Ricordo di Tito Orrù in occasione dell’intitolazione della circonvallazione di Orroli alla sua memoria.

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Scritto da Administrator | 20 Settembre 2016

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Ricordo di Tito Orrù in occasione dell’intitolazione della circonvallazione di Orroli alla sua memoria.
Orroli, 17 settembre 2016


Cari amici,

rispondendo all’invito del sindaco Antonio Orgiana, sono arrivato ad Orroli, “il paese delle roverelle” secondo l’etimologia di Massimo Pittau, giungendo da Fonni, Desulo, Santa Sofia, percorrendo i tornanti che scendono da Villanovatulo, il paese di Ercole Contu, e poi risalendo verso Nurri: qui ho avuto un colpo al cuore osservando i colori rossastri della vegetazione che inizialmente pensavo fossero quelli dell’autunno e che invece sono i colori che testimoniano una ferita sanguinante causata dai terribili incendi dei mesi scorsi.

Questi sono i luoghi che Tito Orrù amava di più, dove ci eravamo recati assieme a Silvio Sirigu e Armando Giocondo, che mi avevano portato all’inizio degli anni 90, nel Sarcidano, mentre si svolgevano ad Orroli gli scavi voluti da Fulvia Lo Schiavo nell’unico nuraghe pentalobato della Sardegna, Arrubiu, con le sue 21 torri e le inedite testimonianze del riuso in età romana con gli impianti produttivi tardi. Si riprendevano gli scavi svolti trent’anni prima, nell’immediato secondo dopoguerra,da Ercole Contu che aveva usato mezzi rudimentali, perfino una matassa di spago per misurare e rilevare il nuraghe rosso. Soprattutto lo aveva incuriosito il volume del 1992 da me dedicato alla tavola di Esterzili:, ai pastori sardi Galillenses e ai contadini originari dalla Campania romana i Patulcenses nell’età di Nerone: sono i luoghi cari anche ad Ercole Contu, originario della vicina Villanovatulo. Per Orrù e per Contu, al di là della scoscesa vallata del Flumendosa, l’orizzonte era chiuso dai monti di Esterzili (il paese di Fernando Pilia), sui quali sorgeva un edificio misterioso, che conservava tracce dei frequentatori preistorici, costruttori di quel tempio megalitico rettangolare noto come Domu de Orgìa.

Se è vero che esiste sempre per tutti noi al margine dell'orizzonte dei nostri spazi e delle nostre campagne un monumento antico, gravido di leggenda e di storia, per Tito Orrù, per Ercole Contu, ma anche per Fernando Pilia, fin da bambini, questo fu la cima del Monte di Santa Vittoria: dai paesi amati i tre potevano osservare la guglia di Cuccureddì, la vetta del monte (a circa mille metri di altitudine). Qui la tradizione narrava mirabilia sulla Domu de Orgìa, la casa di questa maga, nota in tuta la Sardegna come Luxìa Arrabiosa o Georgìa Arrabiosa, distrutta dal dolore per la perdita dei figli e ridotta in pietra, come la sventurata Niobe della tradizione classica. Ma Sa Domu, «la Casa» annunziava una costruzione per i vivi, non per i morti. Qualche tempo dopo, Ercole Contu, salito in cima al monte di Esterzili, vi avrebbe scoperto quel «tempietto a mègaron» imparentato con la civiltà micenea, identificato dalla tradizione nella casa di Orgìa. Il tempietto era strettamente collegato ai due esempi di Serra Orrios di Dorgali, illustrati negli anni trenta dal grande Soprintendente alle opere di Antichità ed arte, Doro Levi. Contu gli aveva dedicato la tesi di laurea e lo aveva pubblicato su “Studi Sardi” nel 1948, quando Tito aveva venti anni.

Ho parlato di Tito Orrù all’incontro di Cagliari del 28 marzo 2014, promosso da Maria Corona Corrias, in occasione della presentazione del numero speciale del “Bollettino bibliografico e rassegna archivistica e di studi storici della Sardegna”, un volume pieno insieme di ricordi personali e di ricerche originali, saggi e articoli, dedicati ai temi che erano cari allo studioso e all’amico. Il mio intervento è già stato pubblicato sul cinquantesimo numero dell’Archivio Storico Sardo per volontà di Luisa D’Arienzo.

Ho ricostruito allora il mio rapporto con Tito Orrù, iniziato ormai 45 anni fa: all’inizio, durante il grande gelo tra le Facoltà di Lettere e Filosofia, di Magistero e di Scienze Politiche, l’unico punto di contatto tra noi è stata Giovanna Sotgiu, la mia maestra di epigrafia nella Facoltà di Lettere e Filosofia dalla fine degli anni 60. Di lei Tito – a Scienze Politiche – conosceva le origini bittesi, che la rendevano speciale perché concittadina di Giorgio Asproni, così come di Giuseppe Musio, di Michelangelo Pira, di Raimondo Turtas, di Bachisio Bandinu. La Sotgiu sarebbe diventata anche concittadina di Orrù, quando Tito avrebbe ottenuto la cittadinanza onoraria di Bitti nel 2006, alla vigilia delle celebrazioni bicentenarie, un piccolo segno di una riconoscenza della città di Bitti per chi aveva pubblicato gli splendidi diari scritti tra il 1855 e il 1876. Più tardi nella sala sotto il Palazzo Comunale mi aveva seguito agli Amici del libro assieme a Nicola Valle con i due numeri della rivista “Il convegno” dedicati a Bosa che avevo curato tra il 1976 e il 1977.

Subito dopo il volume su Cornus pubblicato da Ettore Gasperini, che lo aveva interessato per la ricostruzione della storia di Ampsicora, un eroe raccontato da Tito Livio. Gli anni della Scuola di Studi Sardi, le escursioni organizzate da Lilliu in Ogliastra e in Barbagia, con curiosità e passioni vere che riguardavano tutti i territori della Sardegna, ben al di là del recinto della Storia del Risorgimento o della Storia dei Partiti.

Nel 1984 aveva fondato il “Bollettino bibliografico della Sardegna”, divenendo direttore, coordinatore scientifico e curatore della preziosa rassegna bibliografica, preziosa soprattutto allora, privi come eravamo di un repertorio agile come il Ciasca negli anni successivi alla cessazione della rivista curata da Giuseppe Della Maria. E naturalmente senza Internet. Eravamo affamati di notizie e allora schedavo tutto, interessato soprattutto ai rapporti tra Sardegna e Tunisia, un tema che era carissimo a Tito Orrù fin da trenta anni prima per il suo primo articolo, dedicato alla questione tunisina attraverso la stampa sarda pubblicato nel 1958 sulla rivista di Antonio Pigliaru Ichnusa; più tardi il lavoro su El Mostakel. Temi originali e difficili, che ora vediamo trattati nell’articolo di Gabriella Olla Repetto e in questi ultimi giorni da Romain H. Rainero nel volume di AM&D Edizioni sui Giornali di Cagliari per l’indipendenza della Tunisia il 1880 e il 1883 nella collana di testi e documenti mediterranei dell’ISPROM, proprio nelle settimane dell’approvazione della nuova costituzione della Tunisia democratica dopo la primavera araba e la fuga di Ben Ali.

Con la nascita del Bollettino nel 1984 era iniziato lo scambio con la fortunata serie dei volumi de L’Africa Romana, arrivata oggi al suo trentesimo anniversario: Orrù aspettava i miei volumi, anche se io pagavo raramente l’abbonamento al Bollettino, continuando a riceverlo, mentre Tito recensiva regolarmente i miei lavori con grandissima curiosità e interesse.

Al 1994 risale però il legame con Tito Orrù e con Maria Corona Corrias che mi è più caro: avevo scritto su L’Unione Sarda un polemico articolo per lamentare le scarse occasioni di collaborazione delle due Università con la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna. A mio parere era stato disatteso quell’impegno che era stato assunto dai vescovi con l’abbandono del Seminario Regionale di Cuglieri vent’anni prima. Inaspettatamente il mio segnale era stato subito raccolto da Tito Orrù, che sapeva che l’Arcivescovo di Vercelli Tarcisio Bertone si apprestava a celebrare l’anno eusebiano tra il 1995 e il 1996 nella ricorrenza del 1650° anniversario dell’Ordinazione episcopale di Eusebio, natione Sardus, primo vescovo del Piemonte. Chi allora lavorò per costituire il Comitato scientifico (che mobilitava anche studiosi del calibro di Leonardo Pisanu e Raimondo Turtas) furono veramente Tito Orrù e Maria Corona Corrias, sostenuti dal Preside della Facoltà Teologia Natalino Spaccapelo. A Biella e presso il santuario di Oropa tra il 21 e il 22 settembre 1996 si svolse il Convegno nazionale Eusebio da Cagliari alle sorgenti di Oropa, i cui atti furono poi pubblicati da Battista Saiu presidente del circolo Su Nuraghe. Il convegno principale si svolse però un mese dopo a Cagliari nell’aula magna dell’Università tra il 10 e 12 ottobre 1996, promosso dalle due università e dalla Pontificia Facoltà Teologica e aperto da Mons. Tarcisio Bertone. Tre anni dopo usciva il volume di quasi 600 pagine dedicato alla Sardegna paleocristiana tra Eusebio e Gregorio Magno, che apriva la nuova fortunata serie di Studi e ricerche di cultura religiosa, con il mio articolo su La Sardegna cristiana in età tardo-antica. Pensavo che Tito Orrù e Maria Corona Corrias avrebbero dovuto firmare il volume, a testimonianza dell’incredibile lavoro portato avanti negli anni, coordinando una rete di studiosi che comprendeva nomi illustri, come il compianto Réginald Gregoire, l’agostiniano Vittorino Grossi, Luciano Gastoni, Enrico Dal Covolo. Ma c’erano anche i giovani Franco Campus, Antonio Corda, Mauro Dadea, Giovanni Lupinu.

E invece Orrù e Corona Corrias chiesero che il volume fosse firmato da me per l’Università di Sassari, da Giovanna Sotgiu per l’Università di Cagliari, da Natalino Spaccapelo per la Facoltà Teologica.

A parte la sorpresa, l’emozione, l’orgoglio, l’ho sempre ritenuto un incredibile gesto di umiltà e di stima che non doveva essere dimenticato e che soprattutto mi pare rivelasse il carattere delle persone, la generosità, l’altruismo, il desiderio di coinvolgerci in altre avventure.

Ci sono state poi tante altre occasioni, tante lettere, tante ricerche svolte in comune, su Giuseppe Manno ad Alghero, su Luigi Canetto a Tresnuraghes, per l’Enciclopedia della Sardegna di Brigaglia. I suoi straordinari incontri e dibattiti sui democratici sardi dell’Ottocento, innanzi tutto su Giorgio Asproni e su Giuseppe Musio, in una linea ideale che prosegue con un vero gigante della politica sarda quale Francesco Cocco Ortu. Maria Corona Corrias ha affrontato il rapporto tra Asproni e Musio, riuscendo a rendere in modo straordinariamente vivace l’evoluzione del pensiero democratico risorgimentale tra opposizione e governo della sinistra dopo la perfetta fusione del 1847, la saporita polemica contro i Gesuiti, la denuncia dei vizi degli ecclesiastici, contro il potere temporale dei Papi. E poi i lavori sull’eroe Efisio Tola fucilato a Chambery nel 1833, fratello di quel Pasquale Tola che fu a Sassari maestro dell’Asproni; su Giovanni Maria Angioy, su Giovanni Battista Tuveri nel centenario dalla morte, su Filippo Garavetti, su Emilio Lussu, su Salvatore Mannironi, su alcuni studiosi come Giovanni Siotto Pintor, poi Carlino Sole e Felice Cherchi Paba. Una linea di studi e di riflessione coerente e positiva, che ci consente di scorgere collegamenti con il pensiero di Giuseppe Mazzini, di Carlo Cattaneo, di Giuseppe Garibaldi. Lascerei per ultimo Sebastiano Dessanay, con una posizione politica tormentata tra comunismo e socialismo ma coraggiosamente aperta al nuovo, alle origini dell’autonomia, alla scoperta di un meridionalismo denso di motivazioni umanistiche positive, radicali e religiose, indirizzate verso un orizzonte identitario alto, proiettato verso la modernizzazione della Sardegna, con molte sintonie con Giovanni Lilliu. Proprio per Dessanay, presidente dell’Isprom, Orrù aveva pubblicato il volume della Commissione italiana Unesco con Notizie e immagini dei Paesi dell’Africa Mediterranea in scrittori, giornalisti e operatori economici della Sardegna.

La figura che l’ha affascinato per tutta la vita, a parte Asproni, è Giuseppe Garibaldi, dal centenario della morte del 1982 al bicentenario dalla nascita con il 63° congresso di storia del Risorgimento svoltosi a Cagliari nel 2006; fino alla salma imbalsamata o bruciata raccontata negli ultimi anni da Ugo. Carcassi. Caprera, Maddalena, gli altri luoghi garibaldini dalla Russia fino all’America Latina. Manteneva una rete di rapporti con i circoli dei sardi in Italia e all’estero, come testimonia il Convegno nazionale sulla lingua sarda svoltosi a Biella a novembre 2011, i cui atti sono usciti postumi . Così a Pavia, col circolo Logudoro, a Novara, con la collaborazione con la Federazione delle Associazioni sarde in Italia. La frequentazione di tanti archivi, le sue lezioni, i suoi carissimi studenti a Scienze Politiche. Fu Orrù a presentarci tre anni fa Francesca Pau per il volume su Asproni parlamentare che pubblicammo con Carocci nella collana del Dipartimento di Storia di Sassari.

C’è un aspetto che mi ha sempre colpito nella sua opera e che recentemente è stato richiamato da Diego Carru e Giuseppe Monsagrati ed è la ricostruzione filologica del rapporto tra Asproni e gli autori classici, soprattutto Tacito, ma anche Cicerone, Sallustio, Orazio, Livio, Seneca, Plutarco: il tema del passaggio dall’illuminismo al romanticismo senza tradire la cultura classica che è vista come fondativa dell’Italia repubblicana e democratica, un tema che Orrù poteva trattare nei tempi nuovi del federalismo, del sardismo e del riformismo moderno, senza dimenticare Mazzini e, sul versante isolano, i padri del sardismo Lussu e Bellieni

Il tema della sovranità popolare è fondato sull’idea di Roma antica, eterna capitale, nemica della tirannide, fondatrice di una fratellanza universale, contro il Cesarismo, il Monarchismo, il Papismo. C’è in Asproni una rilettura di Nicolò Macchiavelli, in particolare dei Discorsi sulla prima deca di Livio, per esaltare le virtù repubblicane, per rileggere i classici dell’antichità con occhi nuovi, senza imbalsamarli ma riscoprendoli vivi, capaci di consegnarci ancora oggi una lezione di libertà e di virtù. Del resto fu Nicolò Machiavelli a concepire nei Discorsi (come anche nel Principe) il modello di Roma, dei suoi uomini illustri e delle sue vicende storiche, come un costante exemplum per leggere, interpretare ed indirizzare l'attualità: e ciò in un senso così accentuato, che il Guicciardini, nelle Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli sopra la prima Deca di Tito Livio, rivolge proprio a questo aspetto la sua critica, sostenendo che l'onnipresenza del modello romano non soltanto non contribuisce ad un approccio diretto alla realtà storica contemporanea, ma addirittura lo svisa, dirottando il punto di vista su situazioni e personaggi non confrontabili con il "particulare" che deve essere decodificato e condotto ad un esito "utile", cioè funzionale allo status politico, sociale, economico attuale. Eppure il discorso di Macchiavelli non è antiquario, ma fortemente contemporaneo. Così mi sembra anche nell’Asproni. Ma mi riprometto di scrivere in altra occasione su questo aspetto.

Proprio la sovranità popolare è alla base del progetto firmato da Tito Orrù e della prima strepitosa realizzazione nel 1996 di Sa die de Sa Sardigna, con l’evocazione della cacciata dei piemontesi del 1794.

Altri oggi hanno ricordato il suo sorriso, il tratto di gentilezza, umanità e umiltà nel rapportarsi agli altri, il suo garbo, nei confronti della gente comune, dei suoi studenti, dei suoi allievi. Tito Orrù è stato uno studioso capace di uscire dagli archivi, di guardare negli occhi tante persone diverse, di costruire il futuro della nostra isola sulla valorizzazione della sarditas fondata su un patrimonio identitario positivo, motore dello sviluppo, capace di commuovere e di appassionare. Senza alimentare polemiche, con semplicità e voglia di amare.