Il ruolo della ricerca scientifica per lo sviluppo della Sardegna e del Paese.

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Scritto da Administrator | 17 Settembre 2017

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Il ruolo della ricerca scientifica per lo sviluppo della Sardegna e del Paese

Attilio Mastino

Nell’ambito delle iniziative preparatorie della 48° Settimana sociale dei cattolici italiani che si svolgerà a Cagliari tra il 26 e il 29 ottobre, il 15 settembre ho partecipato con emozione al Convegno promosso a Sassari nell’aula magna dell’Università dal Rettore, dall’Arcivescovo Mons. Padre Paolo Atzei, dal Vescovo di Alghero-Bosa prof. Mauro Maria Morfino e da Mons. Giulio Madeddu sul tema “Il lavoro che vogliamo.

Libero, creativo, partecipativo e solidale”, con specifico riferimento a “Il contributo della ricerca come lavoro e per il lavoro”. L’iniziativa ha avuto un grande successo e l’attenzione si è concentrata sul lavoro della ricerca scientifica dell’Università degli Studi di Sassari e per essa di ogni altro Ateneo italiano, con attenzione per le prospettive professionali dei giovani più qualificati. Il prof. Massimo Carpinelli, Rettore Magnifico dell’Università degli Studi di Sassari, ha presieduto l’incontro ed ha potuto mettere a disposizione un gruppo di Ricercatori, sotto la guida del prof. Francesco Cucca, Professore Ordinario di Genetica Medica e delegato rettorale alla ricerca.

Tra gli altri si sono segnalati gli interventi del Direttore del Dipartimento di scienze biomediche Andrea Montella, di Sergio Uzzau di Porto Conte Ricerche, di Luigi Fiori, di Matteo Floris, di Diego Zucca, di Pier Andrea Serra dell’Università di Sassari. Era presente il Rettore emerito Alessandro Maida e la prof. Eugenia Tognotti, il cui contributo nel campo della Storia della Medicina è stato più volte evocato nel corso dell’incontro.

Nel programma del convegno si riprendeva la Costituzione Pastorale Gaudium et spes per la quale  “la Chiesa, presente dalla vita e dalle attività delle Chiese locali, ha sempre avuto il gusto per le scienze e per la rigorosa fedeltà al vero nell’indagine scientifica, per la necessità di collaborare con gli altri nei gruppi tecnici specializzati, il senso della solidarietà internazionale, la coscienza sempre più viva della  responsabilità degli esperti nell’aiutare e proteggere gli uomini, la  volontà di rendere più felici le condizioni di vita per tutti, specialmente per coloro che soffrono per la privazione della responsabilità personale e per la povertà culturale”, precisando che l’intento degli organizzatori era  “solo quello di promuovere la ricerca scientifica e farla interagire con ogni altro mondo del lavoro,  cercando di elevarla e inserirla nei circuiti occupazionali, a beneficio della dignità, della libertà e del benessere globale della persona e della comunità”.

Non è la prima volta che l’Università promuove Conferenze di Ateneo sulla ricerca presentando problematiche di tipo scientifico ed etico, risultati e prospettive; ma ora siamo a vent’anni di distanza dalla Magna Charta universitatum, la solenne dichiarazione dei Rettori europei riuniti a Bologna nell’ottobre 1988, che indicava tra i principia ac fundamenta come pilastro dell’Universitas l’insegnamento, con linguaggio ciceroniano la docendi ratio oppure la discipulorum institutio, posta accanto e strettamente congiunta alla scientiae pervestigatio, alla ricerca scientifica: in universitatibus docendi rationem necesse est cum scientiae pervestigationem coniunctam esse ut usus moresque mutantes et procedentes sequatur. Didattica e ricerca sono dunque i principia, gli elementi che giustificano l’esistenza dell’Universitas resa vitale dal fecondo apporto della capacità di investigare dei propri professori: siamo consapevoli che le forme dell’insegnamento sono espressione di una tradizione di studi secolare, ma debbono anche tendere ad un profondo rinnovamento, per inserirsi sempre più in un più vasto circuito europeo e internazionale. In Sardegna la ricerca scientifica è insieme espressione di una tradizione di studi secolare, di reti di rapporti stabiliti nel tempo, in grado di inserirsi  sempre di più in una grande comunità europea internazionale, costituendo  le fondamenta per quella che è ormai la terza missione dell’Università: il servizio a favore del territorio sul piano assistenziale sanitario, ma anche sul piano ambientale, sul piano economico, sul piano sociale, sul piano industriale, ma anche sul piano del trasferimento tecnologico a favore delle aziende.

È facile allora ritornare indietro nel tempo e ripensare ad alcuni grandi momenti della nostra storia: in occasione della sua visita nell’Università di Sassari il 28 maggio 1985, Giovanni Paolo Magno volle esortare la comunità universitaria ad operare sempre a favore dei grandi valori dell’uomo, affinché, alla luce della scienza e della fede, il suo cammino possa essere illuminato da profonda e vera sapienza. Papa Wojtyla affermò che la ricerca scientifica (nella dichiarazione di Bologna la scientiae pervestigatio) deve essere il primo e fondamentale compito dell’Università, che può ampliare sempre di più gli orizzonti della conoscenza nei vari ambiti del sapere, con un approccio interdisciplinare in rapporto anche ad altri centri culturali. Il ruolo dell’Università, riconosceva Giovanni Paolo II, può essere essenziale per l’edificazione dell’uomo, saggio e addestrato nel retto uso della volontà. Gli studenti debbono concludere il loro percorso formativo dall’Università non solo con l’intelletto ricco di nozioni, ma con la volontà guidata da salde convinzioni morali e da ferme e operanti buone intenzioni. Di conseguenza solo l’impegno didattico dei docenti (la docendi ratio) consente che le acquisizioni scientifiche vengano partecipate alle nuove generazioni, avide di sapere, ma con vivo senso di responsabilità, rispettando la scala di valori morali, spirituali e religiosi, tutti incentrati nell’uomo, che nel mondo costituisce il valore supremo. Tutto il resto, concludeva Giovanni Paolo II, – scienza, tecnica, cultura e società – deve essere al servizio della persona e l’Università non può esimersi da questa finalità altamente pedagogica di rendere l’uomo capace di volere e di amare.

Ci pare che quel messaggio possa essere declinato oggi anche laicamente e possa rappresentare la vocazione alla formazione e alla ricerca propria dell’università pubblica, entrambe libere da condizionamenti, rispettose del pluralismo, attente al futuro dell’umanità, impegnate per la pace.

A distanza di quasi trent’anni da quell’evento, papa Francesco nell'omelia della Messa per l'inizio del suo pontificato, invitava tutti gli uomini di buona volontà ad essere “custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, dell'altro e dell'ambiente”. Proprio Papa Bergoglio nella sua visita alla Facoltà Teologica della Sardegna e nell’incontro con il mondo accademico isolano a Cagliari il 22 settembre 2013 (preceduto dagli interventi del Preside e dei due Rettori) ci ha raccontato la crisi di oggi come assenza di istruzione e di conoscenza, interpretandola anche come possibile opportunità verso un mondo nuovo: “Penso non solo che ci sia una strada da percorrere, ma che proprio il momento storico che viviamo ci spinga a cercare e trovare vie di speranza, che aprano orizzonti nuovi alla nostra società. E qui è prezioso il ruolo dell’Università, come luogo di elaborazione e trasmissione del sapere, di formazione alla “sapienza” nel senso più profondo del termine, di educazione integrale della persona, per alimentare la speranza”. L’Università come luogo del discernimento, l’Università come luogo in cui si elabora la cultura della prossimità, la cultura della vicinanza, l’Università come luogo di formazione alla solidarietà. “L’Università è luogo privilegiato in cui si promuove, si insegna, si vive questa cultura del dialogo, che non livella indiscriminatamente differenze e pluralismi - uno dei rischi della globalizzazione è questo -, e neppure li estremizza facendoli diventare motivo di scontro, ma apre al confronto costruttivo. Questo significa comprendere e valorizzare le ricchezze dell’altro, considerandolo non con indifferenza o con timore, ma come fattore di crescita.  Non c’è futuro per nessun Paese, per nessuna società, per il nostro mondo, se non sapremo essere tutti più solidali. Solidarietà quindi come modo di fare la storia, come ambito vitale in cui i conflitti, le tensioni, anche gli opposti raggiungono un’armonia che genera vita”.

Quelle parole ancora ci emozionano. In conclusione i temi che abbiamo di fronte per definire le caratteristiche della Scienza come professione sono numerosi: l’attuale gravissimo sottofinanziamento della ricerca causato dalle scelte politiche di fondo nel nostro Paese e nel Mezzogiorno, la precarietà dei giovani ricercatori, il ridursi degli sbocchi lavorativi per i laureati (che sono troppo pochi rispetto agli standard europei), i livelli incredibilmente alti della disoccupazione giovanile, l’altissimo numero di giovani che non studiano e non cercano lavoro, il conflitto di interessi tra aziende private e servizio pubblico, la rabbiosa competitività che distrugge la libera creatività, la riflessione pacata, la voglia di creare  reti e collaborare insieme. E ancora l’intermittenza dei canali di finanziamento, l’appesantimento burocratico, le incertezze per chi desidera mettere su famiglia ma non può se non a costo di veri e propri atti di eroismo individuale, a causa dei rischi provocati dall’attuale riduzione di risorse, di possibilità occupazionali, di sbocchi professionali.

Resta fortissima l’esigenza di distinguere i fini ed i mezzi, di mettere la ricerca al servizio dello sviluppo, di essere capaci di valutare in profondità le conseguenze etiche, di garantire la fedeltà al vero che deve essere alla base del metodo scientifico, la difesa della ricerca di base, di fronte alla ricerca applicata o sperimentale, ancora il senso e il valore della ricerca umanistica che non ha più necessità di giustificare la propria esistenza e la propria utilità, la cooperazione con i paesi in via di sviluppo, la genetica di alcune popolazioni, la ricerca biomedica.

Nell’incontro di Sassari si è partiti dalle esperienze personali, dalle curiosità, dalle soddisfazioni per i risultati, dal piacere per lo studio, dalle capacità e dai talenti di ciascuno, ma anche dai sacrifici personali e dalle sofferenze legate spesso all’esportazione dei cervelli, alla scarsa attrattività, alle difficoltà dei percorsi di rientro in un’isola che deve trasformare le proprie debolezze storiche legate all’isolamento in una risorsa fondata sulla innovazione e su una più alta competitività. I centri di ricerca, i laboratori, i dipartimenti, le Università e il CNR in Sardegna hanno raggiunto in molti campi livelli di eccellenza. Si possono ricordare, tra le più recenti, le ricerche genetiche sul DNA, la sclerosi multipla, i rischi delle malattie autoimmuni, le neuroscienze, l’energia, l’ambiente, il patrimonio ed i beni culturali.  Occorre allora perseguire l’obiettivo di definire ambiti strategici di sviluppo della ricerca che possano essere sostenuti dalle risorse pubbliche e private adeguate, che passino attraverso tirocini formativi e per una selezione morbida dei ricercatori, che siano capaci di consentirci di collocarci in un orizzonte positivo, per poter immaginare un futuro migliore anche senza prevederlo, in una società meno fragile di quella che conosciamo.

Seneca nelle Questioni naturali osservava: Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet; multa saeculis tunc futuris, cum memoria nostra exoleverit, reservantur: pusilla res mundus est, nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat. Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura; molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo, quando di noi anche il ricordo sarà svanito: il mondo sarebbe una ben piccola cosa se l’umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

Il mestiere del ricercatore è forse il più bello del mondo: perché non diventi un inferno è necessario allora affrontarlo con entusiasmo, passione, curiosità; ma occorre innanzi tutto aver chiaro l’orizzonte di impegno, la prospettiva di sviluppo, la voglia di incidere per rendere migliore il mondo che viviamo.