Ottobre in poesia: Giuanne Fiore, Sas primas abbas di Soter editrice. Festival internazionale di poesia della Sardegna

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Scritto da Administrator | 25 Ottobre 2022

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Ottobre in poesia: Giuanne Fiore,  Sas primas abbas di Soter editrice
Festival internazionale di poesia della Sardegna
Ittiri, 23 ottobre 2022

Conosco il poeta Giuanne Fiore da decenni, perché ho avuto modo di seguirlo tra i protagonisti del  Premio città di Ozieri già con Nicola Tanda e più di recente, sfogliando gli archivi di Via Ugo La Malfa o come membro della Giuria del Premio Antoni Sanna: nel 2020 Giuanne Fiore ottenne il I premio con In su montiju meu, col voto di molti oggi presenti (Anna Cristina Serra, Clara Farina, Salvatore Tola, io stesso e non solo).  Ma i riconoscimenti ottenuti sono stati moltissimi anche fuori dalla Sardegna.

Poche settimane fa mi ha regalato le sue più  belle raccolte di poesie:

Tempos, Sos Sonettos, Domus de Janas e Soter  2012 con 50 anni di sonetti

Bisos e chertos, Soter editrice,  I volume,  Poesie con presentazione di Nicola Tanda e Paolo Pillonca e II volume glossario sardo-italiano 2004

Terra mia istanotte mi ses cara, con Salvatore Ligios, 1999 Soter, Poesias e Fotografias introduzione di Paolo Pillonca )

Opere che hanno al centro la contemplazione della natura e l’incontro con gli altri, con un garbo che ha una sua dignità, un suo stile, una sua dimensione positiva, che rivela la forte capacità di cogliere emozioni, sentimenti, aspetti indimenticabili di un’esperienza, una speranza.

Voglio ricordare la sua originale presenza in S’Ischiglia la rivista di poesia letteratura ed arte sarda fondata nel 1949 da Angelo Dettori.

Tornando indietro con la memoria mi sono restate impresse tante poesie dolci e amare che raccontano una vita ricca di sentimenti, di relazioni, di pensieri profondi, dalle origini contadine agli studi all’estero, dalle responsabilità sindacali nel settore agricolo e bracciantile della CGIL alla militanza in tanti premi letterari che hanno consacrato Fiori forse come il nostro poeta più profondo.

Ma oggi vorrei raccontare Giuanne Fiore come uno straordinario romanziere, partendo da Sas primas abbas di Soter editrice, 2017, un libro voluto da Paolo Pillonca, che aveva colto realmente la profondità delle esperienze compiute in campagna, l’emigrazione, l’amore per la cultura, l’arte, la poesia, una poesia che si trova in tutte le pagine del romanzo, con la descrizione dei campi, dei fiori, degli alberi, degli animali (Birde est sa tanca): lo sguardo si allarga alla varia umanità che popola un paese uscito prodigiosamente irrigidito da un passato lontano, pieno di ingiustizie e di paure, eppure ormai maturo e pronto a imboccare una strada di progresso, Per quanto la cultura popolare, i proverbi, la lingua continuino ad avere un peso determinante nella vita di tutti, dal Convento francescano fino alla casa più umile.

Il titolo richiama ovviamente la poesia Abbas premiata ad Ozieri nel 1988, con il canto a favore dei disererati e degli indifesi, in odio al potere, in difesa dei diritti, per aiutare tutti a scrollarsi di dosso le pastoie dell’inganno,

perché a manu in giua (sulla criniera) currimus su mundu

subra puddedras de undas amigas,

per schiudere assieme le rose rosse del domani.

Come dimenticare la poesia Torra ! di Ottorino Mastino, mio padre ?  Torra, ca su puddeddru tou appo inseddadu cun bàttiles doràdos e sonaggios de prata. Torra, ca ti dépene faghe festa montes e baddes in fiore.

Perché queste sono storie raccontate con amore come nella scrittura tradizionale sarda, senza risentimenti, con serenità, tanto diverse da quelle – disperate – immaginate da Gavino Ledda. Eppure gli autori sono quasi coetanei, Fiori è nato nel 1935, Ledda nel 1938 a Siligo. In Padre Padrone, campione della letteratura del ricordo, Gavino Ledda, immagina un paese, Siligo, come abitato da disperati, lo spazio di tante tragedie quotidiane, il luogo del freddo implacabile e del caldo torrido: il paese letterario conosce insieme la lotta per la sopravvivenza, la tragedia del vivere quotidiano, la sofferenza di una società che sembra immobile e fuori dalla storia, afflitta dal gelo e dalla pioggia, dalle cavallette e dalle malattie.

Qui invece si osserva innanzi tutto il registro alto del linguaggio, un linguaggio ricco, pieno di sfumature, capace di abbracciare realtà complesse, eppure talora arcaico, difficile, ricercato, non abituale nella lingua parlata: confesso di aver consultato centinaia e centinaia di volte il Glossario finale e le note che  testimoniano come l’autore non abbia rinunciato ad esprimere pienamente le sue emozioni, a scavare dentro di sé, per ritrovare sa limba imparada dae minore, attaccau de mama a sa suttana (Ignazio Camarda). Sempre con una struttura poetica come testimoniano i termini s’isterrida oppure s’intrada nella bella presentazione del volume oppure sa torrada. Soprattutto il tono calmo e sereno, il gusto per il colore, l’attenzione per la descrizione dei dettagli, per quanto mi riguarda di più lo sguardo pieno di simpatia, di compassione, di affetto per le cose e per le persone. Questa è la forza dell’arte e in su giogu tra finghidura e realidade si cumprit su mistériu ispantosu de sa creassione artistica e de sa peraula chi si faghet poesia, e questo vale non solo per i grandi letterati ma anche per chi si accosta ad un nuovo genere letterario, il romanzo, cun umilidade e timore.

Fiori vuole scavalcare la difficoltà, talora l’abisso linguistico, per stabilire un contatto di empatia e di intesa con il lettore di oggi, raccontando la storia recente di un paese letterario che finiamo per amare, con un senso di compatimento e di pietà persino per i più malvagi, il bandito Malatransa (Martine Fulianu)  arrivato ad uccidere la sua amata Farora Lidone,  tradito da quello che si rivela essere il padre naturale biologico, il ricco e infelice don Antiogu. Inizialmente avevo pensato ad una ripresa, in piccolo, delle tante storie del Giorno del Giudizio della Nuoro di Salvatore Satta, un nido di corvi con una stratigrafia incredibilmente complessa, ma quest’opera di Fiori non si può ridurre alla ripresa di un modello, perché il modello è la vita vera di un protagonista positivo, Doddore Coricaldu, con la sua sposa Peppicca Sainette e il maestro Pitzente Solianu coi suoi puddighinos della scuola e della cooperativa, destinati a scuotere il paese dal sonno dell’ingiustizia e dell’egoismo, ma pronti ad affrontare oriolos e gelosie.

Un paese letterario, Bonifaghe, che assomiglia molto ad Ittiri nel secondo dopoguerra ma anche a tanti altri paesi della Sardegna, con queste differenze sociali che dividono i donnos e proprietarios mannos de terrinos e palattos come donn’Antiogu Trobeas,  dai babbais istudiados e segnores de naschida incappellados, come il sindaco avvocateddu Simone Puntzudu, il medico Pedru Tenaju. Tutti capaci di influenzare il comportamento del maresciallo dei carabinieri Mandras e dei suoi uomini, che rispettano i più forti e sono ingiusti con i deboli.  E ancora pastores e massajos, gli artisti ossia sos mastros biddaresos. Infine la maggior parte della popolazione, ancora più in basso popolani,  sos filigresos, su trigu sottalinu, il grano rachitico, le classi subalterne, sos teraccos, con una parola greca e bizantina.  La nascita della cooperativa S’Avréschida, un percorso seguito con passione e con entusiasmo dall’a., che racconta cose già viste di persona o di cui è stato in parte protagonista vero.

Innanzi tutto i luoghi amati, nel paese di Bonifaghe, Carrela ‘eretta, Carrela ‘e su putu,  sa Carrela ‘e sas mendulas rifugio dei rossi che chiedono di poter utilizzare la terra abbandonata, i vasti latifondi recintati da pochi avventurieri dopo l’editto delle chiudende, lasciati vuoti solo per la caccia. Sembra di leggere la lex Hadriana de rudibus agris di età romana, nei luoghi dove abbiamo scavato poche settimane fa in Tunisia, mentre leggevo queste pagine sulla Sardegna arcaica con gli occhi colpiti dalla povertà di un paese tunisino come il nostro Ain Tounga, assieme ai nostri studenti, alcuni originari proprio di Ittiri, desiderosi di spiegarmi e di capire con me.

E poi il paese descritto  nelle sue campagne:  Montijeddu (come non pensare alla poesia Su Montiju meu premiata nel 2020 ad Ozieri ?), Su Padru Mannu, Sa Pedra Longa, Sa Punta ‘e s’elighe, Binza Noa, Chessedu, Funtana ‘etza, Santa Ittoria, Monte pianu, Sa figu bianca, sa rocca pertunta, Sos roccalzos de s’ae. E poi i luoghi della contesa giudiziaria e prefettizia, Runaghe mutzu e Badde aliderru, alcuni immaginari se non li ho trovati tra i toponimi attuali di Ittiri, usati dall’autore certo per oscurare storie d’amore e di morte come quelle raccolte in queste pagine.

Eppure mi ha colpito molto la mano leggera usata dal poeta per raccontare anche le tragedie, la morte di Farora con l’attittidu della madre, l’uccisione di un cavallo o di un bue ,la cattura di Doddore ad opera dei carabinieri solerti coi potenti, la lunga ingiusta detenzione, che però non cambia il suo entusiasmo, il rispetto di cui gode, l’amicizia.  Nel racconto ci sono pause per scavalcare momenti troppo dolorosi, anzi potrei dire che i diversi temi e i diversi episodi finiscono per non essere ricuciti tra loro, con un risultato – quello del dolore inespresso e del silenzio – che è senz’altro apprezzabile.

E poi la crudeltà inutile, gli incendi, la siccità lunga: c’è in fondo la consapevolezza che la terra restituisce sempre con abbondanza il lavoro degli uomini, il seme che è stato sparso tra i solchi percorsi dall’aratro. Se vogliamo c’è davvero un parallelo tra la lavorazione della terra a novembre e la gravidanza inattesa della sposa presa da Doddore quasi con la passione incontrollabile di un amore e di un rispetto profondi;   Peppicca arriva a partorire nell’estate, compiendo un ciclo che è identico a quello della natura. Il matrimonio celebrato per Pasqua da padre Matteu in chiesa, segna positivamente l’inizio di una vita felice, che unisce le famiglie e il paese.  Del resto questo è un paese solare, un paese complesso e positivo, un paese nel quale in realtà ci sono tante cose da amare, che si ricordano con la dolcezza di chi è stato accolto senza riserve e che ancora ritorna per ritrovare il clima di accoglienza, l’amicizia, l’affetto profondo di chi l’ha conosciuto davvero. C’è in queste pagine il piacere dello stare insieme e dell’incontrarsi, per combattere la solitudine ed il silenzio, c’è il rapporto con la campagna e l’amore per i gli animali; c’è più ancora il senso di una comunità forte della quale si continua a far parte anche quando fisicamente si è lontani. Io personalmente ne ho ricavato ulteriori ragioni per apprezzare Giuanne Fiore per le sue qualità e per le sue sensibilità davvero inattese. Una bella storia originale e sorprendente, da leggere e meditare.

Ultimo aggiornamento Martedì 25 Ottobre 2022 18:21

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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