Enzo Espa

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Scritto da Administrator | 31 Dicembre 2015

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Enzo Espa

Nel ricordare Enzo Espa a un anno dalla scomparsa mi risuona stranamente nelle orecchie l’allegra canzoncina di Bert nel film su Mary Poppins: <<Vento dall'Est, la nebbia è là… Qualcosa di strano fra poco accadrà… Troppo difficile capire cos'è… Ma penso che un ospite arrivi per me...>>.

Il vento misterioso che Enzo Espa citava in continuazione con me era quello dell’ovest, il libeccio, proveniente dalla direzione di Bosa, perché bosanu si ortat a parte ‘e sero, “il vento bosano si leva verso sera”, portando ricordi, memorie, momenti vissuti insieme, che sono stati felici davvero.  E l’ospite un poco bizzarro che arrivava inatteso era poi proprio Enzo, che stranamente associavo alla figura amata del mio maestro elementare, con il suo inguaribile accento nuorese, ruvido nella sua implacabile durezza, ma al quale mi legava anche un’amicizia che non ha avuto ombre, anche se avvertivo una distanza davvero grande tra noi.

Frugando tra le mie carte ho ritrovato le due novelle nuoresi lette  a Bosa da Enzo Espa il 31 maggio 1975, ahimè ormai 40 anni fa, recitate con quella sua voce che costruiva paradossi, che modulava toni tra loro distanti, che faceva immaginare misteri lontani, con una profondità che lasciava incantati gli ascoltatori. Le due novelle  furono poi pubblicate due anni dopo da Guido Fossataro a Cagliari nella bella raccolta di Racconti Nuoresi illustrati da Liliana Cano, con una prefazione di Marco Aimo.

L’occasione della performance, che davvero ci aveva emozionato, era stata l’inaugurazione nei nuovi locali della Pro Loco di Bosa della straordinaria mostra del pittore Pietro Muroni, aperta da Giovanni Del Rio, da poco confermato per la quarta volta come Presidente della Giunta Regionale, all’indomani del rifinanziamento del Piano di Rinascita. In quei giorni Enzo curava l’edizione dell’Archivio pittorico della città di Sassari di Enrico Costa pubblicato da Chiarella nel 1976.

Enzo Espa, che pure si era laureato tra Pisa e Roma, allievo di Natalino Sapegno, aveva finito per concentrarsi sulla Sardegna che più amava, dove svolgeva il suo lavoro di insegnante e di preside, percorreva il territorio, conosceva ogni angolo dell’isola, presiedeva giurie come a Pozzomaggiore (nei lontani ricordi di Tonino Oppes), scriveva romanzi, stimolava tutti coloro (pochi davvero) che allora si occupavano di lingua sarda e che chiedevano l’adozione di norme ortografiche chiare, di una grafia unificata, in sintonia con il Prenio Ozieri di Antonio Sanna, Angelo Dettori, Tonino Ledda. Si occupava di poesia, a Ossi con i Gosos di Santu Mengu Gloriosu, a Nule, a Sorso, a Sennori, a Nuoro. I ninnidos, i cantigos, i gosos de Nadale e de sos tres Res, i sonettos, le modas, le ottavas, le benedizioni nuziali sarde, i proverbi, le tradizioni popolari, i canti, le serenate trasgressive. E poi le ricerche storiche sui gremi e i candelieri di Sassari, i tanti prodotti della cultura, della vita e della tradizione sarda che un tempo ci si scambiava con il baratto, in particolare i dolci ed i vini; infine alcuni monumenti come i nuraghi della preistoria oppure i castelli medioevali, studiati assieme ad Aldo Cesaraccio che frequentava con noi la sezione sarda dell’Istituto Italiano dei Castelli. Tante curiosità, tanti interessi, tanti punti di vista davvero eterogenei che mantenevano fresco il sapore di chi si confrontava nella Facoltà di Magistero con Francesco Alziator e con Massimo Pittau, alimentate dalla variegata compagnia che frequentava la Dante Alighieri, da lui presieduta.

L’ho visto tante altre volte all’opera, sempre più burbero ma con me anche davvero affettuoso, come quando nel 1994 curò lo straordinario volume Siniscola: dalle origini ai nostri giorni, coordinando decine di studiosi tutti con le loro esigenze, i loro tempi, i loro caratteri. Scrissi in quei giorni con Marcella Bonello quasi cento pagine su Il territorio di Siniscola in età romana,  ma Enzo era irrequieto e veniva coinvolto in continue baruffe con gli amici che generosamente avevano pagato la stampa presso l’editore Il Torchietto di Ozieri. Mi ero impegnato a superare i battibecchi, che proseguivano fin quasi sul palco il giorno della presentazione, e stranamente si era lasciato convincere dalle mie ragioni.

Cinque anni dopo mi aveva chiesto consiglio per l’edizione del suo incredibile Dizionario sardo italiano dei parlanti la lingua logudorese, che pazientemente Carlo Delfino  aveva pubblicato due volte, combattendo un vero corpo a corpo con l’autore e riuscendo a editare l’opera anche nei 4 volumi distribuiti assieme a La Nuova Sardegna nel 2005. Quando Enzo ci ha lasciato un anno fa a 95 anni d’età, l’aggiornamento successivo dell’opera era ormai ben avviato: Salvatore Tola ha seguito la fase della preparazione della seconda edizione e ha raccontato che l’autore ora si limitava a combattere con il suo computer, che si ribellava a tanto accumulo di materiali.

L’opera è davvero straordinaria, anche se oggi è stata seguita da tanti altri vocabolari forse ancora più maturi e completi, che abbiamo consultato con ammirazione negli ultimi anni: ma qui quello che conta soprattutto è la prospettiva “logudorese”, che valorizza la ricchezza e la diversità della lingua sarda, che recupera una tradizione letteraria e una dimensione davvero conservativa;  soprattutto la sensibilità dell’autore per le tradizioni popolari, che caratterizza ciascuna pagina, fino all’appendice dedicata ai nomi di persona, ai nomi di paesi, luoghi, blasoni popolari, alle locuzioni e ai paragoni proverbiali.

Proprio il Dizionario Sardo, frutto di un impegno esteso per oltre 40 anni a partire dai tempi nuoresi del Ginnasio Asproni, è il capolavoro di Enzo Espa, che ha saputo tenere i contatti con migliaia di informatori: Giulio Paulis ha acutamente descritto questo <<piacere intellettuale nell’impegnarsi nel suo lavoro>>, quando traduceva in sardo celebri frasi di Shakespeare  <<per inserirle a fianco di brani tratti da mutos e canti a ballo sardo>> oppure quando coniava neologismi, sempre restando in equilibrio tra una dimensione universale in continuo divenire e <<i ristretti confini territoriali>> nei quali la lingua sarda dell’area nuorese, logudorese e barbaricina viene tradizionalmente impiegata.  Questo Dizionario Sardo, come voleva Enzo, rimane un <<libro da leggere>>, un’<<opera sistematica>>, una <<grande antologia>> della cultura sarda, molto più di un dizionario sul modello di quello di Giovanni Spano.  <<Se veramente amiamo la nostra lingua popolare – scriveva Enzo nella Introduzione – dobbiamo anche scriverla, non solo parlarla>>: dietro queste pagine c’è il senso di una perdita irreparabile, la sensazione che una parte della nostra cultura sta irrimediabilmente scomparendo, il desiderio di trovare un equilibrio tra <<la lingua della koiné e la lingua di falco>> che in lui convivevano non senza disagio: tanto da rendere evidenti e sempre più insopportabili <<gli atti di arroganza nei confronti della lingua subalterna>>.  Se oggi guardiamo al futuro della lingua sarda con maggiore ottimismo, se diamo per acquisto un radicamento territoriale di una lingua sarda che deve mantenere una freschezza e una capacità espressiva innanzi tutto in rapporto con un luogo, con una geografia, con un ambiente naturale e umano; se abbiamo superato definitivamente il concetto di <<culture subalterne>>, se abbiamo raggiunto il senso profondo di una ricchezza che dobbiamo difendere e coltivare nel rispetto di una storia lunga dove la lingua sarda è stata pensiero, riflessione, strumento per intendere la realtà, per entrare in comunicazione profonda con gli altri, tutto questo è merito senza alcun dubbio anche di Enzo Espa.

Attilio Mastino

Ultimo aggiornamento Giovedì 31 Dicembre 2015 15:46

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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