Natione Sardus “Achivio Storico Sardo”

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Scritto da Administrator | 11 Ottobre 2015

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Natione Sardus
“Achivio Storico Sardo”, in stampa
Attilio Mastino

1. Per spiegare il termine natio, nel senso di “patria”, origo, luogo geografico di nascita e di origine ma anche domicilium (in greco génos, éthnos, polítes), il grammatico Lucio Cincio ripreso da Festo[1] in età repubblicana faceva riferimento a coloro che sono radicati su un territorio, sul quale sono nati e continuano a vivere: genus hominum, qui non aliunde venerunt, sed ibi nati sunt ubi incolunt[2]. A questo riguardo è necessario specificare la differenza sostanziale con gens, in quanto la nozione espressa da quet’ultima si collega alla serie di antenati presenti in un lignaggio familiare e uniti da un rapporto di sangue;  la nozione di natio, invece, tiene conto del rapporto che un dato gruppo sociale ha nei confronti di un luogo geografico di origine; questo infatti identifica il suolo della patria originaria, <<solum patrium quaerit>>, in quanto è omoradicale col verbo nascor[3].

Pertanto, nella recentissima voce natio scritta per il Thesaurus linguae Latinae (a. 2014), Friedrich Spoth osserva che nell’utilizzare il termine natio si intende trattare specialmente de coetu hominum, qui coniuncti sunt vinculo, magari unius originis, linguae, religionis similiter[4]. Quindi si coglie il senso dell’espressione natione verna, che non è da intendersi come abitualmente verna “schiavo nato in casa” ma che conserva il significato più antico di “nativo”, dal momento che è assegnata soprattutto a liberi e non a schiavi[5].

In genere natio viene utilizzato per indicare un <<populus>>, cioè <<homines, nomine vinculo originis, rpreligionis similiter coniuncti>>[6]: le popolazioni straniere, alleate o sottomesse a Roma (nationes exterae); altre volte indica popoli ostili alla Res pubblica oppure etnie definite etnocentricamente “barbare e arretrate”, rispetto alla cultura di cui i Romani si ritenevano portatori primi[7]. In epoca romana questa nozione era riferita soprattutto ai peregrini che abitavano ampie aree all’interno dello spazio geografico dell’impero e che conservavano le loro tradizioni e, se si vuole, una propria cittadinanza, in qualche caso alternativa alla cittadinanza romana: natio è dunque la comunità di diritto alla quale si apparteneva per vincolo di sangue, partendo dalla terra nella quale si era nati, dal luogo d'origine, di appartenenza o di provenienza. Il termine era utilizzato di frequente per indicare anche i barbari che abitavano fuori dall’impero romano r che avevano una propria lingua e tradizione.

Natio poteva indicare genericamente un’etnia o poteva essere usato per caratterizzare anche solo un  rappresentante di un’entità geografica più ampia, comprendente diversi populi e gentes. Eppure in genere natio contiene anche un aspetto che includeva, sul piano etnico e culturale, il nostro termine “nazione” che appare oggi più caratterizzato sul piano identitario, più capace di identificazione specifica, riferito a popoli che <<hanno in comune lingua, arte, storia, tradizioni>>[8]. In ambito provinciale la questione aveva importanti contenuti culturali e giuridici, in relazione al rapporto tra la cittadinanza romana e gli iura gentis, cioè le tradizioni giuridiche locali dei peregrini, che sopravvivevano all’interno di una provincia romana, come testimonia ad esempio la tabula Banasitana[9] e, in Sardegna, l’epigrafe del nurac Sessar riguardante il popolo degli Ili(enses)[10]: elementi che in qualche modo testimonino la sopravvivenza dello <<ordinamento giuridico>> pre-romano in piena età imperiale.

Si coglie il senso dell’utilizzo del termine natio quando veniva impiegato per indicare – con una sfumatura culturale e identitaria - l’insieme dei popoli che occupavano la provincia della Sardinia, isola che anche come entità geografica non veniva considerata facente parte dell’Italia romana, in quanto organizzata attraverso una propria lex provinciae e sottoposta originariamente all’imperium di un magistrato[11]. Per contro per indicare se stessi, i Romani preferivano utilizzare civitas, patria, res pubblica, Urbs, termini che ovviamente non si sovrappongono ma contengono sfumature differenti per indicare una dimensione giuridica e istituzionale fondata sulla libertas[12].

Jean-Marie Lassère nel Manuel d’épigraphie romaine è arrivato ad affermare nel 2005, con riferimento all’espressione attribuita ad un Iulius Alexsander natione Afer, che <<le mot natio peut faire référence non à la naissance mais à la culture dont participe le personnage corcerné>>:  lo dimostrerebbe il passo del de inventione di Cicerone (I, 24,35) nel quale si chiede se un individuo sia greco o barbaro per cultura: natione, Graius an Barbarus ? In pratica, su un piano psicologico, la menzione epigrafica della natio, così frequente nel II secolo d.C., potrebbe essere l’eco di una lontana e forse inconfessabile nostalgia  <<de déracinés>>, di personaggi che, pur vivendo a distanza, continuavano a guardare alla loro patria lontana, alla loro terra di provenienza; individui desiderosi di non lasciar sopravvivere dei dubbi sulla propria origine e di non essere confusi con gli incolae, semplici residenti che non erano a tutti gli effetti membri della comunità che li aveva accolti[13].  Di conseguenza si è esplicitamente natione Sardi solo quando si vive fuori dalla Sardegna, ma è sottinteso che l’espressione porebbe essere riferita a tutti i residenti, cives e peregrini.

2. Per un paradosso della storia, proprio Marco Tullio Cicerone, accerrimo nemico dei Sardi, attribuiva loro la condizione di natio; infatti l’Arpinate utilizza di frequente il termine natio quando presenta popoli stranieri e barbari, de exteris et barbaris populis[14]. In una lettera al fratello Quinto, Cicerone parla di Africani, Spagnoli o Galli, tutti considerati come nazioni feroci e barbare, che comunque occorreva amministrare secondo i principi dell’humanitas romana: <<Quod si te sors Afris aut Hispanis aut Gallis praefecisset, immanibus ac barbaris nationibus, tamen esset humanitatis tuae consulere eorum commodis et utilitati salutique servire>>[15].

Nella decima Filippica Cicerone spiega le ragioni per le quali i Romani hanno assunto la causa della libertà; tutti gli altri popoli invece potevano essere disposti a sopportare la servitù; la comunità romana  invece non poteva accettarlo (omnes nationes servitutem ferre possunt, nostra civitas non potest); questo era possibile semplicemente perché gli altri rifuggivano la fatica e la sofferenza e, per evitarle, erano disposti a subire qualsiasi cosa.  “Noi” invece, pecisa Cicerone, abbiamo, grazie all’esempio e all’insegnamento dei padri, una formazione tale che ci fa guidare ogni nostro pensiero e ogni nostra azione col criterio dell’onore e della virtù (10, 20).

Come è da tempo noto si tratta di un testo influenzato dalla polemica politica sorta alla vigilia della costituzione del secondo triumvirato; tuttavia, è opportuno tenere presente che il topos che lega la libertà dei Romani al servaggio di un popolo che si indica col termine natio è un concetto ben definito da Cicerone dieci anni prima nella Pro Scauro, proprio con riferimento ai Sardi. Pronunciata per difendere un governatore disonesto, l’orazione mette in evidenza come tutti i testimoni sardi avessero immaginato di far cosa gradita al console Appio Claudio e volessero stringere un patto con lui (compromissum), in cambio di una possibile ricompensa per l’elezione al consolato del fratello. La loro testimonianza non poteva essere degna di considerazione, poiché dettata dall’avidità, dal momento che apud nomine barbaros, opinio plus valet saepe quam res ipsa (16,36). La credibilità dei testimoni era nulla, in quanto sarebbe stata dimostrata una congiura di Sardi, causata dalla cupiditas, spe et pr<omissione> praemiorum. Del resto si sosteneva che la loro nazione è così superficiale e vacua che per i Sardi non c’è nessuno tra di loro capace di distinguere schiavitù da libertà se non per il fatto di poter mentire impunemente: postremo ipsa natio, cuius tanta vanitas est ut libertatem a servitute nulla re nisi mentiendi licentia distinguendum putent (17,38).

I centoventi testimoni sardi usano una loro unica lingua, perseguono un loro unico scopo nascosto, non già espressione del risentimento per un abuso subito ma di simulazione, sotto l’impulso non delle offese ricevute da Scauro ma delle promesse e delle ricompense di altri: nunc est una vox, una mens non expressa dolore sed simulata, neque huius iniuriis, sed promissis aliorum et praemiis excitata (18, 41). E qui vox potrebbe davvero assumere il significato di lingua di un popolo barbaro e riferirsi, più che alla lingua cananea dei Cartaginesi,  al proto sardo degli eredi dei nuragici, la lingua perduta che ha preceduto il latino, un suono indistinto, un rumore, un frastuono fatto di parole incomprensibili, ma comunque accusatorie nei confronti di Scauro, dette per il trramite dell’intermediazione di un interprete. L’unica deposizione potenzialmente ammissibile sarebbe allora quella del cittadino romano Valerio, il vero testimone per l’accusa, perché è il solo capace di parlare in latino. Proprio per questo Cicerone afferma che tutto il processo dipendeva da questo sardo da poco entrato nella romanità, uno sconosciuto senza autorità, che con la sua testimonianza aveva voluto dimostrare riconoscenza al figlio di colui che gli aveva donato la cittadinanza vent’anni prima, P. Valerio Triario, il vincitore di Emilio Lepido.

Cicerone si poneva il prolema e si chiedeva come fosse possibile credere ad un gruppo di testimoni sardi, in quanto hanno tutti lo stesso colorito olivastro, parlano tutti una stessa lingua incomprensibile, tutti senza eccezione appartengono alla stessa nazione ? (sin unus color, una vox, una natio est omnium testium ?) (9,19).

Quindi prosegue rimproverando ai Sardi le loro origini africane e sostiene con determinazione la tesi che la progenitrice della Sardegna sia stata l’Africa. L’appellativo Afer è ripetutamente usato come equivalente di Sardus. L’espressione Africa ipsa parens illa Sardiniae suggerisce secondo il Moscati la realtà di una “ampia penetrazione di genti africane ed il carattere coatto e punitivo della colonizzazione o, meglio, della deportazione”[16].

Inoltre, sempre Cicerone riassume con brevi e offensive parole la storia della Sardegna dall’età fenicia a quella punica, fino ad arrivare alla romana; scrive che «tutte le testimonianze storiche dell’antichità e tutte le storie ci tramandarono che nessun altro popolo fu infido e menzognero quanto quello fenicio (fallacissimum genus esse Phoenicum omnia monumenta vetustatis atque omnes historiae nobis prodiderunt) (19,42). Da questo popolo sorsero i Punici e dalle molte ribellioni di Cartagine, dai molti trattati violati e infranti ci è dato conoscere che appunto i Punici non degenerarono dai loro antenati Fenici. Dai Punici, mescolati con la stirpe africana, sorsero i Sardi (a Poenis admixto Afrorum genere Sardi) (19,42), che non furono dei coloni liberamente recatisi e stabilitisi in Sardegna, ma solo il rifiuto dei coloni di cui ci si sbarazza, non deducti in Sardiniam atque ibi constituti, sed amandati et repudiati coloni. Ora, se niente di sano vi era in principio in questo popolo, a maggior ragione dobbiamo ritenere che gli antichi mali si siano esacerbati con tante mescolanze di razze».

Gli incroci di razze diverse che ne erano derivati, secondo Cicerone, avevano reso i Sardi ancor più selvaggi ed ostili; in seguito ai successivi travasi, la razza si era “inacidita” come il vino (qua re cum integri nihil fuerit in hac gente plena, quam valde eam putamus tot transfusionibus coacuisse ?) (19,43), prendendo tutte quelle caratteristiche che le venivano rimproverate: ovvero, discendenti dai Cartaginesi, mescolati con sangue africano, relegati nell’isola, i Sardi secondo Cicerone presentavano tutti i difetti dei Punici, erano dunque bugiardi e traditori, gran parte di essi non rispettavano la parola data, odiavano l’alleanza con i Romani, tanto che in Sardegna non c’erano alla metà del I secolo a.C. città amiche del popolo romano o libere ma solo civitates stipendiariae.[17]

Un alleggerimento del giudizio compare in 19,44: neque ego, cum de vitiis gentis loquor, neminem excipio; sed a me est de universo genere dicendum, in quo fortasse aliqui suis moribus et humanitate stirpis ipsius et gentis vitia vicerunt.

L’espressione natio è utilizzata pochi anni dopo (nel 37 a.C.) anche nel de re rustica di Varrone, a proposito dei Sardi Pelliti della Barbaria sarda alleati di Hampsicora durante la guerra annibalica e per questo avvicinati ai Getuli africani: quaedam nationes harum (caprarum) pellibus sunt vestitae, ut in Gaetulia et in Sardinia (Varrone, De re r. II, 11, 11). Si deve precisare che Hampsicora col figlio Hostus sono per Ferruccio Barreca <<gli unici esponenti a noi noti come individui della nazione sarda nell’antichità>>, comunque alle origini della dominazione romana[18].

Per inciso l’aspetto negativo dell’espressione omnes nationes ricorre nel discorso tenuto da Gaio Gracco al suo rientro a Roma nel 124 a.C., secondo il racconto di Aulo Gellio, che ricorda come il questore fosse rimasto in Sardegna per due anni interi: <<Biennium fui in provincia; si ulla meretrix domum meam introivit aut quiusquam servulus propter me sollicitatus est, omnium nationum postremissimum nequissimumque extimatote>> (se mai una meretrice ha profanato la mia soglia, o se un giovane schiavo per  mia iniziativa venne condotto al vizio, che io venga giudicato il più perverso e il più abietto di tutte le genti[19].

 

3. Come si è visto prima Cicerone utilizza nella Pro Scauro due volte il termine natio per indicare i peregrini Sardi; tale utilizzazione è in parallelo il termine gens, che però di solito ha un’accezione più larga, in quanto comprende la pienezza di più nationes (19,43), tanto che Forcellini può affermare che natio a gente differt ut genus a specie, perché gens enim latius patet et plures nationes complectitur[20]. Così come la nozione di natio è utilizzata spesso in malam partem, con disprezzo (i fures maritimi sono una famelica hominum natio)[21], anche gens può avere una caratterizzazione negativa, vd. Floro: gens contumax vilisque mortis (I, 22,35). Infine, genus è utilizzato da Cicerone nella Pro Scauro in modo un po’ sbrigativo e per ragioni retoriche come sinonimo di natio, sempre con riferimento ai Sardi (p.es. 19, 42 e 44).

L’argomento è stato di recente trattato frontalmente da Antonio Ibba, che, commentando la voce scritta da Gustav Meyer per il Thesaurus linguae Latinae, ritiene che gens possa essere spesso tradotto con “popolo” e finisca per collocarsi in <<opposizione a populus romanus o a civitas romana>>, <<oppure assumere un significato tecnico riferito a nationes barbare extra finem imperii, intese dai Romani quasi come un’entità politica autonoma, uno “stato”>>, <<o a tribù peregrine interne, prive di organizzazione municipale>>; ancora gens <<poteva in modo sinonimico indicare una qualsiasi natio o un populus o infine la regione nella quale quella popolazione risiedeva o una località all’interno di quel territorio>>[22]. Gens diventerebbe quindi sinonimo di natio o di tribù soprattutto nelle Mauretanie, nelle Numidie ed in Byzacena[23].

Per quanto riguarda la Sardegna, Livio utilizza l’espressione gens per indicare il popolo degli Ilienses del Marghine-Goceano che continuavano a godere della libertà ancora nel I secolo a.C.: gens nec nunc quidem omni parte pacata[24]; infatti, i loro iura (gli iura gentis analoghi a quelli della tabula Banasitana)[25] sono richiamati sulla celebre iscrizione del Protonuraghe Aidu ‘entos di Mulargia, all’indomani della sedentarizzazione nel Marghine-Goceano del I secolo d.C.[26]. Per i Greci gli Iolaeis, gli Iolaeoi, gli Iolaioi avrebbero dato il nome di Iolee alle pianure della Sardegna. Pertanto, Diodoro Siculo, riprendendo antichi miti greci, sostiene che i Tespiadi avrebbero mantenuto nei secoli la libertà promessa per sempre dall’oracolo di Apollo ad Eracle per i suoi 50 figli che avessero raggiunto la Sardegna e per i loro discendenti, dove non avrebbero dovuto subire il dominio di altri popoli. Quindi Diodoro poteva constatare che gli Iolei avevano saputo resistere ai Cartaginesi ed ai Romani; si erano rifugiati sui monti, avevano preso dimora in luoghi inaccessibili, abitando in gallerie e in ambienti sotterranei da loro costruiti, dedicandosi alla pastorizia, nutrendosi di latte, di formaggio, di carne e facendo a meno del grano; così, lasciate le pianure, si erano sottratti anche alle fatiche di coltivare la terra. Infine continuavano a vivere sui monti, senza la preoccupazione del lavoro, contenti dei cibi semplici, mantenendo quella libertà che nemmeno i Romani, all’apice della loro potenza, erano riusciti a soffocare[27].

In età triumvirale, alla fine dell’età repubblicana, Ottaviano esaltava sulle monete e con la costruzione del tempio di Antas il dio nazionale dei Sardi, il Sardus Pater, figlio di Makeris-Melkart-Eracle: sulle monete lo stesso Ottaviano, divi filius, voleva ricordare l’azione del nonno Marco Azio Balbo, propretore in Sardegna nel 59 a.C.[28]; questo era l’anno cruciale del consolato di Giulio Cesare suo cognato, il quale a sua volta poteva vantare una ascendenza divina che forse lo collegava ai Sardi Ilienses, fondando una “parentela etnica” con i Sardi della Barbaria[29].  Il santuario (le cui origini risalgono alla fine dell’età nuragica) finì per rappresentare nell'antichità preistorica, poi in quella punica e soprattutto in età romana, il luogo alto dove era ricapitolata tutta la storia del popolo sardo, nelle sue chiusure e resistenze, ma anche nella sua capacità di adattarsi e di confrontarsi con le culture mediterranee[30].

 

4. Al fine di proporre un particolare contributo alla nozione di natio da attribuire storicamente all’insieme dei populi chge occupavano la Sardegna, in questa sede intendiamo raccogliere tutti i passi epigrafici nei quali è presente l’espressione natione Sardus, <<con l’esponente natione seguito dal nominativo del nome geografico in forma aggettivale>>[31], da intendersi quindi nel senso di “sardo per nazionalità”, anche se la divaricazione temporale rende assolutamente improponibile una reale assimilazione della parola latina natio con i contenuti sostanziali del termine italiano moderno “nazione”, ormai troppo caratterizzato. Infatti, come è noto, quest’ultima si differenzia nettamente da “popolo”, in quanto si fonda soprattutto sui vincoli non giuridici ma prima facie naturali ed eredita oggi tutti i condizionamenti dei nazionalismi dei nostri tempi, allargandosi dal piano geografico a quello etico e culturale. Va premesso che l’espressione è già documentata in età flavia e soprattutto nel II secolo tra gli Antonini e i Severi ed è inizialmente utilizzata per definire la patria di militari di origine peregrina, morti fuoiri dall’isola: è frequente soprattutto per quei provinciali che ancora non hanno ottenuto la cittadinanza romana, prima di Caracalla[32].

Nel mondo romano, per indicare la provenienza dall’isola e forse più in generale dalla provincia Sardinia (che comprendeva anche la Corsica), i civili utilizzavano spesso l’espressione Sardus o domo Sardinia[33]; i legionari ed i soldati delle coorti ausiliarie portavano semplicemente l’etnico Sardus o l’indicazione ex Sardinia, insieme alla specificazione della città, Caralitanus, Sulcitanus, ecc.[34]; veniva anche indicata l’origo da un villaggio come Nur(ac) Alb(-) o da un popolo: Fifensis ex Sar(dinia), Caresius, ecc. Oltre cinquanta anni fa, nell’articolo sui Sardi nelle legioni e nella flotta romana, Giovanna Sotgiu non si è concentrata sull’espressione natione Sardus e del resto il lavoro risulta oggi ampiamente superato anche a livello di documentazione epigrafica[35]. Un’analoga ricerca di Robert J. Rowland (Sardinians in the Romam Empire), in realtà non mette a fuoco la questione che ci interessa[36].

A questo punto la verifica può partire con l’analisi dei legionari arruolati nei municipi o nelle colonie di cittadini romani dell’isola, che pure raramente ricordano la loro origo[37]. A Lambaesis in Algeria, sede della legione III Augusta a partire dall’età di Adriano, conosciamo nel II secolo un L(ucius) M[a]gnius Fortunatianus [Q]uirina Caralis vissuto 22 anni: m(iles) l(egionis) III A(ugustae) (CIL VIII 3185)[38].

Da espungere è il caso dell’iscrizione sepolcrale africana che ricorda un Iulius Maximus, (natione) Sarda, marito di Clodia Secunda (CIL VIII 11580), morta ad Ammaedara, oggi Haidra in Tunisia; Rowland ed io stesso avevamo immaginato in passato che si trattasse di un legionario, dal momento che la legio III Augusta ebbe il suo primo accampamento proprio ad Ammaedara, prima di essere trasferita a Theveste e da qui a Lambaesis[39]. In realtà il testo è stato recentemente di nuovo edito da Zeineb Benzina Ben Abdallah che ha confermato la lettura di ILTun. 437, Barda e non Sarda[40]:  Barda, cognome maschile, è un vero e proprio nome berbero, brd, assimilabile a Iasda et Zabda[41].

Sempre in Africa e più precisamente a Milev, nella regione cirtense, conosciamo un ausiliario arrivato dalla Sardegna, forse da Austis, dove in precedenza nel corso del I secolo d.C. si trovava la coorte di Lusitani: Optatus Sadecis f(ilius) decurio co(ho)rti(s) Lusitana(e), v(ixit) a(nnis) LV, Sardus[42].

Sicuramente sardo, in possesso della cittadinanza, era un legionario della legio XIII Gem(ina), C. Acilius Marcianus, centurio princeps, Caralitanus (CIL X 6574, Velletri).

Anche il diploma di Anela del 22 dicembre 68 ricorda un soldato sardo, però peregrino fino al momento del congedo: Ursaris Tornalis f. Sardus (CIL X 7891 = XVI 9 = AE 1983, 451 = ELSard. p. 663 C80). La particolarità è rappresentata dalla circostanza che quasi tutti i testimoni erano isolani, cittadini romani originari dei municipi di Carales (sette) e di Sulci (uno)[43]:

D. Alarius Pontificalis, Caralitanus

M. Slavius Putiolanus, Caralitanus

C. Iulius [S]enecio, Sulcitanus

L. Graeci[n]ius) Felix, Caralitanus

C. Herennius Faustus, Caralitanus

C. Caisi(ius) Victor, Caralitanus

M. Aemilius Ca[p]ito ve[t(eranus)] leg(ionis) I Adiutr[r]ic(is)

C. Oclatius [M]acer, Caralitanus

L. Valerius Herma, Caralitanus

 

Tra i popoli isolani sono ricordati i Cares(ii) nel diploma di Dorgali del 10 ottobre 96, che menziona la cohors II Gemin[a Ligurum] et Cursorum, cui [prae]est T. Flav[ius Ma?]gnus: il soldato è un peregrino, Tunila […] f. Cares(ius) (CIL X 7890 = XVI 40 = ELSard. p. 663 C 79).

Il diploma CIL X 7855 = XVI 79 del 15 settembre 134 rinvenuto a Tortolì, ricorda un marinaio, un ex gregale D. Numitorius Agasini Tarammoni (filio) Fifens(is) ex Sar(dinia) et Tarpalar f(ilius) eius, per il quale si precisa che l’etnico Fifens(is) è da collegarsi alla Sar(dinia)[44].

Marinaio era anche l’ex gregale di Seulo congedato da Caracalla il 13 maggio 212 o 213: C. Tarcutius Tarsaliae fil(ius) Hospitalis, Caralis, ex Sard(inia) (CIL XVI 127 = ILSard. 182 = ELSard. p. 567 A 182 = AE 2008, 613, con la rettifica della data).

Ad un villaggio sulla costa orientale della Sardegna, collocato presso un nuraghe in pietra calcarea bianca, rimanda il recente ritrovamento di un diploma del 5 maggio del 102 d.C. rinvenuto a Posada e pubblicato da A. Sanciu, P. Pala, M. Sanges[45]: si tratta di un soldato della cohors II Gemina Ligurum et Corsorum cui prae(e)st Lucius Terentius Serenus, un reparto che sappiamo presto trasferito in Siria, quando la Sardegna passò al Senato (attorno al 111 d.C.)[46]; in Siria troviamo la coorte comunque prima del 129 fino almeno al 153 d.C.[47]. Viene citato il fante ex pedite Hannibal Tabilatis f(ilius) Nur(ac) Alb(-), sua moglie Iuri figlia di Tammuga, uxor eius Sordia (da intendersi come un vero e proprio etnico, difficilmente Sarda), i figli Sabinus e Saturninus con onomastica latina; infine le figlie Tisare, Bolgitta, Bonassonis (?)[48]. Per Nur(ac) Alb(---) sembra doversi pensare ad una località vicina a Posada: forse a Siniscola, Sa Domu Bianca, a Dorgali, Nuraghe Arvu, oppure sul Golgo di Baunei, Nuraggi Albu: nella stessa area sono stati richiamati di recente da Pasquale Zucca i nuraghi di Coa ‘e Serra o di Doladorgiu[49]. La forma epigrafica nurac per indicare i nuraghi sardi è documentata a Mulargia[50].

 

5. Più interesse riveste la preziosa indicazione natione Sardus, attribuita a numerosi marinai delle flotte militari di Miseno e di Ravenna specialmente nel II secolo d.C.: l’espressione assume una caratterizzazione specifica per il fatto che si riferisce all’appartenenza ad una provincia o ad un’isola, ben delimitata geograficamente e articolata in una serie di populi, che prima di Caracalla non avevano ancora ottenuto la civitas romana. Plinio indicava come celeberrimi populi della Sardinia gli Ilienses, i Balari ed i Corsi[51]; per il resto si rimanda alla nostra carta della Storia della Sardegna antica che elenca i seguenti populi: Aconites (Logudoro ?), Aichilenses (Cornus-S. Caterina di Pittinuri), Aisaronenses (Feronia-Posada), Altic(ienses) (Barisardo), Balari-Perfugae (da Monti verso Berchidda, nel Logudoro fino a Perfugas), Barbaricini (in Barbagia e sul Gennargentu), Beronicenses (incolae aggregati alle tribus del municipio di Sulci, S. Antioco), Buduntini (sodales di Carbia-Alghero o Nure, Lago Baratz, immigrati dalla Apulia), Carenses (Irgoli), Celes(itani) (Sorabile-Fonni), Coracenses (Ittiri), Cornenses Pelliti (Cornus-S. Caterina di Pittinuri), Corpicenses (di incerta localizzazione nella Sardegna centrale), Corsi della Gallura (Olbia), Cusin(itani) (Sorabile-Fonni), Diaghesbei, Falisci (Feronia-Posada), Fifenses (Sulci-Tortolì o Vallermosa?), Eutychiani (Gurulis Nova-Cuglieri), Galillenses (Esterzili), Giddilitani (Gurulis Nova-Cuglieri), Ilienses-Iolei-Ilii-Troes (Molaria-Mulargia, estesi tra il Marghine e il Goceano), Longonenses (Longone-Santa Teresa), Luquidonenses (Castro-Oschiri e Siniscola), Maltamonenses (Sanluri), Martenses (Serri), Mauri (Sulcis), Moddol(itani) (Villasor), [M]uthon(enses) oppure [Mam]uthon(enses) Numisiarum (Gurulis Nova-Cuglieri), Neapolitani (Neapolis-S. Maria di Nàbui), Nurr(itani) (Orotelli), Parates (Logudoro ?), Patulcenses Campani (Trexenta?, immigrati dalla Campania), Patulcii (Gurulis Nova-Cuglieri), Porticenses (Tertenìa), Rubr(enses) (Barisardo), Sardi Pelliti (Marghine), Scapitani (di incereta localizzazione nella Sardegna centrale), Semilitenses (Sanluri), Sossinates (Logudoro ?), Siculenses (Muravera?), Tibulati (Tibula-Castelsardo), Uddadhaddar(itani) Numisiarum (Gurulis Nova-Cuglieri), Valentini (Valentia-Nuragus), Vitenses (Bithia-Chia), [---]rarri(tani) [Nu]misiaru[m] (Gurulis Nova-Cuglieri)[52]. Si aggiungano ora i Barsanes di Barumini e gli Uneritani di Las Plassas in Marmilla[53].  A città romane, municipi o colonie, fanno riferimento gli etnici: Caralitani (Cagliari), Cornenses (Cornus), Noritani-Norenses (Nora-Pula), Sulcitani (Sulci-S. Antioco e Sulci-Tortolì), Tharrenses (Tharros), Turritani (Turris Libisonis-Porto Torres), Uthicenses (Othoca-Santa Giusta). Occasionalmente abbiamno anche: Hypsitani (Fordongianus), Lesitani (San Saturnino di Bultei); al singolare: Bosanus (Bosa) [54], Olbiensis (Olbia), Port(u)ensis (Turris Libisonis-Porto Torres) [55], Sorabensis (Sorabile-Fonni).

 

6. Negli epitafi provenienti da località esterne alla Sardegna conosciamo ben 26 marinai indicati dagli eredi come natione Sardi, nessuno individuato con un etnico riferito ad uno dei popoli sardi o ad una città: essi sono quasi tutti provvisti di tria nomina e dunque sembrerebbero entrati nella cittadinanza in qualche caso già prima del congedo e comunque prima di Caracalla. Si segnalano i gentilizi Marius, Iulius, Flavius, Aurelius ed i quattro Valerii; alcuni gentilizi hanno sicuramente origine locale, come Tarul(l)ius Tatenti (filius) di CIL X 687, in realtà nome unico, ma si noti l’ascendente sicuramente sardo[56].

Nella città di Roma (in particolare in alcune aree come il sepolcreto salario o sulla via Appia), conosciamo 7 marinai natione Sardi, appartenenti alla flotta di Miseno: Atilius Modestus (CIL VI 3101 = AE 2008, 201), Quintus Catius Firminus, della trireme Pax (CIL VI 3105), Cossu[---] Nepos (CIL VI 32766), Marcus Marius Pudens, della trireme Part(h)icus (CIL VI 3121), Lucius Tarcunius Heraclianus, della quadrireme Dacicus (AE 1916, 52)[57], un anonimo [n]atione Sard(us) (CIL VI 37251), un altro anonimo della trireme Ops (AE 2001, 601).

A Miseno (oggi Bacoli) conosciamo 12 marinai, milites, natione Sardi appartenenti alla flotta di Miseno: Lucius Aurelius Fortis della lib(urna) Fides (CIL X 3423), Titus Fl(avius) Calpurnius, della trireme Pol(l)ux (CIL X 3613), Lucius Gargilius Urbanus, della trireme Perseus (CIL X 3466), Titus Licinius Memor, della trireme Venus (CIL X 3598), Marcius Celestinus (CIL X 3601), Gnaeus Silanius Pius, della trireme Mars (CIL X 3627), Gaius Tamudius Cassianus, della trireme Providentia (CIL X 3636), Gaius Valerius Germanus, della trireme Taurus (CIL X 3648), Sextus Valerius Ingenuus, della trireme Aug(ustus) (CIL X 3650), Lucius Valerius Victor, della quadriere Fides (CIL X 3501), [---] Burrus, della liburna Iustitia (EE, VIII, 427), [---] Saturninus (CIL X 3621).

Ad Ostia conosciamo un solo marinaio natione Sardus della flotta di Miseno: l’anonimo della trireme Sol (CIL XIV, 242); a Sorrento un Tarul(l)ius Tatenti (filius) (CIL X 687).

Per la flotta di Ravenna conosciamo 5 marinai natione Sardi: uno a Seleucia di Pieria (sulla rotta per Carales)[58], Gaius Iulius Celer (AE 1939, 229 = IGLS, 3,2, 1164); tre a Ravenna-Altinum Gaius Turellius Ru[f]us, della trireme Venus (CIL V 8819), Titus Ursinius Castor, della trireme Victoria (CIL XI 113) ed un anonimo (CIL XI 121); infine a Miseno Gaius Valerius Bassus, della trireme Virt(us) (CIL X 3645).

 

7. I personaggi elencati con i tria nomina difficilmente erano in possesso della cittadinanza romana al momento dell’arruolamento: è assolutamente improbabile che essi provenissero dai municipi e dalle colonie di cittadini romani della Sardegna, ma dovevano esser stati arruolati all’interno delle varie civitates, così come i fanti e i cavalieri delle coorti ausiliarie che pure a quanto ne sappiamo non utilizzavano l’espressione natione Sardus. Di norma i marinai avrebbero dovuto assumere i tria nomina solo al momento del congedo[59]. Sicuramente un peregrino è Tarul(l)ius Tatenti (filius) di età antonina o severiana (CIL X 687), marinaio della flotta di Miseno, di cui non conosciamo i dati biometrici. Si noti la filiazione con nome unico, l’ascendente “all’africana”[60].

Olli Salomies ha fatto notare un aspetto dell’onomastica isolana particolarmente significativo e caratterizzato, i nomi unici o i gentilizi in Tar-, che farebero riferimento a quella che Lidio Gasperini chiamava la “Sarditas” locale che emerge attraverso forme onomastiche uniche nell’impero: Taretius di ILSard. 207 e Tarcuinus Fili f(ilius) Neroneius di ILSard. 209 a Samugheo; Targuro di CIL X 7874 a Busachi; Tarammon e suo nipote Tarpalaris di CIL X 7855 = XVI 79 a Tortolì; C. Tarcutius Hospitalis e suo padre Tarsalia di ILSard. 182 = CIL XVI 127 = AE 2008, 613 a Seulo[61]. Si aggiunga il Tartalasso che compare tre volte a Longu Frùmini Pisàli a Sud del territorio di Tertenia in  ELSard. p. 655 B 101f e il marinaio che si citerà più avanti L(ucius) Tarcunius Heraclianus m(iles) sepolto a Roma e provvisto di tria nomina (AE 1916, 52).

Non sappiamo se era cittadino romano il sardo [---] Burrus, della liburna Iustitia, vissuto 32 anni, deceduto dopo 17 anni di servizio: è ricordato dalla moglie Mani[l]ia Veneria (EE, VIII, 427). Allo stesso modo [---] Saturninus, con il caratteristico nome «africano», vissuto 50 anni, morto dopo 12 anni di servizio, sepolto a cura dell’erede [---]s Draco; paradossalmente dovrebbe esser stato arruolato a 38 anni di età (CIL X 3621).

Potrebbre aver usurpato l’onomastica romana prima del congedo Atilius Modestus, arruolato a 20 anni, morto a 25 anni dopo 5 di servizio militare, per il quale si osservi l’assenza del prenome (CIL VI 3101 = AE 2008, 201). Analogo è il caso di Marcius Caelestinus, ricordato a Miseno dalla figlia: è morto in servizio a 32 anni di età, dopo 14 anni di attività, essendo stato arruolato a 18 anni (CIL X 3601). Anche Sex(tus) Valerius Ingenu(u)s della trireme Aug(ustus) è morto in servizio a 30 anni di età dopo 7 di servizio (arruolato a 23): lo ricorda un commilitone della stessa trireme, un peregrino, L(ucius) Saturninus (si noti l’assenza di gentilizio e ancora il caratteristico nome unico che richiama il Saturno africano) (CIL X 3650).

T. Fl(avius) Calpurnius della trireme Pol(l)ux è ricordato dai due commilitoni suoi eredi (marinai delle triremi Pol(l)ux e Pietas) ed è deceduto in servizio a 25 anni, dopo 7 di servizio; arruolato a 18 anni (CIL X 3613). L(ucius) Gargilius Urbanus optio della trireme Pe(r)seus è stato sepolto per volontà del figlio, che lo ricorda per i 20 anni di servizio. La formula contiene un sorprendente dettaglio e precisa che il marinaio è deceduto a 38 anni di età, 3 mesi e 7 giorni (CIL X 3466).

M(arcus) Marius Pudens della trireme Part(h)icus della flotta di Miseno è morto a 37 anni di età, dopo 17 di servizio, arruolato a 20 anni ed è ricordato da un erede a Roma (CIL VI 3121).

C(aius) Tamudius Cassianus, manip(ularius) della trireme Providentia morto a 28 anni di età, dopo 8 di servizio (arruolato a 20 anni) è stato sepolto a Miseno per volontà di un commilitone, il collega della trireme Fortuna Sex(tus) Iulius Quirinus (CIL X 3636).

In servizio è morto anche C(aius) Valerius Bassus della trireme Virt(us), vissuto 40 anni dopo 15 di servizio (arruolato a 25 anni), ricordato dai commilitoni Basilius Cerman(us), della trireme Triump(hus) e C(aius) Iul(ius) Constans della trireme Virtus (CIL X 3645).

A 40 anni di età è deceduto T(itus) Licinius Memor, della trireme Venus, arruolato a 20 anni, in servizio al momento della morte se è ricordato a Miseno dal compagno d’armi, il commilitone della quadrireme Liber(tas) M(arcus) Nonius Aquilinus: si noti la differenza nei gentilizi, per cui i due non possono essere fratelli, come pure talora si è inteso (CIL X 3598). Uguale la situazione di C(aius) Turellius Ru[f]us ancora della trireme Venus, morto in servizio a 45 anni, dopo 25 di servizio (arruolato a 20 anni), se è ricordato dal commilitone, un marinaio della stessa nave Q(uintus) Spedius Mercator (CIL V 8819).

Se il ragionamento ha un qualche fondamento, dovremmo considerare ancora in servizio anche T(itus) Ursinius Castor della trireme Vict(oria), vissuto 56 anni, dopo 26 anni di servizio: dovremmo immaginare un arruolamento a 30 anni d’età, il che sembra abbastanza improbabile, ma questo potrebbe spiegare il fatto che a curare la sepoltura sia stato un commilitone della stessa nave, T(itus) Arenius Cordus (CIL XI 113).

Sono interessanti alcuni altri casi dei marinai morti in servizio: Q(uintus) Cati(us) Firminus della trireme Pax, vissuto 38 anni, morto dopo 17 anni di servizio militare, arruolato a 21 anni (CIL VI 3105).

Dubbio è il caso di L(ucius) Valerius Victor della quadrireme Fides, victimarius principalis, vissuto probabilmente 41 anni (non 31, XXXI), dopo 23 anni di servizio (arruolato a 18): lo ricorda la moglie Aurelia Spes (CIL X 3501).

Naturalmente in possesso della cittadinanza romana erano i marinai congedati al termine del servizio militare: L(ucius) Aurelius Fortis faber duplicarius della lib(urna) Fides, vissuto 52 anni e moto dopo 25 anni di servizio militare: se è stato arruolato a 20 anni, è vissuto altri 7 anni dopo il congedo e la concessione della civitas (CIL X 3423).

A Roma sulla via Salaria fu sepolto il già citato L(ucius) Tarcunius Heraclianus m(iles) della quadrireme Dacicus, morto a 60 anni dopo 30 di servizio: se è stato arruolato a 20 anni, è sopravvissuto 10 anni dopo il congedo (AE 1916, 52): Olli Salomes ha fatto notare come egli porti un gentilizio sconosciuto fuori dalla Sardegna[62].

Forse già congedato era Cn(aeus) Silanius Pius, della trireme Mars della flotta di Miseno, morto a 45 anni dopo 25 anni di servizio, forse arruolato a 20 anni, ricordato dalla moglie Titia Nice e dal figlio Genealis, che sembrerebbe ancora privo della civitas (CIL X 3627).

Forse era stato già congedato C(aius) Iulius Celer, della flotta di Ravenna, vissuto 50 anni, di cui non conosciamo la durata del servizio militare, morto presso il porto orientale di Seleucia di Pieria (AE 1939, 229 = IGLS 3,2, 1164).

Infine dubbi sono i casi di C(aius) Valeri(us) Germanus, della trireme Taurus, morto ad un’età indefinita dopo 25 anni di servizio, ricordato da Mestria Euhodia e di Cossu[---] Nepos (di cui non conosciamo né l’età né gli anni di servizio) (CIL X 3648).

Ignoriamo se possedessero la cittadinanza alcuni anonimi: il marinaio della trireme Sol, vissuto 43 anni, morto dopo 19 anni di servizio (arruolato a 24 anni), sepolto ad Ostia per volontà di T(itus) F[l](avius) Urbatius (CIL XIV, 242); il sardo della [(centuria)] Longin(ii) Ru[fi], morto a 35 anni dopo almeno 10 anni di servizio militare (CIL VI 37251); l’anonimo della trireme Ops, vissuto 30 anni, arruolato a 19, con 11 anni di servizio (AE 2001, 601).

 

8. Non va dimenticato che proprio alla quadriere Ops apparteneva anche il classiario del diploma di Olbia congedato da Traiano assieme ai suoi commilitoni nell’estate del 114, in coincidenza con la rivolta partica[63]: Paola Ruggeri ha supposto che la nave, condotta da marinai sardi, sia stata utilizzata per il viaggio di Traiano verso Antiochia di Siria, sotto il comando di Q. Marcio Turbone, prefetto della flotta di Miseno: è nota la specifica competenza dei marinai sardi lungo la rotta transmediterranea riportata a Plinio[64], che dall’Atlantico toccava Carales, la Sicilia, la Laconia, Rodi, Patara in Licia (dove Traiano ha sicuramente fatto scalo nel 113), Cipro per arrivare fino a Myriandum, urbs Siriae in Issico sinu posita e, a brevissima distanza, fino a Seleucia di Pieria, il porto di Antiochia (dove fu sepolto il C. Iulius Celer, miles ex clas(se) pr(aetoria) Ravennate natione Sardus di AE 1939, 229 = IGLS 3,2, 1164)[65]. Noi oggi sappiamo che Traiano lasciò Roma il 27 ottobre 113 imbarcandosi probabilmente a Brundisium sulla quadriere Ops, dirigendosi a Corinto e poi ad Atene attraverso il periplo del Peloponneso. Ripreso il viaggio da Atene, la quadriere Ops si diresse ad Efeso, capitale della provincia d’Asia. Da qui Traiano proseguì per Afrodisia fino a Patara, dove si reimbarcò sull’Ops, che tenne una rotta costiera fino a Seleucia di Pieria e da qui ad Antiochia, dove Traiano giunse il 7 gennaio 114[66]. Proprio nei mesi successivi veniva congedato l’anonimo marinaio sardo del diploma di Olbia, un peregrino privo della cittadinanza romana.

Sempre Ops si chiamava la nave, una trireme della flotta di Miseno, alla quale apparteneva nel pieno II secolo un marinaio nat(ione) S(ardus) sepolto a Roma, che non va collegato al viaggio di Traiano[67]. Alla grande campagna partica e al percorso imperiale sono stati invece di recente messi in relazione il trasferimento dalla Sardegna in Siria della coorte II Gemina Ligurum et Corsorum[68] e il passaggio della provincia isolana all’amministrazione senatoria, rappresentata nel 111 dal primo proconsole L. Cossonius L. f. Stell(atina tribu) Gallus; egli divenne subito dopo, tra il 113 e il 115 (dunque prima dell’arrivo e durante la permanenza di Traiano in Oriente), legatus Augusti delle provincie imperiali della Galazia, Pisidia e Paflagonia e, sotto Adriano, verso il 120 della Giudea nel pieno della rivolta ebraica[69].

 

9. Una sicura continuità per l’impiego del termine natio riferito ai Sardi è garantita anche nel tardo impero, se Girolamo chiama Eusebio vescovo di Vercelli natione Sardus[70] e se il Liber Pontificalis allo stesso modo definisce il Papa Ilaro[71] e il Papa Simmaco natione Sardi[72].

Ma la vicenda non si interrompe in età medioevale e durante i regni giudicali. Alla metà del XII secolo, l’arabo Edrisi di Ceuta teneva conto delle immigrazioni susseguitesi nell’isola, che avevano dato luogo ad una cristianità diversa, di lontana discendenza africana:  «Gli abitanti dell’isola di Sardegna sono di ceppo mediterraneo africano, barbaricini, selvaggi e di stirpe Rum»; il fondo etnico della gente sarda formatosi da età preistorica ma confermato in età romana era dunque berbero-libico-punico[73]. La Nasio sardescha è citata ancora nel 1391 nel Proceso contra los Arborea[74]. L’espressione era stata utilizzata già l’anno precedente da Brancaleone Doria nella lettera inviata per conto di Eleonora[75]. Non è il caso di andare oltre, ma sappiamo che la tradizione non si perde e la formula continua a ricorrere sostanzialmente senza modifiche in moltissimi documenti della fine del medioevo e in età moderna[76]: un caso significativo segnalato da Giuseppe Meloni è rappresentato dalla decisione di Pietro IV d’Aragona di istituire un braccio separato, il quarto, chiamato << braccio dei Sardi>> nel primo Parlamento del 1355 in età catalano-aragonese[77].  Nel 1484 il Sindaco di Cagliari Andea Sunyer a Cordova presenta a Ferdinando il Cattolico una serie di richieste, che sono state recentemente studiate da Anna Maria Oliva, mettendo in rilievo il contrastato rapporto tra Sardi e Catalano-Aragonesi. Sunyer osserva che la nazione Sarda  in passato era stata  particolarmente devota agli Arborea e perciò selvaggia, feroce e disobbediente; solo di recente è domata, sottomessa e obbediente: «la nació sarda de salvage, ferossa e mal obedient que era, ara és domada,  subiugada e feta obedient»[78].

 

10. Per la sua trasversalità, il tema “nazione” è stato indagato  da storici del passato e del presente: riferito ai Sardi, a partire dalla loro natura ibridata da componenti diverse, il termine si presta molto bene ad essere declinato in un arco cronologico lungo, dall’antichità romana fino agli odierni confliggenti nazionalismi. Ai nostri giorni, a distanza di tanti secoli, il dibattito sulla discussa “sovranità” della Sardegna, forse si arricchisce di un nuovo tassello, che ci consente di assistere in diretta all’identificazione di una “natio" riconosciuta dai Romani, insieme eredità del passato preistorico (sintetizzato nei Giganti di Mont’e Prama) e premessa per gli sviluppi successivi (che iniziano con le cattedrali romaniche costruite dai sovrani dei quattro giudicati sardi). Franciscu Sedda suggerisce la possibilità che le parole di Cicerone nell’alternativa tra servitù della natio Sarda e libertas della civitas Romana (che però contraddicono la visione greca che riconosceva liberi i Sardi discendenti di Eracle, gli Iliei-Ilienses dei Montes Insani) possano consentire di leggere in filigrana l’alternativa fra dimensione culturale-identitaria da un lato (natio incapace di auto-affermazione) e dimensione giuridico-istituzionale (civitas caratterizzata dalla libertas): <<da questo punto di vista la distinzione natio/civitas assomiglierebbe all'attuale distinzione fra etnia e nazione-Stato, dove l'etnia appare come la nazionalità perdente e in quanto tale scivolata in una condizione di ri-naturalizzazione, distante dalla tensione alla libertà che caratterizza il demos fondatore di istituzioni>>.

A tale riguardo, si può congetturare che sbagliasse Camillo Bellieni, il padre del Sardismo moderno nel Novecento, studioso della Sardegna romana, quando riteneva che il popolo sardo fosse solo una <<nazione abortiva>>[79], <<nella quale, pur essendovi le premesse etniche, linguistiche, le tradizioni per uno sbocco nazionale, sono mancate le condizioni storiche e le forze motrici per un tale processo>>[80]. Sempre negli ormai lontanissimi anni Venti, Emilio Lussu in una lettera ad Antonio Gramsci poneva come premessa alle rivendicazioni di tipo nazionale il fatto che i Sardi si erano <<accorti da parecchio di essere una nazione fallita>>[81]; più tardi addolciva l’espessione, parlando di <<una nazione mancata>>[82]. Del resto, come mi fa notare Fiamma Lussana, <<a Torino, nella “Pietrogrado d’Italia”,  Gramsci stempera il suo focoso socialsardismo giovanile: la sua Sardegna  “nativa” resta fuori dal processo di trasformazione e modernizzazione (resta forse, come per Lussu, una “nazione mancata”). Con la sua coscienza di classe,  sarà la classe operaia torinese a incarnare l’idea potente dell’unità nazionale: per Gramsci il socialismo italiano sarà “nazionale” o non sarà>>[83]. Dopo quei fervidi momenti di straordinaria riflessione, alla base della Sardegna di oggi, da allora il rischio che perennemente si è corso è stata la subordinazione della storia agli obiettivi politici dei partiti isolani, con l’intento di suscitare una reazione, di accendere una fiamma, di rovesciare un regime, di mobilitare le persone.   Certo, nel mondo attuale le cose si complicano alquanto e il tema “nazione” si  sgretola nei sanguinosi integralismi che insanguinano il tempo che viviamo.

Pur con i suoi limiti e le sue differenze semantiche e funzionali, al di là dell’abisso cronologico e culturale che ci divide, l’espressione romana natione Sardus, che testimonia il desiderio di richiamare il luogo di nascita, di identificarsi come orginari dell’isola lontana all’interno della communis patria rappresentata da Roma e dall’impero, può dirci forse qualcosa ancora oggi, può testimoniare la ricchezza e la diversità culturale della storia isolana, senza più perdersi in un dibattito sterile sul nazionalismo ottocentesco fondato su un’identità immutabile e mummificata[84]: nell’Europa dei nostri tempi la Sardegna si affaccia con la sua complessità verso un orizzonte davvero globale.

 


[1] Sul personaggio, vd. G. Wissowa, in RE, III,2, 1899, c. 2555 s. nr. 3.

[2] Il testo è parzialmente ricostruito, presso Festo p. 166, 7 Müller. Vd. E. De Ruggiero, La patria nel diritto pubblico romano, Roma 1921, p. 31; R.W. Mathisen, Natio, Gens, Provincialis and Civis: Geographical Terminology and Personal Identity in Late Antiquity, in G. Greatrex, H. Elton, L. McMahon, Shifting Genres in Late Antiquity, Ottawa 2015, pp. 277 ss.

[3] Vd. ora F. Spoth, Th.L.L. IX, 1.2, a. 2014, c. 132, s.v. natio. Vd. anche anche A. Ernout, A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Histoire des mots, Paris 1967,  p. 431 e pp. 429 s. (s.v. nascor): natio in origine significava ‘nascita’, poi è arrivata a comprendere l’insieme degli <<individus nés au même temps ou dans la même lieu, nation>>. A. Walde, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1910, p. 508 («Geburt, Geschlecht>>, da gigno);  vd. A. Walde, J.B. Hofmann, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1965 (2a ed.), pp. 265, 405, 722

[4] F. Spoth, Th.L.L., IX,1,2, a. 2014, c. 135.

[5] P.es. CIL X 181, Puteoli; 3646 Misenum; XI 59, Ravenna;  65, ibid.; 3736 Lorium, ecc., vd. C.G. Starr, Verna, “Class. Phil., 37, 1942, pp. 314 ss.

[6] F. Spoth, Th.L.L., IX,1,2, a. 2014, c. 132, s.v. natio.

[7] Spoth, ibidem.

[8] Così F.C. Casula, Dizionario Storico Sardo, Sassari 2001, p. 1034, s.v. Nazione Sarda.

[9] IAMar., lat. 94 = AE 1971, 534 = IAMar., lat. Suppl. 94, vd. A. Mastino, Consitutio Antoniniana: la politica della cittadinanza di un imperatore africano, “Bullettino dell’Istituto di Diritto romano “Vittorio Scialoja”, CVII, 2013, pp. 37-56.

[10] A. Mastino, Analfabetismo e resistenza: geografia epigrafica della Sardegna, in "L'epigrafia del villaggio", a cura di A. Calbi, A. Donati, G. Poma (Epigrafia e Antichità, 12), Faenza 1993, pp. 499 ss. (AE 1993, 849). Vd. anche L. Gasperini, Ricerche epigrafiche in Sardegna, I, in Sardinia Antiqua. Studi in onore di Piero Meloni, Edizioni Della Torre, Cagliari 1992, pp. 286 ss. (AE 1992, 890); M. Bonello Lai, Il territorio dei populi e delle civitates indigene in Sardegna, in La Tavola di Esterzili, Il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda, Atti del convegno di studi, Esterzili 6 giugno 1992, a c. di A. Mastino, Sassari 1993, pp. 161 ss.; A. Moravetti, Ricerche archeologiche nel Marghine-Planargia, 1, Sassari 2000, pp. 237 s., nr. 24.

[11] Plin. n.h. III, 46 (sulle 11 regiones Italiae).  Vd. già Augusto nelle RGDA XXV: Iuravit in mea verba tota Italia sponte sual et me be[lli] quo vici ad Actium ducem depoposcit. Iuraverunt in eadem  ver[ba provi]nciae Galliae, Hispaniae, Africa, Sicilia, Sardinia.

[12] Non vedo contraddizioni con la documentazione relativa a espressini come:  natione Italus a Roma (CIL VI 23782) e per un legionario in Egitto (CIL III 6611, Nicopoli-Alessandria); nat(ione) Italica (CIL XI 83, Ravenna), nat(ione) Gr(aecus) (p.es. in CIL XI 60, Ravenna, marinaio). Tuttavia troviamo anche riferimenti ad una singola città: nat(ione) Alex(andrinus) (AE 1906, 163, Ravenna, marinaio), nationes Nicome(dia) (CIL XI 105) ecc.,  come se fosse un sinonimo di domus (esempi ulteriori in F. Spoth, Th.L.L. IX, 1,2, 2014, cc. 132 ss. s.v. natio).  Vd. infine i liberti nationi Tebaeus, natione P(h)rugia, natione verna e nationi Smurnaeus per l’iscrizione urbana datata al 47 a.C. dalla Via Latina, cfr. I. Di Stefano Manzella, Un’iscrizione sepolcrale romana datata con la seconda dittatura di Cesare, “Epigraphica”, XXXIV, 1972,  pp. 105 ss. (AE 1972, 14): il che comunque smentisce decisamente tutti gli autori che ritengono l’uso documentato solo a partire dal II secolo d.C.

[13] J.-M. Lassére, Manuel d’épigraphie romaine, I, Paris 2005, p. 133.  In Sardegna incolae erano sicuramente gli ebrei Beronicenses di Sulci, arrivati in età adrianea dalla Cirenaica, ILSard. I 4.

[14] E. Forcellini, Totius Latinitatis Lexicon, p. 247, s.v. natio. Vd. soprattutto F. Spoth, in Th.L.L. IX,1,2, a. 2014, cc. 132 ss. s.v. natio; Meyer, ThLL, VI, a. 1949, cc. 1842-1865 s.v. gens.

[15] Ad Q. fr., I, 1, 27.

[16] S. Moscati, Africa ipsa parens illa Sardiniae, «Rivista di filologia e di istruzione classica», XCV, 1967, pp. 385 ss. ; P. Ruggeri, Africa ipsa parens illa Sardiniae. Studi di storia antica e di epigrafia, Edes, Sassari  1999, passim.

[17] La Muroni ha recentemente ridimensionato il giudizio di Cicerone: A. Muroni, Cittadinanza romana in Sardegna durante la res publica: concessioni tra politica e diritto, in “Diritto @ Storia”, XII, 2014, Tradizione romana, pp. 1-62.

[18] F. Barreca, Ampsicora tra storia e leggenda, in Ampsicora e il territorio di Cornus, Atti del II Convegno sull’archeologia romana e altromedievale nell’Oristanese (Cuglieri 22 dicembre 1985), Taranto 1988, pp. 25 ss.; vd. A. Mastino, Cornus e il Bellum Sardum di Hampsicora e Hostus, storia o mito ? Processo a Tito Livio, in Convegno internazionale di studi, Il processo di romanizzazione della provincia Sardinia et Corsica, Cuglieri, 26 marzo 2015, in c.d.s.

[19] Aulo Gellio XV, 12,1 (la traduzione è di Mario Perra).

[20] A. Ibba, Gentes e gentiles in Africa Proconsularis: ancora sulla dedica al Saturno di Bou Jelida (Tunisia), “Annali Facoltà Lettere Cagliari”, XX (LVII), 2002, pp. 173-211.

[21] Plaut. Rudens 311.

[22] Ibba, Gentes e gentiles § 1, nn. 34 ss. specie punto b.

[23] Ibid., § Conclusioni.

[24] Liv. XL, 34, 13; vd. anche XLI, 6,6 (a. 178) e 12,5 (a. 177).

[25] Vd. supra, n. 9.

[26] Mastino, Analfabetismo e resistenza cit., pp. 499 ss.; AE 1993, 849.

[27] Diod. IV, 29-30 e V, 15, vd. ora I. Didu, I Greci e la Sardegna. Il mito e la storia, Cagliari 2002, pp. 94 ss.

[28] I. Didu, La cronologia della moneta di M. Azio Balbo, “Atti Centro Studi Documentazione Italia Romana”, VI, 1974-1975, pp. 107-120. Vd. P. Bernardini, Il culto del Sardus Pater ad Antas e i culti a divinità salutari e soteriologiche, in Insulae Christi, Il Cristianesimo primitivo in Sardegna, Corsica e Baleari, a cura di P.G. Spanu, Oristano 2002, p. 24.

[29] Vd. Mastino, Cornus e il Bellum Sardum di Hampsicora e Hostus cit, in c.d.s. Eccessiva però appare la posizione di E. Melis, Miti (antichi e moderni) sulla Sardegna: Sardus Pater, “Theologica & Historica, XXII, 2013, pp. 309 ss., per il quale la figura del Sardus Pater potrebbe esser stata <<“inventata” nel I secolo a.C., sulla base probabilmente dei racconti su Iolao, da cui Sardus eredita l’epiteto cultuale. Il motivo della sua nascita è da ricercare nei rapporti tra Cesare e la Sardegna – il “predio di Cesare”, come la definisce Cicerone – e all’interno di un processo di riforma religiosa finalizzata al recupero dei culti epicori di cui Cesare e la sua cerchia si fecero promotori>>. Per il ruolo di Cesare, colpito dalla orazione Pro Sardis pronunciata alla fine del II secolo dallo zio Cesare Strabone, vd. B.R. Motzo, Cesare e la Sardegna, in Sardegna Romana, I, Roma 1936, pp. 23 ss.

[30] Vd. A. Mastino, L'iscrizione latina del restauro del tempio del Sardus Pater ad Antas  e la problematica istituzionale, “Rendiconti Accademia dei Lincei”, in c.d.s.

[31] Di  Stefano, Iscrizione sepolcrale cit., p. 122.

[32] Così Lassére, Manuel d’épigraphie romaine, cit., pp. 132 ss.

[33] P.es. ad Eburacum-York Iulia Fortunata domo Sardinia, in RIB 687, cfr. R. J. Rowland jr., Sardinians in the Roman Empire, “Ancient Society”, V, 1974, p. 226. Vd. anche na(tus) in Sar(dinia), per Auctus, L. Allien[i] veteran(i) leg(ionis) VI [---] (servus) in CIL V 2500.

[34] Non è il caso di citare i numerosi personaggi che portano Caralitanus come cognomen senza essere necessariamente originari della Sardegna: vd. ad esempio C. Iulius Carallitanus natione Italico morto a 15 anni, in CIL X 1798, Miseno.

[35] G. Sotgiu, Sardi nelle legioni e nella flotta romana, “Athenaeum”, XXXIX, 1961, pp. 78 ss.

[36] Rowland, Sardinians cit., pp. 223 ss.

[37] Y. Le Bohec, La troisième légion Auguste, Paris 1989, pp. 277, 496, 524.

[38] A. Mastino, Le relazioni tra Africa e Sardegna in età romana, "Archivio Storico Sardo", XXXVIII, 1995, pp. 33 s.

[39] Cfr. Rowland, Sardinians cit., p. 226; Mastino, Le relazioni cit., p. 34.

[40] Z. Benzina Ben Abdallah, Inscriptions de Haïdra et des environs (Ammaedara et vicinia) publiées (CIL, ILAfr., ILTun.) et retrouveés, Tunisi 2011, p. 96 nr. 120.

[41] K. Jongeling, North African Names from Latin Sources, Leiden 1994, p 63.

[42] AE 1929, 169; vd. Mastino, Le relazioni cit., p. 33. Per Austis, vd. Y. Le Bohec, La Sardaigne et l'armée romaine sous le Haut-Empire, Sassari 1990, p. 109, a proposito di CIL X 7884.

[43] Vd. anche S. Panciera, Di un sardo con troppi diplomi, Ursaris Tornalis filius e di altri diplomi militari romani, in Sardinia antiqua. Studi in onore di Piero Meloni in occasione del suo settantesimo compleanno, Cagliari 1990, pp. 325 ss.; R. Frei-Stolba, Les témoins dans les premiers diplômes militaires, reflet de la pratique d’information administrative à Rome ? in E. Dabrowa (ed.), Roman Military Studies, Kraków 2001, pp. 93-7, 102.

[44] Per Tarpalaris, vd. F. Michel, É. Raimond, Remarques sur deux anthroponimes indigènes de Sardaigne, in L’Africa Romana, XIV, 2002, pp. 1617 ss.

[45] A. Sanciu, P. Pala, M. Sanges, Un nuovo diploma militare dalla Sardegna, “Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik “186 (2013), pp. 301–306.

[46] Vd. A. Mastino, R. Zucca, La constitutio del Forum Traiani in Sardinia nel 111 a.C., “Journal of Ancient Topography – Rivista di Topografia antica”, XXII, 2012, edited by  G. Uggeri, Mario Congedo editore, pp. 31 ss.

[47] AE 2006, 1841, 1845, 1846, 1851, 1852; W. Eck, A. Pangerl, Eine Konstitution des Antroninus Pius für die Auxilien in Syrien aus dem Jahr 144, “Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik”, 188, 2013, pp. 255-260.

[48] Vd. A. Ibba, Il diploma di Posada: spunti di riflessione sulla Sardinia all’alba del II secolo d.C., “Epigraphica”, LXXVI, 1-2, 2014, pp. 209 ss.; vd. anche A. Mastino, R. Zucca, Un nuovo titulus della cohors Ligurum in Sardinia e il problema dell’organizzazione militare della Sardegna nel I secolo d.C., in L’iscrizione e il suo doppio, Atti del Convegno Borghesi 2013, a cura di A. Donati, Fratelli Lega Editori, Faenza 2014 (Epigrafia e antichità, 35), pp. 405 ss.; degli stessi autori: L. Cossonius L. f. Stell(atina tribu) Gallus Vecilius Crispinus Mansuanius Marcellinus Numisius Sabinus pro consule provinciae Sardiniae e la constitutio del Forum Traiani, “Gerión, Revista de Historia Antigua”, 32, 2014, p. 206 n. 48.

[49] Ibba, Il diploma di Posada, p. 217 n. 31 presenta un elenco più ampio: nuraghi di Borore, Bortigali, Birori, Sinnai, Uras, Masullas, Cossoine, Perfugas, Pozzomaggiore, Baunei, Nulvi, Dorgali, Alghero, Olmedo, Quartu S. Elena, Sindia, Siniscola, San Vero Milis. Per Pasquale Zucca, vd. Il diploma militare di Hannibal nel 102 d.C. rinvenuto a Posada, Santa Maria Navarrese 18 agosto 2015, dattiloscritto.

[50] G. Paulis, La forma protosarda della parola nuraghe alla luce dell’iscrizione latina di Nurac Sessar (Molaria), in "L'epigrafia del villaggio", cit., pp. 537 ss.

[51] Plinio n.h. III, 7, 85, vd. E. Pais, La ‘formula provinciae’ della Sardegna nel I secolo dell’impero secondo Plinio, Ricerche storiche e geografiche sull’Italia antica, STEN, Torino 1908, pp. 579 ss.

[52] A. Mastino, Storia della Sardegna antica, Nuoro 2009, 2a ed., p. 307.

[53] Per i Barsanes, vd. A. Corda, A. Piras, “Theologica & Historica”, Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, XVIII, 2009, pp. 262 ss.  Per gli Uneritani, vd.  A. Mastino,  Rustica plebs id est pagi in provincia Sardinia: il santuario rurale dei Pagani Uneritani in Marmilla, in Poikilma. Studi in onore di M. R. Cataudella in occasione del 60° compleanno, Firenze 2001, pp. 781-814.

[54]A. Mastino, La tavola di patronato di  Cupra Maritima (Piceno) e le relazioni con Bosa (Sardegna), in "Picus", XII-CXIII, 1992-93 (1995), pp. 109 ss.

[55] G. Gasperetti, Una tabella immunitatis dal porto di T urris Libisonis, in Naves plenis velis euntes, a cura di A. Mastino, P.G. Spanu, R. Zucca, Carocci, Roma 209, pp. 266 ss. (dove Port(u)ensis non va riferito a Porto, Ostia, visto che si tratta di una naucella marina, una piccola imbarcazione adatta per le oprerazioni di trasferimento delle merci dalla ripa del porto di Turris Libisonis Porto Torres alle navi onerarie in rada).

[56] Vd. Salomies, Observations on some Names of Sailors cit., p. 176.

[57] Salomies, ibid., p. 182.

[58] A. Mastino, P.G. Spanu, R. Zucca, La Sardegna nelle rotte mediterranee, in Mare Sardum. Merci, mercati e scambi marittimi della Sardegna antica, Roma 2005, p. 27.

[59] Vd. O. Salomies, Observations on some Names of Sailors serving in the fleets at Misenum and Ravenna, “Arctos”, XXX, 1996, pp. 1676 ss.

[60] Mastino, Le relazioni cit., p. 75. Per la condizione di peregrino: Salomies, Observations on some Names of Sailors cit., p. 183.

[61] Salomies, Observations on some Names of Sailors cit., pp. 182 s.

[62] Salomies, ibid., p. 182.

[63] CIL XVI 60 = ILSard. I 311 = ELSard. p. 575 A 311, cfr. Le Bohec, La Sardaigne cit., p. 120 nr. 37.

[64] Plin, n.h., 2, 243.

[65] P. Ruggeri, Olbia e la casa imperiale, in Da Olbìa ad Olbia, 2500 anni di una città mediterranea, Atti del Convegno maggio 1994, I, Olbia in età antica, a cura di A. Mastino e P. Ruggeri, Edes, Sassari 2004, pp. 287 ss.; Mastino, Storia della Sardegna antica, cit., p. 75.

[66] G. Migliorati, Cassio Dione e l’impero romano da Nerva ad Antonino Pio alla luce dei nuovi documenti, Milano 2003, pp. 133 s.; Mastino, Zucca, L. Cossonius L. f. Stell(atina tribu) Gallus cit., pp. 215 s.

[67] M. Buonocore, Il capitolo delle inscriptiones falsae vel alienae nel CIL. Problemi generali e particolari: l’esempio della Regio IV Augustea, in Varia epigraphica. Atti del colloquio internazionale di epigrafia, Bertinoro, 8-10 giugno 2000 (Epigrafia e Antichità 17), Faenza 2001, p. 82; AE 2001, 601.

[68] Vd. Mastino, Zucca, La constitutio del Forum Traiani, cit., pp. 31 ss.

[69] Mastino, Zucca, L. Cossonius L. f. Stell(atina tribu) Gallus cit., pp. 199 ss.; per i governatori equestri, vd. ora D. Faoro, Praefectus, procurator, praeses. Genesi delle cariche presidiali equestri nell’Alto Impero Romano, Milano 2011, pp. 307 ss.

[70] Hier., Vir. ill. 96, da cui moltissimi altri autori: Eusebius quoque Vercellensis episcopus martyr et episcopus, natione Sardus, in Albertus Miliolus notarius Regini, Liber de temporibus et aetatibus (-1286), MGH SS 31, Additio, p. 394, lin. 4: Eusebius quoque Vercellensis martyr et episcopus, natione Sardus, et Dionisius Mediolanensis episcopus et Romanus presbiter nomine Pancratius damnantur exilio,..., in Sichardus episcopus Cremonensis, Chronica (-1213), MGH, SS 31, p. 121, lin. 29.

[71] Liber Pontificalis, I, p. 242, ed. Duchesne; da qui una miriade di altri autori. A puro titolo esemplificativo: Ilarius, natione Sardus, in Chronica pontificum et imperatorum Tiburtina. Pontifices (1-1227), MGH SS 31, p. 241, lin. 4: Ilarius, natione Sardus, in Iohannes de Deo, Chronica, MGH, SS 31, p. 311, lin. 18.

[72] Liber Pontificalis, I, p. 260, ed. Duchesne, seguito da molti altri autori; vd. p.es. Simachus, natione Sardus, in Chronica pontificum et imperatorum S. Bartholomaei in Insula Romani. Pontifices (1-1256), MGH SS 31, p. 203, lin. 27; Papa Simachus I. Simachus papa, natione Sardus, in Gotifredus Viterbiensis, Speculum regum, MGH, SS 22, Liber I, p. 27, lin. 8.

[73] Vd. G. Contu, Annotazioni sulle notizie relative alla Sardegna nelle fonti arabe, in Storie di viaggio e di viaggiatori. Incontri nel Mediterraneo (Isprom, Quaderni Mediterranei, 9), Tema, Cagliari 2001, pp. 37 ss.; vd. anche Id., La Sardegna nelle fonti arabe dei secoli X-XV, in La civiltà giudicale in Sardegna nei secoli XI-XIII, Edizioni Associazione «Condaghe S.Pietro in Silki», Sassari 2002, pp. 537 ss.

[74] Proceso contra los Arborea, Archivio della Corona di Barcellona, vd. Casula, Dizionario cit., pp. 1034 s.

[75] Casula, Dizionario cit., pp. 1034 s.

[76] Vd. F. C. Casula, La Sardegna aragonese, 2. La Nazione sarda, Sassari 1990.

[77] Vd. Il Braccio dei Sardi, in Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona, Acta Curiarum Regni Sardiniae, a cura di G. Meloni, Cagliari 1993, pp. 111 ss. A puro titolo esemplificativo segnaliamo il caso del monaco Pietro da Ottana (sec. XV, vissuto a Venezia), chiamato dagli annalisti camaldolesi "Petrus sardus" oppure "Petrus de Sardinia" (o Sardinea) - Pietro di Sardigna (così negli scritti di Niccolò da Tolmezzo, Mauro Lapi, Agostino Fortunio e Silvano Razzi). Tre secoli dopo Antonio Felice Mattei nella Sardinia Sacra scriverà: <<B. Petr[us], Congregationis Camaldulensis, natione sardus>> (A.F. Mattei, Sardinia sacra seu de episcopis Sardis historia, Romae MDCCLVIII, ex typographia Joannis Zempel, p. 221). Per il XVI secolo si può ricordare un personaggio storico di cui si parla a proposito del conflitto tra Carlo V d'Asburgo e la flotta ottomana per il controllo di Tunisi (1535 ca.): Asanaga, "natione sardus" è il fidato eunuco dell'ammiraglio ottomano Ariadeno Barbarossa, che questi invia a presidiare le città tunisine. Di lui raccontano Juan Gines de Sepulveda e poi Paolo Giovio. Iohannes Genesius Sepulveda, De rebus gestis Caroli Quinti libri XXX, LLT-B liber: 12, cap. 5, vol. 1, p. 374, linea 5: <<Neque vero ceteris nostrorum copiis interim a Tunete et Charadino quies erat, sed quotidiana consuetudine frequens hostium equitatus peditatu subsequente sese castris ostendebat, nostros que ad parva certamina provocabat, duce Azanaga eunucho, natione Sardo, Charadinique liberto, a quo puer captus Christianam Religionem deseruerat, et turpissimis obsequiis carus patrono ab ineunte aetate fuerat, et tunc propter animi promtitudinem ingeniique solertiam primum auctoritatis amicitiaeque locum apud ipsum obtinebat>>.

[78] A.M. Oliva, “Rahó es que la Magestat vostra sapia”. La Memoria del sindaco di Cagliari Andrea Sunyer al sovrano, “Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo”, CV (2003), pp. 335 ss.; p. 26 dell’edizione in formato digitale da “Reti Medievali”.

[79] A. Mastino, P. Ruggeri, Camillo Bellieni e la Sardegna romana, in Sesuja Vintannos. Antologia della rivista a cura di Antonello Nasone in occasione dei Ventennale della fondazione dell’Istituto di studi e ricerche Camillo Bellieni, Quaderni, 5, Sassari 2009, pp. 135 ss.

[80] A. Mattone, Le radici dell’autonomia. Civiltà locale e istituzioni giuridiche dal Medioevo allo Statuto speciale, in La Sardegna. Enciclopedia a cura di M. Brigaglia, II, L’autonomia, Cagliari 1994, p. 243.

[81] Nella lettera di Emilio Lussu in risposta alla lettera di Gramsci del 12 luglio 1926; quella di Lussu è non è datata ma presumibilmente di poco successiva: E. Lussu, Tutte le opere. Da Armungia al Sardismo 1890-1926, a cura di Gian Giacomo Ortu, Cagliari 2008, Aisara, p. 129.

[82] La definizione di "nazione mancata" si trova in "L'avvenire della Sardegna" (pp. 957-964), che apre numero della rivista "Il Ponte" intitolato "Sardegna", anno VII, n. 9-10, settembre-ottobre 1951, p. 958. Vd. F. Francioni, [Nazione, Autonomia e Federalismo in Emilio Lussu], in Emilio Lussu e la cultura popolare della Sardegna, Atti del Convegno di studio - Nuoro 25-27 aprile 1980, Istituto Superiore Regionale Etnografico Nuoro, Cagliari 1983, p. 186 e n. 8 ; vd. ora F. Sedda, Manuale d’indipendenza nazionale. Dall’identificazione all’autoderminazione,  Collana “La nazione sarda” diretta da P. Maninchedda e F. Sedda, Edizioni della Torre Cagliari 2015, p. 51.

[83] F. Lussana, Viva voce. Vd. A. Mattone, Sardismo e socialismo federalista in Emilio Lussu, in Lotte sociali,antifascismo e atonomia in Sardegna. Atti del convegno di studiin onore di E. Lussu, 4-6 gennaio 1980, Cagliari 1982, pp. 93 ss.

[84] Vd. S. Paulis, La costruzione dell’identità: per un’analisi antropologica della narrativa in Sardegna fra ‘800 e ‘900, Edes, Sassari 2008;  G. Angioni, Identità, “Quaderni di antropologia e scienze umane”, II, 2-3, settembre 2015,  Guida editori , pp. 65 ss.; M. Satta, M. Atzori, L’invenzione dell’identità sardaibid., p. 165.