I 50 anni della Rivista “Quaderni Bolotanesi”

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I 50 anni di “Quaderni Bolotanesi”

Bolotana, 4 ottobre 2025

La nascita dei Quaderni Bolotanesi nel 1975 per volontà di Italo Bussa e del Comitato San Bachisio, poi dell’Associazione culturale “Passato e Presente” arriva due anni dopo la conclusione della Commissione di inchiesta sulla criminalità in Sardegna e coincide con l‘istituzione del Comprensorio del Marghine Planargia, dopo il superamento delle aree omogenee  (L.R. 1° agosto 1975, n. 33). Il Comprensorio che univa i due territori fu fortemente voluto da Giovanni Del Rio, Presidente della Regione fino al 1976.  L’anno dopo Pietrino Soddu, Assessore alla programmazione, avrebbe istituto le Comunità Montane a seguito della legge del 6 settembre 1976 n. 45, mettendo insieme nelle giunte in modo inedito e anticipatorio maggioranze e minoranze, comunisti, socialisti, democristiani.  Come dimenticare la coincidenza con la nascita del Consorzio industriale di Macomer, poi la Tirsotex, l’industrializzazione di Ottana, le infrastrutture nella seconda vallata del Tirso, con tante speranze poi in gran parte naufragate? Come abbiamo visto già dall’inizio sul primno numero di Quaderni Bolotanesi erano state manifestate perplessità e limiti dell’intervento della SIR di Rovelli, che era stato voluto strumentalmente per  stuzzicare l’ENI.

Ricordo la prima assemblea del comprensorio a Macomer nella Pineta Albano presieduta nell’autunno avanzato 1975 dall’anziano sindaco di Sindia Pietro Paolo Pisanu: la nascita del Comprensorio che univa per la prima volta il Marghine alla Planargia, segna il momento più alto dell’incontro tra i due territori occidentali della provincia di Nuoro, che perdeva Tresnuraghes e il Montiferru dopo la nascita, l’anno precedente, della Provincia di Oristano.

Sono gli anni della Presidenza del Comprensorio e della Comunità Montana e infine dell’ASL di Romano Benevole, costantemente sostenuto da Nino Carrus:  io stesso fui coinvolto in assemblea e in giunta in un impegno nuovo, stimolante, ricco di polemiche tra territori e tra partiti, ma con obiettivi che alla fine sono stati ampiamente centrati, ad iniziare dalle politiche per il patrimonio e dall’acquisto dei terreni sui quali insistevano i monumenti megalitici studiati da Alberto Moravetti. Ho ripensato a questi anni sfogliando i Quaderni e il volume sulle ricerche archeologiche del Marghine-Planargia del 1998, le domus de janas (S’ispinarba, Perca ‘e zarcanu), i dolmen (Tanca Noa, Sa orta de su murcone), i circoli megalitici (Ortachis), i protonuraghi (Perca ‘e Pazza, Santa Caterina, Gazza), i nuraghi (Tittiriola, Sa Coa Filigosa), le tombe di giganti (Mascaridda), le tombe megalitiche (Santu Asili), le fortezze punico romane (Mularza Noa), fino al villaggio moderno abbandonato di Padru Mannu, un luogo tanto evocativo ancora oggi, sul punto culminante della Campeda dove passava la via romana. Per non parlare del villaggio di Santa Maria Sauccu conteso con Mulargia e Bortigali.

In parallelo rispetto alla Comunità Montana, la rivista Quaderni Bolotanesi uscì dal 1975 al 2014 fino al XL numero: l’interruzione fu dovuta a varie ragioni, prima delle quali credo sia da considerarsi la progressiva specializzazione disciplinare perseguita dalle riforme universitarie, che limitò inizialmente l’interesse dei giovani ricercatori.  Cadevano una dopo l’altra “Studi Sardi” di Raimondo Bacchisio Motzo e poi di Giovanni Lilliu fino ad Antonietta Dettori (1934-2009, l’ultimo dedicato proprio a Motzo nel 50°, rivista che tecnicamente è ancora attiva per l’ANVUR), “Sandalion, Quaderni di cultura classica, cristiana e medioevale” di Pietro Meloni (1978-1995), il “Bollettino Archivio Storico Sardo di Sassari” di Ginevra Zanetti (1974-), il “Nuovo Bullettino Archeologico Sardo” di Alberto Moravetti (1984-1995), Studi Sassaresi (1922-) e tante altre riviste, non tutte cessate ma solo sospese.

È sopravvissuto solo l’”Archivio Storico Sardo” che ha superato i 55 anni di vita, organo della Deputazione di Storia Patria; ma penso anche all’Almanacco Gallurese.  Una brillante esperienza è anche quella del “Bollettino di Studi Sardi” iniziato nel 2008 a Sassari, presso il Centro di studi filologici sardi, ora con UNICApress, che ha pubblicato 17 volumi fino al 2024; possiamo aggiungere le riviste di settore delle Soprintendenze  e così via.

Oggi il mondo accademico sta ripensando alla possibilità di riaprire alcune riviste e di rendere più interdisciplinare la ricerca, che per ragioni concorsuali si è andata concentrando su singole discipline o su discipline affini. Personalmente sono convinto, come già ci aveva insegnato Popper nel 1956, che  <<la mia disciplina non esiste, perché le discipline non esistono in generale. Non ci sono discipline, né rami del sapere; o piuttosto, di indagine.  Ci sono solo problemi e l’esigenza di risolverli>>.

Fuori dallo stretto recinto, i Quaderni Bolotanesi (sottotitolo Una rivista di storia e cultura sarda) hanno proseguito per questi 50 anni, superando nei fatti l’accusa di localismo: a sfogliare questi 44 volumi l’impressione negativa legata inizialmente al titolo appare assolutamente infondata. Faccio solo un esempio che mi riguarda: nel 1988 pubblicai l’articolo sugli Archivi imperiali e del Senato sul Campidoglio a Roma, alla luce del processo contro i Galillenses della Barbaria Sarda, tema che quattro anni dopo sarebbe confluito nel volume su La tavola di Esterzili (opera vincitrice del Premio letterario “L’Ogliastra”, Edizione 1995).  L’argomento non è locale (anche se si collega con l’accatastamento della Sardegna in epoca antica e moderna e nell’Ottocento con la famiglia Piercy) e continua ad essere di estrema attualità se è stato affrontato nei suoi ultimi giorni da Anna Sommella Mura in un articolo postumo sui nuovi dati per la rilettura del Tabularium Capitolino. Sullo stesso tema avevano scritto Antonietta Boninu ed Enzo Cadoni. E poi il mio lavoro sul futuro degli studi classici in Europa nel 2014.

In ogni caso questo radicamento in un territorio, la filiazione da un’associazione come Passato e Presente, il coinvolgimento di tanti studiosi non possono essere un disvalore. Ho letto con attenzione le pagine scritte da Manlio Brigaglia per i primi 40 anni della rivista, che secondo lui si sarebbe ispirata al modello di Ichnusa di Antonio Pigliaru del 1949, cessata nel 1964: allora Brigaglia se la prendeva contro i profeti di sventure e sollevava qualche dubbio sulle nozze d’oro della rivista con i propri lettori. Beh, questa di oggi non è, non può essere una commemorazione o la fine di una storia, se abbiamo definito la nostra rivista davvero longeva. Così nel 2021, con il 41° numero ed ora con il 44°, celebriamo i 50 anni della Rivista diretta da Italo Bussa, dirigente presso la Regione Sarda, che ha rivestito ruoli apicali in Consorzi di Bonifica, nella Carbosulcis e in alcuni Consorzi industriali.  Mi ha sempre colpito la sua capacità di coinvolgere i ricercatori, ma anche di trovare finanziamenti e piccoli sponsor che in qualche occasione hanno acquistato quasi la metà delle pagine della rivista (il calcolo presentato oggi è di 58.110 copie stampate (con una media dunque di 1500 copie a numero) e 15000 pagine al netto della pubblicità.

Con il passare del tempo la rivista ha progressivamente “allargato” il proprio orizzonte, ospitando saggi di studiosi di rilievo nazionale ed internazionale, pur mantenendo sempre un’attenzione verso la Sardegna e le sue realtà. Negli ultimi decenni sono strati affrontati temi più ampi: storia regionale e insulare, antropologia, etnografia, linguistica, filologia, politica, letteratura, politiche locali, economia, ambiente, migrazione etc. I campi di studio vanno dalla Storia, in particolare dalla Storia locale (comuni, istituzioni, comunità), alla storia giudicale, storia moderna e contemporanea, eventi specifici (es. guerre, politica locale), vicende delle autonomie, ecc.

E poi Antropologia / Etnografia / Cultura materiale: Tradizioni, costumi, rituali religiosi, cultura pastorale, mobilità umana, migrazione, identità culturale, rapporto tra culture locali e esterne.

Ancora Linguistica / Filologia / Toponomastica: Studi sul paleosardo, toponomastica locale, filologia sarda, lessico, dialettologia.

Economia / Geografia economica / Sviluppo locale / Sociologia: Economia pastorale, industria locale, agricoltura, cooperazione sociale, migrazione, sviluppo regionale, emigrazione e immigrazione.

Non manca la discussione politica e la storia delle istituzioni autonomistiche: Statuto sardo e autonomia, istituzioni locali, legislazione, rapporti tra Stato e Regione, referendum, movimenti politici, autonomie locali.

Letteratura / Identità culturale / Arte: Identità culturale, arte locale, architettura, musei, rapporto con la letteratura sarda, racconti e memoria locale

Tra gli interventi più significativi vorrei richiamare nel Numero 14 (1988) gli articoli “Verso la terza fase della Rinascita” (Pietro Soddu); “Il sogno americano della Rinascita sarda” (Lorenzo Del Piano); “Realtà politica e industria” (Romano Mambrini); “Forme di mobilità ed economia locale in Centro Sardegna” (Benedetto Meloni); “La transumanza nella storia della Sardegna” (Gian Giacomo Ortu).

Nel numero 16 (1990) ci si muove tra etnografia, antropologia medica, territori, identità, politica regionale, economia, cosmopolitismo accademico, rapporti col concetto di insularità soprattutto con Alberto Merler etc.

Nel numero 32 (2006) compaiono articoli su cooperazione sociale, condizioni dei pastori, educazione, toponomastica, degenerazioni storiche delle istituzioni, proprietà della terra, usi civici, ecc.

Nel numero 40 (2014): articoli fondamentali come quelli su Mont’e Prama, le Aquae Lesitanae, Matteo Madao e la questione della lingua sarda, i feudi dei Centelles di Oliva, gli esiti della schiavitù antica in epoca moderna, Vittorio Angius, Giovanni Spano e il patrimonio paremiologico sardo, Antonio Segni.

La rivista calcola di aver coinvolto oltre 400 autori, studiosi con diversi profili, storici, antropologi, linguisti, politologi, geografi, alcuni famosissimi, per restare ai primi 10 numeri Clara Gallini, Francesco Alziator, Giovanni Lilliu, Michele Columbu, Marcello Lelli, Giulio Angioni, Alberto Merler, Giorgio Macciotta, Giuseppa Tanda, Guido Melis, Luciano Carta, Salvatore Cugusi, Beniamino Moro, Gian Adolfo Solinas, Elettrio Corda, Mario Atzori, Simone Sechi, Gabriella Mondardini, Paolo Pillonca, Francesco Cesare Casula, Alberto Azzena, Antonello Paba, Umberto Cardia, Franco Mannoni; inoltre circa 35 stranieri, tra i quali Robert J. Rowland jr. sulla cristianizzazione della Sardegna e sui Sardi nell’impero romano, John Day sullo spopolamento nel medioevo, David Moss sul furto di bestiame, Peter J. Brown sulla malaria,  Michinobu Niihara su un itinerario insulare e la Sardegna vista dall’esterno, fino al Giappone di Natsuko Tanaka.  Il totale è di 766  articoli.

Debbo citare almeno due autori recentemente scomparsi, Ignazio Camarda col suo incredibile attaccamento al Giardino botanico montano di Badd’e salighes e Fausto Garau, parroco a Bolotana in giorni burrascosi, che mi fece presentare il 7 giugno 1998 il volume di Mario Filia, La Giostra sotto la rocca, tra cronaca e memorie mezzo secolo di sport bolotanese.

Emergono alcune linee forti che attraversano molti numeri:

  1. Memoria e identità locale: raccolta di storie orali, tradizioni religiose, studi su identità culturale sarda, uso del passato per comprendere il presente.
  2. Insularità: come condizione e come metafora; il problema della distanza, dell’isolamento, ma anche delle relazioni interne e con l’esterno.
  3. Cambiamento economico e sociale: sviluppo non compiuto, industrializzazione (o sua assenza), migrazione (sia verso l’Italia continentale che all’estero), trasformazioni nel mondo rurale, pastorizia, agricoltura etc.
  4. Relazioni politiche e istituzionali: autonomia, statuto regionale, rapporti Stato–Regione, diritti, autonomie locali, referendum.
  5. Lingua, cultura materiale, antropologia: riflessioni su come si parlava / si parla in Sardegna, toponomastica, rapporto con le culture vicine, con i ricercatori esteri.

Quaderni Bolotanesi non è propriamente una rivista accademica ma ha svolto, anche grazie a Luciano Carta, un ruolo sociale e culturale. Tra i suoi obiettivi: mettere in relazione il locale con il regionale, valorizzare la storia “dal basso”, dare voce anche a autori non accademici locali. È diventata, nel tempo, uno dei punti di riferimento per la cultura sarda, in particolare per gli studi di storia locale, antropologia, linguistica. Ha conosciuto anche editorialmente un miglioramento continuo (pagine, tiratura, diffusione), apertura verso studiosi esterni. Emergono alcuni aspetti come sfide o limiti: è necessaria una maggiore visibilità internazionale; occorre evitare i periodi di interruzione; la varietà tematica è un pregio ma rende talvolta difficile individuare una linea editoriale “stabile” per chi studia un particolare settore.

Noi per il futuro ci auguriamo che la rivista riesca sempre di più a coinvolgere gli intellettuali sardi e insieme lavori per una maggiore digitalizzazione e accessibilità (archivi, versioni digitali) per far conoscere ancor più i contributi “storici”. Inoltre occorre affrontare i temi nuovi dei cambiamenti climatici, migrazione contemporanea, globalizzazione visti dalla Sardegna, tecnologia e cultura locale, spopolamento. Occorre infine radicare maggiormente le collaborazioni internazionali più strutturate, per confronti comparativi con altre isole o regioni periferiche. La rivista deve assumere un carattere scientifico con ISSN. Un tramite potrebbe essere l’Istituto Sardo di Scienze e Lettere e Arti, fondato da Ignazio Camarda e presieduto ora da Salvatore Naitana.  Ma una porta spalancata è quella di UNICApress dell’Università di Cagliari diretta da Antonio M. Corda, che potrebbe essere interessata a digitalizzare questa e altre riviste, per rendere accessibili tutti i numeri precedenti e per curare una distribuzione larga dei nuovi numeri.

Scrivendo queste poche pagine ci risuonano in testa i versi della bella poesia proprio di Ignazio Camarda, quando si augurava di rivedere la primavera in questi luoghi magici, su questi monti abitati dagli Ilienses del mito greco con le loro domus de janas, i loro dolmen, i loro nuraghi attorno a  Badd’e salighes e Punta Palai: dia cherrer chi venzat su veranu / caminande / supra ‘e tappetos biancos de erva ‘e arana / supra ‘e abba muda de untana / sichinde muros de iliche e de saliche / in mesu a sas arvures de tassu / iscuras dae su pesu de sos annos, / a iscazare nibe e ghiacciu.

E poi la frase di Cesare Pavese (1908-1950) su questo tenace filo, ineluttabile e anche doloroso che ci lega al paese amato, che può essere la molla per raggiungere obiettivi alti: ne “La luna e i falò” è  diventata celebre la frase in cui lo scrittore evoca il bisogno di un “luogo nell’anima”, che nel nostro caso è la Bolotana di ieri e di oggi: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.