Il viaggio di Enea fino a Cartagine

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Scritto da Administrator | 02 Novembre 2017

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Attilio Mastino
Il viaggio di Enea fino a Cartagine
Paestum, Borsa Mediterranea del turismo archeologico, 27 ottobre 2017
Incontro “Il viaggio di Enea”
La Farnesina e la ricerca archeologica nel Mediterraneo


1. Virgilio riassume il tema delle relazioni mediterranee nel mondo antico nell’episodio della tempesta raccontato nel I libro dell’Eneide: le navi di Enea, partite da Drepanum in Sicilia, dove è stato sepolto Anchise, arrivate all'altezza delle isole Eolie, vengono disperse dai venti scatenati da Eolo, istigato da Giunone (la Tanit-Caelestis dei Punici). La tramontana (Aquilo) investe la vela della nave di Enea e solleva le onde fino al cielo; si spezzano i remi e la nave, offrendo i fianchi ai marosi, è ormai incapace di governare; le onde frante in cresta minacciano la stabilità di alcune triremi, mentre le altre sono spinte verso le secche, dove si formano mulinelli di sabbia (1, 102-7). Notus, il vento da Sud corrispondente all'Austro, getta tre navi sugli scogli, su quei saxa latentia chiamati Arae [Neptuniae o Propitiae] dagli Itali, che si innalzano sul mare di Libia con un dorso smisurato (1, 108-110). Euro poi, vento di Sud-Est (dunque lo Scirocco), spinge altre tre navi (si noti la ripetuta triplicazione rituale), le incaglia sui fondali e le circonda a poppa e sui fianchi con un argine di sabbia, rendendo impossibile la navigazione; è appunto ad Euro che è attribuita da Enea la responsabilità maggiore della presunta perdita di 13 delle 20 navi (1, 383). Una settima nave, quella dei Licii guidata da Oronte, viene investita di poppa da un'ondata ed affonda in un vortice dopo aver ruotato per tre volte su sé stessa (1, 113-9); alla fine risulterà essere l'unica nave andata a fondo. Anche le navi di Ilioneo, di Acate, di Abante e di Alete si trovano in difficoltà, perché le ondate provocano ampi squarci lungo le fiancate, aprendo pericolose falle (1, 120-3); alcune sono gettate dagli Austri in vada caeca ..../.... perque invia saxa (1, 536-7), anche se poi gli Eneadi riescono a toccare terra.

Si discute sulla localizzazione della flotta di Enea nel corso della tempesta e sulla durata della navigazione inizialmente in direzione dell’Ausonia, il Lazio abitato dai Silvii e poi dai Latini, in realtà dirottata dai venti verso Cartagine dalle Arae Philenorum al fondo della Grande Sirte: oggi si preferisce però  seguire Servio ed identificare di conseguenza le Arae del v. 109 con le Arae Neptuniae o Propitiae, scogli tra Africa, Sicilia, Sardegna ed Italia (citati anche in Plin., NH 5, 7, 42); su tali scogli (residuo di una più vasta isola sommersa), scelti ad indicare il confine tra l'impero romano e l'area sottoposta al controllo cartaginese, sarebbe stato stipulato uno dei trattati tra Roma e Cartagine, forse quello del 234 a.C.: ibi Afri et Romani foedus inierunt et fines imperii sui illic esse voluerunt (Serv., ad Aen. 1, 108). Tali Arae Neptuniae sono generalmente identificate con lo scoglio Keith nella grande secca di Skerki, poco a Sud-Est di Cagliari, ove i fondali sabbiosi raggiungono a 4-5 metri di profondità e dove è certo difficile navigare col mare in burrasca, anche per le imbarcazioni di modesto pescaggio quali dovevano essere le triremi immaginate da Virgilio, a causa della forte corrente e in qualche caso dei frangenti.

Alla luce degli ultimi studi mentre Enea spinto da Aquilone avrebbe navigato verso Sud fino alla Grade Sirte secondo la rotta già attribuita agli Argonauti (Arae Philenorum), raggiungendo Cartagine in costruzione (dove avrebbe conosciuto la regina fenicia Didone), i suoi compagni (gli Iliensi) con le tre navi spinte da Noto sarebbero sbarcati in Sardegna, originando un popolo della Barbaria al confine con il fiume Tirso: per Diodoro Siculo i Sardi Iolei-Iliensi discendenti dei Greci e dei Troiani ancora all’età di Cesare erano liberi, non soggetti alla dominazione di altri popoli,  indipendenti e sovrani (V, 15). A giudizio degli studiosi sarebbero stati i fondatori della letteratura latina Ennio (con gli Annales) e Catone (con le Origines) a creare una sorta di “parentela etnica” tra Romani, Siculi e Sardi, tutti discendenti dai profughi che avevano abbandonato Ilio in fiamme: entrambi gli autori (Ennio e Catone)  hanno effettivamente partecipato in Sardegna alla guerra annibalica e combattuto contro i Sardi Pelliti in una terra fertile e marchiata dai nuraghi, le arcaiche costruzioni preistoriche che il mito greco voleva edificate su un progetto dell’eroe Dedalo giunto da Creta e poi da Camico in Sicilia (dalla corte del re Kokalos), prima di ritirasi  a Cuma: l’interesse per i mirabilia sardi è tipico della storiografia siceliota, come testimonia proprio la vitalità del mito di Dedalo.

2. La fondazione di Cartagine tra Didone e Augusto.

Dieci anni fa ad Olbia per il XVIII convegno de L'Africa Romana avevamo richiamato lo sbarco di Enea a Cartagine, raccontato nell’Eneide: con gli occhi dell’eroe ci rimane l’immagine dei costruttori di Cartagine, sul colle della Byrsa concesso dai Numidi ingannati dalla regina che astutamente  aveva tracciato il perimetro della città con la pelle di toro tagliata a strisce.

Enea dalle colline vicine osserva con l’amico Acate la città, il traffico, le vie; ammira i palazzi (un tempo capanne), le porte, il lastricato delle vie (miratur molem Aeneas, magalia quondam, / miratur portas strepitumque et strata viarum). Scrive Francesco Della Corte ne La mappa dell’Eneide: la città è tutta un cantiere attivo di lavori: i porti scavati per formare un bacino, con i teatri, i tribunali, i templi.

Sono gli architetti della regina Didone che Virgilio rappresenta pieni d’ardore, affaccendati e impegnati nella costruzione della colonia fenicia, con le sue mura gli ingenta moenia, con le sue torri, con i suoi templi, la basilica per l’amministrazione della giustizia, la curia per ospitare il senato: come si vede Virgilio  pian piano dalla città di Didone arriva alla colonia romana Iulia Augusta.

I Tiri pieni d'ardore lavorano con gran chiasso:

alcuni elevano mura, costruiscono la rocca

e rotolano macigni con le mani, altri scelgono

il luogo dove alzare la propria casa e intorno

vi disegnano un solco, altri eleggono i giudici,

le cariche pubbliche e il sacro senato;

alcuni scavano i porti, altri in profondità

gettano le fondamenta d'un teatro o ricavano

da blocchi di pietra colonne smisurate,

altissimi ornamenti della futura scena.

 

Nel rappresentare i costruttori di Cartagine che si affaccendano come migliaia di api in un alveare al principio dell’estate per produrre il miele che profuma di timo, è evidente che Virgilio pensa alla colonia augustea che negli anni in cui scrive sorge come una grande capitale mediterranea, dove il Proconsole d’Africa si trasferisce da Utica, con la nuova basilica giudiziaria tipicamente romana, che sarebbe del tutto anacronistica in età fenicia. Nel fervore degli structores Tyrii della Carthago di Didone, Enea profugo da Troia ma anche ospite accolto con rispetto dalla Regina, vede, con gli occhi di Virgilio, il solco dell’aratro che segna il limite sacro di una colonia, rinnovando il dolore e la speranza che anima coloro i quali costruiscono una nuova città, in contrasto con la visione della sua originaria patria -Ilio- distrutta dalle fiamme.

Non c’è dubbio che Virgilio rifletta nel racconto della Cartagine nascente l’esperienza urbanologica di età augustea in Africa, con il theatrum dalle immanes columnae della frons scaenae tratte dalle cave in cui maestranze addestrate lavorano indefessamente a trarre il materiale lapideo della nuova città.  O ancora con le portae delle mura e gli strata viarum, le viae urbane silice stratae. I versi virgiliani esaltano l’attività degli uomini di buona volontà, anche se pure gli dei e le dee sono considerati a tutti gli effetti coinvolti in uno studium e in un’ars che nobilita chi la pratica. Più in generale, Virgilio trova le parole per rappresentare il paesaggio trasformato dall’uomo ai margini del lago di Tunisi, presso il tempio di Giunone eretto dalla regina, là dove si era compiuto il ritrovamento del teschio di un cavallo annunciato dall’oracolo:

 

"O fortunati coloro le cui mura già sorgono!"

esclama Enea, guardando i tetti della città.

 

Il dolore di Enea si moltiplica quando proprio nel tempio di Giunone osserva gli affreschi che rappresentano la scena di Achille che trascina il cadavere di Ettore e lo vende a peso d’oro a Priamo;  la distruzione di Troia, la città orientale dalla quale proviene:

 

Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt,

la storia è lacrime, e l'umano soffrire commuove la mente.

 

Non possiamo andare oltre e mi limiterei a richiamare i numerosi autori che si sono occupati della permanenza di Enea a Cartagine e del rapporto con la regina. Da ultimo Francesca Rigotti ha attualizzato il tema di Didone-Elissa fondatrice di Cartagine, che nel suicidio col ferro e col fuoco vede <<un motivo in più per sottrarla alla dimensione femminea del primato del cuore e riassegnala al primato della politica nella sua qualità di eroina fondatrice e guida della sua gente, di regina capace di affrontare dure prove>>, una donna divina, un capo guerriero certamente a suo agio nel mondo degli eroi fondatori, inesorabilmente maschi.

Più di recente Virgilia Lima sui “Dialoghi Mediterranei” ha riflettuto sui profughi di ieri e di oggi, tra diffidenza, accoglienza e integrazione: sulle orme di Enea, da hostis a fondatore di Roma, nemico per  i Rutuli del Lazio, ma hospes per la prima Didone e per i fenici. Il gioco virgiliano tra le parole  hostis ed hospes è attualissimo: come non avvicinare Enea fuggiasco che abbandona la città in fiamme agli immigrati di oggi provenienti da Palmira o da Rakka o da Idblil presso Ebla, accolti con emozione ma anche con sospetto in un’Europa scintillante e desiderata, incapace di accogliere e integrare i profughi di guerra ?

Sull’ara provinciale dedicata a Cartagine da  P. Perellius Edulus nell’età di Augusto è rappresentato Enea rivestito della corazza che su impulso degli dei trasporta il padre Anchise (che indossa una toga romana) e il figlioletto Ascanio in abito frigio, con un’inversione che indica il desiderio di Roma di tornare alle origini troiane, un progetto che solo Costantino realizzerà con la nascita della seconda Roma, a Costantinopoli: l’immagine, che vediamo in tante altre località mediterranee toccate nel mitico viaggio dell’eroe che salva i suoi Penati, sintetizza la storia di generazioni diverse che arrivano fino ai nostri giorni, se Enea progettava veramente la formazione di una nuova città, di una nuova discendenza, di una nuova lingua, in una parola di una nuova cultura di pace in un Mediterraneo devastato dalla guerra.

 

3. L’Africa in età romana.

Questa riflessione è iniziata fin dal 1982 con  la storia trentennale dei nostri incontri intitolati “L’Africa Romana”, che hanno segnato una prospettiva di ricerca nuova, interattiva, con la presenza di centinaia di archeologi storici, epigrafisti, studenti,  con l’ampia collaborazione con i diversi Istituti di ricerca, con molte Università, con numerose Società Scientifiche internazionali, infine con i giovani dell’Associazione Nazionale Archeologi.

In questa impresa, abbiamo sempre voluto distinguere la componente “africana” e “mediterranea” durante il periodo romano al di là della definizione di sintesi  “L’Africa Romana”.  I nostri Convegni hanno avuto da sempre e continueranno ad avere l’obiettivo di studiare non la romanizzazione del Mediterraneo, ma alla rovescia il contributo che il Nord Africa ha dato alla romanità. In questa direzione è andato il progetto che oltre vent’anni fa ha portato alla costituzione del Centro di studi interdisciplinari sulle province romane dell’Università di Sassari, che concentra la sua attenzione su tematiche provinciali prevalentemente africane: rispetto alla Storia di Roma, che privilegia una concezione unitaria, abbiamo voluto evidenziare il processo delle annessioni dei territori mediterranei da parte di Roma ed in particolare le specificità regionali, le persistenze indigene, gli apporti originali che le differenti realtà nazionali e locali hanno espresso all'interno dell'impero romano. In questo senso lo studio della storia di una provincia o di un insieme di province può giustamente considerarsi come il complemento se non addirittura l'antitesi della Storia Romana tradizionale vista esclusivamente sotto il profilo istituzionale ed organizzativo ed intesa come ricostruzione di quella corrente che provocò un processo di livellamento che introdusse anche sul piano culturale e sociale unitari elementi romani.

Questo tipo di analisi, che nel rapporto tra centro e periferia valorizza gli apporti specifici delle diverse province e supera il tema dell'egemonia e dell'imperialismo, ha lo scopo di evidenziare la complessità del fenomeno della romanizzazione ed insieme di indicare, sul piano culturale, artistico, religioso, linguistico, le diverse soluzioni istituzionali di volta in volta adottate, le articolazioni locali ed il contributo delle singole aree: assistiamo spesso ad una vera e propria maturazione del sistema istituzionale romano, con evidenti innovazioni costituzionali; e insieme sembra andarsi modificando in continuazione l’equilibrio tra colonizzatori romani e popolazioni locali, con l’allargamento a nuovi gruppi etnici ed a nuovi territori. In molti casi i Romani poterono acquisire l’amicizia di popoli federati, legati con un foedus o addirittura tramite parentele etniche più o meno mitiche. L’occupazione dei territori extra-italici fu sostenuta soprattutto grazie al favore dei popoli alleati, alla deduzione di colonie, all’insediamento di veterani, all’attività di gruppi di mercanti italici, ad una vivace politica di municipalizzazione che finì per coinvolgere quasi tutte le città provinciali, alcune delle quali espressero anche imperatori, come Leptis Magna per i Severi.

L'utilizzazione delle fonti può consentire una valutazione globale del mondo antico e tardo antico: dalle indagini storiche e archeologiche più recenti, dalla cooperazione italo-tunisina, dalle ultime pubblicazioni scientifiche, emergono le nuove linee del processo di organizzazione municipale romana, nelle sue stratificazioni storiche e nei suoi condizionamenti determinati da precedenti realtà regionali; è così possibile un approfondimento del tema delle civitates indigene, tribù e popolazioni non urbanizzate, nomadi, seminomadi e sedentarie, raccolte intorno a re e principi indigeni, in un rapporto di collaborazione o di conflitto con l'autorità romana. La persistenza di istituzioni, abitudini, usi e costumi arcaici all'interno dell'impero romano è una delle ragioni della convivenza tra diritto romano classico e diritti locali, anche se spesso improvvise innovazioni sono entrate in contrasto con antiche consuetudini. Solo così si spiega come, accanto all'affermarsi di nuove forme di produzione, di organizzazione sociale, di scambio, in alcune aree siano sopravvissute le istituzioni locali, il nomadismo, la transumanza, l'organizzazione gentilizia, mentre la vita religiosa e l'onomastica testimoniano spesso la persistenza di una cultura tradizionale e di una lingua indigena. Altre problematiche di estremo interesse riguardano il paesaggio agrario, le dimensioni della proprietà, la pastorizia nomade, le produzioni, i commerci di minerali e di marmi come a Chemtou-Simittus, i dazi, i mercati, l'attività dei negotiatores italici o africani come a Sullectum, la dinamica di classe, l'evergetismo, la condizione dei lavoratori salariati, degli schiavi e dei liberti: temi che ora possono essere affrontati con metodi e strumenti rinnovati, grazie anche alle nuove tecniche di indagine, come l'archeologia sottomarina, da noi praticata a Nabeul; gli scavi stratigrafici come a Zama, alla ricerca del campo della battaglia tra Annibale e Scipione; le indagini territoriali come a Numuli, ad Agbia, a Thignica, a Uthina, dove opera un’équipe dell’Università di Cagliari, le prospezioni territoriali anche satellitari, l’ampio utilizzo dei droni, le catalogazioni dei materiali e dei dati su base stratigrafica, le più sofisticate applicazioni informatiche, i modelli virtuali in 3D come a Cartagine e nel Museo del Bardo.

I  nuovi  studi sulle province romane, intese come ambiti territoriali di incontro tra culture e civiltà, tendono a definire i contorni di  quella cultura unitaria mediterranea, che non appiattì le specificità locali ma che si ancorò profondamente alla realtà geografica, al paesaggio, all'ambiente, ma anche ai popoli ed agli uomini: esplorare il confine tra romanizzazione e continuità culturale, tra changecontinuity,  è compito che deve essere ancora affrontato, al di là della facile tentazione di impossibili soluzioni unitarie, fondate su modelli ideologici precostituiti. Rimaniamo convinti che dovremmo sempre diffidare di alcune categorie astratte oggi molto di moda (“politicamente corrette” per usare l’espressione di G.A. Cecconi) e che sarebbe necessario usare  la massima prudenza nell’interpretare il mondo antico: appare evidente la necessità di evitare semplificazioni che non tengano conto della complessità delle situazioni nel tempo e nello spazio. Dobbiamo avere più rispetto per la complessità della storia senza rinunciare a stabilire connessioni, a mettere ordine, a proporre linee di riorganizzazione del passato, per comprendere e spiegare:  del resto chi conosce le nostre pubblicazioni, sa bene come l’approccio di fondo portato avanti dai nostri ricercatori associati sia decisamente anticolonialista.

 

4. Colonizzazione, nazionalismo, panarabismo

Nella visione coloniale europea dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento la civiltà classica in Nord Africa non morì di morte naturale, ma fu assassinata: l’assedio di Ippona da parte dei Vandali nel 430 pochi mesi dopo la morte di Agostino, rende solo in parte l’idea di una cittadella della cultura travolta dalla montante marea barbarica, mentre i superstiti cercavano rifugio nelle terre transmarine. Più ancora, nel 698 la conquista ummayyade di Cartagine bizantina da parte degli Arabi di Damasco insediati a Kairouan è stata considerata simbolicamente la data finale della cultura classica, per quanto noi possediamo iscrizioni latine con l’era della provincia che si estendono in Marocco ancora per alcuni secoli e per quanto siano sopravvissuti a lungo nel Nord Africa islamico dei principati berberi cristiani.  Il trasferimento delle reliquie di Agostino da Hippo Regius a Karales e poi nel 721 d.C. a Pavia effettuato a quanto pare di fronte all’avanzata araba è stato interpretato simbolicamente come il punto conclusivo del momento più maturo della classicità e insieme come l’annunzio di tempi nuovi, con l’apertura (futuhat) del Nord Africa all’Islam, quando si manifesta l’aspirazione verso un nuovo universalismo. Nel contrasto tra mondi tanto diversi, la cultura araba fortemente motivata sul piano religioso finì per diventare egemone ed espansiva, a danno di quella romana e di quella giudaico-cristiana, che pure hanno lasciato tracce evidenti anche nel Maghreb di oggi.  La riscoperta delle rovine archeologiche, delle iscrizioni, dei monumenti è avvenuta innanzi tutto in Algeria nell’Ottocento al seguito dell’esercito coloniale francese, con l’obiettivo romantico di ripercorrere le strade di una civiltà perduta, di ritrovare le radici dell’anima europea del Nord Africa travolto dagli Arabi: paradossalmente i Berberi dell’antica Numidia avrebbero mantenuto con le loro croci tatuate come ad Haidra una sbiadita memoria del cristianesimo originario. Cinquanta anni più tardi anche in Tunisia le scoperte archeologiche furono effettuate inizialmente dagli ufficiali dell’esercito di occupazione francese. Con la colonizzazione si affermava una nuova cultura egemone e restò ormai fissata nell’immaginario collettivo dei popoli del Maghreb l’idea di una forzatura, di una strumentalizzazione del mondo classico al servizio della prospettiva coloniale francese in Algeria e Tunisia, ma anche italiana in Libia e spagnola in Marocco.

Nel momento in cui i paesi del Maghreb ritrovavano, dopo la seconda guerra mondiale, una loro sovranità nazionale, la conseguenza inevitabile fu una reazione contraria, una sostanziale sottovalutazione delle radici classiche e una enfatizzazione, in realtà purtroppo spesso solo teorica, delle fasi islamiche della storia del Nord Africa. Teorica perché se è vero che sullo sfondo c’è il convinto apprezzamento per la grande cultura araba arrivata anche ad influenzare l’Europa cristiana; di fatto però le fasi medievali del primo insediamento arabo in Ifriqya non sono mai state studiate davvero scientificamente e la cultura materiale islamica delle origini non ha fin qui avuto una presentazione adeguata. Nel quadro della progressiva indifferenza per il patrimonio pre-islamico, indubbiamente la Tunisia a partire dal 1956 con Bourghiba ha rappresentato un'eccezione nel panorama dei paesi del Maghreb, grazie all'impegno dell'Institut National d’Archéologie et d’art, da vent’anni anni trasformato in Institut National du Patrimoine al quale si affianca l’azione dell’Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle della Tunisia che ha la specifica missione di gestire monumenti e musei archeologici. Enti che hanno sostenuto molte grandi imprese internazionali in particolare europee, che spesso però furono costrette a cambiare decisamente i loro obiettivi.

Con la “primavera araba”, con la fuga di Ben Ali il 14 gennaio 2011, si era evitato che i lunghi e brillanti periodi preislamici del Maghreb potessero rappresentare una minaccia per il progetto di panarabismo dominante. Dopo la crisi del 2012-13, oggi si rende sempre più necessario riprendere un cammino che sarà possibile solo partendo dalla consapevolezza che il patrimonio rappresenta una ricchezza anche per l'identità della Tunisia di oggi, superando nel rispetto dovuto la strumentalizzazione del passato per scopi politici o religiosi.

Nel mondo di oggi, in un Mediterraneo che rischia di disgregarsi, dovremmo tutti contribuire a superare il concetto di "culture egemoniche" e "culture subalterne" per  costruire una strada da percorrere insieme, per capire i valori positivi della globalizzazione, per alimentare un dialogo tra culture diverse che non rinuncino ad essere se stesse. Il ruolo delle Università, delle istituzioni, dei Comuni, delle Regioni può essere davvero importante.

 

4. La nostra esperienza.

Anche nelle condizioni difficili e terribili di questi anni, in particolare tra l’abbattimento delle torri gemelle l’11 settembre 2001 e il fallimento delle primavere arabe, non è cessato l’impegno di costruire ponti tra le due rive del Mediterraneo, con il senso di un’attenzione e di un rispetto che vogliamo affermare, di un incontro e di una speranza. A Roma (il 12 maggio 2016) Isabel Rodà, Sergio Ribichini e Mario Mazza hanno presentato all’Istituto Nazionale di Studi Romani il XX volume de “L’Africa Romana”, dedicato in memoria delle vittime innocenti del tragico attentato al Musée National du Bardo con la solidarietà di tutti gli studiosi al popolo della Tunisia libera e democratica. Abbiamo in programma il XXI congresso internazionale de L’Africa Romana a Gafsa in Tunisia nel dicembre 2018, sul tema delle nuove scoperte epigrafiche.

L’Università di Sassari ha costantemente continuato a lavorare in Tunisia senza interruzione, con i finanziamenti ottenuti dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale.

A Uchi Maius un pagus romano nel territorio di Cartagine, con Mustapha Khanoussi, Cinzia Vismara, Marco Milanese, Paola Ruggeri, Antonio Ibba, Giampiero Pianu, Alessandro Teatini A Zama con Piero Bartoloni, Michele Guirguis, Ahmed Ferjaoui. A Neapolis oggi Nabeul negli scavi di archeologia subacquea della Scuola di specializzazione di Oristano diretta da Raimondo Zucca, con Piergiorgio Spanu e Mounir Fantar. Ora anche a Thignica nel territorio della colonia augustea di Cartagine con un’équipe composta da me, Antonio Ibba, Paola Ruggeri, Raimondo Zucca, Salvatore Ganga,  Samir Aounallah, Mustapha  Khanoussi, Lamia Abid, Hamden Ben Romdhane, Ali Cherif. Per l’iconografia delle stele di Saturno:  Lamia Abid,  Arij Limam, Bruno D’Andrea.  Da ultimo a Cartagine nelle terme di Antonino e al Museo del Bardo a Tunisi con Samir Aounallah. A Uthina con Giovanna Sotgiu, Antonio M. Corda, Habib Ben Hassen.

Sono proprio i colleghi italiani, penso a Marco Milanese, che hanno allargato le loro ricerche sul piano della cultura materiale islamica e  tentato per la prima volta una seriazione delle produzioni. I nostri scavi sono stati portati avanti insieme dai nostri studenti italiani, circa 500, e dai loro colleghi magrebini, in particolare gli allievi dell’Institut supérieur des metiers du patrimoine dell’Università di Tunis. Siamo davvero convinti che dobbiamo contribuire ad avviare una nuova stagione della conoscenza scientifica e pluriculturale della storia e dell’archeologia del Mediterraneo fondata sul contributo congiunto e dialogante di tutte le sponde del Mare comune.

Del resto non mancano notizie straordinarie come il premio Nobel assegnato per la pace al “quartetto” tunisino, espressione dell’' Unione Generale Tunisina del Lavoro (in francese "Union Générale Tunisienne du Travail", UGTT); dalla Confederazione Tunisina dell'Industria (in francese "Union Tunisienne de l'Industrie, du Commerce et de l'Artisanat", UTICA), della Lega Tunisina per la Difesa dei Diritti dell'Uomo (in francese "Ligue Tunisienne pour la Défense des Droits de l'Homme", LTDH), dell'Ordine Nazionale degli Avvocati di Tunisia (in francese "Ordre National des Avocats de Tunisie", ONAT).

 

6. Il progetto della Fondazione di Sardegna.

Il 25 giugno 2014 si è svolto a Cagliari l’incontro Unimed “Sardegna terra di Mezzo” promosso dalla Fondazione di Sardegna. Nel frattempo le primavere arabe si sono rivelate “inverni” terrificanti, l’insicurezza ha travolto alcuni paesi, il 18 marzo 2015 l’attentato al Museo Nazionale del Bardo è stato un  colpo terribile inferto all’economia della paese, ai beni culturali, al patrimonio, soprattutto alle relazioni tra studiosi.  Il 26 marzo, pochi giorni dopo l’attentato, abbiamo organizzato a Sassari il convegno “Il canto del Bardo, Il Museo mediterraneo di Tunisi tra ricordi e speranze”  voluto da Paola Ruggeri. Il 9 aprile successivo si è svolto il convegno sulla preistoria nei musei del Bardo di Tunisi e Algeri (Henri Lhote e l’arte africana prima dei mosaici) voluto da Anna Depalmas.

Trovo però straordinario il risultato conseguito dal progetto ForMed della Fondazione di Sardegna e di Unimed che ha consentito la permanenza biennale a partire dal dal I ottobre 2015 di 100 studenti magrebini che studiano presso le due Università.  Altri studenti partecipano ai dottorati e agli scavi archeologici, così come in passato. Io stesso con Paola Ruggeri ho seguito le prime tre laureate magistrali in archeologia che hanno concluso a luglio 2017.

Abbiamo pubblicato il libro “Je suis Bardo” e presentato a Tunisi per iniziativa del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale e dell’Ambasciata d’Italia il 18 marzo 2016 il XX volume degli Atti de L’Africa Romana e gli scavi archelogici tuniso-italiani.

 

7. La Scuola archeologica italiana di Cartagine.

A Sassari il 22 febbraio 2016 è stata costituita la Scuola Archeologica Italiana di Cartagine, oggi arrivata a 160 associati,  interessata ad operare in campo internazionale. Dal 10 maggio 2016 la SAIC è iscritta al n° 31 nel “Registro delle Persone Giuridiche” presso la Prefettura di Sassari.

Il lungo percorso che ha portato alla nascita della Scuola è stato recentemente ricostruito da Sergio Ribichini che ha ricordato il programma, lo stato dell’arte, la specificità della futura Scuola, il suo partneraiato, la sua struttura, i suoi obiettivi, le tappe, le risorse finanziarie. Questo documento di base è stato oggetto dell’ «Atelier de recherche» che si svolse a Roma il 18 dicembre 2014 presso il CNR e che ha visto la partecipazione di numerose autorità, di parecchi responsabili di missioni finanziate dal MAECI e dei membri delle équipes italiane che lavoravano ad Althiburos e ad Uchi Maius.

L’iniziativa ha visto convergere soggetti diversi in una lunga fase di preparazione, specialmente Università italiane (con i due Dipartimenti di Storia scienze dell’uomo e della formazione dell’Università di Sassari e di Storia, Beni culturali e territorio dell’Università di Cagliari in prima fila), altre Università straniere, Istituzioni, in particolare l’Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, con l’Agence National de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle di Tunisi, l’Institut National du Patrimoine di Tunisi, la Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese, Settore «Archeologia», del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, l’Istituto italiano di cultura di Tunisi, l’Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo. Il Consiglio del Dipartimento dell'Università di Sassari l'8 luglio 2015 aveva deliberato di ospitare a Sassari a Palazzo Segni in Viale Umberto 52 la SAIC, che ha siglato un accordo di collaborazione col Rettore dell'Università di Sassari nel luglio 2016.  In base a tale accordo, il dottorato di ricerca “Archeologia, storia scienze dell'uomo” dell'Università di Sassari ha bandito una borsa di dottorato riservata a studenti magrebini (XXXII ciclo).  Nel corso dell’assemblea 12 maggio 2016 a Roma presso l’Istituto Nazionale di Studi Romani, grazie alla cortesia di Paolo Sommella, alla presenza dell’ambasciatore della Tunisia S.E. Naceur Mestiri, è stato presentato il XX volume per il trentennale de L’Africa Romano; nell’occasione è stata firmata la convenzione della Scuola Archeologica Italiana di Cartagine con con l’Agence Nationale de Mise en Valeur et d'Exploitation du Patrimoine Culturel della Tunisia, rappresentata da Samir Aounallah. La convenzione prevede l’assenso del prof. Ridha Kaabia direttore dell’Agence per l’assegnazione in comodato d’uso di aule e locali di segreteria per la SAIC, con attività comuni, in particolare la pubblicazione di una Guida di Cartagine plurilingue.  La SAIC si  propone di favorire con le sue attività forme di coordinamento tra iniziative che caratterizzino la cooperazione italiana in Tunisia (e più in generale nei Paesi del Maghreb) in ambito scientifico-culturale. Si propone altresì di configurare un intervento organico, collegiale e articolato, capace di favorire opportunità di ricerca, formazione e diffusione delle conoscenze sul patrimonio relativo alle civiltà preistoriche e protostoriche, preclassiche, classiche, tardo-antiche, islamiche, moderne e contribuire attivamente al dialogo interculturale e alle politiche di sviluppo della Tunisia (e più in generale dei Paesi del Maghreb). In questi mesi siamo riusciti a creare una biblioteca specializzata in Archeologia, Scienze dell’Antichità e Tecnologie applicate ai Beni Culturali, Storia dell’Arte intitolata ad un grande Maestro, Sabatino Moscati, presso i locali della Scuola nell’Agence di fronte all’Istituto Italiano di cultura.

Sono stati aperti il sito web http://www.scuolacartagine.it/ ( Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. ) e la pagina Facebook: https://www.facebook.com/SAIC-Scuola-Archeologica-Italiana-di-Cartagine-268443213487415/, che viaggia attorno ai mille like ed ai 4000 contatti settimanali.

E’ nata una rivista elettronica (“Caster”) diretta da Antonio Corda e una collana di Monografie diretta da Paola Ruggeri. La Scuola è presente su altri principali Social, anche allo scopo di coordinare le attività archeologiche italiane in Tunisia.

Presso l’Istituto Italiano di Cultura abbiamo svolto il 18 marzo 2016 e il 17 marzo 2017 due incontri dedicati al tema  “Archeologia e tutela del patrimonio di Cartagine: lo stato dell’arte e le prospettive della collaborazione tuniso-italiana”; gli atti sono stati  pubblicati nella Monografia n. 1 e nel secondo numero della rivista “Caster”.

Sono Soci Ordinari della SAIC coloro che hanno la titolarità di progetti di cooperazione con la Tunisia. Taluni di tali progetti, più precisamente, usufruiscono di un cofinanziamento della Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese del MAECI (Settore Archeologia), impegnata in favore delle Missioni archeologiche, antropologiche ed etnologiche italiane all’estero e all’attribuzione di borse di studio a ricercatori di paesi stranieri.

La Sede legale in Italia è presso il Palazzo Segni, Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Storia, scienze dell’uomo e della formazione, Viale Umberto, 52 – 07100 Sassari. La Sede operativa a Tunisi è presso l’Istituto Italiano di Cultura – Ambasciata d’Italia, Avenue Mohamed V, 80.

Il 12 maggio 2016 è stato siglato l'accordo di collaborazione tra SAIC e l'Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle, che ha messo a disposizione della SAIC i locali di Tunisi Belvedere per la Biblioteca Sabatino Moscati e per gli uffici della Scuola. E' in corso la stipula dell'accordo con l'Institut Supérieur des Sciences Humaines de Tunis / Université de Tunis El Manar ISSHT (26, Avenue Darghouth Pacha – Tunis) diretto dal prof. Taoufik Aloui. Il 17 marzo 2017 abbiamo inaugurato la nuova sede a Tunisi presso l’Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle a Tunisi-Belvedere  (Rue 8000 Angle Ibn Nadime -Montplaisir, Tunis 1002), con la Biblioteca Sabatino Moscati offerta dalla famiglia alla SAIC che è stata aperta al pubblico il 6 ottobre 2017.

Il 31 dicembre 2016 è stato pubblicato il primo numero della Rivista Cartagine. Studi e Ricerche (abbreviazione CaSTeR) con sottotitolo Rivista della Società scientifica “Scuola Archeologica Italiana di Cartagine” diretta da Antonio Corda (http://ojs.unica.it/index.php/caster/issue/view/72/showToc).

Abbiamo presentato il primo volume della serie delle monografie, con gli atti dell’incontro di Tunisi del 18 marzo 2016, svoltosi in occasione del primo anniversario dell'attentato al Museo Nazionale del Bardo di Tunisi presso l'Istituto Italiano di Cultura.

Erano presenti tra gli altri l'ambasciatore d'Italia Raimondo De Cardona, la Direttrice dell’IICTunisi Maria Vittoria Longhi,  per il MAECI Manuela Ruosi ed Ettore Janulardo, il direttore generale dell'INP Fathi Bahri,  il responsabile delll’Agence Nationale de Mise en Valeur du patrimoine et de promotion culturelle Show Dauda per il Directeur Général Ridha Kacem,  il Vice Direttore dell’Isprom Giovanni Lobrano,  la Vice Presidente della Fondazione di Sardegna Angela Mameli, la Presidente del Consiglio Comunale di Sassari Esmeralda Ughi. Nel pomeriggio la SAIC era rappresentata alla cerimonia per ricordare i caduti al Museo del Bardo (erano presenti il Rettore dell'Università di Sassari Massimo Carpinelli e il Presidente della Regione Sarda Francesco Pigliaru). E’ stato presentato il volume di grande formato curato da Samir Aounallah Je suis Bardo.

A Roma il 6 ottobre 2016 presso l'Istituto Nazionale di Studi Romani sono stati presentati da Attilio Mastino e Giorgio Rocco i due volumi di Studi Africani di Antonino Di Vita, curati da Maria Antonietta Rizzo Di Vita e Ginette Di Vita Evrard.

Il 17 marzo 2017 per iniziativa della Scuola archeologica italiana di Cartagine, d’intesa con l’Istituto Italiano di Cultura, la Fondazione di Sardegna, l’Istituto di Studi e Programmi per il Mediterraneo, l’Institut National du Patrimoine e l’l’Agence National de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle di Tunis si è svolta la seconda edizione degli incontri bilaterali sul tema “Archeologia e tutela del patrimonio di Cartagine: lo stato dell’arte e le prospettive della collaborazione tuniso-italiana”, con un programma quanto mai significativo sul piano scientifico, aperto dall’Ambasciatore Raimondo De Cardona.  L’iniziativa è stata promossa con la partecipazione dei nostri studenti della Scuola di specializzazione di archeologia di Oristano: Annalucia Corona, Ernesto Insinna, Davide Fiori, Donatella Bilardi, Alessandro Madau.

Il 6 ottobre 2017 dopo la Assemblea della Saic presso l’Istituto Italiano di Cultura è stata inaugurata la Biblioteca Sabatino Moscati alla presenza di Paola e Laura Moscati e di un vasto pubblico italiano e tunisino.

Breve bibliografia

F. Cassola, Cartagine, in Enciclopedia Virgiliana, pp. 680 ss.

F. Della Corte, La mappa dell’Eneide, La Nuova Italia editrice, Firenze 1985

A. Ibba,  La Cooperazione degli atenei sardi con i paesi del Maghreb: motivazioni, risultati, prospettive negli studi classici. Sassari, Università degli studi di Sassari, 2007

A. Mastino, Le Sirti negli scrittori di età augustea, in L'Afrique dans l'Occident romain (Ier siècle av.J.-C.-IVe siècle ap. J.-C.). Actes du colloque organisé par l'École Française de Rome sous le patronage de l'Institut National d'Archéologie et d'Art de Tunis (Rome, 3-5 décembre 1987), Roma 1990, pp. 15-48

A. Mastino, Cornus e il Bellum Sardum di Hampsicora e Hostus, storia o mito ? Processo a Tito Livio, in Il processo di romanizzazione della provincia Sardinia et Corsica, Atti del convegno internazionale di studi, Cuglieri, 26-28 marzo 2015, a cura di S. De Vincenzo, Ch. Blasetti Fntauzzi (Analysis Archaeologica. An international Journal of western mediterranean Archaeoogy), Monograph Series n. 1), Quasar, pp. 15-67

A. Mastino, L’attività della Scuola Archeologica Italiana di Cartagine (SAIC) nel 2016, in Archeologia e tutela del patrimonio di Cartagine: lo stato dell’arte e le prospettive della collaborazione tuniso-italiana, Atti del seminario di studi raccolti da P. Ruggeri (Le Monografie della SAIC, 1), Saic Editore 2017, pp. 9-19

P. Ruggeri (cur.),  L’Africa Romana XX, Momenti di continuità e rottura: bilancio di trent’anni di convegni L’Africa Romana, I, II, III, Carocci editore, Centro studi interdisciplinari sulle province romane, Sassari 2015

Ultimo aggiornamento Giovedì 02 Novembre 2017 21:48

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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