Attilio MASTINO – Raimondo ZUCCA
Insular identity
Barcellona, 5 novembre 2015
(testo letto da Raimondo Zucca)
0. Identità insulare nell’antichità
Il tema identitario costituisce uno dei filoni più fecondi della storiografia moderna ed in quanto tale rappresenta uno degli approcci contemporanei ad un ambito, nel nostro caso antichistico, della ricerca. I nostri strumenti, tuttavia, sono le fonti, tutti i tipi di fonti antiche (letterarie, epigrafiche, giuridiche, numismatiche, toponomastiche, storico-artistiche, archeologiche, antropologiche etc.) attraverso l’interpretazione delle stesse che ci guidano alla individuazione sia delle manifestazioni identitarie autoctone (culturali, linguistiche etc.), sia dei modi di vedere autoctoni gli “altri”, sia, infine, delle classificazioni identitarie che le altre culture, entrate in rapporto con gli autoctoni, diedero dei sistemi antropogeografici presi in esame.
Per l’antichistica ci piace ricordare il volume miscellaneo Cultural Identity in the Ancient Mediterranean curato da Erich S. Gruen (2011), il lavoro coordinato da Antonio Caballos Rufino e Sabine Lefebvre, Roma generadora de identidades: la experiencia hispana. Collection de la Casa de Velázquez, (2011), e per il tema insulare gli Atti del VI Congresso di Erice, curati da Carmine Ampolo, Immagine e immagini della Sicilia e di altre isole del Mediterraneo antico (2009).
Il nostro lavoro si sofferma su alcuni aspetti delle identità insulari del Mediterraneo romano, rinunciando senz’altro ad individuare delle costanti, poiché la chiave di lettura del mondo insulare deve essere individuata nella dinamica storica dei paesaggi antropogeografici di ogni isola.
1. Île-carrefour / île-prison - conservatoire
Uno dei fondatori delle Annales, Lucien Febvre, ha dedicato alle isole il secondo capitolo «Les petits cadres naturels: les unités insulaires», nel quadro delle «possibilités et genre de vie», troisième partie della sua opera «La terre et l’évolution humaine. Introduction géographique à l’histoire». Il volume di L. Febvre è un classico della geografia umana ad onta della sua data di pubblicazione, il 1922, come riflettono le varie edizioni e ristampe fino all’ultima del 2014 e la sua continuativa utilizzazione da parte di studiosi di vario ambito, antichisti, medievisti[1], modernisti, storici del diritto etc.
È stato osservato che La Terre et l’évolution humaine di L. Febvre costituisca la critique basique du déterminisme insulaire[2], che va a colpire il concetto tradizionale antico di insula come terra mari cincta, e qunque isolata poiché, secondo Festo, Isidoro ed altri le insulae dictae quod in salo sint[3].
Prenderemo, dunque, le mosse da una celebre pagina di Febvre sovente citata negli studi sulle isole dell’antichità:
Les rivages sollicitent, notions-nous, tous ceux qui, prenant un point d’appui sur eux, s’élancent à travers le libre espace marin et mènent la vie aventureuse du navigateur. — Mais, nous l’avons dit auparavant : l’île est donnée, couramment, comme le type même du domaine d’isolement sur la mer. Contradiction. Comment la résoudre ? Disons-le tout de suite, il n’y a pas à la résoudre ; il n’y a qu’à accuser la contradiction, aussi nettement que possible. Et qu’à essayer, pour commencer, de comprendre comment s’est créé le thème de l’isolement insulaire. (…)Évidemment, il y a des îles perdues dans l’espace océanique, tout à fait à l’écart des grandes routes et des grands courants de circulation maritime. (…) Pourquoi même aller si loin ? En pleine Méditerranée, un îlot comme Scarpanto, l’ancienne Karpathos, entre la Crète et Rhodes, donne l’impression, aux rares voyageurs qui y abordent d’aventure, du plus absolu des isolements. (…)Mais, par contre, il y a des îles placées sur les grandes routes du globe, à des points de bifurcation des principaux itinéraires mondiaux : à des carrefours maritimes. Comment les comparer aux premières ? Voici la Sicile et la Crète dans la Méditerranée d’autrefois (…)Que l’on pense à la Sicile, tour à tour phénicienne (pour ne point remonter plus haut), puis grecque, puis carthaginoise, puis romaine, puis vandale et gothique et byzantine — arabe, et puis normande, et puis angevine, aragonaise, impériale, savoyarde, autrichienne... Arrêtons-nous: l’énumération complète serait interminable. Et sans doute à tous ces changements politiques n’a pas correspondu un changement total de civilisation, l’établissement d’une culture et d’une vie matérielle toute nouvelle; la remarque n’a pas besoin d’être faite. Mais chacune de ces vagues successives qui ont recouvert, plus ou moins longtemps, l’antique sol sicilien a laissé quelque chose sur le rivage en se retirant au loin. Autant de dominations, autant d’expériences, à tout le moins. Sociétés insulaires ? Mais qui va comparer une île de cette sorte, une île-carrefour, à ces îles-prisons qui semblent autant de conservatoires de vieilles races éliminées, de vieux usages, de vieilles formes sociales bannies des continents ? Qui va comparer, pour ne pas chercher plus loin, cette Sicile convoitée, disputée, colonisée sans répit, avec la Corse voisine ou la Sardaigne ?
Al concetto chiave febvriano di île-carrefour contrapposto à îles-prisons- conservatoires si sono richiamati Sylvie Vilatte per le le isole greche[4] e, più recentemente, Carmine Ampolo che nel suo Isole di storie, storie di isole[5] attenua la opposizione febvriana fra Sardegna e Sicilia:
Credo che nel caso specifico questa opposizione tra Sicilia – île carrefour e Sardegna e Corsica îles-conservatoires o persino isole-prigione – sia ormai inaccettabile, almeno per chi si occupa di preistoria e protostoria o anche di storia antica (malgrado periodi di relativo isolamento o ad esempio di una Sardegna luogo di condanna ad metalla e di una Corsica luogo di esilio di un Seneca).
Alle stesse conclusioni è giunto Stephane Gombaud, nel suo studio Iles, insularité et îleité:
Enfin, le thème de la navigation et de l’isolement insulaire doit être repris dans une perspective historique. Si quelques îles nous apparaissent comme des prisons, il ne s’agit que d’un point de vue subjectif. Un bout du monde peut devenir une destination prisée voire un relais sur une nouvelle route maritime. Le thème de l’isolement insulaire est une fiction, un thème créé à partir de quelques considérations accidentelles (les îlots “perdus”au milieu des océans) et soutenu en réalité par un tour d’esprit anhistorique. La Sicile n’est pas davantage une île-carrefour qu’une île-prison, quand ce serait l’inverse pour la Sardaigne. En réalité, chaque île apparaît comme close ou ouverte en fonction de la civilisation qui la domine et, sur la longue durée, cette domination ne cesse de changer[6].
Il tema dell’identità insulare mediterranea deve essere declinato storicamente al plurale poiché la definizione nesonomastica, mitografica, geografica, etnografica, storica, socio-antropologica di ogni isola lungi dall’essere fissa nel tempo, si evolve in rapporto alle dinamiche antropologiche e naturali che delineano il palinsesto del paesaggio storico.
2. Il canone delle isole
L’identità insulare del periodo romano non può prescindere dalla formazione di una identità o di molteplici identità nelle fasi preromane. Un punto di partenza può essere costituito dal “canone” delle isole, fondato dalla geografia greca, in cui il primo posto era stato assegnato alla Sardegna:
Erodoto, nella narrazione della rivolta ionica, ricorda che
Biante di Priene nel Panionio consigliava che con una flotta comune gli Ioni salpassero e navigassero verso Sardò e poi fondassero una sola città di tutti gli Ioni e così, liberatisi dalla schiavitù [dei Persiani], avrebbero avuto una vita felice, abitando la più grande di tutte le isole[7].
Evidentemente il “canone” delle isole, si era formato entro il V secolo a.C. se Erodoto riconosceva in Sardò la più grande di tutte le isole in confronto alle altre.
È possibile che il canone si fosse già formato dal secolo precedente se al VI secolo, sulla scorta di Peretti, deve attribuirsi il passo del Peryplus di Scilax in cui sono elencate le eptà nesoi, in quest’ordine:
La più grande Sardò, seconda Sikelìa, terza Krete, quarta Kypros, quinta éuboia, sesta Kyrnos, settima Lesbos.
Isola |
Sardò |
Sikelìa |
Krete |
Kypros |
Euboia |
Kyrnos |
Lesbos |
Questo dovette essere l’elenco delle eptà nesoi nel testo originario di Scilax, poiché l’intestazione descrittiva dell’opera specifica: kai ai nesoi kai ai epta ai oikoumenai
La sequenza delle isole è derivata dal periplo di ciascuna isola, unico strumento in possesso degli antichi, per determinare, seppure approssimativamente, l’estensione delle isole.
Comunque lo sviluppo costiero delle sette isole mediterranee ci dà un elenco solo parzialmente corrispondente a quello di Scilax:
Isola |
sviluppo costiero |
Sardò |
1897 km |
Sikelìa |
1637 km |
Kyrnos |
1046 km[8] |
Krete |
1046 km |
Euboia |
700 km |
Kypros |
648 km |
Lesbo |
350 Km |
Nella realtà l’elenco delle isole per effettiva estensione è il seguente:
Isola |
Estensione |
Sikelìa |
25.460 km² |
Sardò |
24.100 km² |
Kypros |
9.251 km² |
Kyrnos |
8.687 km² |
Krete |
8 336 km² |
Euboia |
3.655 km² |
Lesbo |
1.632 km² |
Questo canone attestato successivamente al Peryplus di Scilax in Timeo, Alexis[9], nel De mundo aristotelico[10], in un epigramma ellenistico di Chio, in uno scolio alle Vespe Aristofanee, ed è ancora riecheggiata in autori di età romana (Diodoro, Strabone, Anonimo della Geographia compendiaria[11], Tolomeo[12]), comprendeva originariamente, come si è detto, sette isole secondo un canone che, nel numero, è ricorrente per i sette sapienti, i sette mari e, in epoca ellenistica, le sette meraviglie del mondo.
A queste sette isole, forse, nella redazione del Peryplus Scilacis del IV sec. a. C. furono aggiunte, da una fonte greca che prendeva in considerazione esclusivamente le isole del Mediterraneo orientale:
Ottava Rodos, nona Chios, decima Samos, undecima Kòrkyra, dodicesima Kasos, tredicesima Kephallenìa, quattordicesima Naxos, quindicesima Kos, sedicesima Zàkynthos, diciasettesima Lèmnos, diciottesima Aìgina, dicianovesima Imbros, ventesima Thasos.
È sintomatico del processo di formazione arcaica di questo canone il fatto che le isole più occidentali dell’elenco siano Sardò e Kyrnos.
L’«ammissione» della prima isola del Mediterraneo occidentale nel canone delle isole è un portato della cultura ellenistica. Il siceliota Timeo di Tauromenio fu il primo ad aggregare l’isola di Maiorca al canone tradizionale, benché in realtà l’insula Maior delle Baliares sia al settimo posto, prima di Lesbos, nella serie delle isole mediterranee per estensione[13]:
Timeo afferma che la più grande di queste isole [Gymnesiai - Baleari] risulta essere la più estesa dopo le seguenti sette: Sardegna, Sicilia, Cipro, Creta, Eubea, Cyrnos e Lesbo[14].
L’ottava posizione della maggiore delle isole Baleari è ribadita da Diodoro[15] e da Strabone[16] ed è mantenuta, nel II secolo d. C., da Ampelio nella sua elencazione delle clarissimae insulae, che include, inoltre, al nono e decimo posto, la Baliaris minor ed Ebusus.
Appare rilevante da un lato la persistenza dell’arcaico canone delle isole fin nell’età tardo antica, anche con i riferimenti alle eptà nesoi sparsi negli Ethnikà di Stefano di Bisanzio, dall’altro la percezione ancora in età romana della sequenza delle isole mediterranee da oriente (Kypros) ad occidente (Sardò kai Kyrnos), che consacra una rete interinsulare attiva con certezza dal Miceneo IIIA (XIV sec. a. C.) e successivamente nel Tardo Minoico III e Tardo Cipriota III e nel Cipro Geometrico, quindi con le rotte associate degli Eubei e dei Fenici dall’800 a. C., quelle di età arcaica, classica ed ellenistica, fino alle rotte romane di età repubblicana ed imperiale, con la diffusione nel Mediterraneo centrale e occidentale di merci orientali.
D’altro canto i circuiti mediterranei con le rotte d’altura, affiancate alle rotte interinsulari e di cabotaggio (fonti in Pascal Arnaud) dimostrano, pur nell’ambito di variazioni statistiche nel lungo periodo, che le grandi isole del Mediterraneo appartengono essenzialmente alla categoria dell’ île-carrefour.
3. La forma delle insulae
Gli schemata delle isole dovettero entrare ben presto nelle rappresentazioni dell’oikoumene. Tralasciando i dati, soprattutto letterari, di ambito greco ci soffermiamo sulla documentazione delle figure delle isole nel periodo romano.
Per il 174 a. C. Livio[17] menziona la dedica ad Iuppiter di una tabula picta nella aedes Matris Matutae, con il seguente index:
sotto il comando e gli auspici del console T. Sempronio Gracco la legione e l’esercito del popolo romano soggiogò la Sardinia; vi furono uccisi e catturati più di 80.000 nemici.
Nella tabula, aggiunge Livio,
Sardiniae insulae forma erat, atque in ea simulacra pugnarum picta.
La definizione cartografica della Sardinia era il suggello della conquista, così come in età augustea la carta picta del mondo di Marco Vipsanio Agrippa all'interno della porticus Vipsania[18].
Per avvicinarci alle formae delle insulae dovremmo ricorrere agli Itineraria picta, superstiti per noi nella incompleta Tabula Peutingeriana, in cui l’attenzione dell’autore è rivolta essenzialmente alle isole di Sardinia e Corsica, alla Sicilia, a Girba, all’insula Cretica e a Kypros.
Le notazioni urbane sono presenti nelle cinque isole, ma solo per la Sicilia, Creta e Cipro sono documentate le viae.
Ad onta degli insularii (i nesiotikà del mondo greco) posseduti non disponiamo di una cartografia incentrata sulle isole, ma un mosaico dell’Africa Proconsularis, scoperto ad Ammaedara, sulla riva sinistra dell’Oued Haidrà, presso il maggiore mausoleo della necropoli meridionale, ci ha restituito una “tabula” in mosaico con la rappresentazione di quindici isole, edita da Fathi Bejaoui à l’Academie des Inscriptions nel 1997[19].
Il mosaico, oggi trasferito nei depositi del Museo del Bardo, occupava una sala quadrangolare di m 6 x 5, 30, dotata su tre lati di esedre rettangolari ed accessibile attraverso un lungo corridoio mosaicato, pertinente ad un grande edificio la cui natura appare incerta, ma che non sembra una domus.
Il pavimento, marginato sui quattro lati da una cornice geometrica, rappresenta un mare popolato da pesci, amorini, navi e barche su cui emergono quindici isole, di cui tre parzialmente perdute a causa dell’esondazione dell’oued Haidrà.
Ciascun isola conservata presenta la didascalia in alfabeto latino:
Scyros // Cypros // Idalium // Cnidos // Rhodos // Paphos // Cytherae // Erycos // Lemnos // Naxos // Egusa // Cnossos[20].
Osserviamo che i nesonimi in nominativo riflettono prevalentemente l’originaria forma greca, benché in molti casi sia attestata nel latino la terminazione in –os, alternativa a quella in –us. Abbiamo, tuttavia, il latino Idalium al posto del greco Idalion, l’erroneo pluralia tantum latino Cytherae al posto del nominativo neutro plurale Cythera, la monottongazione in E del dittongo Ae- di Aegusa, nesonimo greco di Favignana, la più vasta delle Egadi, nota anche con la forma latina Capria, ed infine Erycos, che parrebbe la forma greca dell’oronimo Erycus mons, piuttosto che l’adattamento di Eryx, il figlio di Afrodite e Bytos, eponimo della città elimo-punica-romana di Eryx, al genitivo Erykos.
Si osservi che l’isola con Cnossos dovrebbe rappresentare per sinèddoche Creta, mentre le isole ideali di Paphos e Idalium rappresentano luoghi di Cipro, peraltro interni, come vedremo; infine Cnidos ed Erycos sono due centri, il primo localizzato all’estremità della penisola di Triopio in Caria, il secondo sul monte San Giuliano, a dominio del golfo falcato di Drepanon (Trapani), all’estremo occidentale della Sicilia. Se per Cnidos l’isola richiama il monito dell’oracolo delfico riferito da Erodoto concernente il divieto per i Cnidi di mutare la natura del chersonesos in nesos tramite lo scavo di un canale (“non fortificate e non scavate l’istmo, perché Zeus l’avrebbe fatta isola se avesse voluto”[21]), l’isola di Erycos in Sicilia è come per Paphos e Idalium una costruzione simbolica.
Le isole sono rappresentate da figure geometriche irregolari, caratterizzate prevalentemente da un profilo costiero assai mosso con promontori angolari o tozzi e baie semicircolari o insenature a rias.
Benché le dimensioni delle singole isole siano variabili appare evidente la mancanza di proporzione tra Cypros (km2 9251) da un lato e le altre sei isole di Rhodos km2 1398 Lemnos km2 476, Naxos km2 428, Cytherae km2 299,4, Scyros km2 209, Egusa km2 19.
Inoltre non si legge una coerenza geografica nella posizione delle isole immaginate all’interno del Mediterraneo centrale e orientale (con il dubbio per le tre isole prive di nesonimo a causa del cattivo stato di conservazione).
Le isole e le località del mosaico in esame sono caratterizzate da un paesaggio vegetale di conifere, palmizi (Cypros, Idalium e Lemnos) e da vigneti (Scyros, Cytherae e un isola di cui non si conserva il nesonimo). Gli elementi morfologici interni delle isole sono limitati all’orografia (tre rilievi isolati a Paphos, Erycos e Scyros) ed all’idrografia (ruscelli a Scyros, Rhodos). Ciascuna isola (o località) è dominata da un complesso edilizio di difficile lettura.
In dettaglio abbiamo:
Scyros:
Complesso di strutture delimitate, anteriormente, da una cinta semicircolare, che difficilmente potrebbe alludere alla rappresentazione di un porto.
Cypros:
Un complesso longitudinale, con un tempio su podio gradato, è perpendicolare ad una villa di tipo africano con muro di recinzione turrito.
Idalium:
Grande edificio, a corte centrale con quadriportico, recintato da una muraglia turrita.
Cnidos
Edificio conservato in due ali murarie che si serrano ad un alta torre con copertra displuviata.
Rhodos
Edificio triporticato, aperto sul mare (?) su un lato. Sulla fronte del portico di destro un tempio su podio gradato.
Paphos
Complesso con cinta semicircolare porticata dotato alle due estremità di due edifici su podio gradato. Sul retro a sinistra un tempio su podio con scalinata, un’ara (o betilo?) ed un rilievo scarpato.
Cytherae
Edificio triporticato simile a quello di Rhodos, con un ambiente elevato al centro del portico di fondo.
Erycos
In primo piano una costruzione complessa con mura turrite che serrano all’interno edifici articolati. Sullo sfondo, tra gli alberi, si staglia un monte.
Lemnos
Edificio con mura turrite visto frontalmente con la rappresentazione lungo l’asse longitudinale di un secondo complesso edilizio.
Naxos
Complesso edilizio con un portico semicircolare.
Egusa
Struttura a quadriportico con due torri anteriori e due posteriori.
Cnossos
Complesso edilizio con cinque torri connesse da strutture murarie.
Scyros, Paphos e Naxos presentano un complesso edilizio semicircolare, le altre isole (o città) una struttura quadrangolare.
Fathi Bejaoui ha notato nell’editio princeps del mosaico la complessità delle rappresentazioni in cui l’isola è l’elemento fondamentale, connotata oltreché dal nesonimo da una costruzione, mentre il mare è rappresentato con il consueto stilema a zig-zag dei flutti, la fauna marittima, e le barche talora guidate da eroti, talaltra vuote e legate con una cima ad una pertica.
Le strutture rettangolari si richiamano alle rappresentazioni delle ville dei grandi domini rurali africani, mentre per quelle semicircolari Bejaoui ha richiamato oltre a villae maritimae anche le rappresentazioni di porti, per i quali si richiama lo schema del portus di Roma nella Tabula Peutingeriana ma anche il portus rappresentato all’interno della vasca dell’impluvium B della Nymfarum domus della Neapolis dell’Africa proconsularis.
L’editore del mosaico, seguito da Maurice Euzennat, Daniele Manacorda e Carmine Ampolo, ha proposto l’interpretazione generale del mosaico- privo comunque di figure divine- come rappresentazione del navigium Veneris attraverso le isole (o le località) relative al culto di Venus.
Miwa Takimoto ha proposto, nel 2015, una nuova lettura del mosaico di Ammaedara suggerendo la figurazione topografica del ciclo cretese di Teseo e Arianna[22].
Se il mosaico derivasse da un testo letterario non possiamo dimenticare che il carmen 64 di Catullo evoca Venus sia come Erycina, sia come dea dell’Idalium frondosum in relazione al tragico amore di Arianna per Teseo.
Tuttavia la scelta delle isole del mosaico di Haidra sembra effettivamente convenire al culto di Venere.
Allora questi schemata delle isole parrebbero una chiave di lettura di tradizioni mitografiche e rituali di età romana imperiale (forse fine III – inizi IV secolo d. C.) che definivano luoghi e riti identitari pluristratificati delle isole.
Un esame puntuale delle figurazioni non è possibile in questa sede, ma alcuni esempi si impongono: innanzitutto Paphos, da intendersi Palaipaphos, località non costiera a circa 18 km ad est di Paphos, caput provinciae di Cipro. Il santuario di Venus - Aphrodite, in una posizione di collina a dominio della costa, dove sarebbe nata Afrodite, distante 1 km, nella sua struttura romana di età medio imperiale presenta un betilo all’interno di un santuario con una recinzione semicircolare antistante, documentata dalla monetazione del koinon ton Kyprion.
In questo caso la collina, il tempio, forse l’ara o il betilo, e il porticato semicircolare del mosaico potrebbero essere l’evocazione nei modi dei musivari africani di un paesaggio cultuale dei nesiotai di Cipro in età romana.
L’altro esempio è Erycos, sede del culto di Ashtart Ericina, divenuta Venus Erucina[23], ed introdotto a Roma con il tempio capitolino dell’Erucina votato nel 217 a.C. dal dittatore Quinto Fabio Massimo e dedicato nel 215 a.C. ed il secondo tempio sul Quirinale, votato nel 184 a.C. e dedicato il 23 aprile del 181 a.C. dal console Lucio Porcio Licino.
Diodoro ricorda che (V, 83) che “i consoli e i pretori che giungono nell’isola (di Sicilia), e tutti coloro che la visitano con qualche autorità, quando vanno ad Erice adornano il santuario con sacrifici ed onori splendidi, e mettendo da parte l’aspetto austero dell’autorità passano a scherzi e alla compagnia di donne con molta allegria, ritenendo di rendere gradita alla dea la loro presenza solo in questo modo”.
Abbiamo con Erice, dunque, un luogo di culto elimo, punico, greco e romano, che compendia l’identità della Sicilia occidentale e dell’intera Sicilia, espandendosi poi in Africa (Sicca Veneria), in Sardegna (Karales) e nell’Impero.
La isola di Erycos, con la rappresentazione del monte san Giuliano, forse è anche qui per sinèddoche l’intera Sicilia, compendiata in tutti i principali capitoli culturali della sua storia.
Accanto e di fronte a Erice è Aigousa, Favignana, per la quale deve richiamarsi una statua acefala di una copia romana dell’adattamento ellenistico (forse rodio) dell’Afrodite Ouranìa, edita, ma non riconosciuta, da Anna Maria Bisi e forse l’importante sistema ipogeico della Grotta del pozzo, una grotta- santuario con iscrizioni puniche e rappresentazioni di navi.
L’isolario di Ammaedara è così un quadro del basso impero, specificatamente dell’Africa proconsularis, di rappresentazioni insulari connesse a Venere, che individua nel culto plurimillenario della dea un elemento identitario delle diverse culture mediterranee.
4. Le insulae provinciali e le provinciae delle insulae
Ulpiano indica in un passo del IX libro Ad edictum la correlazione giuridica delle isole minori all’Italia ed a ciascuna provincia:
Insulae Italiae pars Italiae sunt et cuiusque provinciae[24].
Il passo, inserito nel commento ulpianeo all' Edictum provinciale, va senz'altro riferito alla sfera giuridica che discende dal principio citato[25], ossia l' imperium del governatore della provincia si estendeva a tali isole minori ed esse erano soggette allo stesso regime giuridico e fiscale della provincia.
Maggiore rilievo assume la definizione delle pertinenze insulari di una provincia in rapporto alla pena della deportatio in insulam e della relegatio in insulam .
Si noti, innanzi tutto, che Augusto sancì il divieto per gli esiliati di risiedere in un' isola distante meno di 400 stadi (circa 40 miglia nautiche) dal continente, con l' eccezione di Cooo, Lesbo, Samo e Rodi[26].
Nel libro X De officio proconsulis Ulpiano si occupa della deportatio in insulam[27]e
della relegatio in insulam:
Il quadro che ne scaturisce appare illuminante a proposito del ius dispiegato dal governatore di una data provincia sulle insulae che sono pars provinciae: nel caso della deportatio il governatore provinciale non ha il potere di infliggere la poena, ma deve limitarsi a trasmettere all' imperatore il nominativo dell' accusato, il capo d'accusa e la proposta di deportatio in una data insula.
Nella fattispecie delittuose più lievi una delle poenae previste era la relegatio in insulam, che poteva essere perpetua o temporanea, ed era irrogata direttamente dal governatore provinciale che disponeva dell' ius relegandi.
Acquisiamo la nozione di una forma provinciae che comprendeva, ove presenti, le insulae minori, dato essenziale per l'estrinsecazione definita territorialmente dell' ius del governatore provinciale.
L'ambito geografico della competenza giuridica del governatore va, naturalmente, distinto dal regime amministrativo delle singole isole costituenti pars provinciae o pars Italiae. Theodor Mommsen raccolse nel X volumen del CIL i testimonia di tale regime amministrativo[28]. Questi testimonia sono relativi a tre ambiti insulari: l' insula Pandateria dell' arcipelago delle Pontine, al largo della regio I, le insulae Melit(a) et Gaul(us) che componevano una pars provinciae Siciliae e le insulae Baliares, pertinenti alla provincia Hispania Tarraconensis.
In definitiva Theodor Mommsen evidenziava nell' ambito delle insulae minori una duplicità di gestione amministrativa: da un lato l'attribuzione dell' amministrazione insulare ad un procurator Augusti, di rango libertino, come nel caso di Pandotira per l' Italia e di Melita et Gaulos per la provincia Sicilia, certamente da considerarsi eccezionale e ristretta ad una fase iniziale dell' organizzazione procuratoria[29], dall' altro l'attribuzione dell' amministrazione militare e civile di un'isola o di un gruppo insulare ad un praefectus equestre, dipendente dal governatore provinciale sia nelle provinciae amministrate dal senato , come nel caso di Cyprus, nel 58 a.C., dipendente dalla provincia Cylicia[30] , sia in quelle imperiali (le insulae Baliares apparternenti alla Hispania Tarraconensis , retta da un legatus Augusti propraetore ed amministrate da un praefectus pro legato).
Appare evidente tuttavia che la costituzione di un praefectus con prerogative amministrative, militari e talora giurisdizionali in ambito insulare indica l'avvio di un processo di autonomia di tali aree insulari, sicché ad esempio Cyprus e le Baliares guadagneranno il rango di provinciae, mentre la procuratela imperiale di isole minori appare connessa a isole di ridotte o ridottissime dimensioni, prive all'epoca di tali procuratele di importanza strategica o di rischi di pirateria che ne imponessero l'attribuzione ad un praefectus, ma ricadenti nella sfera di interesse dell' imperatore.
La dottrina[31] ha ammesso un terzo caso di amministrazione delle insulae minori, ossia un procurator di rango equestre, documentato in età tiberiana per Lipara, Cornelius Mansuetus[32].
Tale regime non poté durare a lungo: nella provincia senatoria della Sicilia è specificatamente documentato per il 103-114 d.C. un \pítropow a[tokrátorow Kaísarow Néroua Traianoû Sebastoû Germanikoû Dakikoû \parxeíaw Sikelíaw kaì tôn ƒllvn tôn SikelíŸ suntelousôn n}ssvn, G. &Ioúliow Dhmosyénhw[33] , dunque un procurator equestre, di rango centenario[34], del patrimonium provinciae Siciliae che estendeva la propria specifica competenza amministrativa sia all' isola principale, sia alle isole minori circostanti[35], il cui governo competeva, d'altro canto, al proconsul Siciliae[36].
Se nell’ambito delle insulae provinciali cogliamo esclusivamente il rapporto amministrativo e giudiziario che legava il governatore romano alle insulae di una provincia, differente è il caso delle provinciae delle insulae.
E’ ben noto che l’evoluzione giuridico semantica del lessema provincia, che in origine indicava l’ambito delimitato assegnato a ciascun magistrato, pervenuta a definire l’ambito geografico cui era destinato il magistrato provinciale, si compì in relazione alle prime due provinciae insulari: la Sicilia e la Sardinia et Corsica nel 227 a. C.
Dopo queste due provinciae si dovette attendere il 67 a. C. per la costituzione della provincia Creta et Cyrenae e il 58 a. C. per la conquista di Cyprus con la sua unione alla provincia Cilicia.
Nella suddivisione provinciale del 27 a. C. il Senato ebbe le provinciae insulari di Sicilia, Sardinia et Corsica, Creta et Cyrenae e di Cyprus, ormai autonoma rette tutte da proconsules.
La Corsica si emancipò dalla Sardinia in età augustea o tiberiana e, comunque, entro il 67 d.C., assegnata ad un praefectus.
Sotto Diocleziano è documentata la costituzione della provincia di Creta, divisa definitivamente dalla Cirenaica, e delle Insulae, corrispondenti alle isole dell’Egeo e del Dedecaneso.
Ultima provincia insulare furono le Baliares.
L’annessione del gruppo insulare delle Baliares alla provincia dell' Hispania citerior venne compiuta, probabilmente, all' indomani della conquista delle isole, nel 123 a.C., da parte di Quinto Cecilio Metello e ratificata con un atto normativo che non c'è pervenuto [37].
Metello, nella qualità di proconsul della Citeriore per l'anno 122 a.C. dovette predisporre vari provvedimenti relativi alle Baliares, raccolti verosimilmente nell' edictum provinciale, che pur nel suo carattere tralatizio, doveva essere adeguato alle circostanze particolari della provincia.[38]
Sotto Diocleziano l'antico conventus Carthaginiensis fu elevato a provincia, di cui fecero parte anche le Baliares. Di questa nuova provincia è documentato un solo governatore anonimo, un praeses, per il 323[39].
L'ordinamento dioclezianeo delle provinciae della diocesis dell' Hispania si mantenne intatto per diversi decenni, subendo nel corso del IV secolo un'unica modifica, con la costituzione della provincia delle Insulae Baleares distaccata dalla Carthaginiensis [40].
La data di istituzione della nuova provincia balearica non è nota con precisione, ma può essere delimitata tra il 365/369 (data di redazione del Breviarium di Festo, che non menziona la provincia delle Baleares) e il 385 o il 398/399, in rapporto alla discussa cronologia del Laterculus di Polemius Silvius [41], che, per primo, attesta la provincia delle Insulae Baleares
Le personificazioni delle provinciae insulari si riducono alla Sicilia, Creta e Cipro, documentate la prima in monete e mosaici, le altre in rilievi e (Cipro) nelle immagini simboliche della Notitia Dignitatum.
Si tratta di personificazioni romane basate su modelli ellenistici di un personaggio femminile (provincia) con i suoi attributi: certa è la corona a Triskeles della Sicilia, più comuni le rappresentazioni di Cipro e Creta.
Evidentemente queste personificazioni erano create dalla cancelleria imperiale in funzione delle parate di tutte le provinciae in raffigurazioni tese a glorificare l’impero di Roma.
Più sottile e significativo sul piano identitario fu l’utilizzo romano di figure mitiche eponime della singola provincia.
Livio conosceva sull'origine del nome Baliares, accanto alla vulgata opinio che lo derivava da bállein, una seconda versione che indicava in Balius l'eponimo delle isole.
Balius, non noto ad altre fonti[42], era Herculis comes, abbandonato nelle Baleari, cum Hercules ad Geryonem navigaret [43].
La versione originaria della spedizione di Eracle verso l'estremo Occidente, dove aveva sede Gerione, pur prendendo le mosse da Creta «perché quest'isola ha una felice posizione naturale per le spedizioni in tutta la terra abitata»[44], non sembra che interessasse le isole del terzo bacino del Mediterraneo, benché gli eponimi di Sardegna e Corsica, Sárdos e Kúrnos, siano entrambi figli di Eracle[45].
Proprio Sardus, Herculis filius, diviene una sintesi delle culture autoctona, punica e romano-italica della Sardinia, rappresentando perfettamente le identità plurime della provincia.
Alla metà del II secolo a. C., nel sud ovest della Sardinia, presso la valle di Antas (Fluminimaggiore), nell’area del tempio punico di Sid Addir, succeduto ad una divinità indigena Baby, sorse un tempio tetrastilo, con decorazione del frontone fittile, di matrice italica, con rappresentazione di Sardus e del padre Hercules.
Intorno al 38 a. C. fu battuta una moneta con l’avo di Ottaviano sul D/ e Sard(us) Pater sul rovescio.
Nel II secolo d. C. Tolomeo documentava il Sardopatoros ieron, attestato ancora nelle fonti della Cosmographia del Ravennate e di Guidone.
L’individuazione di una statuina bronzea, nella tomba a pozzetto della seconda metà del IX sec. a. C., rappresentante un personaggio ignudo con lancia[46] (attributo di Sardus pater negli assi del periodo di Ottaviano[47] e forse anche di Sid[48]) è un elemento di rilievo per ipotizzare un luogo di culto, cui connettere forse in parte i bronzetti nuragici figurati di Antas, ove non provenienti tutti dalle tombe[49]. Ci attenderemmo, conseguentemente, ad Antas un sepolcreto di tombe individuali con accesso riservato, del genere dell’area funeraria coeva di Monte Prama- Cabras[50].
Come ha notato Paolo Bernardini:
È verosimile che la necropoli indigena vada interpretato nell’ambito di un culto degli antenati e che di conseguenza la figurina [in bronzo di un personaggio virile stante, ignudo, con mano destra alzata in segno di benedizione e l’altra impugnante una lancia, rinvenuta nella tomba a pozzetto nr. 1] sia l’immagine antichissima di Sardus[51].
La lettura di P. Bernardini sul culto degli antenati connesso alla figura divina dell’hegemon dei Sardi, Sid (B’by), che si specifica, probabilmente, in una iscrizione punica di Antas come ’b Sd, pater Sid[52], consentirebbe di comprendere una delle motivazioni dell’assunzione, come epiteto, da parte di Sid e successivamente di Sardus Pater rispettivamente del teonimo encorico B’by / Bby[53] e Bab[..][54], in quanto non si ritiene plausibile l’affermata origine egizia o semitica del teonimo B’by[55].
Giovanni Garbini ha voluto individuare una puntuale corrispondenza tra B’by / Bby e Babi da un lato e ‘b e Pater dall’altro, come versioni punica e latina del teonimo paleosardo. In entrambi i casi vi sarebbe una specificazione etnica nel nome Sd, dio eponimo di Sidone e Sardus, dio eponimo dei Sardi[56].
Vi è però da notare che nella formazione del teonimo Sardus pater, più recente del nome Sardus / Sardos[57], noto sul rovescio dell’asse di M. Atius Balbus, e nella titolatura del dio del tempio di Antas, deve aver giocato anche un altro elemento, l’epiteto di Pater come proprio del summus Pater, dunque di Iuppiter, ma anche di divinità a lui assimilate come Ianus pater, Thibris pater, Numicius pater[58], pater Soranus[59], Dis Pater. Pater nella dottrina romanistica è il Signore dotato di potestas, “così nelle formule rituali[60] e poetiche d’invocazione alla divinità”[61].
Pater nel teonimo Sardus pater, allora, potrebbe assumere una valenza simile anche all’epiteto di genàrches di Helios[62] - Sol “capo del lignaggio” ossia Sol Indiges che non a caso a Lavinium è Pater Indiges[63] e Indige{n}s [Pa]ter[64], dove Indiges, con il correlato dio Numicus (il fiume), assimilato a Iuppiter, è, come sostenuto limpidamente Mario Torelli, “un summus pater dai caratteri ctoni, personificazione degli antenati divini del nomen Latinum”[65].
Se Sardos diviene in ambito romano Sardus pater, forse tra il 39 e il 27 a. C., è possibile che nel teonimo Sardus di origine toponimica o etnica unito all’epiteto Pater vi fosse un parallelismo, anche di carattere antiquario, che rapportava il dio capo del lignaggio dei Sardi agli altri dèi dotati dell’epiteto Pater, assimilati a Iuppiter. In particolare la gens Iulia di Cesare (che considerava la Sardinia, nella malevola interpretazione di Cicerone, un praedium suum[66]) e del figlio adottivo Ottaviano[67] avrebbe potuto costituire una liaison fra il pater Aeneas e ancor più il Pater Indiges lavinate e il dio Sardus “capo del lignaggio dei Sardi”, considerato che, secondo Attilio Mastino, sin dalla prima metà del II secolo a. C., probabilmente Catone, aveva reinterpretato paretimologicamente un bellicoso populus della Sardinia gli Ili, come Ilienses, ossia Troiani, divisi dal pater Aeneas dalla tempesta ed approdati in Sardegna, e dunque come affini per stirpe ai Romani, discendenti dal pater Aeneas.
In altre parole se l’epigrafia punica e latina di Antas ci rivela uno dei rari teonimi indigeni della Sardegna deve ricercarsi un inquadramento topografico del luogo di culto di B’by-Babi ad Antas, da cui potesse scaturire l’interpretatio punica e romana di Sid B’by e di Sardus Babi.
[1] R. Estangüi Gómez, La réclusion politique à Byzance. L’exil dans l’ile de Lemnos (mi-XIV- mi-XV siècles), Hypothèses 2007 Travaux de l’école doctorale d’histoire. Université Paris I- Panthéon- Sorbonne, dir. P. Schmitt Pantel, p. 174 (pp. 173-182)
[2] St. Gombaud, Iles, insularité et ˆıleit ́e Le relativisme dans l’ étude des espaces archipélagiques. Geography. Université de la Réunion, 2007, pp. 264 ss.
[3] F. Borca, Terra mari cincta. Insularità e cultura romana, Roma 2000, pp. 15-24.
[4] S. Vilatte, L'insularité dans la pensée grecque: au carrefour de la Géographie, de l'Ethnographie, de l'Histoire, Revue Historique, T. 281, Fasc. 1 (569) (JANVIER-MARS 1989), pp. 3-13.
[5] C. Ampolo, Isole di storie, storie di isole, C. Ampolo (a cura di), Immagine e immagini della Sicilia e di altre isole del Mediterraneo antico, I, Atti delle seste giornate internazionali di studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nel contesto mediterraneo . Erice, 12-16 ottobre 2006, Pisa 2009, pp. 4-5.
[6] St. Gambaud, Iles, insularité et îleité. Le relativisme dans l’étude des espaces archipélagiques. Geography. Université de la Réunion, 2007, pp. 267-268.
[7] Hdt. I, 170, 2. Vedi anche Hdt. V, 106, 6.
[8] http://uk.france.fr/en/information/corsican-coastline
[9] Alex., 517 CAF III.: Alesside il comico sostiene che delle sette isole che per estensione appaiono ai mortali come le più grandi, la Sicilia-come risulta scontato- è la più estesa, mentre la Sardegna è la seconda, terza invece è Cyrno mentre quarta è Creta nutrice di Zeus, , eubea è la quinta di forma alquantop ristretta per propria natura, sesta Kypros e per ultima Lesbo riceve in sorte la settima piazza. PERRA pp. 885-6.
[10] Arst. De Mundo 393 a: Fra le isole degne di essere ricordate abbiamo: la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, Creta, Eubea, Cipro e Lesbo.
[11] Anonymi geographia compendiaria, VIII, 27, in GGM, II, p. 501.
[12] Ptol., VII, 5, 11.
[13] https://it.wikipedia.org/wiki/Isole_del_mar_Mediterraneo, da cui si ricava la seguente tabella relativa alle isole con superficie pari o superiore ai 50 km2:
N. |
Isola |
Stato |
superficie in km2 |
1 |
Sicilia |
Italia |
25 460 |
2 |
Sardegna |
Italia |
23 813 |
3 |
Cipro |
Cipro |
9 251 |
4 |
Corsica |
Francia |
8 681 |
5 |
Creta |
Grecia |
8 261 |
6 |
Eubea |
Grecia |
3 655 |
7 |
Maiorca |
Spagna |
3 640 |
8 |
Lesbo |
Grecia |
1 632 |
9 |
Grecia |
1 398 |
|
10 |
Grecia |
842 |
|
11 |
Cefalonia |
Grecia |
781 |
12 |
Minorca |
Spagna |
694 |
13 |
Corfù |
Grecia |
592 |
14 |
Ibiza |
Spagna |
577 |
15 |
Gerba |
Tunisia |
523 |
16 |
Lemno |
Grecia |
476 |
17 |
Samo |
Grecia |
476 |
18 |
Nasso |
Grecia |
428 |
19 |
Zante |
Grecia |
406 |
20 |
Cherso |
Croazia |
406 |
21 |
Veglia |
Croazia |
405 |
22 |
Brazza |
Croazia |
395 |
23 |
Andro |
Grecia |
380 |
24 |
Taso |
Grecia |
379 |
25 |
Leucade |
Grecia |
303 |
26 |
Scarpanto |
Grecia |
301 |
27 |
Lesina |
Croazia |
300 |
28 |
Coo |
Grecia |
290 |
29 |
Pago |
Croazia |
285 |
30 |
Imbro |
Grecia |
279 |
31 |
Cerigo |
Grecia |
278 |
32 |
Curzola |
Croazia |
276 |
33 |
Nicaria |
Grecia |
255 |
34 |
Malta |
Malta |
246 |
35 |
Elba |
Italia |
224 |
36 |
Sciro |
Grecia |
209 |
37 |
Paro |
Grecia |
196 |
38 |
Tino |
Grecia |
194 |
39 |
Samotracia |
Grecia |
178 |
40 |
Milo |
Grecia |
151 |
41 |
Ceo |
Grecia |
129 |
42 |
Amorgo |
Grecia |
121 |
43 |
Marmara |
Turchia |
117 |
44 |
Isola lunga |
Croazia |
114 |
45 |
Calino |
Grecia |
111 |
46 |
Chergui |
Tunisia |
110 |
47 |
Sant’Antioco |
Italia |
109 |
48 |
Io |
Grecia |
109 |
49 |
Meleda |
Croazia |
100 |
50 |
Termia |
Grecia |
100 |
[14]FGrHist, III B 566F, frag. 65.
[15] Diod., V, 17: La maggiore delle due isole Baleari è la più grande di tutte le isole dopo le seguenti sette: Sicilia, Sardegna, Cipro, Creta, Eubea, Corsica, Lesbo.
[16] Strab. XIV, 2, 10.
[17] Liv. XLI, 28, 8
[18] (Plin., Nar. hist., III, 17)
[20] AE 1997, 1638.
[21] Hdt, I, 174, 5.
[22] M. Takimoto, Une nouvelle lecture de la mosaïque des îles d'Haïdra (Tunisie) : la figuration topographique du cycle crétois, poster présenté au XIIIe colloque de l'AIEMA (Association internationale pour l'étude de la mosaïque antique), du 14 au 18 septembre 2015, Universidad Carlos III de Madrid.
[23] B. Lietz, La dea di Erice e la sua diffusione nel Mediterraneo. Un culto tra Fenici, Greci e Romani, Edizioni della Normale, Pisa 2012, pp.454; R.M. Albanese Procelli, Sicani, Siculi, Elimi. Forme di identità, modi di contatto e processi di trasformazione, Milano 2003 (Biblioteca di Archeologia, 33).
[24]Vlp. D. V, 1, 9.
[25]G. Humbert-Ch. Lécrivain in Dar.-Sagl.III, 1 [18CC], p. 547, s.v. insula.
[26]Dio. Cass. LVI, 27.
[27]Vlp. D. XXXXVIII, 22, 6.
[28]Th. Mommsen in CIL X, 1, 6785.
[29]Appare illuminante, al riguardo, il giudizio di P. R. C. Weaver, Familia Caesaris, pp. 277-8: «Two Imperial freedmen, possibly in the first century, held powers that were similar to those of procuratorial governors of equestrian provinces. One, Metrobius Aug. lib 'praefuit longum Pandotira per aevum' (X 6785); he was put in charge of Pandateria, a small island in the Tyrrhenian Sea used as a place of confinement for exiles, and died there (under the Flavians ?) after a long terme. The other, Chrestion Aug. lib. X 7494= D 3975 proc. insul. Melit. et Gauli, may also have belonged to the first century. Both places were unimportant in the administrative scheme of things and are not to be compared with the provinciae. Freedman procuratores provinciae cannot be of equal status with their equestrian homonyms but are the senior freedman in the administration of each province».
[30]Cicerone, proconsole della Cilicia, adottò per l' isola di Cipro, annessa a quella provincia nel 58 a.C., inviandovi il praefectus Q. Volusius con compiti di amministrazione giudiziaria.(Cic. ad Att. 5, 21, 6; 6, 2; 6, 3. Cfr. M.Salinas de Frías, El gobierno de las provincias Hispanas, p. 156, n. 4; R. C. Knapp, Aspects of the Roman experience in Iberia, cit., pp. 101-102, distingue questo praefectus iure dicundo dai praefecti che accompagnavano il governatore provinciale. Su Q.Volusius cfr.H. Gundel in RE IX, A 1, [1961], cc. 903-904, s.v. Volusius-5.
[31]H. G. Pflaum, Les procurateurs, p. 14, n. 1. Contra S. Calderone in Diz. Ep. IV, [1964], s.v. Lipara, pp. 1407-1408; G. Manganaro, La Sicilia da Sesto Pompeo a Diocleziano, ANRW, II, 11, 1, Berlin -New York 1988, p. 25 ( Cornelius Mansuetus è ritenuto un procuratore speciale incaricato della gestione di industrie estrattive, ad esempio l'allume e la pomice).
[32]CIL X 7489.
[33]IGR, III, 487, 500, col. II, 56, 60. Sul personaggio cfr. M. Wörrle, Stadt und Fest im kaiserzeitlichen Kleinasien, pp. 55-69; H. Devijver, Prosopographia militiarum equestrium quae fuerunt ab Augusto ad Gallienum, V, suppl. II, Leuven 1993, p. 2137, nr. 55.
[34]H. G. Pflaum, Les carrières procuratoriennes, I, pp. 12; 53, n. 4; 175, n. 6; 178; 218; 337; II, pp. 173; 175, n. 1; 184, n. 3; 195, n. 14; 230, n. 8; 285; 1044.
[35]R. H. Lacey, The Equestrian Officials of Trajan and Hadrian: Their careers, with some notes on Hadrian's Reforms, Princeton 1917, p. 8, n. 67, che specifica le ƒllai n}ssoi nel modo seguente: Aeoliae, Aegates, Gaulus, Melita, Cossura; H. G. Pflaum, Les procurateurs, p. 12, e
[36]Per le competenze del procurator Augusti patrimoni nelle provinciae senatorie cfr. L. Zuckermann, Essai sur les fonctions des procurateurs de la province de Bithynie-Pont sous le Haut-Empire, «Revue Belgique», 46, 1968, pp. 42-58; H. G. Pflaum, Une lettre de promotion de l' empereur Marc aurèle pour un procurateur ducénaire de Gaule Narbonnaise, «Bonner Jahrbücher», 171, 1971, p. 353( a proposito di AE 1960, 167 da Bulla Regia attestante le competenze ristrette del ul proc(urator) Aug(usti) patrimoni provin(ciae) Narbonensis ( ma in generale del procurator Augusti patrimoni ) all' interno delle provinciae senatorie); M. Wörrle, Stadt und Fest im kaiserzeitlichen Kleinasien, p. 55.
[37]Le insulae Baliares dovettero essere annesse alla provincia dell' Hispania Citerior, secondo un procedimento speculare a quello adottato alla fine della II guerra punica per Melita e Gaulos, che dopo la conquista militare del 217 a.C., vennero incorporate nella provincia Sicilia già costituita nel 227 a.C.(Cic. Verr. IV, 46-47; Plin. nat. III, 8, 92. Cfr. J. Weiss in RE , XV, 1 [1931], c. 546; F. P. Rizzo, Malta e la Sicilia in età romana. Aspetti di storia politica e costituzionale, «Kokalos», XXII-XXIII, 1, (1976-1977), pp. 190-191) o per Cyprus annessa alla provincia di Cilicia( Cic. pro dom. 52; pro Sest. 57. Cfr. D. Vaglieri, in Diz. Ep. II, 2, p. 1428, s.v. Cyprus).
[38]Sull' edictum provinciale cfr. W. W. Buckland, L'edictum provinciale, «Revue Historique du Droit», 1934, pp. 81 ss.; W. T. Arnold, The Roman system of provincial administration to the accesion of Constantine the Great, Roma 19683, pp. 55-57; G. I. Luzzatto, Roma e le province, p. 44; per le province iberiche, in particolare, M.Salinas de Frías, El gobierno de las provincias Hispanas, pp. 123-125.
[39] E. Garrido Gonzàles, Los gobernadores, pp. 59-60.
[40]F. De Martino, Storia della Costituzione romana, V, pp. 319-320.
[41] E. Albertini, Les divisions administratives, p.123; A. Chastagnol, Les Espagnols dans l'aristocratie gouvernamentale à l'époque de Théodose, Aa.Vv., Les Empereurs d'Espagne, Paris 1965, p. 279; F. De Martino, Storia della Costituzione romana, V, pp. 319-320; L.A. Garcia Moreno, España y el Imperio en época teodosiana. A la espera del bárbaro, Aa. Vv., I Concilio Caesaraugustano, Zaragoza 1980, pp. 33-34; E. Garrido Gonzàles, Los gobernadores, pp. 58-59; M. Mayer, Aproximació a la societat de les Illes Baleares, p. 172.
[42]Non pare raccordabile al nostro Balius il Bálios , ecista divinizzato della omonima città presso Cirene( ThLG,II, c.81) o il cavallo di Achille Balios (ThLG, II, c.80).
[43]Liv. perioch. 60.
[44]Diod. IV, 17.
[45]Myth.lex.,II, 1, s.v. Kúrnow-2, c.183 ; Myth.lex., IV, s.v. Sardos, 1, cc. 383-386. Si osservi che la saga degli Eraclidi in Sardegna è esplicitamente fissata da Diodoro ( IV, 29) « quando ebbe compiuto le imprese», mentre l' `dòw ^Hrákleia , lungo l'Iberia, la Provenza e la penisola italiana esclude del tutto la rotta delle isole( cfr. R.Zucca,La Corsica romana, p.43, n.34).
[46] Barreca1985, pp. 266-267; Ugas, Lucia 1987, pp. 257-259; Bernardini, Botto 2010, pp. 40, 44, 46-47.
[47]Didu 1975, pp. 108-121.
[48]Discussione sulla iconografia di Sid in Minunno 2005, p. 277.
[49] Lilliu 1988, pp. 562-3. Sui bronzi cfr. Acquaro 1969 c, pp. 127-129; Lilliu 1997, p. 315, n. 145; Bernardini 2011, p. 370; Zucca 2013, p. 65, fig. 1. Il falcetto in bronzo di Angiolillo 1995, p. 335, nr. 48, fig. 23 deve essere assegnato, ugualmente, a produzione nuragica della prima età del Ferro (cfr. Lilliu 1982, pp. )).
[50] Bernardini, Scarpa, Zucca 2015.
[51] Bernardini 2002, p. 17.
[52]Garbini 1997, pp. 113, 289, nr. 289; Garbini 2000, p. 121 (la lettura dell’epiteto ’b “padre” di Sid non è sicura).
[53]Il teonimo B’by, giustapposto al fenicio Sd ’dr, è registrato nelle iscrizioni puniche di Antas I, (Fantar 1969, pp. 54-55), VI+ XIII Fantar 1969, p. 84 , VIII (Fantar 1969, pp. 78-79), IX (Fantar 1969, pp. 80-81 con la forma bby, con caduta dell’aleph, mater lectionis), XI (Fantar 1969, p. 82), ossia in cinque iscrizioni rispetto a tre epigrafi che menzionano Sd senza il teonimo B’by (VII- Fantar 1969, p. 88; XVIII- Fantar 1969, pp. 88-89 e l’orecchino aureo Uberti, Costa 1980, pp. 195-199). Incerte le iscrizioni frammentate X- Fantar 1969, pp. 81-2 e XII- Fantar 1969, p. 83) e l’epigrafe XX con le due lettere ’ S, intese ipoteticamente ’(dn) S(d) ((Fantar 1969, p. 91)). Cfr. Garbini 1969, pp. 318-321, che per primo ha interpretato B’by come epiteto di Sid di matrice paleosarda, seguito da Barreca 1974, pp. 124-125 e dalla maggioranza degli studiosi.
[54]Sotgiu 1968-1970, pp. 7-20 (= AE, 1971, 119, 120; 1972, 227). Le integrazioni possibili sono Bab[i] e Bab[ai]. La lettura incerta di Du Mesnil Du Buisson 1973, p. 228 dell’iscrizione latina (Cecchini 1969, p. 158, tav. LXIII, 1a-e) incisa su un anello in argento rinvenuto in una tomba romana del III sec. d. C. del villaggio a sud ovest del tempio di Sardus Pater (Sida (vel Sidia) Babi dedi dono (vel donum) denarios XCIV) farebbe preferire l’integrazione Bab[i], che risulterebbe più coerente con l’impaginato della I linea dell’iscrizione del tempio.
[55] Mazza 1988, pp. 47-56; Lipiński 1994, pp. 61-74.
[56] Garbini 1969, p. 331; Garbini 1994, pp. 23-29.
[57]Fonti in R. Zucca 1990, pp. 692 – 694; Zucca 2004, pp. 86 ss.;
[58] Momigliano 1966 p. 633; Schilling 1982, pp. 559-75.
[59]Colonna 2009, pp. 101-134; Miller 2009, p. 165, n. 158.
[60] Per gli indigitamenta cfr. Del Ponte 1999, pp. 159-160; per il Carmen Saliare cfr. Sarullo 2014, pp. 148-149, per le divinità con l’epiteto Pater.
[61] Bonfante 2007, p. 292, n. 1.
[62] Lyd. De mens. IV, 155.
[63] Ori. Gent. Rom. 14, 4.
[64] CIL X 8348= ILS 63 = Inscr. It. XIII, 3; 85.
[65] Torelli 1984, pp. 173-179.
[66] Cic. Ad fam. IX, 7, 2.
[67] Su questa posizione Bianchi 1963 a, p. 49; Bianchi 1963 b, pp. 109-111; Melis 2013, pp. 231-233.
Ultimo aggiornamento Mercoledì 11 Novembre 2015 21:34