Giovanni Spano promossa dal Comune di Ploaghe il 15 dicembre 2001 per le celebrazioni bicentenarie dalla nascita, sono l'occasione per una riflessione complessiva sull'attività di Giovanni Spano tra il 1855 ed il 1878: un periodo di oltre vent’anni, che è fondamentale per la conoscenza della storia delle origini dell'archeologia in Sardegna, nel difficile momento successivo alla "fusione perfetta" con gli Stati della Terraferma, fino alla proclamazione dell'Unità d'Italia e di Roma capitale; in un momento critico e di passaggio tra 1a «Sardegna stamentaria» e lo «Stato italiano risorgimentale», quando secondo Giovanni Lilliu «si incontrarono e subito si scontrarono la "nazione" sarda e la "nazione" italiana al suo inizio»[3].
Gli interessi dello Spano per l'archeologia non sono originari[4]: nella tarda Iniziazione ai miei studi, pubblicata nel 1876 sul settimanale sassarese "La Stella di Sardegna" (recentemente edita da AM&D Edizioni di Cagliari a cura di Salvatore Tola)[5], lo Spano ripercorre le tappe della sua formazione a Sassari al Collegio degli Scolopi, poi in Seminario, per gli studi di grammatica e di retorica e quindi di logica e di matematica, fino a conseguire il titolo di maestro d'arti liberali nel 1821; solo più tardi, incerto tra la medicina («una scienza in allora abborrita e disonorata nelle famiglie, specialmente la chirurgica») e la giurisprudenza, scelse si iscriversi alla Facoltà teologica, per motivi non propriamente spirituali: «perchè vi erano le sacre decime, di buona memoria, che allettavano la maggior parte degli studenti»[6]. Il 14 luglio 1825 conseguiva la laurea in Teologia («un corso florido», perchè «la Teologia nell'Università di Sassari è stata molto coltivata perché ha avuto sempre buoni professori»), dopo un esame sostenuto davanti ad una commissione di undici membri presieduta dall'arcivescovo Carlo Tommaso Arnosio (omonimo del vescovo-poeta di Ploaghe ricordato nelle Carte d'Arborea)[7], con l'intervento tra gli altri del professore di Teologia dogmatica padre Tommaso Tealdi e di Filippo Arrica parroco di Sant'Apollinare, originario di Ploaghe e docente di Teologia morale, poi divenuto vescovo di Alghero: il Promotore padre Antonio De Quesada (docente di Sacra Scrittura) lo aveva presentato come il princeps theologorum e «dopo l'acclamazione fatta dal bidello» gli «pose il berrettino a quattro punte in testa», gli fece indossare la toga e gli infilò «l'anello gemmato d'oro» nell'anulare; seguì il giuramento ed il ringraziamento, che lo Spano fece «in versi leonini», per distinguersi dagli altri[8]. Presso il Centro di studi interdisciplinari sulla storia dell'Università di Sassari (nella sede del Dipartimento di Storia) si conserva ancora la registrazione dell'esame di laurea superato a pieni voti[9]. Solo nel 1830 avrebbe conseguito il titolo di dottore in arti liberali ed in particolare in Filosofia, discutendo una dissertazione De stellis fixis, mentre uno dei commissari avrebbe voluto assegnargli un tema altrettanto bizzarro, i nuraghi della Sardegna[10].
2. Egli era nato a Plaghe l'8 marzo 1803 da Giovanni Maria Spanu Lizos e da Lucia Figoni Spanu[11]: a 16 anni aveva seguito con ingenua curiosità la vicenda degli scavi effettuati a Porto Torres da Antonio Cano, un frate architetto esperto di esplosivi (il costruttore della cattedrale di Nuoro, morto cadendo da un'impalcatura nel 1840), che aveva scoperto la base del prefetto M. Ulpius Victor relativa al restauro del tempio della Fortuna e della basilica giudiziaria, monumento che è alla base della falsificazione delle Carte d'Arborea[12]: «nella primavera di quell'anno (1819) ricordo che in Porto Torres un frate conventuale, Antonio Cano, scultore ed architetto sassarese, per ordine della regina Maria Teresa, moglie di Vittorio Emanuele II, ed a sue spese, faceva degli scavi nel sito detto Palazzo di re Barbaro e, di mano in mano che si scoprivano pietre scritte o rocchi di colonne, le trasportavano a Sassari per collocarle nella sala dei professori [dell'Università]»[13]. E ancora: «Io senza capirne un'acca, ero curioso e di osservare questi rottami e dal conto che ne facevano pensava che fossero cose preziose». Era dunque scattata una molla che lo avrebbe portato più tardi a valorizzare le antichità di Ploaghe, la sua piccola patria, quella che nelle Carte d'Arborea sarebbe diventata la gloriosa Plubium con i suoi eroi Sarra ed Arrio, un luogo con «una lussureggiante vegetazione con selve di alberi d'ogni sorta, con orti irrigati (...) con vigne ed ogni genere di piante»[14]: «arrivato in villaggio col desiderio di trovare qualche pietra simile, passava i giorni visitando i nuraghi del villaggio e le chiese distrutte; m'introduceva nei sotterranei e stava sempre rivoltando pietre, arrampicandomi alle sfasciate pareti; per cui la povera mia madre mi sgridava sempre, e mi pronosticava che io sarei morto schiacciato sotto qualche rovina»[15]. Dopo la laurea, laureatus et inanellatus, in occasione del giubileo aveva vissuto nella basilica di San Gavino a Porto Torres l'esperienza della penitenza e della flagellazione «con un fascio di discipline di lame di ferro ben affilate» fornitegli da da un prete devoto di San Filippo, restando ammalato poi per due mesi: un'esperienza che gli avrebbe fatto capire meglio l'assurdità delle ipotesi del direttore del Museo di Cagliari Gaetano Cara, che avrebbe visto come «flagellii» oggetti diversissimi, vere e proprie decorazioni militari di età romana.
3. Fu però soprattutto il burrascoso soggiorno romano del 1831 ad orientarlo verso l'archeologia: alloggiato nella locanda dell'Apollinare, lo Spano prese a frequentare tutti i giorni la vicina piazza Navona, «l'emporio delle cose vecchie, di libri e di antichità» che fu il luogo in cui si avvicinò all'archeologia «comprando monete, pezzi di piombo, tele vecchie, ecc.»[16]. E poi «l'Achiginnasio romano, ossia la Sapienza», l'Università agitata dai «primi movimenti rivoluzionari» degli studenti e dai «torbidi» e dal «malcontento del popolo contro il governo dei preti» dopo l'elezione di Gregorio XVI che aveva scatenato l'«odio contro i preti, i quali erano presi a sassate, e molti restavano vittime»: qui lo Spano poté conoscere l'abate modenese Andrea Molza, docente di ebraico e di Lingua caldaica e siro-caldaica, il maestro più amato «un angelo mandato dal cielo», poi bibliotecario della Vaticana, morto tragicamente nel 1850; ma anche il prof. Nicola Wiseman, docente di Ebraico (lingua che lo Spano già in parte conosceva, in quanto allievo a Sassari di Antonio Quesada); il dott. De Dominicis ed il suo sostituto Emilio Sarti, professori di Lingua greca (quest'ultimo un «gran genio», «un mostro di erudizione»), il cav. Scarpellini di Fisica sacra, il Nibby di archeologia, «che allora era tenuto come il topografo per eccellenza dell'antica Roma»[17]; l'anno successivo il cav. Michelangelo Lanci di Fano docente di Lingua araba. Esaminato dal prof. Amedeo Peyron, professore di Lingue orientali nell'Università di Torino (col quale avrebbe successivamente collaborato alla pubblicazione della iscrizione trilingue di San Nicolò Gerrei[18]), fu nominato nel 1834 professore di Sacra Scrittura e Lingue orientali nella Regia Università di Cagliari, dove «a causa del clima» le lezioni terminavano con molto anticipo, il I maggio e le vacanze arrivavano fino al 15 luglio; l'Università di Cagliari infatti «si distingueva fra tutte le altre per il tempo assegnato alle vacanze», con grande soddisfazione dello Spano, che in primavera era ora libero di fare le sue «escursioni archeologiche e fisiologiche nel centro dell'isola».
4. A Cagliari la passione per l'archeologia doveva ulteriormente svilupparsi, soprattutto all'ombra di un grande vecchio, il cav. Lodovico Baille (gà censore dell'Università, bibliotecario e direttore del Museo archeologico), con il quale lo Spano fu messo in contatto da Amedeo Peyron, suo collega nell'Accademia delle Scienze di Torino: «era dotto archeologo, buon giurisprudente, caritatevole, disinteressato», oltre che «esperto e assennato antiquario»; fu il Baille «da vero archeologo», in occasione di una visita a Porto Torres, a sostenere che il Palazzo del Re Barbaro «sarà stato un tempio, o basilica, non però palazzo», un giudizio che per lo Sparo era stato luminosamente confermato dal ritrovamento avvenuto nel 1819 della base relativa al restauro del tempio della Fortuna, pubblicata poi proprio dal Baille[19]. Lo Spano lavorò per cinque lunghi anni accanto al Baille, fino al 14 marzo 1839, giorno della sua morte, considerata «una perdita nazionale» da Pasquale Tola.
Proprio in questi anni lo Spano ebbe l'occasione («la fortuna») di conoscere il generale Alberto della Marmora, «che trovavasi in Cagliari iniziando gli studi trigonometrici della Sardegna, col cavalier generale Carlo Decandia»: con lui lo Spano avrebbe avviato una cordiale amicizia ed una prolungata collaborazione scientifica. Scrivendo tredici anni dopo la morte del Della Marmora (avvenuta il 18 maggio 1863), lo Spano non avrebbe nascosto anche i motivi di un profondo disaccordo, la differente opinione della destinazione e sull'uso dei nuraghi (un tema decisivo che avrebbe portato lo Spano a scontrarsi sanguinosamente con il direttore del Museo di Cagliari Gaetano Cara), edifici che per lo Spano erano abitazioni e per il Della Marmora solo tombe: «ma siccome era di una tempa forte, difficilmente si lasciava vincere nelle sue opinioni, come era quella sopra i nuraghi; ché per aver trovato nell'ingresso del nuraghe Isalle una sepoltura antica col cadavere e stromenti di bronzi antichi, conchiuse che quelle moli erano trofei di guerrieri, mentre lo scheletro e le armi non furono trovati dentro la camera, quindi erano assolutamente memorie posteriori»[20]. E poi le dubbie amicizie del La Marmora, osservate con sospetto dallo Spano, le ingenuità e gli errori, come per la vicenda degli idoli sardo-fenici, fatti acquistare dal Cara ed entrati a pieno titolo negli allegati al codice Gilj e nelle Carte d'Arborea: «io gli insinuava che non si fidasse tanto sulle relazioni; finalmente, dopo ultimata la colossale opera, comprò un centinaio di questi idoletti e si convinse che il mio sospetto non era senza ragione», perchè «nei bronzi figurati, io ripeteva, "ci vuole la fede di battesimo!"»[21]. Fu il Cara a dissanguare il conte Della Marmora, «nuovo Caio Gracco che si dipartì da Roma colla cintura piena di denaro e vi rientrò riportandola totalmente vuota»[22]. Certo le posizioni dello Spano non dovevano esser state inizialmente così nette se nel 1847 aveva scavato a Lanusei «nella stessa località già esplorata dal Della Marmora, dove dicevasi essersi rinvenuti di quegli idoletti fenici»[23] e se ancora nel 1866 la dedica della Memoria sopra alcuni idoletti di bronzo trovati nel vilaggio di Teti (con le Scoperte Archeologiche del 1865) era effettuata in onore di B. Biondelli, direttore del Gabinetto numismatico di Milano, «perché la scoperta fu fatta quando egli era in Sardegna e moveva dubbi sugli idoletti sardi»[24]. Ma già nel 1862 il La Marmora aveva rotto da tempo col Cara, se il Conte aveva minacciato il Ministro C. Matteucci di rivolgere un'interrogazione in senato per la recente riconferma nell’incarico di direttore facente funzioni del Museo di Cagliari di un «individuo» compromesso in passato, che aveva curato a suo modo «gli affari del Museo».
5. Fu nel corso delle vacanze del 1835 (vent'anni prima della pubblicazione del primo numero del "Bullettino") che lo Spano si dedicò per la prima volta seriamente delle antichità della Sardegna: egli passò «le vacanze biennali visitando continuamente la necropoli di Caralis antica, l'anfiteatro romano e copiando le iscrizioni antiche che trovansi sparpagliate nel Campidano di Cagliari», a suo dire già prevedendo di utilizzare queste informazioni per la sua Rivista[25]; all'anfiteatro in particolare avrebbe poi dedicato un volume[26], dopo gli scavi degli anni 1866-67 promossi dal Municipio e controllati da una commissione da lui presieduta di cui avrebbero fatto parte Gaetano Cima, l’avv. Marini Demuru, il Marchese De-Litala, il prof. Patrizio Gennari, Vincenzo Crespi (che avrebbe sostituito Pietro Martini, deceduto il 17 febbraio 1866)[27]. Utile sarebbe stato nel 1836 il viaggio a Verona «per visitare l'Anfiteatro che, per essere quasi intiero» lo «aiutò per poter istituire paragoni col cagliaritano»; nella città scaligera poté visitare il Museo Maffeiano dove volle trascrivere «alcune iscrizioni che avevano relazione colle sarde». In quel viaggio raggiunse Torino, frequentò le lezioni di Ebraico di Amedeo Peyron e di Greco del cav. Bucheron; quindi Milano, dal prof. Vincenzo Cherubini; e poi Padova (dove conobbe il Pertili), Venezia (dove conobbe i bibliotecari di San Marco cav. Bettio e Bartolomeo Gamba, ma anche l'istriano Pier Alessandro Paravia, professore di Eloquenza nell'Università di Torino, che avrebbe rivisto nel 1838), Rovigo, Bologna, Ferrara, Rimini, Foligno, Spoleto, infine raggiunse Roma. Qui, rivide il Molza ed altri maestri e colleghi ed iniziò a «visitare le antichità romane dentro e fuori di città per rinnovare la memoria», preparando qualche suo «scritto sopra le medesime e sopra i dialetti sardi»[28]. Trattenuto per mesi a Napoli dall'epidemia di colera, poté studiare «le antichità ai musei ed alla Regia biblioteca», le rovine di Pompei (dove studiò «la struttura delle case antiche», analoghe a quelle che avrebbe riconosciuto a Cagliari nel 1876 a Campo Viale, la necropoli, o via dei Sepolcri, e l'anfiteatro), infine Pozzuoli, per visitare un altro anfitreatro, il Tempio di Serapide, il lago d'Averno, la Grotta detta della Sibilla: «qui doveva vedere altri monumenti e copiare alcune iscrizioni che hanno relazione colle sarde, specialmente le classiarie di Miseno»[29]. Un viaggio avventuroso, con non pochi pericoli, che lo avrebbe segnato per gli anni successivi, quando lo Spano avrebbe ripreso le sue escursioni sarde, «raccogliendo vocaboli, oggetti di antichità, carte antiche e canzoni popolari».
6. Gli interessi dello studioso continuavano ad essere eterogenei e l'archeologia rappresentava ancora solo un aspetto secondario delle sue passioni: nel 1838, dopo aver visitato Bonorva, il Monte Acuto, il Goceano, il Nuorese, le Barbagie, la Planargia, il Marghine, studiò la lingua di Ghilarza e visitò «nuraghi ed altri monumenti preistorici, di cui abbonda questo territorio», scoprendo «molte di quelle lunghe spade di bronzo che gli antichi usavano XIV secoli prima di Cristo allorché, confederati con altri popoli, invadevano il Basso Egitto»: era la prima volta che lo Spano si misurava con la tesi dellle origini orientali dei Sardi e con la vicenda dei Shardana, allora illustrata da F. Chabas[30]. Nominato responsabile della Biblioteca Universitaria alla morte del Baille, si vantava di aver consentito agli studenti cagliaritani ed ai frequentatori della biblioteca «di studiare a testa coperta, come loro era più comodo; mentre prima erano obbligati di stare a testa nuda come in chiesa». Si sentiva però totalmente impreparato a dirigere la Biblioteca, per quanto assistito da padre Vittorio Angius, ed intraprese perciò un viaggio a Pisa, a Genova, a Bologna, a Modena, a Parma, a Milano, a Torino, per conoscere dall'interno il funzionamento delle principali biblioteche italiane. In particolare avrebbe avuto un seguito l'amicizia con «quel mostro di erudizione» che era Celestino Cavedoni, che avrebbe a lungo collaborato con il "Bullettino Archeologico Sardo" fino alla morte, avvenuta nel 1867. A Modena tra gli altri aveva conosciuto «l'unico rampollo del celebre Muratori», il canonico Soli Muratori, mentre a Parma aveva approfondito col cav. Pezzana le problematiche poste dalla tabula ipotecaria di Veleia, «che ha una certa rassomiglianza con la nostra tavola di bronzo di Esterzili» (che sarebbe stata scoperta solo quasi trent'anni dopo)[31]. A Milano aveva conosciuto G. Labus, «distinto archeologo» ed «epigrafista aulico», ricordato più volte successivamente, che gli suggerì di raccogliere in catalogo i bolli sull’instrumentum domesticum, dandogli l’idea del volume sulle Iscrizioni figulinarie sarde, che sarebbe uscito solo nel 1875[32]. Infine, l’egittologo Rossellini e tanti altri.
Rientrato a Cagliari, aveva dovuto fronteggiare l'ostilità del Magistrato sopra gli studi e del censore, che lo accusavano di non occuparsi «di Bibbia, distratto in far grammatiche ed in altre opere vernacole»; dopo la drastica riduzione dello stipendio, fu costretto a dimettersi dalla direzione della Biblioteca, che nel 1842 passò ad un amico, a Pietro Martini: una magra consolazione, anche se lo Spano si compiace di aver avuto «per successore un uomo dotto che si dedicò con intelligenza a far progredire quello stabilimento materialmente e scientificamente».
Lo Spano, esonerato dalla direzione della Biblioteca, poté dedicarsi ancora di più ai suoi veri interessi: visitò il Sulcis, Iglesias, Carloforte e Sant'Antioco, dove fece «una gran messe di monete romane (che ora si trovano nel gran (...) medagliere donato al Regio Museo), di iscrizioni anche fenicie, di bronzi e di molte edicole in trachite e di marmo, tra le quali una di Iside»; l’anno successivo fu ad Oristano ed a Tharros.
L'arrivo a Cagliari nel 1842 del nuovo arcivescovo, l'amico Emanuele Marongiu Nurra, segnò una svolta profonda, sul piano personale ma anche sul piano politico: egli «a più delle scienze sacre coltivò la storia e l'archeologia, in cui diede numerosi saggi» e nel 1848 capeggiò la Commissione parlamentare inviata a Torino per chiedere la "perfetta fusione" della Sardegna al Piemonte, finendo due anni dopo in esilio e riuscendo a rientrare in sede solo dopo 15 anni. Fu l'arcivescovo Marongiu Nurra ad anticipare l'ostilità del censore dell'Ateneo cagliaritano, che riteneva lo Spano un «inetto», perchè si era dedicato invece che alla teologia ed alla Bibbia alle «iniezie della lingua vernacola»: l’arcivescovo gli poté offrire «il canonicato della prebenda di Villaspeciosa (la più misera di tutta la diocesi), piccolo villaggio di circa 400 anime vicino a Decimo»: una tranquilla sinecura, inizialmente non gradita dallo Spano, che comunque gli consentì di superare l'avversione generalizzata che minacciava di travolgerlo, per dedicarsi a tempo pieno agli studi prediletti.
Guardando a quei difficili momenti, a distanza di trent'anni, lo Spano avrebbe lucidamente scritto: «liberato dal peso della cattedra e dalle lezioni della lingua ebraica e greca, fui più libero di dedicarmi agli studi di mio genio, cioè alla filologia ed all'archeologia sarda, spigolando il campo in cui aveva mietuto il Della Marmora». Egli non si vergognava di passare le sue giornate «nelle umili case dei contadini» e di viaggiare per le campagne sarde; nè si vergognava, «dove vedeva ruderi di antiche abitazioni» di frugare colle sue mani «il terreno fangoso, tirando fuori pezzi di stoviglie o di bronzi, monete ed altro, per esaminare a quale età potevano appartenere» e riempiendosi le saccoccie «di quei rozzi avanzi» che la sua guida ed altri che lo accompagnavano «credevano inutili trastulli». Nella primavera 1845 iniziò a visitare la Trexenta, riuscendo a stabilire attraverso i reperti provenienti dal nuraghe Piscu di Suelli «i nuraghi essere serviti d'abitazione»: una tesi che successivamente non avrebbe più abbandonato. Visitò poi Nora, «la patria di Sant'Efisio martire»[33], per osservare «i ruderi di quella famosa città, emula di Cagliari, e che si crede d'essere più antica», con la speranza di trovare qualche nuova iscrizione fenicia. Qui praticò uno scavo che egli stesso riteneva di scarsa importanza, raccogliendo monete ed alcuni frammenti epigrafici latini, «perché, per trovare oggetti che dimostrino la prima sua fondazione e civiltà, bisogna lavorare molto, onde scuoprire le prime tombe della sua necropoli, che tuttora non si è trovata». E ancora, alla luce delle osservazioni fatte nel volume delle Scoperte del 1876 e nelle Carte d'Arborea: «vi si vedono molti monumenti romani, l'acquedotto, il castello e una parte della città seppellita nel mare, dicesi da un terremoto».
Rientrando a Cagliari, aveva iniziato a raccogliere i suoi appunti, le sue note, gli oggetti, per servirsene in futuro, quando si sarebbe occupato «delle cose archeologiche sarde», lavorando intanto per il Vocabolario, riposandosi solo «nelle ore del coro» in Cattedrale, per «cantare e "labbreggiare"» coi suoi colleghi canonici.[34]
Nel 1846 iniziano gli scavi a Ploaghe nella loc. Truvine (la Trabine delle Carte d'Arborea), in compagnia del rettore Salvatore Cossu «persona intelligente e di genio per le antichità» morto nel 1868[35], che a proposito dell'etimologia di Plubium aveva saputo «indovinare» la spiegazione fornita quattro secoli prima da un immaginario Francesco De Castro[36], di amici, parenti e perfino della madre quasi ottantenne (sarebbe morta l'8 aprile 1864 a 93 anni di età): furono raccolte tra l'altro 35 monete di bronzo di età repubblicana, fino all'età di Augusto e tra esse una rarissima «moneta coloniale della città di Usellus», statuine di Cerere col modio, di Bacco e di satiri, lucerne col bollo di C. Oppius Restitutus [37], un pavimento in opus signinum, materiali presentati nella bella Memoria sull'antica Truvine, dedicata nel 1852 e ripresa sul IV numero del "Bullettino": un testo che è purtroppo alla base dell'attività dei falsari delle Carte d'Arborea ed in particolare dei numerosi fantasiosi documenti su Plubium-Ploaghe, sul cronista Francesco De Castro, sull'«intrepido e coraggioso Sarra», su Arrio amico di Mecenate, inventore della scrittura stenografica (!) [38]; quest'ultimo sarebbe stato rappresentato dal celeberrimo pittore cagliaritano Giovanni Marghinotti in una tela conservata ora nella sala consiliare del Comune di Ploaghe[39]. Lo Spano, quanto mai soddisfatto del nuovo orizzonte di studi che poteva intravedere, ci appare decisamente impegnato a sostenere che «la Cronaca di Francesco De Castro Ploaghese ha tutti i caratteri della genuinità, sia nell'intrinseco dettato della storia che abbraccia, sia nella parte estrinseca del Codice, cioè la carta, il carattere e tutto quanto induce a formare il vero criterio, per distinguere la veracità e l'autenticità dei codici, e delle scritture antiche»[40]. Su tale posizione di accentuato campanilismo vedremo che il canonico dové però subire le ironie e gli «sghignazzi» di qualche confratello poco credulone[41].
Il tema del rapporti dello Spano con i falsari delle Carte d'Arborea non è stato del resto ancora pienamente affrontato: è vero che lo Spano fin da ragazzo si esercitava un po' per scherzo nella tecnica delle invenzioni e citava «testi di filosofi e di santi padri inventati nella mia testa», disquisendo con gli amici dell'Accademia della Pala (così chiamata da una collina di Bonorva)[42]. E' anche vero che lo Spano intrattenne rapporti più che amichevoli con Pietro Martini (che gli subentrò come direttore della Biblioteca Universitaria), con Salvatore Angelo Decastro (che gli subentrò come direttore del Regio Convitto) e con altri protagonisti della falsificazione. Eppure una partecipazione diretta dello Spano alla falsificazione, che proprio in quegli anni andava delineandosi, non è dimostrabile e forse neppure probabile. Basterà in questa sede osservare che rapporti di aperta ostilità lo Spano ebbe con Gaetano Cara, pienamente coinvolto come si dirà nella vicenda dei falsi bronzetti fenici e forse anche con Gavino Nino, il canonico bosano polemico con lo Spano fin dal 1862 ed accusato apertamente di campanilismo dieci anni dopo[43]; la versione sulla destinazione dei nuraghi adottata dal Cara ma anche dalle Carte d’Arborea (ad es. nella memoria su Plubium) è in conflitto con quella proposta dallo Spano.
7. Del 1847 sono gli scavi a Lanusei, alla ricerca degli idoletti fenici, le indagini a Talana e ad Urzulei, dove conobbe quello che sarebbe diventato il suo più caro «discepolo», Giuseppe Pani, poi vicario perpetuo di Sadali, il soggiorno a Dorgali, alla ricerca del luogo di provenienza del diploma militare di un ausiliario della seconda coorte di Liguri e di Corsi nell'età dell'imperatore Nerva, il soldato Tunila, pubblicato dal Baille[44]; e quindi Orosei, Siniscola, Posada «dove si diceva sorgesse l'antica Feronia» fondata dagli Etruschi, il Luguidonis Portus, Terranova (l'antica Olbia e poi Fausania), Teti, Oschiri, Nostra Signora di Castro, Bisarcio, Ploaghe e di nuovo a Cagliari: luoghi tutti visitati «per lo stesso oggetto linguistico ed archeologico»[45], che restituirono anche iscrizioni lapidarie, come l'epitafio di Terranova di Cursius Costini f(ilius) e di sua madre, «morti nello stesso giorno» (?)[46] o le epigrafi di Castro mal trascritte dallo Spano, oggi per noi purtroppo perdute[47].
Nel burrascoso 1848, dopo la cacciata dei Gesuiti e l'abolizione del posto di viceré, lo Spano sospese le sue ricerche archeologiche, impegnato a difendere la sua prebenda di Villaspeciosa, dove «ognuno gridava che non volevano canonici né pagar più decime»; sospesa anche la pubblicazione del Vocabolario (che sarebbe uscito solo tre anni più tardi), iniziò «a pubblicare qualche cosa di archeologia», in particolare curò l'edizione di un diploma militare probabilmente dell'imperatore Tito trovato a Lanusei, che fu dedicata alla memoria dell'unico figlio del cav. Demetrio Murialdo di Torino, avvocato fiscale generale dell'Isola, morto nella guerra d'indipendenza[48]; inoltre l'anno successivo (dopo la nomina del conte Alberto Della Marmora a Regio Commissario per la Sardegna), presentò un epitafio greco del Museo di Cagliari «di cui si erano date strane e ridicole interpretazioni», con una nota dedicata al prof. G. Pisano, lo stesso che avrebbe collaborato al I numero del "Bullettino"[49]. Nel 1849 tornato a Porto Torres, lo Spano era rimasto per 10 giorni nella basilica di San Gavino, per poi raggiungere Ploaghe, dove proseguì gli scavi di Truvine; infine i nuraghi di Siligo, la tomba di giganti di Crastula, Bonorva, di nuovo Cagliari[50]. L'anno successivo fu «memorando per gli scavi di Tharros e per il congresso dei vescovi sardi in Oristano», promosso «per trattare affari di disciplina ecclesiastica e difendere i diritti del clero». Con la scusa della Conferenza episcopale, lo Spano aveva colto l’occasione per effettuare scavi a Tharros, in compagnia del presidente del Tribunale G. Pietro Era, dell’avv. Antonio Maria Spanu e del giudice N. Tolu. «Il principale scopo di portarmi in quella città – scrisse più tardi – fu però per praticare uno scavo in Tharros, dove mi portai nel 21 aprile (1850), e ci stetti tre giorni attendendo agli scavi che fruttarono un buon risultato, sebbene il tempo fosse cattivo, quasi le ombre dei morti fossero sdegnate contro di me, perché disturbava il loro eterno riposo»[51]. Fu pubblicata l'anno successivo una Notizia sull'antica città di Tharros, dedicata all'amico Demetrio Murialdo e nel 1852 tradotta in inglese per la British Archaeological Society[52]: un volumetto che avrebbe fatto circolare un po' troppo la notizia delle straordinarie scoperte effettuate dallo Spano, gioielli, scarabei, vetri, altri oggetti preziosi, scatenando una vera e propria "corsa all'oro": «concorsero da tutti i villaggi del circondario di Oristano, specialmente da Cabras, Nurachi, Milis, ecc., da Seneghe e San Lussurgiu. Fecero scempio di quel luogo, quasi fosse una California; erano circa tremila uomini lavorando a gara e con tutto impegno», senza che le autorità riuscissero ad arginare tale «vandalismo»[53]. Iniziamo a conoscere i nomi di coloro che poi acquistarono a caro prezzo i reperti ritrovati a Tharros, «orefici e signori di Oristano», che ci portano alle origini del collezionismo antiquario che si sarebbe sviluppato ad Oristano nella seconda metà dell'Ottocento, senza che la borsa dello Spano potesse «reggere a confronto di quella di tanti ricchi cavalieri e negozianti speculatori»: il cav. Paolo Spano, il cav. Salvatore Carta, il giudice Francesco Spano, il negoziante Domenico Lofredo, Giovanni Busachi, Nicolò Mura, nomi che troveremo negli anni successivi sul "Bullettino" e sulle "Scoperte". Il Lofredo riportò lo Spano a Tharros nel 1852 col suo «bastimento», ma il Governo aveva ormai vietato gli scavi archeologici, chiudendo «la vigna dopo che erano fuggiti i buoi». Se ne andò perciò di nuovo a Ploaghe e poi a Codrongianus, per continuare le sue ricerche, pubblicando infine la Memoria sull'antica Truvine. A fine anno veniva nominato dal Ministro della Pubblica Istruzione membro del Consiglio Universitario di Cagliari: era la premessa necessaria per un ritorno in grande stile nell'Ateneo dal quale era stato espulso nel '44. Rifiutata la proposta del Ministro Luigi Cibrario di presiedere il Consiglio, lo Spano continuava a pubblicare i suoi studi, orientandosi progressivamente verso l'archeologia e la storia antica: proprio del 1853 è la Lettera sul riso sardonico, dedicata all'amico Vegezzi Ruscalla, che aveva lodato lo Spano con una bella recensione all'Ortografia sarda nazionale, sul "Messaggiere" del 1840; il tema è quello dell'espressione omerica relativa all'atteggiamento minaccioso ed ironico di Ulisse contro i Proci in Odissea[54], un argomento fortunato, che sarebbe stato ripreso pochi decenni dopo nella tesi di laurea di Ettore Pais, e, più recentemente, da C. Miralles, Massimo Pittau, Enzo Cadoni e da ultimo da Giulio Paulis[55].
Nel maggio 1853 si svolsero a Ploaghe sull'altopiano di Coloru presso il nuraghe Nieddu le esplorazioni geologiche del gen. Alberto Della Marmora e del gen. Giacinto di Collegno, diretti poi in Ogliastra, verso la Perdaliana di Seui: quello sarebbe stato l'ultimo viaggio del Della Marmora in Sardegna che quattro anni dopo avrebbe pubblicato i due ultimi volumi del Voyage e l'Atlas[56].
L'anno successivo fu quello della pubblicazione della Memoria sopra i nuraghi della Sardegna[57]: per prepararla, lo Spano visitò le Marmille, Isili, Nurri, Mandas, poi di nuovo Ploaghe e Siligo, in compagnia di Otto Staudinger di Berlino. Nel luglio 1854 nominato preside del Regio Convitto e del Collegio di Santa Teresa appena riformati, entrò in relazioni molto amichevoli con quel Bernardo Bellini che gli avrebbe confidato «il segreto stereotipo», di cui si sarebbe servito «in alcuni disegni del "Bullettino"»[58]; per documentarsi ulteriormente sul funzionamento dei Regi Convitti, effettuò allora un nuovo viaggio «nel continente», a Torino, Alessandria, Moncalieri, Genova e poi per tre anni si dedicò con passione ai suoi studenti, seguendoli nelle lezioni, nello studio in biblioteca, negli esami, tanto da sembrargli «di stare in compagnia di angeli».
Infine, nominato Rettore della Regia Università di Cagliari il 5 settembre 1857 per volontà del Ministro Giovanni Lanza, Giovanni Spano aveva poi lasciato con molto rimpianto il Regio Convitto nelle mani dell'amico Salvator Angelo De Castro.
[1]* L’A. ringrazia la prof. Paola Ruggeri, alla quale si deve in parte il § 15, relativo specificamente ai rapporti tra lo Spano e il suo paese natale, Ploaghe.
[2] Vd. G. Spano, E. Pais, Bullettino Archeologico Sardo 1855-1884, Scoperte Archeologiche, ristampa commentata a cura di A. Mastino e P. Ruggeri (Biblioteca illustrata sarda), Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro 2000 ss.
[3] G. Lilliu, Un giallo del secolo XIX in Sardegna. Gli idoli sardo fenici, "Studi Sardi", XXIII, 1973-74, p. 314 n. 2.
[4] Vd. E. Contu, Giovanni Spano, archeologo, in Contributi su Giovanni Spano, 1803-1878, nel I centenario della morte, 1878-1978, Sassari 1979, pp. 161 ss.; G. Lilliu, Giovanni Spano, in I Cagliaritani illustri, I, a cura di A. Romagnino, Cagliari 1993, pp. 31 ss.
[5] G. Spano, Iniziazione ai miei studi, a cura di S. Tola, Cagliari 1997.
[6] Spano, Iniziazione cit., p. 69.
[7] Spano, Iniziazione cit., p. 83: «Questa mia laurea venne onorata dalla presenza dell'arcivecovo nella qualità di cancelliere, che per l'ordinario delegava un canonico o altra persona, alla quale cedeva non la propina ma la tesi che tutti i graduandi dovevano stampare a loro spese». Per un Arnosio vescovo di Ploaghe, che sarebbe stato amico del giudice Mariano IV, ricordato nelle Carte d'Arborea, vd. Id., Abbecedario storico degli uomini illustri sardi scoperti nelle pergamente codici ed in altri monumenti antichi con appendice dell'Itinerario antico della Sardegna, Cagliari 1869, p. 17.
Il testo della tesi (Ex theologia dogmatum de SS. Patribus, nec non de traditionibus), è ora pubblicato anastaticamente in Guido, Vita di Giovanni Spano cit., pp. 52 ss.
[8] Spano, Iniziazione cit., pp. 82 s.
[9] Secondo Registro degli esami privati e pubblici (dell'Università di Sassari), II, 1810-1829, p. 201: «Sassari li 14 luglio 1825. Seguì l'esame pubblico di Laurea in Teologia del Sig.r Giovanni Spano Figoni di Ploaghe Semi(inarista) Trid(entino) con intervento dell'Ill.mo Eccell.mo monsig.r Arcivescovo D.n Carlo Tommaso Arnovio Cancell.re, del Pref.to Can.co Pinna, del Prof. Tealdi, delli D.ri Colleg(ia)ti Arrica, Mela, Canu, Fenu, D'Andrea, e Sanna e Colleg.le Emerito Cubeddu Pievano di Mores ed è stato a pieni voti approvato per cui venne ammesso dal Collegio e gli venne conferita la Laurea dal Promotore Quesada, di che».
Ringraziamo cordialmente il direttore prof. Antonello Mattone, la dott. Paola Serra ed il dott. Francesco Obinu per le preziose informazioni.
[10] Spano, Iniziazione cit., p. 124 n. 16: «Ad un padre conscritto venne in mente di propormi di dissertare sopra i nuraghi, tema preistorico, e sarebbe statto lo stesso che parlar delle stelle, né avrei avuto la gloria di squarciare il velo del loro uso, bensì di onorarli d'un poema latino, come il Bellini li onorò d'un poema italiano».
[11] Per una rapida biografia dello Spano, vd. L. Guido, Vita di Giovanni Spano, con l’elenco di tutte le sue pubblicazioni, Villanova Monteleone 2000, pp. 7 ss.
[12] CIL X 7946 = ILS 5526, vd. A. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea, in Le Carte d'Arborea. Falsi e falsari nella Sardegna del XIX secolo, Atti del Convegno "Le Carte d'Arborea", Oristano 22-23 marzo 1996, Cagliari 1998, p. 231.
[13] Spano, Iniziazione cit., p. 55 e n. 18, con le osservazioni di Enrico Costa: «sebbene gli scavi li abbia fatti a casaccio, e con poca intelligenza, pure merita lode solo per aver dissotterrato quel cippo coll'iscrizione che ci ha fatto conoscere come l'edifizio era un tempio dedicato alla dea Fortuna, col tribunale ornato di sei colonne, restaurato dal prefetto di Sardegna Ulpio Vittore sotto l'imperatore Filippo, e non palazzo»
[14] G. Spano, Testo ed illustrazioni di un Codice Cartaceo del secolo XV contenente la fondazione e Storia dell’antica città di Plubium, Cagliari 1859, vd. "BAS", IX, 1863, p. 120.
[15] Spano, Iniziazione cit., p. 55. Vd. le osservazioni di Enrico Costa alle pp. 64 s. n. 23: «Allorquando nel 1819 [1820] noi lo vediamo aggirarsi per le campagne della sua Ploaghe, arrampicandosi su per le vecchie muraglie, contemplando le macerie degli antichi monumenti e chiedendo ai geroglifici d'una pietra frantumata la storia di una generazione sepolta dai secoli, era come un glorioso preludio del genio per l'archeologia che doveva distinguere il fondatore del "Bullettino Archeologico" dove vennero raccolti, disegnati ed illustratri tutti i monumenti della Sardegna, per far conoscere ai posteri la storia dei nostri padri. Quei nuraghi infine, che fin dalla prima gioventù furono l'oggetto della sua curiosità, dovevano essere da lui studiati per toglierli più tardi da quel mistero in cui erano avvolti da migliaia di secoli».
[16] Spano, Iniziazione cit., p. 106.
[17] Spano, Iniziazione cit., p. 126 n. 31, cfr. Bonu, Scrittori cit., p. 309.
[18] CIL I2 2226 = X 7586 = ILS 1874 = ILLRP I, 141 = IG XIV 608 = IGR I 511 = CIS I,1, 143.
[19]CIL X 7946 = ILS 5526.
[20] Spano, Iniziazione cit., pp. 140 s.; vd. Bonu, Scrittori cit. p. 314.
[21] Spano, Iniziazione cit., p. 141.
[22] Spano, Iniziazione cit., p. 222.
[23] Spano, Iniziazione cit., p. 177.
[24] Spano, Iniziazione cit., p. 252.
[25] Spano, Iniziazione cit., p. 141.
[26] G. Spano, Storia e descrizione dell'Anfiteatro romano di Cagliari, Cagliari 1868.
[27] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 253.
[28] Spano, Iniziazione cit., pp. 145 ss.
[29] Spano, Iniziazione cit., pp. 148 s.
[30] Spano, Iniziazione cit., pp. 151 ss. In seguito lo Spano avrebbe pubblicato la Memoria sopra il nome di Sardegna e degli antichi Sardi in relazione ai monumenti dell’Egitto illustrati dall’Egittologo F. Chabas, Cagliari 1873.
[31] Spano, Iniziazione cit., pp. 155 ss.; per la tabula ipotecaria di Veleia vd. CIL XI, 1147; per la tavola di Esterzili, cfr. La Tavola di Estetrzili. Il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda, in Atti Convegno di studi, Esterzili, 13 giugno 1992, a cura di A. Mastino, Sassari1993.
[32] Vd. Bonu, Scrittori cit., p. 312.
[33] Come patria di Sant’Efisio in realtà le fonti indicano Elia Capitolina, Gerusalemme.
[34] L'espressione ironica ma non irriverente è in Spano, Iniziazione cit., p. 176.
[35] Sul personaggio, vd. G. Spano, Operette spirituali composte in lingua Sarda Logudorese del sac. Teol. Salvatore Cossu Rettore Parrocchiale di Ploaghe, Opera postuma colla sua Biografia, Cagliari 1873.
[36] Vd. G. Spano, Testo ed illustrazioni di un Codice Cartaceo del secolo XV contenente la fondazione e Storia dell’antica città di Plubium, "BAS", IX, 1863, p. 125.
[37]CIL X 8053, 157, l.
[38] Memoria sull'antica Truvine, Cagliari 1852; vd. "BAS", IV, 1858, pp. 190-201. Vd. successivamente Testo ed illustrazioni cit.; vd. "BAS", IX, 1863, pp. 113-161.
[39] Vd. infra n. 153.
[40] Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, p. 171.
[41] Spano, Iniziazione cit., p. 209 n. 12.
[42] Spano, Iniziazione cit., p. 79.
[43] Vd. G. Spano, Proverbi sardi trasportati in lingua italiana e confrontati con quelli degli antichi popoli, Cagliari 1871, 2a ed., ristampa a cura di G. Angioni, Nuoro 1997, pp. 83 s., s.v. Bosa: «Fare come fanno in Bosa. Quando piove lasciano piovere. La città di Bosa ha provveduto tanti proverbi, ed in vece di adontarsene, come fece con noi il can. Gavno Nino, in quell'opera che dicono Del capoluogo del nuovo circondario nel territorio della soppressa provincia di Cuglieri (Cagliari 1862, p. 8 e n. 2), se ne dovrebbe lodare. In Italia si ha lo stesso proverbio per Pisa. Fare come fanno in Pisa, lasciar piovere quando piove. L'origine si racconta in vari modi, ma si crede che dovendosai ivi tenere una fiera all'aperto, uno degli anziani del Senato insorse proponendo la difficoltà: come fare se piovesse ? Un altro, dicesi, rispose:
"Fare come si fa in Pisa".
"E cosa ?"
"Se piove si lascia piovere".
Il sig. Nino sarà contento di questa spiegazione ?».
[44] L. Baille, Diploma militare dell'imperatore Nerva illustrato, Torino 1831, cfr CIL X 7890 = XVI 40 = AE 1983, 449.
[45] Per gli studi linguistici dello Spano, vd. G. Paulis, in G. Spano, Vocabulariu sardu-italianu con i 5000 lemmi dell'inedita Appendice manoscritta di G. Spano, I, Nuoro 1998, pp. 7 ss.
[46] CIL X 7981, già nel I volume del "Bullettino".
[47] Vd. G. Spano, in CIL X 7892.
[48] G. Spano, Sopra un frammento di un antico diploma militare sardo, Cagliari 1848, vd. "BAS" I, 1856, pp. 191-199 e CIL X 7853 = XVI 27, cfr. A. Mastino, P. Ruggeri, La romanizzazione dell'Ogliastra, "Sacer", VI, 1999, pp. 23 s.
[49] G. Spano, Illustrazione sopra un epitafio greco del R. Museo di Cagliari. Lettera al prof. G. Pisano, Cagliari 1849.
[50] Spano, Iniziazione cit., pp. 181 ss.
[51] Spano, Iniziazione cit., p. 185.
[52] G. Spano, Notizia sull'antica città di Tharros, Cagliari 1851; Id., Notice of the discovery of the ancient city of Tharros, "Atti Società archeologica di Londra", 1852.
[53] Spano, Iniziazione cit., pp. 185 s.
[54] Odissea u 301 s.
[55] G. Spano, Lettera al cav. D. Giovenale Vegezzi-Ruscalla sul volgare adagio Gevlw" Sardovnio", «il riso sardonico», Cagliari 1853; vd. E. Pais, Sardavnio" gevlw", "Atti R. Accad. Lincei", Memorie di scienze morali, V, 1879-80, estr. Salviucci, Roma 1880 (si tratta della revisione della tesi di laurea, dedicata a Domenico Comparetti); vd. ora C. Miralles, Le rire sardonique, in Mevti", Revue d'antropologie du monde gec ancien", II,1, 1978, pp. 31-43; M. Pittau, Geronticidio, eutanasia e infanticidio nella Sardegna antica, in "L'Africa Romana", VIII, Cagliari 1990, Sassari 1991, pp. 703-711; E. Cadoni, Il Sardonios gelos: da Omero a Giovanni Francesco Fara, in Sardinia antiqua, Studi in onore di Piero Meloni in occasione del suo settantesimo compleanno, Cagliari 1992, pp. 223-238; G. Paulis, Le "ghiande marine" e l'erba del riso sardonico negli autori greco-romani e nella tradizione dialettale sarda, "Quaderni di semantica", I, 1993, pp. 9-23.
[56] A. De la Marmora, Voyage en Sardaigne ou description statistique, physique et politique de cette ile, avec des recherches sur ses productions naturelles et ses antiquités, Atlas, Paris 1857; cfr. G. Spano, Cenni biografici del conte Alberto Ferrero Della Marmora ritratti da scritture autografe, Cagliari 1864 ; Id., Mnemosine sarda, ossia ricordi e memorie di vari monumenti con altre rarità dell'isola di Sardegna, Cagliari 1864, tav. XXI n. 6.
[57] G. Spano, Memoria sopra i nuraghi della Sardegna, Cagliari 1864; una seconda edizione è in "BAS", VIII, 1862, pp. 161-199; una terza edizione è del 1867.
[58] Spano, Iniziazione cit., p. 211 n. 36.
[59] Vd. A. Accardo, La nascita del mito della nazione sarda, Cagliari 1996, p. 16.
[60] G. Spano, Vocabolario sardo geografico-patroniomico ed etimologico, Cagliari 1872-73, p. 129 n. 18.
[61] Spano, Iniziazione cit., p. 194 e pp. 211 s. n. 38.
[62] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 258.
[63] CIL I2 2226 = X 7586 = ILS 1874 = ILLRP I, 141 = IG XIV 608 = IGR I 511 = CIS I,1, 143.
[64] CIL X 7858.
[65] Spano, Iniziazione cit., p. 196.
[66] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 258.
[67] Vd. R. Bonu, Scrittori sardi nati nel secolo XIX con notizie storiche e letterarie dell'epoca, II, Sassari 1961, p. 313.
[68] CIL X 7852, 7930, 7884, 7891; CIS I 140 = ICO Sard. 19.
[69] Spano, Iniziazione cit., p. 205.
[70] P. Ruggeri, Giovanni Spano, Bullettino Archeologico Sardo (1855-64), Scoperte archeologiche (1865-76); Ettore Pais, Bullettino Archeologico Sardo n.s. (1884), in Africa ipsa parens illa Sardiniae. Studi di storia antica e di epigrafia, Sassari 1999, pp. 171 ss.; vd. anche le introduzioni annuali alla ristampa G. Spano, E. Pais, Bullettino Archeologico Sardo 1855-1884, Scoperte Archeologiche, ristampa commentata a cura di A. Mastino e P. Ruggeri (Biblioteca illustrata sarda), Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro 2000 ss.
[71] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 250 s.
[72] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 254.
[73] CIL X,2, p. 782.
[74] ASC, Segreteria di Stato e di Guerra, serie II, busta n. 152, Relazione sopra il pavimento in mosaico scoperto in un campo vicino a San Bernardo di Stampace, di Gemiliano Deidda (Cagliari, 4 marzo 1763); vd. G. Spano, Orfeo, Mosaico Sardo esistente nel Museo Egiziano di Torino, "BAS", IV, 1858, pp. 161-165; S. Angiolillo, Mosaici antichi in Italia, Sardinia, Roma 1981, nr. 101; vd. ora P. Sanna, La «rivoluzione delle idee», "Rivista Storica Italiana", 1998, in c.d.s., n. 144.
[75] Scoperte 1866, p. 35 n. 1.
[76] Vd. Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, p. 147, con la vecchia denominazione S. Maria in Bubalis; il nome moderno di S. Maria di Mesu Mundu viene collegato alla «sua forma di calotta».
[77] Lilliu, Giovanni Spano cit., p. 35. Per gli scavi nei nuraghi di Ploaghe, vd. anche A. Moravetti, Monumenti, scavi e scoperte nel territorio di Ploaghe e M.A. Fadda Pirisi, Il nuraghe Don Michele di Ploaghe, in Contributi su Giovanni Spano cit., pp. 11 ss. e 47 ss.
[78] Con la dedica allo Spano, «che dottamente illustrò liberalmente accrebbe il Museo sardo», vd. Catalogo della raccolta Archeologica sarda del can. G. Spano da lui donata al Museo di Antichità di Cagliari, Parte prima, Cagliari 1860; Parte seconda, dedicata a Monete e medaglie, Cagliari 1865. Vd. ora C. Tronchetti, I materiali di epoca storica della collezione Spano, in Contributi su Giovanni Spano cit., pp. 115 ss.
[79] Vd. Spano, in "BAS", IV, 1858, p. 3.
[80] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 155.
[81] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 204, 213 n. 50.
[82] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 195.
[83] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 227.
[84] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 197.
[85] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 202 e 212 n. 47.
[86] Vd. Illustrazione sopra un epitafio greco del R. Museo di Cagliari (Lettera al prof. G. Pisano), Cagliari 1849.
[87] Si tratta di un articolo sui vetri di Cornus, ripreso dal «Bullettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica di Roma».
[88] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 268 n. 27.
[89] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 189.
[90] Si tratta di una ristampa di un articolo comparso sul «Bullettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica di Roma» del 1861.
[91] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 203.
[92] Solo per la ristampa di un breve studio Sulle monete dell’impero Cartaginese che si trovano in Sardegna, che è ripreso dal volume Numismatique de l’ancienne Afrique del 1861.
[93] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 201.
[94] A. Mastino, Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le “Scoperte”: Giovanni Spano ed Ettore Pais, in G. Spano, E. Pais, Bullettino Archeologico Sardo 1855-1884, Scoperte Archeologiche, ristampa commentata a cura di A. Mastino e P. Ruggeri (Biblioteca illustrata sarda), Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro 2000 ss. p. 27.
[95] Vd. M.L. Ferrarese Ceruti, Materiali di donazione Spano al Museo Pigorini di Roma, in Contributi su Giovanni Spano cit., p. 65.
[96] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 259.
[97] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 203.
[98] Spano, Iniziazione cit., p. 233 e p. 268 n. 24.
[99] A. Della Marmora, Sulle iscrizioni latine del Colombario di Pomptilla, "BAS" VIII, 1862, p. 113; vd. G. Spano, Serpenti che si vedono scolpiti nelle tombe, ibid., p. 138.
[100] Spano, Iniziazione cit., p. 237;vd. Id., Abbecedario storico cit., p. 75: «dimenticato da tutti e nell'inedia, mentre avrebbe meritato alto compenso dalla patria».
[101] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 261 e pp. 271 s. n. 62. Per la posizione di G. Manno verso le Carte d'Arborea è fondamentale la lettera del 10 maggio 1859, pubblicata in Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, pp. 151 s. n. 2: «così il mio lamento dell'essersi tacciuto dagli orgogliosi storici Romani il nome degli Eroi Sardi che hanno dovuto capitanare le molte guerre d'indipendenza combattute dai nostri padri, è di molto attenuato».
[102] Spano, Iniziazione cit., p. 226.
[103] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 266 n. 4.
[104] W. Helbig, Cenni sopra l'arte fenicia. Lettera al sig. Senatore G. Spano, Roma 1876, estr. "Annali dell'Inst. di corrispondenza archeologica").
[105] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 203.
[106] Spano, Iniziazione cit., p. 227.
[107] Vd. Spano, Iniziazione cit., pp. 261 s. e p. 272 n. 63.
[108] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 262.
[109] Spano, Scoperte 1870, p. 35 n.1.
[110] Spano, Scoperte 1875, p. 23 ss.
[111] CIL X 7957.
[112] Vd. Spano, Iniziazione cit., p. 255.
[113] Th. Mommsen, in CIL, X,2, p. 782.
[114] Vd. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea cit., pp. 221 ss.
[115] Vd. Spano, Postilla alla lapide , in Scoperte , p. 35
[116] CIL X 7930, vd. A. Mastino, La supposta prefettura di Porto Ninfeo (Porto Conte), «Bollettino dell’Associazione Archivio Storico Sardo di Sassari», II, 1976, pp. 187-205.
[117] Vd. E. Pais, Le infiltrazioni delle falsificazioni delle così dette «Carte di Arborea» nella Storia della Sardegna, in Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio Romano, Roma 1923, p. 670; vd. ibid., p. 331 n. 3.
[118] Vd. S. Tola, in Spano, Iniziazione cit., p. XI.
[119] Vd. G. Ghivzzani, Al prof. Teodoro Mommsen, in S.A. De Castro, Il prof. Mommsen e le Carte d’Arborea, Sassari 1878, pp. 7 s.: si criticano «certe paroline che dicono esserle uscite dalla bocca», «paroline agrette anzi che non» e lo si invita a guardarsi, nel viaggio per Sassari, «da un certo de Castro». L’imbarazzo del Mommsen è evidente nella risposta pubblicata su «L’Avvenire di Sardegna» il 25 novembre, cfr. Th. Mommsen, in De Castro, Il prof. Mommsen cit., p. 13 (dove si fa cenno a «qualche parola ... detta da me in una riunione privata, riguardo a certi punti della Storia della Sardegna»; «parole probabilmente male espresse e certamente assai male ripetute di un viaggiatore tedesco»). Vd. anche a p. 15 il giudizio sulla «vostra eroica Eleonora», al quale il Mommsen si sottrae, perchè dichiara di volersi occupare solo di epigrafia latina e di storia romana. Sui nomi degli studiosi presenti al pranzo ufficiale, vd. I. Pillitto, in De Castro, Il prof. Mommsen cit., p. 56, per il quale lo Spano, ammalato, preferì non ribattere «per non impegnarsi in una discussione ormai superiore alle sue forze». Più in dettaglio, al pranzo ufficiale, offerto dal prefetto Minghelli Valni, erano presenti il prof. Pietro Tacchini dell'Università di Palermo, i senatori conte Franco Maria Serra e can. Giovanni Spano, il consigliere delegato cav. Alessandro Magno, il preside dell'Università prof. Gaetano Loi, i proff. Patrizio Gennari e Filippo Vivanet, cfr. "L'Avvenire di Sardegna", VII, nr. 247, 17 ottobre 1877, p. 3.
[120] Th. Mommsen, in De Castro, Il prof. Mommsen cit., p. 15. Vd. le ironiche osservazioni di Salvator Angelo De Castro in una lezione del 3 novembre 1877 agli studenti dell'Università di Cagliari, in G. Murtas, Salvator Angelo De Castro, Oristano 1987, p. 76.
[121] Tali osservazioni furono ripetute a Sassari, in occasione del pranzo offerto dai redattori de "La Stella di Sardegna", cfr. De Castro, Il prof. Mommsen cit., pp. 17 s.: «quando egli, per esempio, mi veniva dicendo che, in Sardegna, di cento iscrizioni, cento son false e fratesche, poteva io credere ch’ei non celiasse ? E celiando io lo pregava a non usare una critica tanto severa per tema che col cattivo se ne potesse andar via anche il buono. Per le altre provincie d’Italia, ammise il dieci per cento d’iscrizioni vere; meno male !». Tali giudizi sulle «iscrizioni di fabbrica fratesca» furono ripresi anche nella rubrica i "Pensieri" pubblicata su "La Stella di Sardegna", III, 44, del 4 novembre 1877, p. 224.
[122] "L'Avvenire di Sardegna", VII, nr. 250, 21 ottobre 1877, p. 3, cfr. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea cit., p. 224 n. 10.
[123] Vd. S. Sechi-Dettori, Le pergamene d'Arborea, All'illustre Cav. S. Angelo De-Castro, "La Stella di Sardegna", III, dicemre 1877, p. 315; S.A. De-Castro, Le carte di Arborea. Al chiarissimo Signor S. Sechi-Dettori, "La Stella di Sardegna", IV, 6 gennaio 1878, pp. 1 s. Di quest'ultimo vd. soprattutto Il prof. Mommsen e le Carte d’Arborea, Sassari 1878, opera dedicata alla memoria di Pietro Martini.
[124] CIL X,2, 1883, pp. 781 s.
[125] CIL X 1480*.
[126] CIL X 7946.
[127] CIL X,2, 1883, p. 781. Vd. Mastino, P. Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea cit., pp. 221 ss.
[128] CIL X 7852, cfr. La Tavola di Esterzili cit.
[129] Vd. R. Mara, Theodor Mommsen e la storia della Sardegna attraverso i carteggi e le testrimonianze del tempo, tesi di laurea presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Cagliari (relatori i proff. Antonello Mattone e Attilio Mastino), Sassari 1997-98, p. 335. Vd. ora A. Mastino, A. Mattone, Il viaggio di Mommsen in Sardegna, in preparazione.
[130] Mara, Theodor Mommsen cit., p. 337. L'edizione dell'articolo del Mommsen (con qualche errore forse dovuto all'eccessiva fretta), è in Th. Mommsen, Decret des Proconsul von Sardnien L. Helvius Agrippa vom J. 68 n. Chr., "Hermes", II, 1867, pp. 102-127.
[131] CIL X 1098*.
[132] G. Cara, Statua di Ercole in bronzo, "BAS" I, 1855, pp. 51 ss.
[133] Spano, Iniziazione cit., p. 219.
[134] Spano, Iniziazione cit., p. 226.
[135] W. Förster, Sulla questione dell'autenticità dei codici d'Arborea. Esame paleografico, "Memorie della R. Accad. delle scienze di Torino", LV, 1905, p. 234.
[136] F. Loddo Canepa, Dizionario archivistico della Sardegna, "Archivio Storico Sardo", XVII, 1929, p. 370, s.v. Carte d'Arborea.
[137] Spano, Iniziazione cit., p. 239.
[138] Spano, Scoperte 1865, p. 30.
[139] Spano, Scoperte 1874, p. 9.
[140] G. Cara, Cenno sopra diverse armi, decorazioni, ecc. del Museo di Cagliari, Cagliari 1871.
[141] Spano, Scoperte 1876, p. 22.
[142] G. Cara, Considerazioni sopra una fra le opinioni intorno all'origine ed uso dei Nuraghi, Cagliari 1876.
[143] H. B. von Maltzan, Reise auf der Insel Sardinien, nebst einem Anhang über die phönicischen Inschriften Sardiniens, Leipzig 1869.
[144] Spano, Scoperte 1876, pp. 37 ss.
[145] Vd. G. Spano, Memoria sopra i Nuraghi della Sardegna, Cagliari 1854, poi nell'VIII volume del "Bullettino".
[146] Spano, Scoperte 1876, p. 35.
[147] A. Cara, Questioni archeologiche, Lettera al can. Giovanni Spano, Cagliari 1877. Vd. Bonu, Scrittori cit., p. 325 n. 29.
[148] G. Spano, Bosa vetus. Opera postuma del canonico Giovanni Spano Senatore del Regno, con biografia scritta dal professore Filippo Vivanet, Bosa 1878.
[149] Ruggeri, Africa ipsa parens illa Sardiniae cit., pp. 173 ss.
[150] Memoria sull'antica Truvine, Cagliari 1852; vd. "BAS", IV, 1858, pp. 190-201. Vd. successivamente Testo ed illustrazioni cit.; vd. "BAS", IX, 1863, pp. 113-161.
[151] Spano, Testo ed illustrazioni cit., "BAS", IX, 1863, p. 171.
[152] Spano, Iniziazione cit., p. 209 n. 12.
[153] CIL X 7955 = XIV 346.
[154]CIL X 8053, 157, l.
[155] CIL X 8056, 259.
[156] CIL X 7979.
[157] Da qui il quadro del Marghinotti conservato al Comune di Ploaghe; vd. G. Dore, La raccolta Spano ed altre opere d'arte a Ploaghe, in Contributi su Giovanni Spano, cit., p. 147 nr. 20. Per il Marghinotti, vd. ora M.G. Scano, Pittura e scultura dell’Ottocento, Nuoro 1997, p. 131 ss.
[158] Ruggeri, Africa ipsa parens illa Sardiniae cit., p. 239.
[159] Lilliu, Giovanni Spano cit., p. 35. Vd. anche Moravetti, Monumenti, scavi e scoperte nel territorio di Ploaghe e Fadda Pirisi, Il nuraghe Don Michele di Ploaghe, in Contributi su Giovanni Spano cit., pp. 11 ss. e 47 ss.
[160] Spano, Scoperte 1875, p. 23 ss.
[161] W. Helbig, Cenni sopra l'arte fenicia. Lettera al sig. Senatore G. Spano, Roma 1876, estr. "Annali dell'Inst. di corrispondenza archeologica".