Cartagine, il Mediterraneo centrale e la Sardegna:
società, economia e cultura materiale,
Giornata di studio in onore di Piero Bartoloni,
Sant’Antioco, Museo Ferruccio Barreca, sabato 29 luglio 2017
Intervento conclusivo di Attilio Mastino
Cari amici,
questa giornata si è aperta con i saluti del nuovo Sindaco del comune di Sant’Antioco, Ignazio Locci, che ha voluto ricordare gli anni in cui ha svolto l’impegnativa funzione di Presidente del Consiglio degli studenti nell’Università di Sassari. Un momento luminoso e felice, che ci ha visto lavorare fianco a fianco in un Ateneo vivo e aperto. Credo che l’Amministrazione comunale avrà una marcia in più con questo Sindaco che ha alle spalle una straordinaria esperienza di relazioni e di rapporti positivi.
Abbiamo poi ascoltato gli interventi dell’Assessore alla cultura Rosalba Cossu e del direttore del Dipartimento di storia, scienze dell’uomo e della formazione dell’Università di Sassari Marco Milanese, impegnato in questi giorni negli scavi di Mesumundu a Siligo, con tante novità che riguardano innanzi tutto la viabilità in età imperiale e tardo-antica.
Stamane, in apertura di questa giornata speciale, con il sindaco ed il direttore Piero Bartoloni (che oggi abbiamo festeggiato), assistiti da Sara Muscuso e da Michele Guirguis, abbiamo firmato il protocollo d’intesa tra il Museo Archeologico “Ferruccio Barreca di Sant’Antioco” e la Scuola archeologica italiana di Cartagine, fondata il 22 febbraio 2016. Porteremo a ratifica il documento nella riunione di Tunisi delle prossime settimane.
La Scuola si propone di favorire con le sue attività forme di coordinamento tra iniziative che caratterizzino la cooperazione italiana in Tunisia (e più in generale nei Paesi del Maghreb) in ambito scientifico-culturale. Essa ha l’obiettivo di configurare un intervento organico, collegiale e articolato, capace di:
• incoraggiare opportunità di ricerca, formazione e diffusione delle conoscenze sul patrimonio relativo alle civiltà preistoriche e protostoriche, preclassiche, classiche, tardo-antiche, islamiche, moderne;
• valorizzare gli apporti di ogni singola iniziativa in questo campo, mantenendo una visione ad ampio spettro e un coordinamento funzionale;
• contribuire attivamente al dialogo interculturale e alle politiche di sviluppo della Tunisia (e più in generale dei Paesi del Maghreb).
La SAIC sottoscrive accordi di cooperazione scientifica con istituzioni locali (tunisine, italiane e di altri Paesi) preposte all’arricchimento, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale, in particolare con l’Institut National du Patrimoine di Tunisi (INP), con l’Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle di Tunisi (AMVPPC) e le Università tunisine, con analoghi Istituti e Università del Maghreb.
Il Consiglio Scientifico della Scuola è composto oltre che dal Presidente da Piero Bartoloni (Presidente onorario), Sergio Ribichini (Segretario), Michele Guirguis (Tesoriere), Antonio Corda, Pier Giorgio Spanu e Alessandro Teatini. Presto provvederemo all'integrazione del Comitato Scientifico con altri due componenti. Il numero dei soci si sta avvicinando a 200.
Questo protocollo d’intesa che oggi abbiamo firmato prevede una collaborazione quinquennale tra SAIC e Museo di Sant’Antioco nei seguenti ambiti:
- Salvaguardia, tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio archeologico;
- Ricerca scientifica e innovazione relativamente alle Scienze Storiche, Archeologiche e dell’Antichità, alla Storia dell’Arte, alla Conservazione, alla Valorizzazione e al Restauro dei Beni culturali;
- Formazione e divulgazione;
- Dialogo interculturale e collaborazioni transfrontaliere.
In occasione di questa lunga giornata di studio, che si colloca in una lunga serie di iniziative (penso al primo volume degli “Incontri Insulari” del 2007 sull’Epigrafia romana in Sardegna curati da Francesca Cenerini e Paola Ruggeri), sono state svolte oltre venti relazioni affidate ad alcuni nostri maestri provenienti dalla Spagna, dalla Tunisia, dall’Olanda (ora dagli Stati Uniti), dall’Italia, ma anche a nostri colleghi e a tanti giovani e promettenti studiosi. Hanno presieduto i lavori Pier Giorgio Spanu e Lorenzo Nigro. Il nostro Maestro M’hamed Hassine Fantar, impossibilitato ad essere presente, ci ha inviato un lungo affettuoso messaggio, che lascia trasparire un costante impegno per la ricerca, una sensibilità e un’amicizia davvero sorprendenti. Nel volume degli Atti pubblicherà un articolo su Carthage et les cités puniques de Byzacène.
Arrivando stamane da Sassari, raggiunto il ponte romano e osservando i paesaggi antichi, il mare, la laguna, la collocazione della città di Sulky sul versante orientale dell’insula Plumbaria, perfino il clima e il caldo africano, per un attimo ci siamo sentiti proiettati in una dimensione lontana, quella dei naviganti arrivati da Cartagine; poi l’ambientazione del tavolo della Presidenza di quest’incontro e la collocazione dei nostri relatori tra i due monumentali leoni in pietra di Sulci in questo Museo (fortemente voluto da Piero Bartoloni e curato dalla Cooperativa Archeotour) ci introduce ad un mondo che in qualche modo conserva il senso profondo di una storia mediterranea lunga e ricca di relazioni. Grazie a Michele Guirguis e alla curatrice del Museo Sara Muscuso per l’idea, il progetto, la realizzazione di questa intensa giornata che rende onore ad un maestro e a un amico, al quale ci legano rapporti di affetto, di riconoscenza, di amicizia. Grazie agli organizzatori, ai relatori, ai nostri carissimi allievi della Scuola di specializzazione Nesiotikà, alcuni appena rientrati dalla Tunisia, ai nostri meravigliosi studenti. Grazie ad Alberto Moravetti per la sua presenza.
Questa “Maratona Bartoloni”, come l’ha definita Lorenzo Nigro, ci ha restituito un quadro sempre più ricco e complesso, con novità davvero rilevanti; abbiamo imparato tante nuove cose e voglio esprimere l’ammirazione per le attività di ricerca portate avanti simultaneamente da tanti gruppi di ricerca collegati tra loro in rete, in quelle che sono vere e proprie imprese scientifiche alcune a carattere internazionale. Quello che sarà pubblicato nella collana delle “Monografie della Scuola archeologica italiana di Cartagine” sarà un volume splendido, ricco di cose nuove. Da un punto di vista geografico ci siamo mossi da Cartagine (con Rosana Pla Orquín) al museo di Kerkouane in Tunisia (con il nostro carissimo Mounir Fantar); da Ibiza in epoca arcaica nelle Baleari (Juan Ramón Torres); dall’area sacra fenicia di Pyrgi in Etruria scavata nel 2016 (Laura Michetti) al tofet e dalle necropoli di Mozia in Sicilia nel rapporto della piccola isola con il retroterra siculo indigeno (Lorenzo Nigro). Infine in Sardegna, da Olbia e Posada (Giuseppe Pisano, Rubens D’Oriano), con una straordinaria conferma della fase greca di VI secolo, documentata a San Simplicio in contesti chiusi, ora con le patere baccellate e le anfore chiote che conservano le scritture antiche, che si aggiungono ai dati ben noti; e poi la sintesi di Giovanna Pietra sul’urbanistica di Karalis tra fase punica e occupazione romana, con il ruolo di una grande capitale mediterranea aperta ai culti testimoniati da tanti santuari collocati attorno a Piazza Yenne, Via Malta, Via Manno, Via Angioy, Largo Carlo Felice nel II secolo a.C.; senza dimenticare le “piccole cose”, tanto vivaci e espressive capaci di emozionarci, dalla necropoli di Tuvixeddu (Donatella Salvi); e poi la sintesi delle ultime ricerche a Cuccureddus di Villasimius con Michele Guirguis, che inizia a ripercorrere antiche strade tracciate da Piero Bartoloni e Luisa Anna Marras, il santuario fenicio, le cretule in argilla che ci riportano ancora a Cartagine e al tempio di età augustea; Elisa Pompianu ha allargato l’orizzonte fino alla necropoli punica di Villamar; ancora Sara Muscuso, Antonella Unali, Rosana Pla Orquín hanno affrontato in modo unitario il tema di Sulky, con i dati relativi alle nuove indagini territoriali, i pozzi, i ruscelli, gli approdi per le tante merci importate; e i nuovi scavi, come quelli del Cronicario, verso la ricostruzione di una società complessa, con una aristocrazia attiva e dinamica e un mondo colorato e vivace fatto di magistrati, sacerdoti e di sacerdotesse riconosciuti dalla comunità per il loro prestigio e la loro influenza sociale.
Da un punto di vista cronologico abbiamo spaziato dai modelli levantini per le statue degli eroi di Mont’e Prama alla fine dell’età nuragica (con Raimondo Zucca) fino alla basilica del martire africano Speratus a Sulci, documentata nella fase giudicale (Sabina Cisci), sempre seguendo il filo rosso della cultura materiale, delle diverse forme ceramiche, come nella bella relazione di Carlo Tronchetti sulla ceramica attica di IV secolo a.C. A parte l’archeologia, abbiamo trattato di epigrafia, di filologia berbera e semitica e di topografia (Intassar Sfaxi), di Archeozoologia (Gabriele Carenti), di Archeologia pubblica con il progetto di riabilitazione di pazienti psichiatrici a Tuvixeddu (Francesco Arca). E poi la museografia, la necessità di costruire dentro i musei veri e propri centri di ricerca, per riuscire a farne luoghi vivi di confronto e di progettazione del futuro, di difesa delle identità, di formazione, di progettazione europea.
Del resto chi ha progettato questo nostro incontro non poteva farlo meglio.
Vorrei dire che abbiamo messo a confronto anche modelli interpretativi, categorie, grandi contenitori che hanno indirizzato in questi anni la ricerca, con risultati straordinari come quelli presentati da Peter Van Dommelen che ha aperto una nuova finestra sui paesaggi rurali (fin qui assolutamente trascurati) della Sardegna punica.
Allora mi sembra salutare una riflessione su tanti temi sui quali spesso passiamo troppo leggeri: intanto il tema dell’”originalità” dell’arte sarda e dell’identità della Sardegna tardo-nuragica, con la scoperta di influssi culturali differenti, suggestioni, stimoli e modelli dall’oriente nei bronzetti e nella statuaria tardo-nuragica; il tema della “resistenza”, delle “sopravvivenze puniche” e delle “persistenze indigene” che già Marcel Benabou aveva contestato nella presentazione al VII volume de L’Africa Romana (Sassari 1989), perché si tratta di "un sujet qui n’était peut-etre pas sans risques", con il dovere di andare progressivamente verso "l’élargissement et l’approfondissement", sul piano geografico, cronologico, tematico e metodologico. Ce lo ha ricordato Alfonso Stiglitz che, con una piccola palinodia, ha parlato di “perdita dell’innocenza” e della necessità di superare la “critica postcoloniale” con categorie diverse, quelle della “subalternità” e, gramscianamente, dell’”egemonia”.
Per chi come me ha studiato da ragazzo Antropologia Culturale per la Scuola di Studi Sardi sul volume di Alberto Mario Cirese su Cultura egemonica e culture subalterne : rassegna di studi sul mondo popolare tradizionale (Palumbo 1976), questi concetti appaiono scontati, anche se forse andrebbero ripensati, in un mondo, quello di oggi, che ormai ha assunto una dimensione globale, dove avvertiamo sempre di più la necessità di manifestare concretamente il più grande rispetto per le tradizioni culturali e religiose, per la profondità delle diverse storie e delle diverse culture, per il patrimonio culturale, con la consapevolezza che esistono variabili geografiche e cronologiche nel momento in cui culture diverse entrano in contatto, sempre evitando di perdere la concretezza e di piegare il dato scientifico a schemi ideologici; lasciando da parte la voglia di creare gerarchie che forse non sono mai esistite se non all’interno delle singole società: come non pensare già all’oraziano Graecia capta ferum victorem cepit, Epistole, II, 1, 156 ? Ne abbiamo parlato qualche anno fa in un dibattito che ci aveva davvero coinvolto all’Università di Herat in Afganistan con Giovanni Cocco, Cristiano Galli, Chiara Rosnati, Manlio Scopigno, Roberto Scotti, Sergio Vacca (I maggio 2014). Rimango persuaso dell’attualità del pensiero di Gramsci oggi e del resto le due categorie “cultura egemone” e “culture subalterne” sono state usate con grande finezza da Peter Van Dommelen, con questa sua concentrazione sul mondo contadino nelle società precapitalistiche che è stata definita anche metodologicamente in tanti suoi noti lavori, ultimi tra i quali citerei almeno nel 2011 Postcolonial archaeologies between discourse and practice, “World Archaeology”, 43.1, pp. 1-6 e nel 2014 Subaltern archaeologies, in N. Ferris, R. Harrison and M. Wilcox (eds.), Rethinking Colonial Pasts through Archaeology, Oxford University Press, pp. 469-475.
Eppure rimango convinto che dovremmo sempre diffidare di alcune categorie astratte oggi molto di moda (“politicamente corrette” per usare l’espressione di G.A. Cecconi) e che sarebbe necessario usare la massima prudenza per interpretare il mondo antico: appare evidente la necessità di evitare semplificazioni che non tengano conto della complessità delle situazioni nel tempo e nello spazio. Per usare le parole di Marco Tangheroni (nel volume postumo Della Storia. In margine ad aforismi di Nicolàs Gomez Davila, edito da Sugarco Edizioni di Milano), occorre <<tener conto della complessità della storia>>; <<una storia che metta l’uomo al centro del dibattito, che superi interpretazioni schematiche e superficiali, dominate dalle forze materialistiche>> (è il concetto anglosassone di human agency, che Peter Van Dommelen ha evocato per noi); del resto non ci si può <<concentrare su una sola causa, mentre la storia è frutto di più cause concomitanti e diverse>>. Perché - questo è il fulminante aforisma di Gomez Davila - <<quello che non è complicato è falso>>, se vogliamo quello che è semplice, semplicemente non è mai esistito. Gli storici rischiano di trasformare la storia in una disputa teologica, dimenticando l’oggetto stesso della ricerca, proponendo generalizzazioni che ci appaiono di <<un’ingenuità che intenerisce, come a proposito dei rapporti tra struttura e sovrastruttura>>.
Marco Tangheroni chiedeva più rispetto per la complessità della storia senza rinunciare a stabilire connessioni, a mettere ordine, a proporre linee di riorganizzazione del passato, per comprendere e spiegare: fondamentale è il concetto che l’inquietudine sul proprio mestiere debba accompagnare sempre gli storici che non vogliono travisare quella realtà che è oggetto dei loro studi. Dunque cosa conosciamo, come conosciamo, quali sono i limiti della nostra conoscenza, quali ne sono le fonti, elementi tutti che danno al mestiere dello storico un carattere artigianale e addirittura artistico e che rendono fondamentale la fase di apprendistato nella quale i maestri debbono seguire i loro allievi. Occorre ancorarsi fortemente ad un periodo storico, ad una realtà geografica, come Tangheroni ha fatto con il volume La città dell’argento del 1985, per restare sul versante sardo. Per capire occorre cercare strade nuove e i tempi appaiono maturi per considerare ora l’archeologia come strumento fondamentale per comprendere l’antico: Marco Tagheronni suggeriva allora un metodo, quello dei suoi minatori medioevali di Iglesias, quando un filone perdeva un po’ d’interesse, apriva un nuovo scavo.
Al di là dei risultati scientifici e degli orizzonti nuovi che si aprono, questa è stata soprattutto una festa in onore di un nostro amico, Piero Bartoloni. A me personalmente mancano le “prolusioni” che abitualmente Piero mi obbligava a subire nei miei corsi di storia romana a Sassari, tra il serio e il faceto, che davano comunque ai nostri studenti di Scienze dei beni culturali un incredibile entusiasmo e il sapore vero di interessi e di passioni coltivate per una vita, come ha scritto Tito Siddu su “L’Unione Sarda” del 26 luglio. Abbiamo ricevuto in questi giorni sul sito facebook Sardinia Antiqua (che per tre settimane ha superato i 100 mila contatti) i messaggi di auguri più affettuosi e più disparati (voglio citare almeno Daniele Castori, Clara Gebbia, Anna Pasqualini, Fiorenzo Toso), compreso quello di una nostra amica romana, che nell’occasione si è ricordata di aver avuto in prestito cinquanta anni fa un libro di Tacito da Piero Bartoloni e ci ha assicurato che sta entrando nell’ordine di idee di restituirlo prima o poi al proprietario.
Al di là degli scherzi, ho sempre ammirato in Piero Bartoloni questo suo straordinario riconoscimento verso i maestri, verso M’hamed Fantar (al quale l’Università di Sassari ha conferito la laurea ad honorem il 22 febbraio 2008 su proposta di Piero Bartoloni), ma anche Ferruccio Barreca (al quale è dedicato il Museo Archeologico di Sant’Antioco) e soprattutto Sabatino Moscati, ricordato sulla targa della strada che conduce al Museo e soprattutto prima nell’Istituto per la Civiltà fenicia e punica del CNR (del quale Bartoloni è stato Direttore dal 1997 al 2002), poi nel Centro di ricerca di Palazzo Segni nell’Università di Sassari e ora nella Biblioteca che inaugureremo il 6 ottobre a Tunisi nella splendida nuova sede dell’Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle, di fronte all’Istituto Italiano di Cultura, grazie alla generosità della famiglia e all’impegno personale del suo allievo di sempre.
Ma considero Piero Bartoloni davvero fortunato, se è stato capace di creare una sua “Scuola”, grazie a questa sua generosità, a questa sua capacità di occuparsi con pienezza dei suoi magnifici allievi, anche se alcuni come Michele Guirguis, Antonella Unali ed Elisa Pompianu hanno perfino rischiato la vita sull’elicottero della Guardia di Finanza per aiutarlo a costruire il volume Fenici al volo, che ci ha consentito poi di scoprire il paesaggio antico dell’Isola dalle vene d’argento, visto in rapporto con l’ambiente naturale, i monti, i mari, i fiumi, i monumenti, le aree trasformate dall’uomo, per capire nel profondo le vicende di una terra – Ichnussa, Sandaliotis, Sardinia, Sardò - che conserva una bellezza che spesso ci lascia senza fiato.
Lorenzo Nigro ci ha mostrato una foto nella quale scherzosamente Piero Bartoloni compare come “combattente”: del resto l’abbiamo visto anche stasera difendere con le unghie e con i denti una sua allieva che temeva minacciata. Eppure se c’è una costante nella vita di Piero Bartoloni è stato il suo stile, il distacco dalle polemiche, la capacità di ridimensionare anche con il silenzio ipotesi poco solide o addirittura infondate, soprattutto la consapevolezza che esiste una dimensione alta per la ricerca scientifica ed esiste uno spazio che va lasciato alla libera creatività, alla fantasia, al mistero, un territorio nel quale sarebbe ingiusto ingerirsi ogni giorno sprecando il proprio tempo ad inseguire fantasmi. Ma questo è un modo nobile di ragionare.
Del resto non è secondario nella sua carriera il fatto che abbia ricevuto una formazione militare alla Scuola “Nunziatella” di Napoli così come il fatto che si sia laureato in Filologia Semitica a Roma, relatore Sabatino Moscati, con una tesi sull'insediamento di Monte Sirai (Carbonia-Cagliari), che sarebbe stata presentata già nel 1965 nel XV volume di “Studi Semitici”. Questo indirizzo “filologico” nella formazione che precede o si accompagna alla scelta di “archeologo militante” riemerge in alcuni dei suoi allievi ed oggi è apparso evidente nella bella relazione di Intissar Sfaxi dell’Ireman di Aix-en-Provence, dedicata allo studio dei numerosi omonimi rilevati nelle due distinte aree linguistiche libico-berbera e fenicio-punica. Dirigente di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dal 1990, Piero Bartoloni è stato professore di Archeologia del Vicino Oriente e poi fino al 2000 di Archeologia fenicio-punica nell'Università di Urbino. A Sassari ha partecipato ai nostri convegni de “L’Africa Romana” fin dalla terza edizione del 1985; nel 1987 ha presentato una relazione sugli Aspetti protostorici di età tardo punica e romana nel Nord Africa e in Sardegna, per poi tornare all’impianto urbanistico di Monte Sirai in età repubblicana in occasione del decimo Convegno, svoltosi ad Oristano nel dicembre 1992. Dieci anni dopo, il 15 marzo 2001, prendeva servizio presso la nostra Facoltà di Lettere e Filosofia a Sassari, dove è stato poi Coordinatore della Scuola di Dottorato di Ricerca "Storia letterature e culture del Mediterraneo" e Presidente della Scuola di Specializzazione in Archeologia subacquea e dei paesaggi costieri dell'Università di Sassari (sede di Oristano). Nel frattempo effettuava missioni archeologiche, prospezioni terrestri e subacquee e viaggi di studio in Italia, in Africa, in molti altri paesi. Dal 2000, per concessione ministeriale, ha diretto gli scavi archeologici a Monte Sirai e a Sant’Antioco e, con il contributo del Ministero per gli Affari Esteri, ha diretto le indagini a Zama Regia (Siliana), i cui risultati sono stati preziosi per noi per localizzare il campo della battaglia vinta da Scipione su Annibale (scherzavamo a lezione sulla sconfitta cartaginese di fronte alla strategia dell’Africano). Autore di oltre duecentocinquanta pubblicazioni a carattere scientifico, tra le quali oltre venti libri, Piero Bartoloni ha fatto parte di Accademie, Società, Comitati scientifici, ha diretto e dirige riviste e collane di pubblicazioni in Italia e in Spagna. Attualmente è il direttore scientifico delle Riviste “Folia Phoenicia” e “Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae”. Dal 22 febbraio 2016 è Presidente Onorario della Scuola Archeologica Italiana a Cartagine e in tale veste si è occupato della nascita della Biblioteca Sabatino Moscati a Tunisi.
Presentando a Sassari nel dicembre 2000 gli Atti del XIV volume de L’Africa Romana dedicato a “Lo spazio marittimo del Mediterraneo occidentale: geografia storica ed economia”, Piero Bartoloni ricordava il celebre Civiltà del mare del suo Maestro e richiamava l’immagine a lui tanto cara del Mediterraneo quale azzurro e mobile trait d’union tra i diversi popoli delle differenti sponde, che suscitano curiosità interessi per gli studiosi che guardano globalmente a tutti coloro che parteciparono alla storia del nostro mare, con al centro la Sardegna.
A nome di tutti i partecipanti a questo incontro, auguro di cuore ancora lunghi anni di attività, con le passioni e l’entusiasmo di sempre.
Ultimo aggiornamento Domenica 20 Agosto 2017 09:07