La viabilità della Sardegna romana: un nuovo praetorium a Sas Presones di Rebeccu (Bonorva).

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Scritto da Administrator | 31 Dicembre 2015

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La viabilità della Sardegna romana:
un nuovo praetorium a  Sas Presones di Rebeccu (Bonorva)
a Nord della biforcazione della centrale sarda  per Olbia ?

1. L’edificio rurale di Sas Presones si trova alle pendici del ciglio basaltico dell’altopiano della Campeda di Bonorva (altitudine m. 490 s.l.m.), a breve distanza dal villaggio abbandonato di Rebeccu (ad Est) e dagli ipogei preistorici di S. Andrea Priu con i dipinti rupestri di epoca tardo antica, bizantina e medievale, recentemente sottoposti a restauro (ad Ovest). L’area di Rebeccu ha rappresentato certamente il cardine della viabilità romana in Sardegna ed uno dei luoghi che ancora oggi conservano prodigiosamente il paesaggio antico, al piede delle colline vulcaniche del Meilogu e lungo la piana un tempo paludosa di Santa Lucia, sulla direttrice per Olbia, una variante che si biforcava dalla strada centrale sarda Karales-Turris. L’area conserva uno straordinario interesse paesaggistico, storico e archeologico e lo stesso edificio di Sas Presones, segnalato già nell’Ottocento, è in realtà parte di una struttura termale tardo-antica arrivata fino ai nostri giorni, che ipoteticamente potrebbe essere identificata come quello che resta in piedi di un praetorium pubblico al servizio della viabilità per Olbia, dotato di un impianto termale realizzato in epoca tarda.

Numerosissimi sono i ritrovamenti di miliari stradali in quest’area, alcuni recentemente pubblicati ed esposti nel Museo comunale di Bonorva, utili per localizzare la biforcazione della a Karalibus Olbiam dalla strada centrale sarda a Karalibus Turrem, tema che ha rappresentato negli ultimi anni il vero problema storiografico sulla viabilità romana in Sardegna, a partire dal dibattito avviato negli anni ’70 da Piero Meloni, proseguito con una penetrante indagine territoriale da Emilio Belli e Virgilio Tetti. Di fatto gli studiosi si sono divisi ed hanno collocato la biforcazione in varie località del Logudoro, tutte collocate tra un punto che oggi appare troppo meridionale (Mulargia) ed un punto troppo settentrionale (Giave).

Le indagini recentemente effettuate dalla Soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro nell’edificio di Sas Presones di Rebeccu hanno riaperto il problema topografico, storico, archeologico, epigrafico, che siamo lieti di richiamare sia pur sommariamente in questa sede in omaggio agli interessi, alle passioni ed alle curiosità dell’amico e maestro Giovanni Uggeri (pensiamo da ultimo con ammirazione ed un poco di invidia al volume su La viabilità della Sicilia in età romana).

In occasione di recenti lavori di restauro finanziati col Piano integrato d’Area “Meilogu-Valle dei Nuraghi”, sono stati studiati i due ambienti superstiti di Sas Presones e la pianta complessiva dell’edificio originario, che doveva essere articolato in almeno otto vani, con una complessa sistemazione spaziale ed un’articolazione degli ambienti caldi e degli ambienti freddi. Per la descrizione del complesso dobbiamo rinviare alla rapida sintesi finora disponibile a firma Nicola Ialongo, Andrea Schiappelli ed Alessandro Vanzetti, che hanno potuto presentare in tempo reale i risultati dell’indagine in occasione delle Giornate di studio di archeologia e storia dell’arte promosse nella Cittadella dei Musei a Cagliari nel marzo 2006: il misterioso edificio di Sas Presones di Bonorva si è rivelato un complesso termale collocato a breve distanza dalla Fonte di Su Lumarzu, lungo la strada per Olbia ai piedi del versante settentrionale della Campeda, La planimetria finale con la rete di canalette consente di definire le funzioni dei diversi ambienti, dall’apodyterium al frigidarium, per arrivare alle sale calde con ipocausto e tubuli alle pareti, il tepidarium centrale, i due sudatoria laterali ed a Nord il calidarium con il praefurnium.

Più in dettaglio gli studiosi hanno ricostruito i flussi idrici delle canalette di scolo ed hanno distinto un’articolazione in gradoni: l’ambiente 1 (m. 5,70 x 3,60) viene interpretato come frigidarium, con le caratteristiche banchine e le canalette, con la volta originaria parzialmente conservata; l’ambiente 5 (m. 4,50 x 3,00) potrebbe essere l’apodyterium; segue il terrazzo sul lato ovest, a ridosso dell’ambiente 8, con una vasca per le abluzioni; più in basso si trovavano gli ambienti caldi, in particolare l’ambiente 2 (m. 5,40 x 3,60) viene interpretato come tepidarium per i tubuli alle pareti, la probabile banchina, l’originale ipocausto; mentre gli ambienti simmetricamente contigui 6 e 3 sarebbero due piccoli sudatoria, ugualmente riscaldati, come il vicino ambiente 4, che potrebbe essere il vero e proprio calidarium con annesso a nord il praefurnium.

Nel tepidarium centrale (ambiente 2) le indagini hanno consentito di portare alla luce il pavimento originario con lastroni rettangolari di basalto, parte in realtà di un vero e proprio ipocausto, del tutto originale e credo senza confronti in tutto l’impero romano: il pavimento copre l’intercapedine ed è sospeso su 24 pilastrini in trachite alti 60 cm., che si sono rivelati in realtà tronconi di cippi miliari in riutilizzo, recanti tracce di iscrizioni, non tutti al momento raggiungibili e leggibili. Ecco la descrizione degli studiosi: <<Una serie di pilastrini in trachite, alti circa 60 cm. ciascuno, poggia sul substrato roccioso ed è stata rinvenuta inglobata nel terreno di infiltrazione e di ributto, il quale conteneva sparuti frustuli di terra sigillata, ma anche reperti di età moderna. A un controllo più accurato (…) i pilastrini si sono rivelati essere tronconi di cippi miliari, recanti tracce di iscrizioni, di cui è stato ottenuto il calco>>. Sui pilastrini <<poggiano dei lastroni rettangolari di basalto, forse anch’essi di riutilizzo, di circa 60/80 cm. di lato, coperti a due strati di malta, tra i quali è intercalato un livello di mattoni bipedali e di tegole riadattati>>.

Sono ora disponibili le piante dell’edificio termale di Sas Presones, variamente rimaneggiato in epoca medioevale e moderna, con un progressivo rialzamento dei piani d’uso: il complesso restituisce sotto il pavimento una serie di miliari provenienti con tutta probabilità dalla biforcazione della strada che, superata la Campeda, si dirigeva in direzione di Olbia oltre che di Turris. I frammenti di miliari stradali si presentano tutti in pessime condizioni di conservazione, utilizzati come suspensurae nel praefurnium termale. Si tratta di almeno 8 miliari diversi, che dovevano essere riferiti al punto miliario 112 da Karales (o 65 da Olbia) od a punti miliari vicini, affiancati l’uno all’altro come avviene in altri punti cruciali della rete stradale romana: cedutici recentemente con generosità da Antonietta Boninu, i preziosissimi e quasi illeggibili calchi dei miliari, effettuati nei mesi scorsi, rivelano la titolatura di imperatori del III e del IV secolo e rappresentano il terminus post quem per la costruzione stessa dell’impianto termale, che non escludiamo vada riferito ad un praetorium al servizio del cursus publicus tardo lungo la principale strada romana della Sardegna: al momento sono stati identificati tre praetoria in Sardegna: Muru de Bangius di Marrubiu, Domu de Cubas, presso la chiesa di San Giorgio megalomartire in comune di Cabras, infine Bacu Abis.

Allo stesso <<edifizio antico che i paesani dicono le Prigioni>> nell’Ottocento si era interessato il can. Giovanni Spano, che l’aveva visitato nel 1849 e vi aveva trovato e trascritto un miliario stradale apparentemente di Massimino il Trace datato al 236 e con il 42° miglio da Turris: la segnalazione di Giovanni Spano, non fu verificata da Theodor Mommsen e da Johannes Schmidt in occasione dei soggiorni in Sardegna rispettivamente del 1877 e del 1881, ma fu comunque ripresa in CIL X ed il luogo di ritrovamento è indicato inter Bonorvam et Rebeccam prope domus antiquae rudera q.d. le Prigioni. Il Mommsen aveva manifestato seri dubbi sulla lettura del testo (huius cippi lectio etiam minus certa videur esse quam relioquorum est ab hoc auctore prolatorum), anche se una possibile soluzione potrebbe essere collegata al trasferimento in epoca moderna della pietra, che fa riferimento alla distanza da Turris, 42 miglia, 63 km circa: (M.p. XLII, viam quae ducit [a] Turr[e---] vetustate corruptam restituit). Effettivamente non escluderemmo che la lettura della pietra effettuata dallo Spano sia inesatta, perché la colonna miliaria <<in pietra vulcanica>> ritrovata <<vicino>> all’edificio di Sas Presones era già nel 1849 in pessime condizioni:  <<siccome era incrostata di calce, appena abbiamo potuto rilevare le parole seguenti>>. In questo caso si potrebbe addirittura porre il problema dell’identificazione del testo con la nostra iscrizione nr. 2, unica non cilindrica collocata sopra pavimento dell’edificio termale e non utilizzata con le altre suspensurae: il Maxim<inus> di l. 3 di CIL X 8017 difficilmente può essere allora il Galerio della terza tetrarchia.

Un altro miliario con il numero di miglia superiore a 110 (MP CX[---]) fu segnalato vent’anni fa da Roberto Caprara <<presso una costruzione romana ridotta ad un rudere>>,  come <<architrave del cancello d’ingresso della vigna che si trova sotto Sas Presones>>. Del resto due frammenti di miliari in trachite sono ancora oggi murati nella chiesa di Rebeccu.

In questa sede possiamo ora presentare alcuni dei calchi realizzati in occasione ella scoperta per alcuni dei miliari ancora in situ, uno quei quali relativo ad una colonna clindrica difficilmente leggibile che conserva l’immagine del Sole, che potrebbe portarci a Costantino: può essere infatti confrontato con CIL X 7954, un miliario ritrovato a Teli alle porte di Olbia, con una dedica a Costantino perpetuus semper Aug(ustus) da parte del clarissimo T. Septimius Ianuarius. Attilio Mastino ed Alessandro Teatini hanno osservato in passato che Costantino promosse il culto del Sol invictus:  nella scena di profectio da Milano rappresentata sull’arco del 315 sono raffigurati due signiferi con la Victoria ed il Sol invictus, mentre sui medaglioni costantiniani dell’arco compaiono le immagini di Sol oriens e di Luna occidens e, come noto, nei Fasti Filocaliani, al 28 agosto, è regolarmente registrato il giorno festivo Solis et Lunae. Del resto non si può escludere neppure una data più tarda, con riferimento alla devozione di Giuliano per il culto del Sole. In questo contesto, come a suo tempo osservava Pierre Salama, i miliari avevano una chiara funzione “propagandistica”, tesi a diffondere fra i viandanti quei concetti cari all’amministrazione imperiale: è quindi significativo che anche a Sas Presones, evidentemente uno fra i punti nevralgici della viabilità isolana, trovassero posto simili forme di propaganda.

Rimane sullo sfondo un enigma irrisolto, quello di comprendere le ragioni che hanno portato a raccogliere in un’unica località un numero tanto alto di miliari. Come è noto esistono punti miliari della Sardegna che hanno restituito in passato anche una decina di miliari, come a Sbrangatu presso Olbia. Eppure non escluderemmo che i miliari  di Sas Presones siano stati prelevati da diversi punti miliari vicini dopo esser stati sostituiti, quindi accatastati in un centro di raccolta, presso un edificio pubblico alla radice della strada per Olbia, proprio perché si trattava di un praetorium controllato direttamente dal governo provinciale. E dunque non escluderemmo che i lapicidi itineranti incaricati di reincidere e aggiornare i miliari dismessi potessero far capo ad un’officina lapidaria localizzata a ridosso di Sas Presones.

 

2. Tra i cippi collocati sotto il pavimento, possiamo presentare per il momento almeno il fac-simile del miliario che sembra debba essere riferito al regno di Costanzo Cloro e Galerio Augusti, Severo e Massimino Daia Cesari, posto a cura del praeses Galerius (?) Valerius Domitianus nell’anno 305-6, come è possibile ipotizzare sulla base di un confronto con un altro miliario già noto trovato a Code in comune di Torralba al miglio 118°. Il governatore è ampiamente conosciuto in Sardegna sui miliari e anche nella dedica a Galerio ancora Cesare di Turris Libisonis.

Il testo è inciso su una pietra cilindrica della trachite del Meilogu, delle seguenti dimensioni: circonferenza 123 cm, alt. 55 cm.

------ / --- novilissmo [Cae]/sari cor[a]n[te ?] / [Valeri]o Domitiano / [v(iro) p(erfectissimo)] presidi pro[vinciae Sardiniae ---].

La condizione della pietra non permette neanche in questo caso di verificare se il preside Domitianus facesse precedere a Valerius, il nome Galerius, come a suo tempo sottolineato da Armin Stylow e Maria Antonietta Boninu per il miliario di Torralba, un’ipotesi che purtroppo, forse a causa di un successivo deterioramento della pietra, non ha trovato riscontro nella lettura fornita da Giuseppina Oggianu nel 1990. È  d’altro canto curioso osservare come tutti i testi del praeses siano allo stato attuale delle nostre conoscenze concentrati nella parte settentrionale dell’isola, nel triangolo compreso fra Olbia, Portotorres e Torralba, quasi che questo ristretto territorio, nevralgico per i rifornimenti annonari verso Roma, fosse stato oggetto di particolare attenzione del governatore.

 

3. Una lastra rettangolare e a sviluppo verticale, nella trachite del Meilogu, collocata originariamente sul pavimento dell’ambiente 2, conserva su 15 linee un testo che solo in parte è possibile ricostruire: per il momento rimandiamo al fac-simile realizzato da Salvatore Ganga, senza ulteriori precisazioni. Come abbiamo osservato più sopra, il testo va difficilmente identificato con CIL X 8017 pubblicato dallo Spano (sopralluogo dell’anno 1849).

Dimensioni: alt. cm. 87, largh. cm. 35

M(ilia) [p(assuum) CX ?]. / [I]mp(eratori) Caes(ari) / D(omino) [n(ostro) ..] Ga/[lerio Valer]io ? S[.]/ A (vacat) Maxim[.]/[…](vacat) Aug(usto) / [co](n)s(uli) [..] proc[o(n)s(uli)] / F[la(vio)] Val(erio) Sev[ero] / [Ga]l(erio) Val(erio) Ma[x]i/[m]iano  et F ? Vale(rio ?) / [Consta]nt ? Max[..] vel [po]nt(tifici) max(imo) / [cu]rante San[..] / idem p[.]aaesi(de) / [S]ard(iniae) v(iro) e(gregio) ? nu/[mini ? de]v(o)to e[o]r[rum]?

A prima vista si tratta di un miliario stradale proveniente da località vicina, del quale è tuttavia è difficile comprendere il testo, molto usurato e probabilmente fratto lungo lo spigolo sinistro. Solo con estrema cautela potremmo quindi pensare al collegio della Terza Tetrarchia, non ancora attestato in Sardegna e rarissimo nell’impero, quando l’isola sotto un governatore anonimo (forse ricordato nelle ultime linee del testo), nella confusione posteriore alla morte di Costanzo Cloro, non era ancora passata a Massenzio (dunque anteriormente all’anno 308). In quel momento non doveva essere ancora nota la morte di Severo avvenuta forse nel settembre del 307. In questo caso accanto a un Galerio con una titolatura quasi tradizionale (evento non raro nelle iscrizioni di questo imperatore), che in questa fase aveva già ricoperto per sei volte il consolato, forse accompagnato da alcuni cognomina ex virtute, troveremo correttamente al secondo posto Valerio Severo (secondo Augusto), Massimino Daia e forse Costantino; resterebbe da spiegare in questo caso la forma finale MAXIM (non pare convincente una restituzione pont(ifici) maxim(o), in posizione alquanto inusuale rispetto ai formulari standard). Suggestivo ma difficilmente dimostrabile il ricordo sul miliario anche di Massenzio come ultimo dei Cesari, quindi in un momento fra il 28 ottobre 306 e presumibilmente la fine di quello stesso anno, quando i tentativi di una pacifica conciliazione con Galerio sfumarono di fronte all’attacco di Severo contro Urbe. Eppure una dedica da Tebessa, in Algeria, lo ricorda accanto a Costantino, almeno se stiamo ad una controversa restituzione proposta da Stephan Gsell. Non si può negare d’altronde che possa esser esistito un legame fra la Sardegna e Massenzio ben prima della conquista, sia perché in passato la provincia era stata sotto il controllo del padre Massimiano, che ora appoggiava il figlio nella sua scalata al potere sia perché il signore di Roma, grazie alla flotta del Miseno, finiva per esercitare un controllo anche sull’isola. Un collegio formato da cinque Augusti non sembrerebbe attestato al momento in nessuna altra parte dell’impero.

 

4. In attesa di un esame più esteso della documentazione epigrafica, attualmente non direttamente accessibile sotto il pavimento in corso di restauro, appare di maggiore interesse il discorso topografico sulla viabilità locale, utilizzando i recenti risultati delle ricerche condotte da Maria Giuseppina Oggianu e Lorenza Pazzola sulla base dei numerosi miliari che modificano alquanto l’immagine fornita dall’Itinerario Antoniniano per la via a Tibula Carales: la carta topografica che presentiamo, curata da Salvatore Ganga, rappresenta un primo tentativo di sistematizzazione dei dati disponibili.

Se collochiamo il nostro punto di vista a Bonorva, in direzione Sud possiamo lasciare da parte in questa sede intanto la strada centrale che, partita da Turris, dalla Campeda raggiungeva Carales: essa toccava l’antica fortificazione punica di San Simeone, quindi la cantoniera Tilipera in regione Salamestene e risaliva l’altopiano, superando il Punto Culminante (in località Pedra Lada, quota 669 m s.l.m., col 109° miglio da Carales), Berraghe, Padru Mannu presso il bivio per Bolotana, il ponte sul Rio Temo (miliario con l’indicazione di lavori di restauro effettuati dai Severi e massicciata di S’Istriscia); toccato il Nuraghe Boes, raggiungeva Mulargia. Qui presso il nuraghe Aidu Entos, forse al 100° miglio da Carales è stato localizzato il limite del popolo degli Ilienses, che occupavano il Marghine ed il Goceano fino al Tirso. Oltrepassata Molaria la strada proseguiva per Ad Medias, Forum Traiani e Othoca.

In direzione Nord, possiamo ugualmente sorvolare sul tronco principale per Turris Libisonis, che da San Simeone di Bonorva raggiungeva San Francesco e poi entrava in comune di Giave a Corona Pinta e Campu de Olta, per proseguire verso Prunaiola di Cheremule, Torralba, Bonnanaro, Mesumundu di Siligo. Credo vada riferito a questo tronco il  miliario di Rebeccu, più volte citato, con XLII miglia [a] Turr[e], che in passato si riteneva trasferito in età moderna, ma che potrebbe essere stato collocato nell’edificio di Sas Presones già in età tardo-antica, se chi costruì l’edificio termale raggruppò i miliari dalle aree circostanti e non dal solo punto miliario CXI.

Dobbiamo invece concentrarci sulla variante orientale per Olbia, che si originava in comune di Bonorva nella parte settentrionale della Campeda in direzione di Rebeccu all’incirca al 112° miglio (si ricordi che il Punto Culminante di Pedra Lada porta il 109° miglio da Carales) ed arrivava ad Olbia, che va ora collocata al 177° miglio. La variante era dunque lunga 65 miglia, cioè 96 km, tra Bonorva ed Olbia. Essa è parzialmente documentata anche dall’Itinerario Antoniniano con due stazioni della centrale sarda a Tibula Carales:

- Hafa oggi Mores (24 miglia, 35 km a Nord di Molaria);

- Luguidonis c(astra) oggi Nostra Signora di Castro in comune di Oschiri (24 miglia, 35 km a NE di Hafa e 25 miglia, 37 km a Sud di Gemellae-Perfugas).

La documentazione più significativa è però rappresentata dai numerosi miliari ritrovati a Nord di Bonorva (l’ultima scoperta in località Mura Ispuntones), con la numerazione delle miglia calcolata sempre da Carales, tranne il miliario di Errianoa di Berchidda che ha l’indicazione 24 miglia, calcolate evidentemente da Olbia nell’età di Magno Massimo e Flavio Vittore. Del resto anche un miliario di Sbrangatu con 5 miglia nell’età di Costantino II  (accanto a quelli con 170 miglia) ci conferma l’esistenza di un computo inverso meno frequente; ma ciò non sembra dover comportare un mutamento nella denominazione ufficiale della strada alla fine del IV secolo.

Il tratto iniziale si staccava dalla strada a Turre a Nord della Campeda di Bonorva (lungo il tratto tortuoso di Sa Pal’e Càcau); la strada per Olbia, raggiunto San Lorenzo e poi il bivio di Rebeccu, doveva toccare secondo Emilio Belli Pedra Peana e, superato su un ponte nella piana di Santa Lucia il Rio Casteddu Pedrecche, aggirava a Est la palude e raggiungeva, alle falde del Monte Frusciu, le località di Mura Ispuntones nel versante nord-occidentale dell’altopiano di Su Monte, al punto miliario 114 (168 km da Cagliari), documentato dal cippo dell’anno 248 dei due Filippi durante il governo di Publio Elio Valente.

Il punto miliario successivo era a Mura Menteda in comune di Bonorva (circa 8 km a NNE dal paese): siamo certamente al 115° miglio da Carales (170 km), come testimonia un miliario di Costante Cesare posto tra il 333 ed il 335 dal perfettissimo  Fl(avius) Titianus.

La strada procedeva quindi per S’ena ‘e sa Rughe, passava il rio Badu Pedrosu, proseguiva ad Est per la borgata di Monte Cujaru, la caratteristica collina vulcanica del Logudoro, che ci ha restituito (senza la numerazione delle miglia) i miliari che attestato dei restauri al tempo di Filippo l’Arabo con il praefectus et procurator provinciae Sardiniae M. Ulpius [V]ictor, di Valeriano e Gallieno con [P. Maridius Ma]ridian[us], di Diocleziano e Galerio con il governatore Val. Fla[vianus]; il cippo dedicato a Costantino il Grande con il già ricordato governatore vir clarissimus T. Semptimius (!) Ianuarius si configura invece come un miliario “di  propaganda” (si noti la formula finale devotus numimi maiestatique eius) piuttosto che prova di reali lavori condotti.

Da località ignota nei pressi di Bonorva, probabilmente in un punto corrispondente al 116° o 117° miglio, durante dei lavori agricoli svoltisi nel 1973, proviene un cippo irregolarmente cilindrico di trachite, sul quale si legge il nome di [H]eraclitus, forse riferibile al governatore della Sardegna fra il principato di Decio e quello di Treboniano Gallo e Volusiano.

La strada proseguiva lungo il viottolo campestre che costeggia Planu Chelvore presso Monte Calvia: da qui provengono i miliari con il 117° miglio da Carales, uno dei quali fu posto dal prefetto Octabianus a Massimino il Trace.

Il punto miliario successivo (dove sono stati scoperti ben cinque cippi) è quello del versante occidentale della valletta di Code all’estremo lembo orientale del comune di Torralba, con l’indicazione del 118° miglio nell’età di Elagabalo (anno 220) e del divo Aureliano. La medesima località ha restituito inoltre cippi dedicati ai Cesari Erennio Etrusco e Ostiliano, probabilmente a Decio o Treboniano Gallo e Volusiano da M. Ant. Sept. H[eraclitus], a Valeriano e Gallieno da [P. Maridius Ma]rid[ianus], per Costanzo Cloro, Galerio, Valerio Severo e Massimino Daia, forse ad opera di Valerio Domiziano, a Costanzo Cloro dal già ricordato Valerio Domiziano: in quest’ultimo caso il cippo non fu posto per un reale o presunto restauro della strada ma più verosimilmente come atto di devozione del governatore all’imperatore che nella gerarchia tetrarchica deteneva, almeno nominalmente il primato nel collegio degli Augusti.

Resti delle carraie rimangono presso il nuraghe Mendula, da dove la strada raggiungeva la depressione di Silvaru-Add’e Riu in comune di Mores, con almeno tre miliari (due con il 119° miglio da Carales) come quello di M. Ulpius Victor sotto Filippo l’Arabo o quello di M. Calpurnius Caelianus sotto Valeriano e Gallieno o quello di M. Aurelius Quintillus sotto l’impero del fratello Claudio il Gotico.

La strada raggiungeva Su Coticone di Mores, con il miliario ancora di M. Ant(onius) Sept(imius) Her[aclitus] a Decio, Erennio Etrusco e Ostiliano; toccava quindi Planu Alzolas e superava il Rio Mannu di Mores sul Ponte Edera o meno probabilmente  sul Ponte Etzu di Ittireddu.

Alla periferia di Mores, in località Santa Maria ‘e Sole presso la collina dal caratteristico toponimo Montigiu de Conzos va collocata la stazione di Hafa, che si trovava secondo l’Itinerario Antoniniano 24 miglia, 35 km a Nord di Molaria; la strada toccava forse San Giovanni Oppia, la Tola di Mores e raggiungeva il bivio di Sant’Antioco di Bisarcio: qui, in località San Luca, va riportato il miliario del Cesare Delmazio che conserva la menzione del 131° miglio da Carales. La strada si dirigeva decisamente ad Est, superava quindi il Rio Mannu di Ozieri sul Pont’Ezzu di Ozieri (un grande ponte a sei arcate, lungo quasi un centinaio di metri), quindi evitava l’area paludosa del Campo di Ozieri; altri ponti sono quelli di Badu Sa Femmina Manna e di Castra, coperto dal lago Coghinas; qui la strada raggiungeva Nostra Signora di Castro in comune di Oschiri, dove localizziamo i Luguidonis c(astra) della cohors III Aquitanorum, della cohors Ligurum e della cohors Sardorum.

Come si vede, la documentazione rimastaci è abbondante e testimonia un’attenzione del governo imperiale per la viabilità tra il Meilogu, il Monteacuto e la piana di Olbia che si sviluppa soprattutto in età tardo antica: solo alla fine del IV secolo risale dunque l’edificio di Sas Presones che reimpiega miliari stradali che dall’età di Galerio arrivano almeno fino a Costantino od a  Giuliano. La vitalità del territorio appare sicura almeno fino all’arrivo dei Vandali alla metà del V secolo, di cui ci rimane una testimonianza vivacissima, l’affondamento delle navi del porto di Olbia.

A.Mastino, P. Ruggeri, La viabilità della Sardegna romana. Un nuovo praetorium  a Sas Presones di Rebeccu a nord della biforcazione Turris-Olbia ?, in Palaià Filìa. Studi di topografia antica in onore Giovanni Uggeri, a cura di Cesare Marangio e Giovanni Laudizi, Mario Congedo editore, Galatina 2009, pp. 555-572.

Riassunto: Storia. La viabilità della Sardegna romana. Un nuovo praetorium a Sas Presones a Rebeccu, “Almanacco Gallurese”, Giovanni Gelsomino editore, 2009-10, pp. 314-320.

Ultimo aggiornamento Giovedì 31 Dicembre 2015 16:17

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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