Presentazione del volume di Marcello Derudas, Il Convitto Nazionale Canopoleno di Sassari. Una finestra aperta su quattrocento anni di storia, Delfino editore
Vorrei iniziare questa breve presentazione con due ricordi recenti, forti e intensi, che possono raccontare con più immediatezza cosa è diventato il Canopoleno di oggi, grazie all’impegno dei rettori e dei dirigenti, dei professori, degli educatori, di tutti gli studenti: come Rettore dell’Università ho assistito più volte nell’Aula Magna del Canopoleno a manifestazioni e incontri di grandissimo interesse.
Quelli che mi hanno emozionato di più sono stati i concorsi liceali “Marta Mameli”, promossi dall’Associazione “L’Albero di Marta”, con la voglia di raccontare, di parlare, di superare il distacco della morte, di stringersi ai ragazzi che presentavano elaborati fatti di poesia e di sentimenti profondi, impegnati per un futuro nuovo per la Sardegna. L’ultimo concorso affrontava il tema della libertà e della responsabilità, l’etica delle scelte individuali in rapporto ai condizionamenti storico sociali del mondo occidentale e alla formazione socio culturale che si riceve.
E poi un ricordo felice, uno spettacolo teatrale, un esempio di sperimentazione didattica di straordinaria vitalità, di passione, di emozioni profonde, come quelle che abbiamo provato ascoltando il canto struggente del paggio, una dolce ragazza sarda che annunciava la fine dell’avventura di Bruto e di Cassio nel Giulio Cesare di William Shakespeare sul palcoscenico del Canopoleno. Una parentesi incantevole in lingua inglese.
E infine tante manifestazioni sportive e musicali, tanti occasioni di incontro, tante performances linguistiche: a scorrere le immagini del sito Web del Convitto Nazionale Canopoleno e delle Scuole annesse si trova l’annuncio delle borse di studio per i convittori, il programma delle dieci edizioni di “Scienza in piazza” (l’ultima dedicata al clima), i viaggi di istruzione: se ne ricava nettissima l’idea di una Istituzione moderna, al passo coi tempi, ricca di fermenti e attenta ad un processo educativo costruito anche su affetti e sentimenti profondi, su relazioni e progetti.
Ho letto diligentemente tutte le pagine di questo incredibile e inatteso volume del prof. Marcello Derudas, una vera “finestra aperta su quattrocento anni di storia”, che riporta in parallelo la nascita ad opera dei padri gesuiti di due Istituzioni sorelle, l’Università e il Convitto Canopoleno. Forse è questa la ragione per la quale mi è stato chiesto di scrivere queste righe. Quello che fece il cavalier Alessio Fontana per la nascita dell’Università con il testamento del 1558 (cinque anni prima della chiusura del Concilio di Trento nel 1563), lo stesso fece l’arcivescovo di Oristano Antonio Canopolo per la fondazione del Seminario-Convitto di Sant’Antonio abate, dal 1611 e le altre Scuole annesse (compreso quello che dal 1865 diverrà il Liceo Azuni, poi trasferito nell’attuale sede nel 1933) nel complesso di edifici collocati di fronte al Palazzo Ducale.
Due avvenimenti che finirono per essere in realtà quasi contemporanei, se si collocano entrambi nei primi del Seicento, quando proprio il Canopolo, sassarese di origine corsa e nei primordi greca, decise la costruzione, nella parte più antica dell’attuale edificio che ospita l’Università, delle aule destinate ad accogliere i padri gesuiti (arrivati a Sassari per dare esecuzione al testamento di Alessio Fontana) e i loro studenti. Abbiamo celebrato tre anni fa i 450 anni dalla nascita del Collegio Gesuitico partendo dal 1562; abbiamo ricordato il provvedimento del Preposito Generale della Compagnia di Gesù Claudio Acquaviva, che nel 1612 aveva concesso al collegio turritano la possibilità di conferire i gradi accademici di “bachiller, licenciado y doctor”, sulla base di una precedente bolla di Paolo V Borghese. Arrivavano dunque le Lauree in Filosofia e Teologia a Sassari; nel 1617 il Collegio di San Giuseppe venne trasformato in Università di diritto regio, ma Filippo III firmò il privilegio di fondazione solo il 31 ottobre 1620, mentre nel 1632 una Carta Reale permise la concessione dei gradi in Diritto e Medicina. Se il processo di fondazione dell’Università appare alquanto tormentato, nell’intreccio tra potere civile e potere ecclesiastico, l’istituzione quattrocento anni fa del Canopoleno fu in realtà rapidissima, con il primo rettore Jaime Pinto, autore del celebre Christus Crucifixus, insediato come rettore del Seminario-Convitto già nel settembre 1613, seguito da alcune delle personalità più illustri del tempo, tra le quali molti professori universitari, che testimoniano la dimensione internazionale dell’istruzione in Sardegna: i contatti con Saragozza prima e con Torino poi: ne citerei solo uno tra tutti, un altro rettore, il celebre naturalista Francesco Cetti S. I., nato a Mannheim, nel Palatinato, (autore dei volumi sulla Storia naturale di Sardegna edita a Sassari da Giuseppe Piattoli tra il 1774 e il 1778, sui quadrupedi, gli uccelli, gli anfibi e pesci di Sardegna).
Gli anni della doppia fondazione, concentrati nel secondo decennio del Seicento, coincidono con l’episcopato di don Gavino Manca De Çedrelles, lo scopritore all’interno della basilica di San Gavino a Porto Torres dei corpi dei martiri turritani Gavino, Proto e Gianuario, che compaiono nel sigillo storico dell’Ateneo turritano: testimonianza – fortemente sostenuta dai docenti del Convitto Canopoleno così come del Collegio di San Giuseppe - delle aspirazioni della città di Sassari che intendeva rivendicare il ruolo guida della “metropoli” turritana rispetto alla Cagliari “troppo” spagnola e cortigiana. Da qui il forte legame con Oristano, che solo dal 1712 ebbe un proprio edificio per il Seminario, evento che la Diocesi arborense ha celebrato nell’aprile 2012 per i suoi trecento anni di vita, rimarcando ancora una volta l’autonomia dal più antico Seminario Canopoleno sassarese, voluto per preparare i sacerdoti della diocesi oristanese, al riparo dalle zanzare degli stagni e dalla malaria.
Questo libro rende conto di una storia complessa e articolata, racconta tante vicende: la peste del 1652, l’evoluzione urbanistica del complesso Seminario-Casa Professa-Convitto e Scuole, tutti nell’area della chiesa di Gesù e Maria, che avrebbe cambiato il titolo dopo la demolizione della chiesa di Santa Caterina (1853) sita nell’attuale Piazza Azuni; il passaggio da Collegio-Convitto (1848) e poi da Collegio Nazionale a Convitto Nazionale nel 1860; l’interazione con l’occupazione da parte di militari e sanitari dell’Ospedale e Infermeria militare; poi il numero degli iscritti, i convittori privilegiati per le borse di studio “Canopolo”, “Ferralis”, “Sampero” e altre, i semiconvittori, gli alunni esterni. Più in generale lo scioglimento canonico della Compagnia di Gesù nel 1773, il complesso periodo “secolare (1773-1824), il ritorno dei Gesuiti e la definitiva cacciata del 1848 dopo la “perfetta fusione” della Sardegna (1847); la progressiva e contraddittoria “laicizzazione”; le alterne vicende politiche, il patriottismo dei convittori e degli insegnanti ed istitutori, le divise quasi militari, che corrispondevano ad una disciplina e a una formazione di rigido tipo militare, con qualche momento di svago negli splendidi giardini delle campagne di Sassari. Tutti elementi che grazie all’Autore riemergono prodigiosamente dalle pagine di Enrico Costa e soprattutto da un Archivio Storico ricchissimo, nonostante le mutilazioni avvenute nel corso dei secoli, caratterizzato da quella “babele linguistica” tra latino, catalano, castigliano, sardo e italiano che nel 1767 già il padre Emanuele Roero deplorava. E infine la Biblioteca, parte di un Fondo importantissimo che in parte si è mischiato con la Biblioteca Universitaria (recentemente trasferita nella Piazza Fiume di Sassari nell’ex Ospedale SS.ma Annunziata) e con altre Biblioteche isolane.
Di grande interesse è l’analisi dell’evoluzione del metodo educativo, tra severità, “annientamento del pensiero individuale”, sottomissione, forse oscurantismo da una parte; libertà e addirittura anarchia dall’altra. La riforma Casati. E ancora i rapporti con la massoneria, odiata dai Gesuiti e dalla Chiesa e per questo collocata al centro della ripresa “secolare”: citerei solo il caso, studiato e interessante, del Rettore Bartolomeo Ortolani, prete spretato, ‘venerabile’ della loggia massonica di Sassari da lui fondata nel 1860, autore del Dramma romantico Amsicora dedicato all’eroe dell’indipendenza dei Sardi contro i Romani, l’alleato di Annibale dopo la battaglia di Canne. L’opera, fortemente condizionata dai falsi delle Carte d’Arborea, fu scritta fra le mura del Canopoleno e rappresentata al Teatro Civico di Sassari il 27 febbraio 1867: Antonio Taramelli ne avrebbe condannato “le enfasi e le prevenzioni antiromane”. E poi, come dimenticare gli allievi convittori Paolo Ornano, Giovanni Maria Angioy, i fratelli Simon di Alghero, Damiano Filia (futuro canonico di Sassari e storico), Antonio Pigliaru (filosofo del diritto), Enzo Cadoni (il latinista scomparso vent’anni fa) o l’economo Antonio Togliatti, padre di Palmiro?
Fu il Rettore Giovanni Aliseo a voler fortemente il nuovo edificio del Convitto Nazionale Canopoleno di Via Prunizzedda (ora Via Luna e Sole), con la prima pietra posta il 16 maggio 1968 e l’inaugurazione del I ottobre 1975; l’anno dopo, nel settembre 1976, l’Aliseo cessava dal suo incarico iniziato vent’anni prima nella vecchia e veneranda sede del centro storico. La nuova struttura a mattoni, che trovo ancora migliore di quanto non appaia, oggi ospita studenti che dalle materne e dalla Scuola Media giungono fino al Liceo.
Una volta che fu risolto il problema dell’umidità, messe in ordine la falda sotterranea e le famose dragonare di Piazza Santa Caterina, l’ex Canopoleno fu restaurato e destinato dal 2001 ad ospitare il Museo d’arte contemporanea Mus’a (Museo Sassari Arte) e per qualche tempo gli Uffici della Direzione Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo. La splendida sala dell’ex refettorio accoglie periodicamente mostre temporanee e incontri scientifici.
Ho trovato esilarante la vicenda raccontata dai verbali del Consiglio di Amministrazione del 1910 sulla contestata e chiassosa passeggiata dei convittori lungo la ferrovia fino alle sorgenti di San Martino, alla chiesa della Trinità di Saccargia e al paese di Codrongianos: un episodio che rende bene il clima di rinnovamento profondo del Canopoleno all’inizio del Novecento. Da un lato appare ancora il mondo inflessibile, oscuro e vendicativo rappresentato dal censore di disciplina Mazzoleni: ma a trionfare sarebbe stata la figura del rettore Antonio Maria Cossu e soprattutto del Prof. Salvator Ruju (il famoso poeta Agniru Canu) e del collega Salvatore Coradduzza, indulgenti nel giudicare i canti goliardici e le intemperanze di un gruppo di convittori, accusati e minacciarti di espulsione per aver cantato per le vie di Codrongianos una canzoncina che riecheggiava quella che gli studenti dell’Università di Cagliari avevano recitato per deridere goliardicamente i colleghi sassaresi:
Viva le belle Donne
di Codrongianus
Noi siamo le colonne
del Convitto Nazionale
Cinque anni dopo, molti sarebbero partiti per la guerra europea.
Negli stessi anni, in un polemico memoriale Pro Atheneo Sassarese indirizzato a S. E. il Ministro della Pubblica istruzione del Regno d’Italia Leonardo Bianchi, gli studenti universitari di Giurisprudenza, Medicina e Farmacia, protestavano contro il falso pareggiamento dell’Università, e con quelle ardenti parole brucia ancora la fiamma del Canopoleno:
"Provvederà il governo alle nostre giuste richieste ? noi lo speriamo, perché la nobiltà degli studi è tale questione civile che non può essere disconosciuta o risolta con mezzi termini. L’istruzione, idealmente intesa, è la forza e la vita delle genti, e le vittorie del pensiero, perché non hanno, come le altre, l’ebbrezza sanguinosa dell’eccidio, sono veramente sante e belle. Noi vogliamo istruirci e questa nostra volontà non è violenza, ma dovere e diritto incontrastabile. Ché, se il desiderio e il vero pareggiamento fosse ancora di là da venire, noi vorremmo che i battenti del nostro Ateneo rimanessero eternamente chiusi, e a caratteri di fuoco avessero scolpiti i versi del grande Michelangelo:
Grato m’è il sonno e più l’esser di sasso
Mentre che il danno e la vergogna dura
Non veder, non sentir m’è gran ventura,
però non mi destare, deh! parla basso".
Ancora una volta le due storie si incontrano.
Sassari, ottobre 2014
Attilio Mastino