Isole - Intervento di Attilio Mastino a Carloforte - Tavola rotonda con Umberto Eco - 26 giugno 2010

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Scritto da Administrator | 30 Giugno 2010

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ISOLE

di Attilio Mastino

LocandinaL’ AMBIVALENZA DELLE ISOLE

Le isole godono nel pensiero antico di una  profonda ambivalenza: da un lato esse rappresentano un 'punto di passaggio' lungo le rotte mediterranee, dall' altro, per la loro stessa natura, sono luoghi 'remoti' e 'isolati', e, in quanto tali, possono trasformarsi in luoghi utopici.

Il grande storico delle “Annales” Lucien Febvre assunse paradigmaticamente la Sicilia e la Sardegna come espressione rispettiva dell’ «île carrefour» e dell’ «île conservatoire».

Al di là dello schematismo febvriano non c’è dubbio che la Sicilia partecipi di un maggiore dinamismo culturale ed economico rispetto alla Sardegna in tutte le fasi della storia.

Ma in effetti alla Sardegna era  stato concesso il primato  nel “canone delle isole” del Mediterraneo, sulla base non della superficie (non calcolabile nell’ età arcaica), ma per il suo maggiore effettivo sviluppo costiero rispetto alla Sicilia.

Questo canone, formatosi  entro il V secolo a.C. , ma presumibilmente già dal secolo precedente, è derivato  dal periplo di ciascuna isola, unico strumento  in possesso degli Antichi, per determinare, seppure approssimativamente, l'estensione delle isole.

E' noto che in tre occasioni Erodoto  ricorda la Sardegna come l'isola più grande del mondo:  la notizia  è da considerarsi ovviamente erronea se le dimensioni dell'isola, in rapporto alle altre isole del Mediterraneo,  vanno calcolate in termini di superficie, dato che la Sardegna, con i suoi 23.812 km. quadrati viene superata dalla Sicilia, con 25.426 km. quadrati. In passato, il presunto errore di Erodoto, variamente ripreso dagli scrittori antichi, in particolare da Timeo e quindi da Pausania, era stato considerato come una prova per dimostrare la scarsa conoscenza che dell'isola avevano i Greci, esclusi alla fine del VI secolo a.C. dalle rotte occidentali dalla vincente talassocrazia cartaginese all'indomani della battaglia navale combattuta nel Mare Sardo per il controllo di Alalia, della Corsica e della Sardegna. Una tale interpretazione va comunque rettificata e va rilevato che il calcolo di Erodoto è stato effettuato non in termini di superficie ma di sviluppo costiero delle diverse isole del Mediterraneo: il litorale della Sardegna è lungo circa  1.385 km. (oltre 4.000 stadi, circa 600 miglia secondo le fonti: tra i 740 e gli 888 km.) ed è dunque nettamente superiore al perimetro costiero della Sicilia, che ha uno sviluppo di 1.039 km. Per Procopio il perimetro dell'isola poteva essere percorso solo in 20 giorni da un uomo a piedi, che marciasse svelto a 200 stadi al giorno. Prima della conquista romana doveva d'altra parte essere impossibile calcolare l'esatta superficie della Sardegna, dato che la presenza punica non oltrepassò il fiume Tirso e non riguardò la Barbaria montana.

Pertanto se ne può dedurre viceversa una buona conoscenza del litorale sardo da parte dei marinai greci già nel V secolo a.C., come testimoniano i nomi di “Isola dalle vene d’argento”, “Ichnussa”, “Sandaliotis”, con riferimento in particolare alla forma cartografica dell’isola. Del resto il significato della battaglia di Alalia - che alcuni ritenevano il momento finale della colonizzazione greca nel Mediterraneo occidentale -  viene oggi notevolmente ridimensionato. Tuttavia c'è da presumere che le caratteristiche della costa e dei fondali, le correnti e l'andamento prevalente dei venti siano stati oggetto di successive esperienze durante la dominazione cartaginese; dopo il 238 a.C. e quindi nell'intervallo tra la prima e la seconda guerra punica, in età  romana.

La Sardegna appare dal mito come un’isola felice (eudaimon), che per grandezza e prosperità eguaglia le isole più celebri del Mediterraneo: le pianure sono bellissime, i terreni fertili, mancano i serpenti e i lupi, non vi si trovano erbe velenose (tranne quella che provoca il riso sardonio).

La Sardegna, isola di occidente, appare notevolmente idealizzata, soprattutto a causa della leggendaria lontananza e collocata fuori dalla dimensione del tempo storico.  Eppure i Greci avevano informazioni precise sulla reale situazione dell’isola: già Diodoro Siculo, confrontando il mito con le condizioni di arretratezza e di barbarie dei Sardi suoi contemporanei, osservava come essi erano riusciti a mantenere la libertà promessa da Apollo ad Eracle, dopo le ripetute aggressioni esterne. I discendenti del dio erano riusciti ad evitare, nonostante le dure condizioni di vita, le sofferenze del lavoro. Si aggiunga che gli autori greci e latini avevano una notevole conoscenza, più o meno diretta, dell’esistenza in Sardegna di una civiltà evoluta come quella nuragica, caratterizzata da un lato dall’assenza di insediamenti urbani, dall’altro da uno sviluppo notevole  dell’architettura, dell’agricoltura e della pastorizia. Questa consapevolezza si esprime, per l’età del mito, nella saga degli Eraclidi, di Dedalo e di Aristeo, che avrebbero determinato quello sviluppo, prima dell’evoluzione urbana miticamente attribuita a Norace.

Il canone delle isole, attestato nel Periplo dello Pseudo Scilace, in Timeo, Alexis, Pseudo Aristotele, Diodoro, Strabone, Anonimo della Geographia compendiaria, Tolomeo, ed in epigramma ellenistico di Chio, comprendeva, originariamente, sette isole, il cui elenco, seppure  non sempre nello stesso ordine, è il seguente: Sardegna, Sicilia, Creta, Cipro, Lesbo, Corsica, Eubea.

È sintomatico del processo di formazione di questo canone il fatto che l'isola più occidentale  dell'elenco sia la Sardegna e che il più antico aggiornamento del canone, contenuto nel Periplo di Scilace, forse ancora del VI secolo a.C., annoveri esclusivamente isole del Mediterraneo orientale.

L’ Occidente, ossia lo spazio del buio, dopo il tramonto del sole, è evocato nella rotta di Odisseo, ma la codificazione occidentale della geografia dell' Odissea è del tutto ignorata da Omero, mentre le avventure di Odisseo principiano ad avere una loro localizzazione occidentale solo nella Theogonia di Esiodo.

Invano, dunque, cercheremo nel testo dell' Odissea una specificazione geografica dell' isola di Aiàie, sede del Palazzo di Circe o del nesos Ogugìe, dove Kalupsò abita.

I celebri versi 1011-1015 della Theogonia esiodea, attualmente non più considerati un'interpolazione tardiva,  marcano una localizzazione tirrenica dell' isola di Circe:

Circe, figlia del Sole, stirpe di Iperione,
unitasi in amore con Odisseo, dal cuore che sopporta,
generò Agrio e Latino, irreprensibile e forte.
Questi molto lontano, nel mezzo di isole sacre,
regnavano su tutti gli illustri Tirreni.

Con Lorenzo Braccesi dobbiamo ribadire che «la critica ha riconosciuto la prima codificazione della geografia dell' Odissea a una matrice euboica, sottolineando come le tappe delle peregrinazioni di Ulisse, nella loro localizzazione occidentale, si accompagnino all' evolversi della grande avventura coloniaria di Calcide e di Eretria».

A questo medesimo quadro storico potremmo, dunque, proporre di attribuire una serie di filoni mitografici greci ambientati in isole occidentali, pur rendendoci conto che il mito è un sistema semiologico che impone la individuazione «dei meccanismi delle sue letture e riletture successive, dall' antichità fino ad oggi».

LA SARDEGNA ISOLA DELL’ ESTREMO OCCIDENTE

In questa chiave è  opportuno evidenziare due  nuclei di tradizioni mitiche che localizzano la sede di Phorkos / Phòrkus nello stretto fra Sardò, la Sardegna, e Kyrnos, la Corsica e la sede di Gerione, l' avversario di Herakles nella sua decima fatica, nelle tre maggiori isole baleariche.

Una tradizione mitica alquanto antica localizzava  la sede di Phorkos / Phòrkus, una divinità ancestrale confinata nell' Oceano occidentale, nel mare fra Sardò, la Sardegna, e Kyrnos, la Corsica.

Servio nel suo commento ad Eneide V, 824  precisa: >.

Si tratta, come è evidente, di una razionalizzazione del mito, del resto presente nella stessa forma nel primo Mitografo del Vaticano. Che tale critica razionalista del mito non  sia ascrivibile a Varrone o comunque ad una fonte latina lo dimostrano le Storie incredibili di Palefato, un misterioso autore di una raccolta di miti, interpretati in chiave razionalista, forse da ascrivere ad ambiente del Peripatos, tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C..

Tra i miti interpretati da Palefato vi è anche  quello relativo alle figlie di Phòrkus, che descrive Phòrkus come regnante «sulle isole fuori dalle colonne d' Ercole (sono tre)», che lasciò dopo la sua morte alle tre figlie Stenò, Euriala e Medusa, le quali spartitesi il patrimonio, ciascuna governava un' isola. Perseo, esule da Argo, esercitava la pirateria contro i paesi costieri con navi e truppe; saputo che da quelle parti c' era un regno tenuto da donne, molto ricco e scarso di uomini, vi giunge; e per prima cosa stazionando nello stretto tra Kerne e Sardò, cattura l' Occhio [un amico di Phòrkus nell' interpretazione razionalistica di Palefato], mentre sta navigando da una parte all' altra.

La lezione tràdita dai codici a proposito delle isole delle figlie di Forco  è discussa né ci illumina il tenue riferimento di Varrone (nel commento di Servio all' Eneide) a Phorcus che rex fuit Corsicae et Sardiniae , benché in Palefato all'originario Kùrnos (Corsica) si sostituisca Kerne, in relazione all' utilizzo del Periplo di Annone e ad una ambientazione esplicitamente atlantica del mito.

In realtà sembrerebbe che una fonte mitografica anteriore a Palefato conoscesse una localizzazione tirrenica (sarda-corsa) di Phorkus, che Omero considera figlio di Poseidon e di Thòosa e che altre teogonie riportano all' ordine preolimpico, in quanto figlio di Pontos e Gaia, o di Okeanos e Tethis. Indubbiamente le varie localizzazioni antiche di Phorkus variano tra le isole ionie di Cefallenia e Ithaka, la Libye del lago Tritonio (lo Chott el Jerid della Tunisia meridionale) e l' Africa atlantica, tuttavia l' ambientazione tra Sardegna e Corsica  ci mostra una codificazione insulare mediterranea assai antica di un mito in origine privo di specificazioni geografiche.

Vi è infine da chiedersi se, ammessa la localizzazione mediterranea del mito,  le tre isole su cui regnavano le figlie di Phòrkus, al di là dello stretto fra Sardegna e Corsica,  non possano essere identificate nelle tres insulae adiacenti all' HispaniaBaliarica maior, Baliarica minor ed Ebusus.

E allora veramente potremmo aggiungere un tassello alla tesi di chi sposta le colonne d’Ercole, come ho già avuto modo di osservare a proposito della spedizione degli Argonauti nella Grande Sirte e della localizzazione del Giadino delle Esperidi, in origine associato al tunisino Lacus Tritonis (Chott el Jerid) e poi trasferito sull’Atlantico. Credo che una discussione laica sulla localizzazione delle Colonne sia opportuna, anche perché è certo che i miti greci hanno accompagnato la navigazione e dunque si spostavano nello spazio e nel tempo. Del resto lo stesso Sergio Frau ha oggi fatto un notevole passo indietro sulla questione del mito di Atlantide.

FUNZIONE DELLE ISOLE

Le isole, urbanizzate o meno, sono soggette ad un utilizzo economico in relazione sia al loro ruolo nella navigazione antica, come approdi e luoghi di approvvigionamento dei navigli, sia e soprattutto per lo sfruttamento delle risorse minerarie (ad esempio i filoni ferrosi di Ilva, le cave di granito di Planaria, l'argilla di Aenaria-Ischia, l'allume di Lipara), agricole (la messa a coltura delle Stoikádes da parte dei Massalioti, la coltivazione comunitaria delle isole Lipari), della silvicoltura (con la connessa attività dei cantieri navali), dell'allevamento, della pesca e della raccolta di molluschi e di corallo, con le manifatture ad esse collegate.

Dall' antichità ai nostri giorni le isole (e le coste) hanno frequentemente offerto un'ottima base alle attività piratiche. Come lucidamente notato da Federico Borca:

Le isole procuravano porti sicuri, basi logistiche da cui partire per effettuare ruberie e saccheggi sulla vicina terraferma, infine nascondigli dove potersi rifugiare in caso di pericolo, ovvero dove tendere un agguato a un ignaro mercante di passaggio con la sua nave. Avevano reputazione di essere frequentate da pirati o comunque legate ad attività predatorie non soltanto le Baleari, ma anche numerose altre isole tra cui la Corsica e la Sardegna, le isole del mare Tirreno e l'arcipelago delle Eolie (...).

Benché  la pirateria abbia costituito un fenomeno endemico lungo tutta la storia del Mediterraneo le campagne militari  contro i pirati sviluppate dai Romani, ed in particolare il bellum condotto da Pompeo con i suoi legati nel 67 a.C. e le iniziative di Augusto contro la risorgente pirateria consentirono lo sviluppo tra l'età tardo repubblicana e l'Alto Impero di residenze di lusso nelle isole.

Tali residenze, in corrispondenza spesso di proprietà imperiali delle stesse isole, poterono servire anche da esilio dorato per i membri della domus Augusta che si macchiarono di colpe sanzionate con la relegazione in insulam, mentre altre isole servirono per la deportazione. Nel Mediterraneo Occidentale le insulae per le quali è attestata, nelle nostre fonti, la relegatio o la deportatio (a parte la Sardinia e la  Corsica) furono le Baliares, Planasia, Pontia, Pandateria nel Tirreno, Cercina e le Aegrimuritanae insulae presso le coste dell' Africa.

Infine, con la tarda antichità e, successivamente, nell' alto medioevo, talora con continuità nel tardo medioevo, le desertae insulae, spesso di dimensioni ridottissime, costituiscono il luogo extra mundum dove i monachi trovano l' horror solitudinis, che diviene nell' esperienza eremitica del monasterium un  paradisus, pur non restando esclusa l'esigenza di trovare nelle insulae un perfugium , pro necessitate feritatis barbaricae.

Nella pars Occidentis sono documentati monasteria insulari  a Capraria (Maiorica), nelle Stoechades, nelle insulae del Ligusticum mare ( Lero, Lerina, Gallinaria, Palmaria, Noli, Tino e Tinetto), nelle isole dell' Etruscum mare e in particolare Gorgona, Capraia, Montecristo ma anche dirimpetto alla costa campana (insula Eumorfia). Il fenomeno  monastico riguardò anche, come si è già osservato, le piccole insulae della Sicilia e dell' Africa.

Rutilio Namaziano, in una sorta di day after descrive il litorale etrusco e le isole dell’arcipelago abitate dai monaci rifugiatisi nelle grotte per sfuggire all’avanzata di Alarico: gente che per il terrore della misera era diventata volontariamente miserabile e come in passato Circe trasformata i corpi dei compagni di Ulisse in maiali, così ora il cristianesimo rendeva mostruosi e deformava gli animi dei fedeli: tunc mutabantur corpora, nunc animi.

E allora la maledizione, il risentimento dei pagani verso i cristiani: Atque utinam numquam Iudaea subasta fuisset, mai Gerusalemme fosse stata conquistata sotto il comando di Pompeo o l’impero di Tito. Espressioni che sono quanto mai lontane dalla comprensione di un fenomeno, lo sviluppo dell’esperienza monastica, che invece rappresentò per l’Africa e per la Sardegna un momento di straordinaria fioritura culturale e di profonda spiritualità.

A proposito di mostri, antiche leggende marinare parlavano di mostri marini, i favolosi thalattioi krioì, identificati oggi con l’orca gladiator, che secondo Eliano trascorrevano l’inverno nei paraggi del braccio di mare della Corsica e della Sardegna, accompagnati da delfini di straordinarie dimensioni .

L’isola più grande del mondo,  la Sardegna, nelle fonti è sempre associata alla Corsica, sesta tra le isole Mediterranee nel Periplo di Scilace, come in Dionigi il Periegeta, per il quale l’amplissima Sardegna (Sardò eurutàte) e la deliziosa Corsica  (eperatos Kurnos) erano unite nello stesso mare d’occidente.  Ed Eustazio parlando delle isole del mare Ligustico, conferma che la più estesa è la Sardegna, mentre la Corsica prende il nome dalla serva Corsa oppure dalla sommità dei suoi monti e il suo paesaggio è caratterizzato da uno staordinario manto boschivo, innhorrens Corsica silvis per Alieno. Il paesaggio era dominato da quegli alberi fittissimi che impedirono la colonizzazione romano-etrusca ricordata da Teofrasto nel IV secolo a.C., quando sull’isola non riuscirono a sbarcare i 25 battelli, che ebbero i pennoni danneggiati dai rami degli alberi di una foresta sterminata. Niceforo chiamava la Corsica anche kefalé, testa irta di capelli, per via delle tante cime montagnose e la ricchezza di boschi.

Gli Oracula Sibyllina annunciavano per Cyrno e per la Sardegna uno stesso destino tragico, una sorta di apocalisse incombente, «sia a cagione di grandi procelle invernali, sia per le sciagure inflitte dal supremo dio, quando le due isole nel profondo del pelago penetreranno, sotto i flutti marini».

Abitate da pescatori e da pirati, le isole circumsarde prendevano il nome da un dio e ricordavano antichi miti marinari, come l’Hermaea insula all’uscita dal porto di Olbia, Tavolara: Olbia è la colonia che il mito vuole fondata dai gemelli Ippeus e Antileone, figli di Eracle e di una delle 50 Tespiadi, Prokris.,

Oppure l’isola di Eracle, l’Asinara, oggi l’isola dei cassintegrati, l’isola  del parco, l’isola che non c’è e che vorremmo fosse nel cuore della Sardegna.

Oppure, all’uscita da Porto Conte, l’Isola delle Ninfe, la Numphaia nesos, oltre le falesie di Capo Caccia, oggi Foradada.

Consentitemi infine di venire all’arcipelago suscitano ed alle due isole di questo mare occidentale, la Plumbaria insula, che poi divenne la Sulcitana insula Sardiniae contermina, per la presenza di una colonia fenicio punica oggi studiata da Piero Bartoloni (uno studioso che ammiro, che  ieri ho visto all’opera con oltre 50 nostri studenti). E poi il municipio romano dell’età di Claudio, Sulci, la città pompeiana punita da Cesare, porto d’imbarco del minerale di Metalla. Poi l’isola di S. Antioco, la terra del santo africano, quasi un nuovo dio, sbarcato dalla Mauritania su una parva navicula.

Infine vorrei ricordare l’isola che ci ospita, Enosim, l’isola degli sparvieri di un’iscrizione punica, Accipitrum insula, San Pietro, nido di pirati e di uccelli rapaci e insieme tre secolo fa rifugio per i tabarchini della Tunisia, una vicenda che abbiamo ripercorso a Calasetta.

La geografia storica della Sardegna e delle isole del Mediterraneo è innanzi tutto uno spazio di intersezioni, di stratificazioni culturali, di contatti: il mito esprime con vivacità le emozioni dei marinati e degli uomini di ieri e di oggi che operano in quel Mediterraneo che è stato soprattutto non un mare ma uno stagno.

Le isole godono nel pensiero antico di una  profonda ambivalenza: da un lato esse rappresentano un 'punto di passaggio' lungo le rotte mediterranee, dall' altro, per la loro stessa natura, sono luoghi 'remoti' e 'isolati', e, in quanto tali, possono trasformarsi in luoghi utopici.

 

Ultimo aggiornamento Martedì 21 Maggio 2013 10:20

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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