Giornata di studio su Cinzia Vismara.

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Scritto da Administrator | 07 Febbraio 2015

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Giornata di studio su Cinzia Vismara
Attilio Mastino
Cassino 3 febbraio 2015

Mi emoziona parlare oggi assieme ad Alberto, davanti a Cinzia, a tanti amici e soprattutto al mio maestro di Cagliari Fausto Zevi, che mi riporta ad anni davvero lontani.

L’arrivo di Cinzia Vismara a Sassari presso un Istituto concorrente rispetto al mio Dipartimento di Storia è avvenuto nella Facoltà di Magistero il 28 novembre 1983, come professoressa associata di Archeologia delle province romane, poche settimane prima che si celebrasse il primo convegno internazionale su L’Africa Romana, dunque 31 anni fa.

A distanza di tanti anni e a causa della mia età e dell’alzheimer incipiente, ho preferito andare sul sicuro e ho scritto nei giorni scorsi al capo ufficio del personale docente dell’Università di Sassari per avere la cartella con tutta la documentazione che mi era necessaria per la festa di oggi: decreti di assunzione e di conferma di Cinzia, materie insegnate, soprattutto provvedimenti disciplinari adottati dal Rettore nei suoi confronti, che sono stati numerosi.

Ricordo il nostro primo incontro, al piano terra della Caserma Ciancilla, davanti al suo Istituto, presso l’edificio che ospitò negli anni 30 la Milizia volontaria di sicurezza nazionale fascista.

L’avevo trovata eccessivamente espansiva, almeno per il mio carattere, ero sospettoso per la sua euforia, soprattutto risentito per il fatto che si era accasata in un altro Istituto. Avevo tentato senza riuscirci di tenerla un poco a distanza, ma poi non c’era stato nulla da fare.

Mi aveva colpito il suo entusiasmo, quello di essere di nuovo in Sardegna dopo gli scavi di Porto Torres, la sua passione per l’epigrafia, l’attenzione per i suoi cinghiali, gli studenti, anche qualche severità nei nostri confronti.

Pur essendo più piccola di un anno, aveva assunto immediatamente l’atteggiamento della sorella maggiore e dunque mi rimproverava in continuazione, già a partire dal 15 dicembre 1983 e dall’apertura del I convegno de L’Africa Romana, davanti al Direttore del mio Dipartimento Manlio Brigaglia e al Preside Pasquale Brandis. Non le andava il colore delle mie cravatte o dei calzini, l’abito, la sciarpa, la mia pettinatura.

Il convegno era stato effettivamente un po’ confuso,  con soli 30 partecipanti: Hedi Slim aveva svolto una lezione ai miei studenti sull’architettura domestica e poi aveva parlato di anfiteatri a Thysdrus, la moglie Latifa di necropoli, Ammar Mahjoubi di Belalis Maior e di culti pagani a Vaga, io stesso delle stele di Mactaris e di epigrafia latina in Tunisia. Nella tavola rotonda c’erano Giorgio Bejor, Angela Donati, Giancarlo Susini, Carlo Tronchetti, Raimondo Zucca. Marcel Le Glay aveva svolto una conferenza sulla vita religiosa in Nord Africa e poi aveva riscoperto l’ara di Bubastis trovata a Porto Torres da Ercole Contu. Le belle e indulgenti conclusioni erano state di Susini.

Cinzia – che poi avrei definito una giovane e brillante collega ricordando quelle giornate nel XIX volume -  aveva presentato una sintesi 5 pagine 5 sui rapporti tra Africa e Corsica, gli scavi di Castellu, precisando nel testo scritto che l’articolo manteneva un carattere discorsivo legato all’occasione in cui era stato presentato.

Nell’86 ci confermammo associati, io il 21 marzo in Storia romana, lei il 28 novembre per Archelogia delle province romane, anche se poi avrebbe insegnato fino al 1990 anche Archeologia a Materie Letterarie e negli ultimi anni Archeologia e storia dell’arte greca e romana nella nuova Facoltà di Lettere e Filosofia. Si era trasferita al Dipartimento di storia abbandonando Moravetti per me e aveva ottenuto allora un posto di tecnico laureato che fu poi coperto da Alessandro Teatini. Ho sempre sospettato malignamente che le piacesse soprattutto la sede del nostro Dipartimento a Palazzo Segni, il suo studio nella casa dell’ex Presidente della Repubblica che con qualche megalomania avevamo comprato.

I suoi scavi in Sardegna risalgono alla preistoria, al 76 a Porto Torres presso il cantiere della Navalmeccanica e fino al 1978 al Ponte romano e alle fornaci sul Rio Mannu. Dopo la sua presa di servizio come professoressa associata nel 1985 scavò su richiesta del Rettore Milella nell’area della Facoltà di Agraria ad Ottava, 8 miglia da Turris Libisonis, per salvare la documentazione di una necropoli repubblicana prima della realizzazione del campo sportivo del CUS dentro l’Azienda agraria. Scrisse poi un articolo e discusse una tesi con V. Mariane.

Seguirono gli anni della controversa collaborazione con la Soprintendenza archeologica, poi l’avventura di Uchi Maius tra il 1995 e il 2000, assumendone la direzione scientifica visto che la missione era affidata ad un epigrafista che in modo riprovevole dedicava il suo tempo alle scritture antiche. Ne parlerà Maddalena Sparagna.

Fondò con noi, con Giovanni Brizzi e Raimondo Zucca, il Centro di studi interdisciplinari sulle province romane, nato il 14 novembre 1990 a cavallo tra Dipartimento di Storia e l’allora Istituto di Antichità Arte e discipline etno-demologiche della Facoltà di Magistero e poi di Lettere e Filosofia, che diresse dal 1994 al 1998, con l’intento di promuovere studi e ricerche interdisciplinari sulla storia e l’archeologia delle province romane. La denominazione era ricalcata sulla sua disciplina, ma ancora oggi il Centro promuove ricerche interdisciplinari sull’organizzazione provinciale romana, sulla cultura, l’urbanizzazione, l’economia, la vita religiosa dell’area occidentale del Mediterraneo in età romana, con particolare attenzione per le persistenze e le sopravvivenze locali, puniche ed ellenistiche nelle diverse parti dell’impero. Il Centro anche grazie a Cinzia è riuscito a diventare  progressivamente punto di riferimento per la cooperazione scientifica internazionale. La Commissione Scientifica è infatti composta da studiosi isolani e di altre università italiane e straniere; si è inoltre favorito il collegamento tra docenti e ricercatori che, pur in ambiti disciplinari ed istituzionali diversi, si dedicano ai vari aspetti del mondo antico.  Attraverso il Centro, abbiamo tentato di creare dei nuclei di ricerca incentrati sullo studio delle Province Romane e dell’Africa in particolare, nel campo delle discipline storico-archeologiche-filologiche-linguistiche, facendo emergere l’area del Mediterraneo come spazio di contatto, di cooperazione, di integrazione fra popoli differenti.

Se ci volgiamo indietro a guardare la strada percorsa possiamo in sintesi ricordare le attività promosse dai direttori che si sono succeduti, Giovanni Brizzi, poi io stesso, Cinzia Vismara dal 1995 al 1998, Raimondo Zucca dal 1998, infine Paola Ruggeri nell’ultimo anno. Ha attivamente operato un Comitato scientifico che ha sostenuto quella rete di rapporti internazionali che ha reso possibile la celebrazione dei Convegni internazionali de L’Africa Romana.

Decise poi di abbandonarci per Cassino il I novembre 1998, accolta dal Preside Marco Palma, interrompendo le sue lezioni di arabo, spiegandoci che non era un tradimento nei miei confronti, nei confronti di Emilio Galvagno, di Sandra Parlato, di Alberto Moravetti, di Patrizia Patrizi, di Laura Fortini, di Peppinetta Fois, di Guido Melis e di tutta la sua greffa, che in qualche modo era diventata anche la mia, con Paola Ruggeri, Esmeralda Ughi, Cecilia Cazzona, Antonio Ibba. Sarebbe tornata a Sassari molto di frequente anche per la tesi di Alberto Gavini sui culti orientali o per il dottorato, di cui continuò a far parte.

Proprio al Centro si debbono i volumi de L’Africa Romana, che Cinzia ha sempre riletto e corretto, curandone fin nei dettagli l’edizione, firmando i volumi dall’XI al XVIII, dunque dal 1994 al 2010, per 16 anni, inseguendo la mia follia tra Cagliari, Sassari, Oristano, Olbia, Nuoro e poi Rabat, Cartagine, Tozeur, Djerba, Siviglia. Dal XIX volume ha lasciato il testimone ai nostri allievi Maria Bastiana Cocco, Alberto Gavini, Antonio Ibba. Un gesto di generosità che non dimentichiamo. Scrisse molte introduzioni e conclusioni, consigliò molti temi e prese di posizione anche di tipo politico-istituzionale, scrisse presentazioni di libri e recensioni, corresse le bozze perdendoci un poco la vista, collaborando con Antonella Laganà. Era entrata profondamente in Africa con le sue escursioni sempre più avventurose e arrischiate, le sue ricerche, le sue riflessioni non convenzionali sul tema della romanizzazione delle province, gli impianti produttivi, i frantoi, gli anfiteatri, l’epigrafia. Più ancora in Sardegna e in Corsica, con i volumi sulla Sarda Ceres, su Turris Libisonis firmato anche da me, ora lo splendido Sardinien und Korsika in römischer Zeit del 2011 per Zabern.

E poi gli altri temi: gli ebrei, le necropoli, i supplizi, le province, in particolare le Gallie, la Narbonese, Alpes  Maritimae, Aquitania. Sempre con una documentazione incredibilmente completa, addirittura raccolta con pignoleria, che sfociava in mostre nelle quali ci coinvolgeva a Cartagine con l’Institut National du Patrimoine, a Rabat con l’Addetto culturale italiano, a Sassari con il Museo Sanna. A Milano, a Roma, dove ha mantenuto il cordone ombelicale con Sassari attraverso Marco Rendeli.

Temi che ricorrono nelle numerosissime tesi di laurea, tesi di dottorato, nei suoi corsi dedicati alle singole province, alle città, ai monumenti da spettacolo, ai mosaici, alle ville (fino alla sua conferenza a Tokio), agli anfiteatri con munera e venationes (tesi di A. Corraduzza). Per l’Africa ha spaziato da Mactaris (con Pina Derudas e Antonio Pinna) a Gightis (con Mariangela Pisanu), da Thuburbo Maius (Mariangela Sau),  a Numluli (Valentina Porcheddu), da Agbia (Donatella Cherchi) a Uchi Maius (Rita Sanna), da Thignica (con Salvatorica Ledda) a Cirta, da Thamugadi (M. Simula) a Thabraca, da Volubilis (Francesca Murgia e Caterina Pes), a Banasa (Gabriella Tiziana Contu) e a Sala colonia (Pier Paola Nieddu). In Sardegna da Gavoi a Fonni, da Ottava al Goceano. La tesi sull’evergetismo africano di Esmeralda Ughi, quella sul viaggio di  Guérin nella Reggenza di Tunisi di Maria Lucia Manca, sulle sodalitates anfiteatrali in Africa con Gavinetta Galzerino.

Le cose più belle sono però legate alla didattica, le sue lezioni, le sue preziose diapositive, le esplorazioni, le indagini territoriali, la cartografia informatizzata, le escursioni in Italia e all’estero e in particolare la tradizionale settimana romana che richiedeva doti di maratoneta tra il Museo della civiltà romana all’EUR e il Campidoglio. Oppure ad Ostia o a Villa Adriana a Tivoli. La proiezione verso altri centri di ricerca.

Naturalmente sullo sfondo c’è sempre stata la sua simpatia, i pranzi e le cene a Sassari, le sue imitazioni come quelle della maestra Floriani Squarciapino. In Tunisia era diventata un despota, che gestiva la cassa con eccessiva parsimonia, propinandoci a cena (sui banchi scolastici che Khanoussi aveva fatto trasportare per noi) veri e propri intrugli, minestroni e pappe che non mi sognavo di assaggiare, ma che avevano deliziato il ragioniere capo dell’Università. Dunque il ricordo dei primi anni a Thebusouk è legato alla fame, al caldo, visto che preferiva scavare ad agosto dalle 5 del mattino, il mal di schiena perché solo dopo tre anni ero riuscito a farle comprare una sedia per le mie pennichelle dopo il lauto pranzo sullo scavo; pranzo che raggiungevamo a piedi perché le auto dovevano essere parcheggiate alla base della collina, specie quando pioveva. Mi divertiva vederla in difficoltà con gli operai, gli innumerevoli Sliti, soprattutto con l’autista del nostro autobus che non accettava ordini perentori da una donna e le faceva continuamente dispetti, rifiutandosi di trasportare i ragazzi carichi di attrezzatura sotto la pioggia. Allora telefonava e aspettava con ansia il mio arrivo. Del resto sarebbero innumerevoli gli aneddoti da raccontare questi lunghi anni. Al di là degli scherzi, dava il meglio di sé con gli studenti e le studentesse, riprese in continuazione per il loro abbigliamento, rispedite a casa per cambiarsi d’abito e costrette ad arrivare quasi col burqa sullo scavo;  e poi il controllo generale sugli orari degli studenti, sul loro impegno che voleva sempre più intenso, ma anche coccolati e difesi in tante occasioni, soprattutto durante le tante epidemie gastrointestinali che periodicamente li colpivano a Theboursouk.

Qualche anno dopo ci abbandonò di nuovo, quando nel 2000 scelse il Rif del Marocco con Ahmned Sirahj di Mohammedia, lasciando i sui scavi tunisini a Giampiero Pianu e Alessandro Teatini, infine a Marco Milanese. Ma intanto pubblicava Uchi Maius 3, dedicato ai frantoi, sfruttandomi ogni giorno, costringendomi a ricordare il funzionamento del nostro arcaico frantoio di famiglia a Bosa negli anni 50, il cavallo, le macine, le presse, i fiscoli, la pasta delle olive, le sanse, gli operai, un mondo  lontano anni luce che in qualche modo ha saputo far riemergere anche dalla mia memoria.

Vederla oggi dirigere Antiquités Africaines ci riempie di orgoglio: soprattutto volevamo dire, io e Alberto che ha preparato con me un irriverente power point, che le vogliamo bene, che abbiamo contratto nel tempo un debito che non si cancella, che la nostalgia non può essere il solo sentimento che ci legherà in futuro, pur ricordando un lungo periodo di studi, di ricerche, di attività, che è stato anche un lungo e felice periodo della vita di ciascuno di noi, un percorso fatto di curiosità e di passioni profonde.

Volevamo dire che Cinzia troverà sempre in Sardegna degli amici veri, che continuerà a rappresentare per le Università della Sardegna un punto di riferimento di cui tener conto, soprattutto un punto di vista originale fatto insieme di severità, di rigore, di competizione, ma anche di complicità e di affetto.

Ultimo aggiornamento Sabato 07 Febbraio 2015 16:51